LAVORO DEI RIDERS TRA QUALIFICAZIONE GIURIDICA, FATTISPECIE PENALI E “COOPERATIVISMO DI PIATTAFORMA”

In un mondo del lavoro in trasformazione, le tradizionali categorie di sussunzione e
inquadramento sono fortemente in tensione, lungo le crepe che già si erano aperte negli ultimi
decenni. In particolare, vuoi per la forte visibilità, anche mediatica, dei lavoratori coinvolti,
vuoi per la forza delle istanze rivendicative espresse, il lavoro nel food delivery ha attirato
l’attenzione del legislatore e della giurisprudenza, riportando viva l’attenzione sulla tematica,
di ordine più generale, del lavoro eseguito nell’ambito della c.d. economia delle piattaforme.
Sul fronte legislativo si segnala il recente d.l. n. 101/2019, meglio noto come “decreto
imprese”, convertito in l. n. 128/2019, che ha introdotto nell’ordinamento disposizioni
specifiche destinate ai riders, inquadrando il relativo rapporto di lavoro nell’ambito delle
collaborazioni etero-organizzate di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 e recependo in tal modo
quanto affermato dalla Corte di Appello di Torino con la nota sentenza del 4 febbraio 2019.
Il decreto ha modificato l’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015, che adesso recita: “A far data
dal 1 gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai
rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente
personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Le
disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione
della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali”.
L’ultimo periodo della disposizione in commento induce a ritenere che il legislatore abbia
specificato una possibilità di applicazione della disposizione alla casistica dei lavoratori
dell’economia delle piattaforme digitali. In realtà, dalla lettura del capo V- bis, “Tutela del
lavoro tramite piattaforme digitali”, aggiunto al decreto 81/2015 dal d.l. 101/2019, si evince
che il rinnovato comma 2 d. lgs. 81/2015 non fa riferimento a tutti i lavoratori impegnati
nell’economia delle piattaforme, ma soltanto ai «lavoratori autonomi che svolgono attività di
consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a
motore di cui all’articolo 47, comma 2, lettera a), del codice della strada, di cui al decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285, attraverso piattaforme anche digitali» (articolo 47 bis,
comma 1, del d. lgs. n. 81/2015), aprendo una separazione tra i c.d. riders e tutti gli altri
lavoratori delle piattaforme.
Al netto della condivisibilità di questa scelta, si rileva, su un piano di tecnica normativa, che il
legislatore si è astenuto dal definire lo status giuridico della fattispecie concreta rappresentata
dai lavoratori delle piattaforme, o anche soltanto dai riders, evitando di entrare nel complesso
dibattito sulla sussunzione di questi ultimi come lavoratori subordinati oppure autonomi. Si è
invece limitato ad estendere ad un tipo di rapporto di lavoro ritenuto vulnerabile un insieme di
tutele predeterminato da un precedente intervento normativo.
Tralasciando gli effetti dirompenti che la perdita di rilevanza delle coordinate spazio – temporali ai fini della sussunzione della eteroorganizzazione può sortire sulla nozione della
subordinazione, si segnala che la Corte di Cassazione italiana con la sentenza 1663/2020 si è
orientata in maniera affatto diversa, qualificando i riders come lavoratori subordinati tout
court, alla luce di un’argomentazione che ha preso le mosse dalla nozione di dipendenza
economica.
In questo contesto, ancora non vi è stato un effettivo intervento delle parti sociali, il cui ruolo,
tuttavia, è stato ricordato anche dal legislatore, con la legge di modifica del d.lgs. 81/2015 in
relazione al tema della retribuzione. Nel momento in cui nella legge di conversione viene fatto
espresso divieto dell’impiego del cottimo, infatti, si afferma che spetta alla contrattazione
collettiva il compito di definire «criteri di determinazione del compenso complessivo che
tengano conto delle modalità di svolgimento della prestazione e dell’organizzazione del
committente» (comma 1, art. 47-quater). In assenza di tali contratti collettivi, la piattaforma
digitale dovrà riconoscere al rider «un compenso minimo orario parametrato ai minimi
tabellari stabiliti da contratti collettivi nazionali di settori affini o equivalenti sottoscritti dalle
organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale»
(comma 2, art. 47-quater, d.lgs. n. 81/2015).
