CCNL Enti Locali: il nuovo inquadramento del personale

In data 4 agosto 2022 è stata sottoscritta la pre – intesa del nuovo contratto collettivo nazionale del Comparto Enti Locali.

Importanti sono le novità attinenti all’inquadramento che fanno seguito al decreto legge 9.6.2021 n.80 che introduce alcune importanti modifiche all’articolo 52 del DLGS 165/2001 che riguarda l’inquadramento del personale.

È quivi stabilito come i dipendenti pubblici, ad esclusione dei dirigenti e del personale della scuola, debba essere inquadrato in almeno 3 distinte aree funzionali con l’aggiunta, come vedremo, di una quarta area per le elevate professionalità.

È così abolito il tradizionale schema di inquadramento per categorie e, al posto delle precedenti categorie A, B, C, D, è stato introdotto un inquadramento per aree.

Il nuovo sistema di inquadramento parte dalla categoria degli operatori che svolgono attività di mero supporto sulla base di conoscenze generali.

Immediatamente sopra, troviamo l’area degli Operatori Esperti ex B con maggiori conoscenze professionali, ma operanti sempre in attività non discrezionali.

Nell’area Istruttori, troviamo gli appartenenti all’ex area C che svolgono quella che in precedenza era definita come attività di concetto e quindi dotati di competenze teoriche da applicarsi in attività di media complessità e discrezionalità.

All’apice dell’inquadramento, troviamo la quarta area dei Funzionari e delle Elevate professionalità. Trattasi di personale munito di laurea in grado di svolgere attività complesse per il raggiungimento di obiettivi.

Il passaggio verticale da un’area all’altra avviene per procedura valutativa.

Per i dipendenti della quarta area è prevista la possibilità di assegnazione di specifici incarichi a tempo determinato on corresponsione di una retribuzione di posizione e di risultato.

Come si potrà notare, nell’ambito di questo contratto non viene creata un’apposita quarta area delle Elevate Professionalità.

Nel caso del nuovo contratto collettivo degli enti locali, l’area funzionari comprende anche le elevate professionalità, in quanto questo contratto già prevedeva l’esistenza delle quattro aree così come previsto dal decreto legge 80/2021.

Fabio Petracci

Alte professionalità

Pubblico impiego: la nuova area EP, “elevate professionalità”.

La presente trattazione riguarda la materia dell’inquadramento nell’ambito del pubblico impiego, laddove con il decreto legge 9.6.2021 n.80 si è cercato di rivalutare le professionalità medio-alte, troppo spesso schiacciate tra il ruolo preminente della dirigenza e quello generale delle altre categorie non dirigenziali.

Si è voluto inoltre valorizzare in funzione della professionalità acquisita la dinamica di progressione tra le diverse aree.

Si procederà quindi in sintesi ad un sommario esame della normativa citata (sub.1) e quindi della sua trasposizione nel contratto collettivo di comparto delle funzioni centrali (sub.2) per poi esaminare le prime indicazioni operative fornite dall’ARAN e ricavate dal bollettino periodico emesso dall’agenzia (sub.3).

  1. Sul piano normativo

Il decreto legge 9.6.2021 n.80 introduce alcune importanti modifiche all’articolo 52 del d.lgs. n.165/2001, che riguarda l’inquadramento del personale.

È quivi stabilito come i dipendenti pubblici, ad esclusione dei dirigenti e del personale della scuola, debbano essere inquadrati in almeno 3 distinte aree funzionali con l’aggiunta, come vedremo, di una quarta area per le elevate professionalità.

La novità è data proprio dal fatto che la norma stessa delega la contrattazione collettiva ad individuare un’ulteriore aerea per inquadrarvi il personale ad elevata qualificazione.

Si passa a regolamentare le modalità di progressione all’interno di ciascuna area delegando anche qui la contrattazione collettiva nei limiti imposti dalle capacità culturali e professionali e dall’esperienza maturata, seguendo dei principi di selettività che tengano conto anche dell’attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l’attribuzione di fasce di merito.

La legge passa quindi a disciplinare il passaggio tra aree di inquadramento.

È stabilita in primo luogo una riserva nell’accesso a ciascuna area nella misura del 50% a favore dei candidati esterni.

Precisato un tanto, stabilisce la norma di legge come le progressioni tra aree per i candidati esterni avvengano tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva del dipendente nell’ultimo triennio di servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli e competenze professionali ovvero di titoli di studio ulteriori rispetto a quelli necessari per l’accesso all’area dall’esterno e sul numero e la tipologia degli incarichi rivestiti.

Quindi, al fine di evitare, come spesso accade, un generale trascinamento verso l’alto, la norma stabilisce come la contrattazione collettiva a venire per il periodo 2020 – 2021 potrà effettuare nuovi inquadramenti per il tramite di tabelle di corrispondenza, ad esclusione dell’area per le elevate professionalità.

  1. Il CCNL 9 maggio 2022 funzioni centrali

Il CCNL 2021/2022 del Comparto Funzioni Centrali accoglie e traduce le disposizioni di legge che abbiamo appena esaminato.

Esso stabilisce in primo luogo l’inquadramento in quattro aree professionali per il personale non dirigente.

La titolazione delle aree è mutata nelle seguenti:

  1. Area degli operatori;
  2. Area degli assistenti;
  3. Area dei funzionari;
  4. Area delle elevate professionalità.

All’interno di ciascuna area sono individuate delle progressioni economiche atte a remunerare economicamente il maggior grado di competenza professionale.

Dette progressioni sono individuate in apposita tabella allegata al CCNL.

Precisa il contratto come l’attribuzione di differenziali stipendiali non comporti l’attribuzione di mansioni superiori e come comunque la stessa debba avvenire mediante procedura selettiva in relazione alle risorse disponibili presso il Fondo Risorse Decentrate.

Sono inoltre stabiliti i requisiti di partecipazione alla procedura selettiva, riservata ai lavoratori che negli ultimi 3 anni non abbiano beneficiato di alcuna progressione economica, termine che in ogni caso può essere ridotto a 2 anni o aumentato a 4 anni.

Ulteriore requisito è dato dall’assenza negli ultimi 2 anni di provvedimenti disciplinari superiori alla multa o al rimprovero scritto per le fattispecie contemplate nel codice disciplinare.

