La CIU alla Consulta per il disegno legge sulla tutela degli autonomi e dei professionisti

La CIU presente con l’avv. Laura Aramini ai lavori al CNEL per la bozza di disegno di legge sulla regolamentazione delle professioni ha espresso le proprie posizioni e tracciato le linee per una bozza di disegno di legge. Leggi l’articolo testata giornalistica telematica TG24 sull’argomento.

CIU – UNIONQUADRI e la riduzione dell’orario di lavoro.

Si torna a parlare nuovamente di riduzione dell’orario di lavoro dopo le dichiarazioni rese dal Premier finlandese Sanna Marin che ha proposto nel proprio paese la riduzione dell’orario di lavoro da 6 a 4 ore quotidiane.

La proposta ha trovato eco anche nel nostro paese anche ad opera del presidente dell’INPS Pasquale Tridico e di altri studiosi della materia.
La riduzione, secondo i sostenitori della stessa andrebbe compensata con una riduzione del prelievo fiscale per cui essa avverrebbe a parità di retribuzione. Non va dimenticato che in Italia, nonostante l’alto numero di ore lavorate, non si registra un aumento del PIL o della produttività.
CIU Unionquadri non avanza pregiudizio alcuno verso una simile proposta, ma fa notare le diversità esistenti nel mondo del lavoro che non sempre suggeriscono soluzioni univoche.

Come sindacato delle professionalità medio – alte, CIU UNIONQUADRI nota come il lavoro umano non presenti sempre le stesse caratteristiche.
Infatti, di fronte a professioni e prestazioni che ben possono concentrarsi in un minor impegno orario, ve ne sono altre che involgono attività di studio, di relazioni umane, di ricerca, la cui durata è difficilmente programmabile e contenibile in limiti rigidi. E’ questo il caso di molti lavoratori appartenenti alla categoria dei quadri e dei professionisti dipendenti.

In questo caso, non tanto una rigida riduzione dell’orario, quanto piuttosto la tendenziale liberazione del lavoratore dal vincolo di orario nel rispetto di obiettivi potrebbe rappresentare la giusta soluzione.

Si chiede pertanto una totale revisione dell’impegno orario che tenga conto delle diverse caratteristiche di ogni prestazione.

In presenza di una normativa che stabilisce come le disposizioni ed i limiti in materia di orario di lavoro non trovano applicazione nei confronti dei dirigenti e del personale direttivo, si chiede che essa sia ristretta ai soli dirigenti ed ai quadri ed applicata coerentemente, consentendo a queste categorie ed in particolare ai quadri una reale flessibilità di orario di lavoro, correlando la prestazione agli obiettivi da raggiungere prima che alle ore lavorate ed a criteri di reale premialità.
Interessante e da concordare con le organizzazioni dei quadri, l’istituto dello smart working o lavoro agile che consentirebbe a diverse professionalità anche emergenti di organizzare almeno in parte la propria prestazione coerentemente alle caratteristiche della stessa ed agli obiettivi da raggiungere.

Orario di lavoro come in Finlandia?

Riduzione dell’orario di lavoro e Lavoro agile due facce della stessa medaglia.

Si torna a parlare di riduzione dell’orario di lavoro quale antidoto alla disoccupazione spesso indotta anche dall’utilizzo di strumenti tecnologici in grado di rendere superfluo l’intervento umano.

La questione già da qualche anno era affiorata nel panorama politico nazionale.

Sul punto è intervenuto l’approfondimento ed il parere favorevole del giuslavorista professor Piergiovanni Alleva, nonché del neo presidente dell’INPS Pasquale Tridico. E’ stato inoltre presentato un progetto di legge in parlamento nel 2017.

Si ipotizza in proposito una riduzione di orario a parità di retribuzione compensata da uno sgravio IRPEF per i lavoratori che l’accettano.

In questo modo, si renderebbero possibili della nuove assunzioni.

Non va dimenticato che in Italia, nonostante l’alto numero di ore lavorate, non si registra un aumento del PIL o della produttività.