Le parti, a ben vedere, si erano mosse in questo senso già prima che si fossero palesate queste
indicazioni, dal momento che il 18 luglio avevano stipulato, nel contesto della contrattazione
del settore della logistica, il c.d. accordo riders, siglato dalle datoriali Confetra; Fedit;
Assologistica; Federspedi; Confartigianato trasporti e dalle organizzazioni sindacali di
categoria Fita – CNA; Filt – CGIL; Fit – CISL e Uiltrasporti.
Questo si segnala per essere stato il primo che estende alla categoria l’applicazione in toto del
contratto collettivo della logistica, introducendo una declaratoria dedicata al lavoro dei riders,
definiti “lavoratori adibiti ad attività di logistica distributiva, comprese le operazioni
accessorie ai trasporti, attraverso l’utilizzo di cicli, ciclomotori e motocicli”. A questo profilo
professionale vengono associati livelli retributivi appositamente istituiti in aggiunta ai
preesistenti, i livelli I ed L a seconda che i lavoratori utilizzino, rispettivamente, biciclette
oppure ciclomotori e motocicli. Si tratta di retribuzioni mensili parametrate su quelle degli
altri lavoratori del settore, in ragione della maggior semplicità di guida dei mezzi utilizzati e
della mancata richiesta di qualifiche (per la figura del ciclofattorino non è richiesto il possesso
della patente B).
L’accordo, per quanto appropriato, ha trovato una scarsissima applicazione, dovuta alla
peculiare natura del mercato del lavoro in cui si colloca, che pone un rilevante problema in
tema di effettività degli accordi sindacali. I riders quasi mai si relazionano con un unico
datore di lavoro ma con un’applicazione dedicata ad una o più piattaforme i cui rappresentanti
non hanno mai partecipato alle trattative degli accordi né, conseguentemente, ne fanno
applicazione.
Un’eccezione, in questo panorama, è rappresentata dalla cooperativa di lavoro Food4me, nata
dall’idea di otto lavoratori con il supporto di CISL e Confcooperative Verona. Questa realtà,
ancora sperimentale, si ispira all’impostazione culturale e lavoristica rappresentata dal c.d.
cooperativismo di piattaforma, in circolazione già da qualche tempo con l’idea di invertire la
logica finora dominante, a favore di un sistema in cui i lavoratori gestiscono l’applicazione e
non il contrario, in modo da garantire condizioni lavorative dignitose e contrastare le
disuguaglianze economiche. Al momento tutti i soci lavoratori sono titolari di un contratto di
lavoro subordinato con retribuzione oraria e tutti gli altri istituti ad esso ascrivibili; l’orario di
lavoro, che dovrà essere articolato in base ai momenti di maggiore intensità dell’attività
commerciale, sarà probabilmente il primo tema della contrattazione di secondo livello, che si
direbbe improntata ad un clima di forte collaborazione tra le parti.
Questa realtà, meritoria, costituisce un’eccezione, in un contesto in cui la difficile esigibilità
delle tutele che pure sono state previste dall’ordinamento, conduce al sopruso e allo
sfruttamento. Questo è quanto emerge dal decreto con cui il 20 maggio il Tribunale di Milano,
sezione misure di prevenzione, ha disposto l’amministrazione giudiziaria di Uber Italy, filiale
italiana di Uber, che eroga un servizio di food delivery tramite la app “uber eats”. L’ accusa è
quella di intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera, c.d. caporalato.
La decisione, recentissima, è la prima che ascrive una condotta penalmente rilevante alla
gestione dei lavoratori da parte delle piattaforme, e la piattaforma ha immediatamente negato
le accuse: la prima udienza è prevista per il 22 ottobre.

Dott.ssa Laura Angeletti – Dottoranda ADAPT/UniBg