Per quanto riguarda la terza area, quella dei funzionari, le amministrazioni in base ai propri ordinamenti possono conferire a questi ultimi incarichi a termine di natura organizzativa o professionale che pur rientrando nell’ambito di inquadramento, richiedano lo svolgimento di compiti di maggiore responsabilità.

Su tale base è previsto il conferimento di una apposita indennità di posizione organizzativa.

E’ previsto inoltre che gli incarichi saranno conferiti dai dirigenti con atto scritto e motivato per un periodo non superiore ai 3 anni tenendosi conto dei requisiti culturali e delle capacità professionali dei dipendenti e delle caratteristiche dell’incarico affidato.

Per gravi mancanze è pure previsto che gli incarichi possano essere revocati.

Incarichi di natura specificamente rilevante sono invece conferiti ai dipendenti appartenenti all’area EP – Elevate Professionalità.

In questo caso, come avviene già per i dirigenti, gli incarichi debbono essere necessariamente conferiti agli appartenenti a quest’area. Anche in questo caso, l’incarico presuppone una valutazione delle capacità e delle esperienze dei soggetti.

La durata minima di questi incarichi è di un anno, la massima di tre anni. In ogni caso, essi possono essere rinnovati.

Questi incarichi possono essere revocati a seguito di performance negativa, ma anche in caso di necessità organizzative. A fronte dell’incarico è prevista una retribuzione di posizione e di risultato.

Quindi la contrattazione affronta il delicato tema concernente le norme di prima applicazione ed in particolare l’attribuzione delle nuove qualifiche EP.

È così stabilito un periodo dilatorio di 5 mesi dall’entrata in vigore del nuovo contratto anche per definire l’inquadramento del personale secondo le nuove norme.

Nella norma transitoria sono contenute diverse disposizioni anche per quanto attiene la progressione tra aree e la futura definizione delle cosiddette “famiglie professionali” da ricavarsi all’interno di ciascuna area.

  1. I quesiti all’ARAN

Le novità introdotte hanno determinato il sorgere di numerosi quesiti cui l’ARAN ha dato recente risposta e che di seguito si riportano.

Si può lasciare una EP senza incarico?

No, il contratto non prevede tale eventualità. L’incarico è infatti un elemento sostanziale e qualificante dell’appartenenza all’Area EP, analogamente a quanto avviene per la dirigenza. Pur non essendovi un diritto a coprire un incarico specifico (o a mantenere nel tempo, anche oltre la sua scadenza, l’incarico affidato inizialmente), vi è tuttavia il diritto a coprire uno degli incarichi previsti

dall’amministrazione, per le sue esigenze organizzative e di ottimale funzionamento.

L’incarico affidato ad una EP può essere rinnovato alla scadenza?

Non vi è una preclusione del contratto ad attribuire nuovamente lo stesso incarico, una volta che lo stresso sia giunto a scadenza, previa positiva valutazione da parte dell’amministrazione con le procedure previste dal sistema di valutazione.

Progressioni verticali

Durante la prima applicazione del nuovo ordinamento professionale (dal 1° novembre 2022 fino al 31 dicembre 2024), con quale disciplina si effettueranno le progressioni verticali? Con quella di cui all’art. 17 o con quella di cui all’art. 18, commi 6, 7 e 8 del CCNL 9 maggio 2022? Oppure con entrambe?

In base all’art. 18, comma 6, in fase di prima applicazione del nuovo ordinamento professionale e comunque entro il termine del 31 dicembre 2024, la progressione tra le aree, ad esclusione di quella verso l’area EP, ha luogo con le procedure disciplinate dai commi 6, 7 e 8 dell’art. 18. Si ritiene che tale formulazione escluda la possibilità di far coesistere entrambe le procedure (procedura transitoria ex art. 18 e procedura a regime ex art. 17). Resta, in ogni caso, ferma la possibilità di effettuare progressioni verticali verso EP anche durante il periodo di prima applicazione, ma applicando le regole ordinarie (art. 17 CCNL 9 maggio 2022 e art. 52, comma 1-bis, d.lgs. n. 165/2001). Si ricorda, in proposito, che la previsione contrattuale di cui al citato art. 17 è meramente ricognitiva di quanto previsto dalla legge (art. 52, comma 1-bis, come modificato dall’art. 3, comma 1 del d.l. n. 80/2021), vista la preclusione in materia del CCNL.

Quali sono le differenze e gli elementi comuni tra procedura a regime e procedura transitoria per le progressioni verticali?

Differenze

La prima differenza concerne i requisiti: nella procedura transitoria, i requisiti sono quelli della tabella 3 allegata al CCNL (titolo di studio + esperienza), che dà la possibilità di candidarsi anche a coloro che hanno un titolo di studio immediatamente inferiore a quello richiesto per l’accesso dall’esterno, ma sono in possesso di un numero maggiore di anni di esperienza; nella procedura a regime, i requisiti sono quelli previsti dall’art. 52, comma 1-bis, del d.lgs. n. 165/2001.

La seconda differenza riguarda i criteri selettivi: nella procedura transitoria, i criteri sono quelli previsti dall’art. 18, comma 7 del CCNL 9 maggio 2022 (esperienza, titolo di studio e competenze professionali) e ciascuno di tali criteri deve pesare almeno il 25%; nella procedura a regime, i criteri sono quelli previsti dall’art. 17 del CCNL 9 maggio 2022 e dal nuovo art. 52, comma 1-bis del d. lgs.n. 165/2001 (valutazione positiva conseguita negli ultimi tre anni di servizio, titoli o competenze professionali, titoli di studio ulteriori rispetto a quelli richiesti per l’accesso dall’esterno, numero e tipologia degli incarichi rivestiti).

La terza differenza riguarda le relazioni sindacali: nella procedura transitoria, i criteri più specifici che declinano i criteri generali stabiliti dal contratto, nonché i pesi loro attribuiti, sono definiti dalle amministrazioni previo confronto con i sindacati; nella procedura a regime, non è previsto il previo confronto con i sindacati sui criteri.

La quarta differenza riguarda il finanziamento: le progressioni verticali effettuate con la procedura transitoria sono finanziate dalle risorse determinate ai sensi dell’art. 1 comma 612 della legge n. 234 del 30 dicembre 2021 (Legge di bilancio 2022) in misura non superiore allo 0,55% del monte salari dell’anno 2018 oltreché dalle facoltà assunzionali; quelle effettuate con la procedura a regime sono invece finanziate solo dalle facoltà assunzionali. Si ricorda che l’utilizzo delle facoltà assunzionali per le progressioni verticali, sia per le procedure a regime che per le procedure effettuate durante la fase transitoria, è possibile nella misura massima del 50% del fabbisogno. Le risorse di cui dell’art. 1 comma 612 della legge n. 234 del 30 dicembre 2021, in quanto risorse attribuite alla contrattazione collettiva il cui utilizzo è limitato alla sola fase transitoria di prima applicazione del nuovo sistema di classificazione ai sensi dell’art. 52, comma 1-bis, penultimo periodo, del d.lgs. n. 165/2001, possono invece essere destinate integralmente alle progressioni verticali.

Elementi comuni

In entrambi i casi:

 vi è una procedura che prevede: un bando, una istanza di ammissione alla procedura da parte del dipendente, un’ammissione alla procedura dopo la verifica dei requisiti, una fase istruttoria per l’attribuzione dei punteggi, un ordine di merito finale tra i candidati in base al quale sono individuati coloro che conseguono la progressione verticale;

 la progressione deve essere prevista nel piano dei fabbisogni (oggi confluito nel PIAO), con indicazione della famiglia professionale (e, ove possibile, delle posizioni di lavoro più specifiche nell’ambito della famiglia professionale) per la quale si manifesta il fabbisogno;

 occorre garantire che una percentuale almeno pari al 50% del personale reclutato con le ordinarie facoltà assunzionali sia destinata all’accesso dall’esterno, in base a quanto previsto dall’art. 52 comma 1-bis del d. lgs. n. 165/2001, in coerenza con i principi, anche di rango costituzionale, che regolano l’accesso alla PA.

Durante il periodo transitorio si possono effettuare progressioni verticali da funzionario ad EP?

Si, si possono effettuare, ma solo ricorrendo alla procedura ordinaria di cui all’art. 52 comma 1-bis del d. lgs. n. 165/2001 ed art. 17 del CCNL. Infatti, per le EP, la citata norma di legge non prevede una fase di prima applicazione del nuovo ordinamento professionale. Si ricorda altresì che le progressioni verso EP possono aver luogo solo dal 1° novembre 2022, data a partire dalla quale è applicabile il nuovo sistema di classificazione professionale, ivi compresa la nuova area EP.

 Come si valutano le competenze professionali in caso di progressione verticale effettuata durante il regime transitorio?

Per la valutazione delle competenze professionali in caso di progressione verticale effettuata durante il regime transitorio (dal 1° novembre 2022 al 31/12/2024) può essere preso in considerazione l’utilizzo, anche congiunto, di una delle seguenti tipologie di valutazione:

1) valutazione delle competenze espresse in ambito lavorativo basata sulle risultanze della valutazione di performance (anche su più anni);

2) valutazione effettuata attraverso metodi che facciano emergere le competenze, le capacità e lo stile comportamentale che le persone mettono in atto sul lavoro (ad esempio, tecniche di assessment).

3) valutazione dell’accrescimento delle competenze professionali effettuata al termine di percorsi formativi aperti a tutti i candidati alla progressione verticale;

4) valutazione riferita alle certificazioni di competenze possedute dagli interessati, rilasciate da soggetti esterni abilitati a certificare competenze (come avviene, ad esempio, per competenze informatiche o linguistiche).

Le procedure di progressione verticale sono uniche per area oppure vanno svolte procedure distinte per famiglie professionali o posizioni di lavoro?

Poiché le procedure di progressione verticale sono basate sull’accertamento del possesso delle competenze necessarie a svolgere attività di un’area superiore e poiché le competenze attese variano a seconda dei lavori, si è dell’avviso che la progressione verticale vada svolta almeno a livello di “famiglia professionale”.

Durante la prima applicazione del nuovo ordinamento professionale (dal 1° novembre 2022 fino al 31 dicembre 2024), con quale disciplina si effettueranno le progressioni verticali? Con quella di cui all’art. 17 o con quella di cui all’art. 18, commi 6, 7 e 8 del CCNL 9 maggio 2022? Oppure con entrambe?

In base all’art. 18, comma 6, in fase di prima applicazione del nuovo ordinamento professionale e comunque entro il termine del 31 dicembre 2024, la progressione tra le aree, ad esclusione di quella verso l’area EP, ha luogo con le procedure disciplinate dai commi 6, 7 e 8 dell’art. 18. Si ritiene che tale formulazione escluda la possibilità di far coesistere entrambe le procedure (procedura transitoria ex art. 18 e procedura a regime ex art. 17). Resta, in ogni caso, ferma la possibilità di effettuare progressioni verticali verso EP anche durante il periodo di prima applicazione, ma applicando le regole ordinarie (art. 17 CCNL 9 maggio 2022 e art. 52, comma 1-bis, d.lgs. n. 165/2001). Si ricorda, in proposito, che la previsione contrattuale di cui al citato art. 17 è meramente ricognitiva di quanto previsto dalla legge (art. 52, comma 1-bis, come modificato dall’art. 3, comma 1 del d.l. n. 80/2021), vista la preclusione in materia del CCNL.

Come si calcola il “consumo di facoltà assunzionali” per assumere dall’esterno personale di area EP?

Il consumo di facoltà assunzionali si calcola sulla base del valore retributivo deciso da ciascuna amministrazione all’interno del range di valori medi indicati dal comma 3 dell’art. 53 (50.000-70.000 euro annui lordi).

Il valore medio prescelto dall’amministrazione va indicato all’interno del piano dei fabbisogni (oggi confluito nel PIAO).

Se l’amministrazione decide un valore retributivo medio di 60.000 euro e l’assunzione di 5 EP il consumo di facoltà assunzionali sarà pari a 300.000 euro, cui deve aggiungere gli oneri riflessi a carico dell’amministrazione.

Qual è il consumo di facoltà assunzionali nel caso di progressione verticale dall’area dei Funzionari?

In tal caso, il consumo di facoltà assunzionali è dato dalla differenza tra valore retributivo medio di riferimento dell’EP (più oneri riflessi) deciso dall’amministrazione e retribuzione annua lorda (più oneri riflessi) del funzionario.

Nella retribuzione annua lorda del funzionario vanno incluse le seguenti voci: stipendio tabellare, tredicesima mensilità, eventuali IVC ed assegni ad personam.

Per finanziare l’assunzione di EP si possono utilizzare facoltà assunzionali derivanti dalla cessazione di dirigenti?

Si possono utilizzare facoltà assunzionali derivanti dalla cessazione di tutte le qualifiche e, quindi, anche dalla cessazione di dirigenti. In tal caso, la rimodulazione delle dotazioni organiche,conseguente alla previsione di nuovi posti di EP, potrà essere effettuata anche sopprimendo, in tutto o in parte, i posti dirigenziali che si sono resi vacanti a seguito delle cessazioni.

Una volta che l’amministrazione ha determinato il suo Budget per la retribuzione di posizione e di risultato delle EP (BudgetPOS_RIS(EP)) come si determina in concreto la retribuzione di posizione e di risultato di una EP? C’è un tetto massimo alla sua retribuzione?

Il contratto collettivo nazionale ha stabilito che il Budget sia ripartito in distinte quote:

– la quota destinata alle retribuzioni di posizione;

– la quota destinata alle retribuzioni di risultato;

– la quota destinata agli altri utilizzi consentiti (welfare aziendale e mobilità territoriale).

Come stabilito dall’art. 53 comma 5, la quota destinata alle retribuzioni di risultato deve essere almeno pari al 15% delle risorse complessivamente destinate a retribuzione di posizione e a retribuzione di risultato, cioè del BudgetPOS_RIS(EP). La percentuale in concreto destinata è definita in contrattazione integrativa (art. 7, comma 6, lett. ab), ma non può scendere al di sotto di tale valore minimo. Supponiamo che la contrattazione integrativa abbia deciso un valore del 20%: in tal caso, il restante 80% del BudgetPOS_ è destinato a retribuzione di posizione (e, eventualmente, in quota parte agli altri utilizzi consentiti, p.es. welfare aziendale o incentivi alla mobilità territoriale).

La quota destinata a retribuzione di posizione è attribuita a ciascun incarico (e, conseguentemente, ai singoli che lo coprono) in base alla rilevanza delle responsabilità assunte e di altri fattori di complessità organizzativa e/o professionale relativi all’incarico stesso (art. 16, comma 6), all’interno di un range di valori che va da un minimo di 11.000 euro annui lordi ad un massimo di 29.000 euro annui lordi (tali valori sono comprensivi di tredicesima).

La quota destinata a retribuzione di risultato è invece attribuita ai singoli in funzione del livello di valutazione di performance individuale conseguito nell’espletamento dell’incarico (art. 16, comma 8) – ovviamente, a condizione che tale valutazione sia risultata positiva – sulla base di più specifici criteri definiti in contrattazione integrativa (art. 7, comma 6, lett. ab). La retribuzione di risultato può differenziarsi esclusivamente in base ai livelli di performance conseguiti.

Il contratto non ha fissato un valore massimo di retribuzione complessiva dell’EP, ma ha posto dei vincoli che si pongono come oggettivi limiti indiretti al superamento di determinate soglie retributive.

Oltre al valore tabellare di 35.000 euro annui lordi per tredici mensilità, ha stabilito un tetto massimo per la retribuzione di posizione di 29.000 euro. Nel caso in cui sia attribuito il valore massimo di posizione (in presenza di un’oggettiva rilevanza organizzativa dell’incarico assunto) si arriva ad unvalore di 64.000 euro, cui si aggiunge la retribuzione di risultato. I valori di quest’ultima si determinano in funzione della quota complessivamente destinata a retribuzione di risultato (non meno del 15% delle complessive risorse del BudgetPOS_RIS(EP)) e dei livelli di performance individuali conseguiti.

In base a quali criteri o considerazioni viene deciso il valore retributivo medio di riferimentodi una EP?

La decisione del valore medio di riferimento retributivo di una EP è una scelta di politica retributiva dell’amministrazione che va assunta tenendo conto di alcune esigenze:

essere “attrattivi” rispetto al mercato del lavoro;

trovare una soluzione di equilibrio tra vincoli di risorse, dati dalle facoltà assunzionali, e numerosità delle assunzioni programmate (se si sceglie un valore più alto si abbassa il numero delle assunzioni).

Va ricordato che il valore di riferimento retributivo di una EP è un “valore medio”. Nella scelta di tale valore medio l’amministrazione potrebbe anche basarsi su una ragionevole previsione del valore economico di posizione (retribuzione di posizione) che prevede di assegnare alle posizioni di responsabilità che saranno occupate dalle EP. Il valore medio di tali retribuzioni di posizione a cui saranno aggiunti un valore medio di retribuzione di risultato, un valore medio per gli altri eventuali benefici (esempio welfare aziendale) e i 35.000 di stipendio tabellare, potrebbe essere un possibile metodo da utilizzare per definire tale valore retributivo medio di riferimento.

In caso di cessazione di una EP l’amministrazione deve ridurre il suo Budget?

Si, in caso di cessazione l’amministrazione deve ridurre il suo Budget con decorrenza dalla

cessazione. Ciò anche in caso di cessazione per mobilità (indipendentemente dal fatto che la mobilità abbia luogo tra amministrazioni soggette o non soggette a vincoli assunzionali).

I risparmi derivanti dalla cessazione di una EP sono utilizzabili per nuove assunzioni?

In base alle regole generali che disciplinano assunzioni, le cessazioni di personale a tempo indeterminato, ivi comprese quelle delle EP, fanno aumentare le facoltà assunzionali a partiredall’anno successivo alla cessazione. Le nuove facoltà assunzionali possono essere utilizzate, in base ai fabbisogni, per assumere altre EP oppure personale di altre qualifiche.

È importante mantenere distinti i concetti di BudgetPOS_RIS(EP) e di facoltà assunzionali:

il BudgetPOS_) rappresenta il limite di spesa disponibile per erogare la retribuzione di posizione e di risultato del personale EP (e gli altri utilizzi consentiti, welfare aziendale e incentivi alla mobilità territoriale); in caso di cessazione (anche per mobilità) il Budget si riduce subito, con decorrenza dal momento in cui avviene la cessazione; in caso di reclutamento (per assunzione o per mobilità) il BudgetPOS_aumenta subito, con decorrenza dal momento in cui avviene il reclutamento;

le facoltà assunzionali rappresentano invece il limite di spesa per nuove assunzioni: in caso di cessazione di personale a tempo indeterminato le facoltà assunzionali aumentano dall’anno successivo; ma l’aumento di facoltà assunzionali, pur costituendo il presupposto per nuove assunzioni, non fa aumentare il Budget fintantoché la persona non viene effettivamente assunta.

Si consumano facoltà assunzionali in caso di mobilità volontaria di una EP tra amministrazioni entrambe soggette alla regola del turn over?

Il consumo di facoltà assunzionali in caso di mobilità tra amministrazioni nel caso di una EP segue le regole generali stabilite nel caso di turn over (cfr. l’art. 14, co. 7 del D.L. n. 95/2012). Quindi, se entrambe le amministrazioni sono soggette a vincoli assunzionali, la mobilità è neutra e non determina consumo di facoltà assunzionali per l’amministrazione ricevente né risparmi da cessazione per quella cedente. L’amministrazione cedente dovrà però diminuire il suo Budget in base al suo valore retributivo medio di riferimento delle EP, mentre l’amministrazione ricevente dovrà aumentarlo. L’aumento di Budget dell’amministrazione ricevente sarà calcolato in base al proprio valore retributivo medio di riferimento (RetEP): più precisamente, l’aumento sarà pari alla differenza tra il suddetto valore ed il tabellare di EP.

L’amministrazione può variare nel tempo (ad esempio, da un piano dei fabbisogni a quello successivo) il valore di riferimento retributivo dell’EP?

Può variarlo, in aumento o in diminuzione, ma sempre nell’ambito del range fissato dal contratto (compreso tra 50.000 e 70.000 euro annui lordi). In tal caso, l’aumento del Budget a decorrere dal momento in cui l’assunzione programmata si è effettivamente verificata, è effettuato sulla base del nuovo valore medio adottato dall’amministrazione applicato al numero delle assunzioni verificatesi.

L’assunzione di EP (anche mediante progressioni verticali) deve essere decisa nell’ambito del piano dei fabbisogni, ora confluito nel PIAO? Quali sono i fabbisogni che possono spingere un’amministrazione ad assumere delle EP?

L’assunzione delle EP (ivi comprese le progressioni verticali), come avviene per tutte le assunzioni, è decisa nell’ambito del piano dei fabbisogni (ora confluito nel PIAO).

Il fabbisogno di EP discende dalla necessità di coprire, mediante il conferimento di incarichi, posizioni ad elevata responsabilità. Le responsabilità connesse agli incarichi possono avere prevalente contenuto gestionale ovvero, nel caso in cui sia richiesta l’iscrizione ad albi professionali, prevalente contenuto professionale. In ogni caso, esse richiedono elevata autonomia decisionale, con assunzione diretta di decisioni ed atti, anche su delega formale del dirigente. Le posizioni di responsabilità vanno preventivamente individuate dalle amministrazioni, in base alle proprie esigenze organizzative.

Vi è dunque un legame stretto tra fabbisogno di EP e scelte organizzative. Un ottimale inserimento di questa nuova figura richiede che le amministrazioni definiscano preventivamente le posizioni di responsabilità, i processi di lavoro di cui è affidata la responsabilità, gli spazi di autonomia decisionale, le relazioni organizzative interne (con il dirigente e con i collaboratori) e, eventualmente, le relazioni esterne con altri soggetti. Si ritiene che tale quadro organizzativo possa essere definito anche con atti di micro-organizzazione. Naturalmente, è possibile anche ipotizzare revisioni

organizzative di maggiore impatto che incidano sugli assetti organizzativi macro: ad esempio, nei casi in cui le amministrazioni decidano di sopprimere, in tutto o in parte, i posti dirigenziali che si sono resi vacanti a seguito delle cessazioni che hanno finanziato le facoltà assunzionali utilizzate per assumere le EP.

Una volta che il piano triennale nell’ambito del PIAO ha previsto un fabbisogno di personale EP, bisogna anche modificare le dotazioni organiche, se non vi sono posti di EP in organico? Come si effettua, in tal caso, la modifica delle dotazioni organiche?

In base all’art. 6, comma 3 del d. lgs. n. 165/2001, in sede di definizione del piano dei fabbisogni di personale (ora confluito nel PIAO), ciascuna amministrazione indica la consistenza della dotazione organica e la sua eventuale rimodulazione in base ai fabbisogni programmati. Da tale disposizione si evince che la rimodulazione degli organici è effettuata all’interno del piano dei fabbisogni.

La suddetta rimodulazione deve avvenire, però, senza alterare le quantità finanziarie complessive (la disposizione di legge pone, infatti, un vincolo di “neutralità finanziaria”) e con il limite di non poter istituire nuove posizioni dirigenziali. Il che significa che il costo della dotazione organica rimodulata non può essere superiore al costo della dotazione organica ante rimodulazione.

In conclusione, è stata creata una nuova area a cavallo tra quella dei funzionari e la categoria dei dirigenti, che agevolmente potrebbe sostituire questi ultimi.

A livello di incentivazione alla performance, è stato introdotto l’istituto dell’incarico sia per i funzionari (eventuale) che per le elevate professionalità (necessario).

Trova così modifica e regolamentazione legale l’istituto delle posizioni organizzative.

Per le restanti aree l’incentivazione è data dalle progressioni verticali che trovano disciplina legale e contrattuale.

Tutte le progressioni sono disciplinate da procedure meritocratiche.

Fabio Petracci

AGI e CIU

Nuova sede regionale FVG di CIU UNIONQUADRI

In questi giorni CIU UNIONQUADRI Nazionale e CIU UNIONQUADRI FVG hanno completato di attrezzare la nuova sede regionale per il Friuli Venezia Giulia sita in Trieste, nella centrale via Coroneo al n.5 all’interno della galleria pedonale.

La sede a breve stabilirà un orario di apertura anche al fine di fornire aiuto e consulenza ai quadri del pubblico e del privato ed ai lavoratori apicali in genere.

Presso l’ufficio avrà pure sede il Centro Studi di Unionquadri – Corrado Rossitto.

Il caporalato: una piaga (ancora) attuale

  1. La titolarità del rapporto di lavoro e il divieto di mercificazione della forza lavoro

La gran parte delle norme in tema di lavoro sono norme di protezione o quantomeno di responsabilizzazione del datore di lavoro.

Per questi motivi, la legge ha voluto sempre individuare la figura del datore di lavoro ed evitare che altre figure interferissero o si sovrapponessero nel rapporto contrattuale tra lavoratore e datore di lavoro.

Contestualmente ed in questa funzione protettiva si volle mantenere il collocamento dei lavoratori rigorosamente in mano pubblica.

Si voleva così evitare lo sfruttamento della manodopera che all’epoca avveniva tramite i cosiddetti caporali che reclutavano il personale e ne provvedevano alla retribuzione detraendo il proprio compenso.

Nel 1960, era emanata la legge 1369 che vietava la cosiddetta interposizione di manodopera.

La legge proibiva in maniera netta ogni forma di appalto e subappalto dove i mezzi di produzione appartenessero sotto qualunque forma all’appaltante e dove comunque fosse appaltata a terzi esclusivamente la mera prestazione di lavoro (articolo 1 legge 1369/60).

La stessa legge poneva il divieto anche a carico degli enti pubblici.

Nel caso di violazione, era prevista la sanzione di natura civilistica costituita dalla costituzione di un rapporto di lavoro a termine con i lavoratori interposti, oltre ad una ammenda.

Normalmente vi si aggiungevano le sanzioni penali per la violazione delle norme sul collocamento.

La norma quindi, all’articolo 3, nel caso di appalti leciti, sanciva il diritto al pari trattamento retributivo per i dipendenti dall’appaltatore rispetto a quanto spettante a quelli dell’appaltante.

Il successivo articolo 4 stabiliva la responsabilità solidale di appaltante ed appaltatore per la corresponsione delle retribuzioni.

Il successivo articolo 5 stabiliva invece delle deroghe al pari trattamento economico per alcuni settori produttivi dove il ricorso all’appalto era se non necessario, almeno frequente.

Nel tempo, l’economia si evolve e con essa contestualmente i rapporti di lavoro.

Principalmente si frantumava la rigidità dell’organizzazione aziendale e quindi, anche per ragioni di affrontare la concorrenza, molte lavorazioni erano esternalizzate, senza tener conto anche del fatto che in molti paesi occidentali, le agenzie interinali potevano fornire la manodopera con adeguate garanzie. Inoltre l’Italia era inserita nella Comunità Europea e come tale doveva favorire la libera concorrenza sul mercato.

La Corte di Giustizia Europea con un importante sentenza del 1997 (Cfr. Corte di Giustizia, Sez. VI, sent. 11 dicembre 1997, causa C-55/96 (par. 21) condannava l’Italia per violazione della normativa europea in tema di concorrenza, in quanto, il nostro paese aveva vietato ai privati il collocamento e l’intermediazione nel lavoro, ponendo così i pubblici uffici di collocamento in una posizione dominante che violava la normativa europea sulla concorrenza, (articolo 102 TFUE).

In poche parole, un imprenditore comunitario non poteva venire in Italia ed esercitarvi il collocamento e l’intermediazione nei rapporti di lavoro.

Era quindi emanato il cosiddetto Pacchetto Treu (legge 24 giugno 1997, n. 196 recante “Norme in materia di promozione dell’occupazione”) e quindi la legge Biagi DLGS 276/2003 che innovarono la materia.

A questo punto, la somministrazione di personale diveniva legittima purché esercitata da agenzie autorizzate e lo stesso avveniva per la selezione ed il collocamento riservati pure a soggetti qualificati e muniti di adeguati requisiti.

Al di fuori di queste ipotesi, continua a sussistere l’illecito penale basato sulle ipotesi dell’interposizione irregolare e dell’interposizione fraudolenta.

L’articolo 18 del DLGS 81/2015 disciplina e punisce la somministrazione irregolare, e stabilisce come l’esercizio non autorizzato e come tale intendendosi la somministrazione di personale da chi non sia autorizzato a ciò dia luogo a diverse e graduate sanzioni penali.

Più grave appare la somministrazione di personale fraudolente ravvisata dall’articolo 38 bis DLGS 81/2015 laddove la somministrazione irregolare è posta in essere con lo specifico fine di eludere norme inderogabili di legge e di contratto collettivo. In tal caso scatta l’ammenda pari a 20 euro a giornata per ciascun lavoratore oltre alle sanzioni previste dall’articolo 18 DLGS 276/2003 per la somministrazione irregolare.

Questo il quadro a rilevanza civile e penale stabilito dal diritto del lavoro.

  1. Gli interventi nel campo penale

Viene quindi introdotto con il DL 13 agosto 2011 n.138 recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo meglio noto come Manovra – bis , la nuova fattispecie delittuosa di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, destinata a colpire con maggior rigore il fenomeno del cosiddetto caporalato.

Esisteva presso il parlamento il disegno di legge n.2584 che aveva ad oggetto alcune misure volte a reprimere l’intermediazione illecita di manodopera.

Leggendone la relazione notiamo come fondamentalmente esso sia volto ad agire nell’ambito dell’emergenza migrazione e criminalità organizzata e volto a reprimere non tanto storture di natura contrattuale, quanto piuttosto condotte criminose che sullo sfondo avevano lo sfruttamento del lavoro altrui.

Il progetto di legge era composto da sette articoli di cui la gran parte dedicati al tema delle condizioni dei migranti ed all’integrazione degli stessi.

Solo l’articolo 4 era dedicato alla somministrazione illecita di manodopera ed allo sfruttamento dei lavoratori.

Il legislatore italiano riconosceva l’esistenza di una lacuna nella repressione penale dei fenomeni di distorsione nel mercato del lavoro.

Era così introdotta la nuova fattispecie penale dell’articolo 603 bis del codice penale.

Si pensava così di creare una norma incriminatrice in grado di intercettare quelle condotte negative più gravi della semplice violazione del DLGS 276/2003 cui abbiamo fatto cenno e meno gravi rispetto alla fattispecie di cui all’articolo 600 c.p. (riduzione in schiavitù).

La legge entrava in vigore nell’agosto 2011 e trovava collocazione nel codice nell’ambito dei delitti contro la personalità individuale.

Si voleva così sottolineare un disvalore che eccede la semplice condizione di liceità nell’interposizione e nella somministrazione di manodopera (articolo 18 DLGS 276/2003). E che forse non tiene in adeguato conto l’esistenza della più grave fattispecie della somministrazione di personale fraudolenta ravvisata dall’articolo 38 bis DLGS 81/2015.

Il testo di questo primo intervento legislativo era quindi il seguente: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque svolga un’attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l’attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori, è punito con la reclusione da cinque a otto anni e con la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.

Ai fini del primo comma, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti circostanze:

1) la sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;

2) la sistematica violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;

3) la sussistenza di violazioni della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l’incolumità personale;

4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza, o a situazioni alloggiative particolarmente degradanti.

Costituiscono aggravante specifica e comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà:

1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;

2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;

3) l’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori intermediati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro».

Nel vecchio testo risalente al 2011 affinché sussistesse il reato di cui all’articolo 603 c.p., doveva sussistere una forma di sfruttamento realizzata mediante violenza, minaccia o intimidazione.

In diverse occasioni anche di reale sfruttamento, il reato non venne riconosciuto nelle sedi giudiziarie proprio a causa di tali ridondanti requisiti.

  1. La riforma – il nuovo articolo 603 bis c.p.

Invece, con il nuovo articolo 603 bis comma 1 si prevede il solo sfruttamento senza violenza e minaccia con pena minore.

In ogni caso, le fattispecie di reato sono applicabili solo dove il fatto non costituisca altro più grave reato.

La fattispecie di reato inoltre va oltre alla figura dei caporali come coloro che reclutano il personale in condizioni di sfruttamento, ma estende la sanzione anche a chi “utilizza, assume, o impiega manodopera” sfruttata anche senza l’intermediazione del cosiddetto “caporale”.

Dunque, è prevista l’incriminazione anche per l’utilizzatore e risultano importanti gli indici di sfruttamento.

In continuità con la precedente fattispecie penale, sono previsti degli indici specifici che fanno presumere lo sfruttamento.

Tali indici debbono essere reiterati e quindi ripetuti nel tempo, senza che serva più il requisito della sistematicità nozione che comportava una certa difficoltà interpretativa.

Valgono come indici di sfruttamento da intendersi verificati in maniera reiterata: retribuzioni palesemente difformi dai contratti, violazione orario di lavoro e riposi, violazione di norme sulla sicurezza e sull’igiene, condizioni di lavoro e di alloggio degradanti.

Non si parla più di sfruttamento dello stato di necessità, ma esclusivamente di sfruttamento dello stato di bisogno.

Per entrambi i reati, non è più necessario che siano compiuti per il tramite di una struttura organizzativa.

È introdotta la confisca obbligatoria per i proventi da reato. È possibile l’arresto in flagranza.

Alle vittime del caporalato, sono estesi i benefici previsti per le vittime della tratta.

La nuova legge prevede inoltre anche delle circostanze attenuanti per coloro che collaborano con la giustizia.

Così impostata e migliorata la norma appare come un adattamento del diritto a nuove condizioni di sfruttamento.

Di seguito, il testo attuale dell’articolo 603 bis c.p., “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque:

1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;

2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.

Se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato 3.

Ai fini del presente articolo, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti condizioni:

1) la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;

2) la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;

3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;

4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.

Costituiscono aggravante specifica e comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà:

1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;

2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;

3) l’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.

In realtà, la norma non solo è maggiormente approfondita, ma si pone come un limite estremo alla libertà di impresa non tanto nell’interesse del lavoratore, quanto piuttosto nell’interesse generale dell’essere umano.

Pertanto, la fattispecie penale di cui all’articolo 603 bis CP è stata collocata nell’ambito dei reati contro la personalità individuale assieme ai reati di tratta di esseri umani, riduzione e mantenimento in schiavitù.

La materia del sinallagma contrattuale trova già nell’ambito del diritto del lavoro numerose limitazione e norme inderogabili del diritto civile ed amministrativo, atte a tutelare la parte economicamente più debole.

Nel caso di specie l’equilibrio contrattuale è addirittura idoneo a ledere diritti fondamentali dell’individuo in quanto tale in quanto, la libertà di iniziativa economica sconfina nel campo del crimine.

Notiamo un certo parallelismo con il reato d’usura dove il componimento bilaterale di interessi divergenti viene a sconfinare dinnanzi allo stato di bisogno altrui, nel crimine.

  1. Risposte a quesiti specifici

La pratica del caporalato è posta in essere solo da associazioni di stampo mafioso? Quali sono i vantaggi economici che un’impresa ricava dallo sfruttamento illecito di manodopera?

Si tratta di un reato che può essere compiuto da chiunque, tanto che il nuovo testo dell’articolo 603 bis non prevede più il requisito dell’associazione. I vantaggi economici possono essere molteplici come il bassissimo costo della manodopera, bassissimo assenteismo, scoperture contributive. Alla fine ci rimettono i concorrenti onesti oltre che i lavoratori.

In Friuli-Venezia Giulia si ha evidenza che siano radicate delle “agromafie” o associazioni di stampo mafioso che compiono sfruttamento illecito di manodopera?

Situazioni irregolari sono state segnalate nel Friuli nel campo della viticoltura.

Molto spesso il reclutamento dei lavoratori avviene ad opera di ditte che hanno un contratto di appalto con l’impresa datrice di lavoro, la quale solitamente si dichiara estranea ai fatti: come si può capire se l’impresa datrice di lavoro è a conoscenza oppure no dei fatti di reato?

La conoscenza ha scarsa importanza, chi appalta i lavori, anche in caso di appalto lecito è solidalmente responsabile della retribuzione e della sicurezza dei dipendenti dall’appaltatore.

Secondo lei, la scelta del legislatore di dedicare una specifica fattispecie del codice penale al caporalato è stata opportuna?

Direi di no, esistono specifiche norme anche di natura penalistica che nell’ambito della normativa del lavoro sanzionano gli appalti e le somministrazioni irregolari, sarebbe stato utile potenziare questa normativa, così si rischia la creazione di troppe fattispecie concorrenti.

Perché il legislatore ha deciso di modificare il testo dell’art. 603-bis c.p.? Quali erano i problemi di applicazione della fattispecie nella versione del 2011 (L. 148/2011)?

La versione del 2011 era quasi inapplicabile, si richiedeva il ricorrere di violenza e minaccia. Spesso questi elementi non sono necessari per chi versa in uno stato di gravissimo bisogno.

In secondo luogo, gli indici di sfruttamento richiedevano il ricorrere sistematico di questi ultimi, ora basta il ripetersi di essi.

La nuova normativa punisce ora anche l’utilizzatore e non si limite alla figura del caporale intermediario, ma di chiunque crei la situazione di sfruttamento.

In questo contesto che ruolo giocano i sindacati?

Dove opera il caporalato, il sindacato non ha alcuna veste o riconoscimento, può operare a livello di denunce, in diversi posti lo sta facendo.

Fabio Petracci

Quando il giornalista può considerarsi lavoratore dipendente?

La prestazione di lavoro del giornalista presenta delle peculiarità che non sempre permettono di definirne la natura subordinata sulla base dell’ordinario criterio dell’eterodirezione.

Quindi la giurisprudenza valorizza anche gli indici complementari come lo stabile inserimento della prestazione resa dal giornalista nell’organizzazione aziendale, la soddisfazione di un’esigenza informativa del giornale attraverso la sistematica compilazione di articoli su specifici argomenti o di rubriche, la continuità della prestazione giornalistica resa, la disponibilità del lavoratore alle esigenze ed alle richieste del datore di lavoro nell’intervallo tra una prestazione e l’altra.

Questi criteri sono stati fatti propri anche dalla Corte di Cassazione, con la sentenza 07/09/2021, n. 24078.

La sintesi della sentenza è la seguente.

Stante la creatività, la particolare autonomia, il carattere prettamente intellettuale che contraddistinguono la prestazione giornalistica, la valutazione circa l’esistenza di un vincolo di subordinazione deve essere condotta mediante modalità e criteri non del tutto corrispondenti a quelli adottati in relazione alle altre attività lavorative, rivelandosi opportuna la considerazione di indici complementari e sussidiari rispetto all’eterodirezione.

In particolare, ai fini dell’accertamento di tale vincolo, non può essere attribuita eccessiva rilevanza alla circostanza che il giornalista non sia tenuto al rispetto di un orario di lavoro fisso o alla permanenza sul luogo di lavoro, ma al contrario, debbano essere presi in considerazione altri e più appropriati elementi quali: lo stabile inserimento della prestazione resa dal giornalista nell’organizzazione aziendale, la soddisfazione di un’esigenza informativa del giornale attraverso la sistematica compilazione di articoli su specifici argomenti o di rubriche, la continuità della prestazione giornalistica resa, la disponibilità del lavoratore alle esigenze ed alle richieste del datore di lavoro nell’intervallo tra una prestazione e l’altra.

Più di recente, la Suprema Corte (Ordinanza, 29/09/2022, n. 28349) di cui si trascrive la massima ha confermato l’indirizzo: “In tema di lavoro giornalistico, deve riconoscersi natura subordinata del rapporto di lavoro del collaboratore fisso, a condizione che – pur in assenza della quotidianità, dell’obbligo di presenza giornaliera, dell’osservanza di un orario di lavoro – sussistano i requisiti previsti dalla contrattazione collettiva di categoria e consistenti nella continuità della prestazione, intesa come svolgimento di un’attività non occasionale, rivolta ad assicurare le esigenze formative ed informative di uno specifico settore, nella responsabilità di un servizio, che implica la sistematica redazione di articoli su specifici argomenti o rubriche; nel vincolo di dipendenza, per effetto del quale l’impegno del collaboratore di porre la propria opera a disposizione del datore di lavoro permane anche negli intervalli fra una prestazione e l’altra”.

Fabio Petracci

Infortuni sul lavoro, responsabilità del RSPP e d.lgs. n. 231/2001

A seguito di un infortunio sul lavoro dovuto all’utilizzo di una macchina da taglio, emergeva la pericolosità della macchina stessa per l’incolumità dei lavoratori in quanto priva di dispositivi meccanici o elettronici che impedissero alle mani dei lavoratori l’accesso alle parti taglienti in movimento dell’apparato.

Ancora, risultava che la dipendente infortunata fosse priva di formazione nell’uso del macchinario.

Con specifico riferimento alle responsabilità, la sentenza n. 34943/2022 della Suprema Corte sezione penale ha ritenuto che il giudizio di colpevolezza espresso dalla Corte d’Appello fosse conseguenza di una errata interpretazione dell’art. 5, comma 1, lett. a, del D.Lgs. 231/2001, in quanto era stata non correttamente operata una sorta di equiparazione tra il potere di compiere scelte decisionali in piena autonomia in materia di sicurezza (riconosciuto al RSPP) ed il riconoscimento di una veste apicale, secondo la previsione dell’art. 5, lett. a, D.Lgs. 231/2001.

In effetti, il sistema normativo della responsabilità dell’ente ex d.lgs. n. 231/2001 è fondato sul principio di legalità, il quale impone una puntale e attenta verifica dei tratti della fattispecie produttiva di responsabilità che emerge nella relazione tra autore del reato ed ente a cui viene imputato il fatto illecito commesso.

Dunque, non può costituire elemento sintomatico della costituzione di una posizione verticistica lo strumento delineato dall’art. 16 d.lgs. n. 81/2008, che attiene al diverso ambito della delega di funzioni nel settore della prevenzione dei rischi in ambito lavorativo e che non determina il trasferimento della funzione datoriale, nella sua accezione gestionale e di indirizzo, nè di regola, la costituzione di una posizione verticistica, ma risulta strutturato per sollevare il datore di lavoro da singoli incombenti in materia di sicurezza nel limitato ambito delle funzioni trasferite.

Di conseguenza, ai fini della individuazione delle persone dotate di funzioni di rappresentanza, di gestione e di direzione dell’ente e di una unità organizzativa provvista di autonomia finanziaria, non può prescindersi dai criteri identificativi fissati dagli istituti dell’ordinamento giuridico generale e non quelli di un particolare settore come quello lavoristico, ivi compresi gli strumenti deputati alla costituzione ovvero al trasferimento di funzioni da soggetti verticistici, quali la procura.

Pertanto, la nomina e l’attribuzione di specifici poteri al del RSPP non esonera automaticamente il datore di lavoro ed i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.