La proposta è tornata attuale in questi ultimi giorni, in quanto il premier finlandese Sanna Marin ha proposto nel proprio paese la riduzione dell’orario di lavoro da 6 a 4 ore quotidiane.

La Finlandia non è nuova ad iniziative che hanno ad oggetto l’orario di lavoro, in quanto già vige il Working Hours Pact che prevede una flessibilità di tre ore in entrata ed in uscita.

In Svezia, una notevole riduzione dell’orario di lavoro è attuata presso la Toyota di Goteborg.

Di fronte ad un ipotesi da tenere in sicura considerazione, non va sottovalutato come il lavoro umano non presenti sempre le stesse caratteristiche.

Di fronte a professioni e prestazioni che ben possono concentrarsi in un minor impegno orario, ve ne sono altre che involgono attività di studio, di relazioni umane, di ricerca, la cui durata è difficilmente programmabile e contenibile in limiti rigidi.

In questo caso, non tanto una rigida riduzione dell’orario, quanto piuttosto la liberazione del lavoratore dal vincolo di orario nel rispetto di obiettivi potrebbe rappresentare la giusta soluzione.

La questione così posta trovava già eco nelle dichiarazioni rese dall’allora Ministro del Lavoro Poletti il 27 novembre 2015 presso l’Università LUISS dove il ministro dichiarava la misurazione ora – lavoro come un attrezzo vecchio e frenante rispetto ad aspetti di innovazione. Negava il ministro di fronte alle reazioni non favorevoli del sindacato e, in data 2 dicembre 2015, tornava sull’argomento, negando di aver fatto riferimento al cottimo ed evidenziando come il tema necessitava di essere affrontato a livello europeo.

In effetti poco dopo, la legge 81 del 22 maggio 2017 introduceva il cosiddetto Lavoro Agile o Smart Working che comporta la possibilità del lavoratore di collocare almeno parte della propria prestazione da remoto ed in tempi da lui ritenuti e comunque utili agli obiettivi prefissati.

Per questo motivo, una riduzione dell’orario di lavoro per molte professionalità ben può accompagnarsi ad una liberalizzazione dell’orario per altre.

Fabio Petracci.

Incarico a dirigente privo di laurea – paga il sindaco.

Conferimento di incarico dirigenziale a funzionario privo di laurea – paga il sindaco.

La Corte dei Conti all’udienza del 19.9.2019 condanna il sindaco di un comune al pagamento della differenza di quanto erogato al funzionario in ragione dell’incarico dirigenziale e quanto sarebbe stato erogato riconoscendo una posizione organizzativa ad un dipendente di categoria D.

La Corte in merito all’eccezione di prescrizione, fa presente che la prescrizione quinquennale decorre dai singoli pagamenti dannosi effettuati dall’ente.

Essa conferma inoltre la responsabilità del sindaco e non quella degli organi di collaborazione ivi compreso il segretario comunale che aveva inoltre rilevato l’illegittimità della decisione prima che la stessa fosse stata assunta.

REPUBBLICA ITALIANA N° 182/2019 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DEI CONTI SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE per il VENETO Composta dai magistrati Dott.ssa Marta TONOLO Presidente F.F. dott. Maurizio MASSA Giudice dott.ssa Daniela ALBERGHINI Giudice relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA Nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 30799 del registro di segreteria, promosso dal Procuratore Regionale nei confronti di: XXXXX, nato a XXXXX, il XXXXX, residente a XXXX, Via XXXX, rappresentato e difeso dagli avv.ti XXXXX e XXXX del Foro di XXX, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. XXXX in XXXX; Sentiti all’udienza pubblica del 19 settembre 2019 il relatore dott.ssa Daniela Alberghini, il Pubblico Ministero nella persona del Vice Procuratore dott. Giancarlo Di Maio, l’Avv. XXXX per il convenuto, come da verbale d’udienza.

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO La Procura regionale ha convenuto innanzi a questa Sezione Giurisdizionale Regionale il sig. XXXXX per aver, in qualità di Sindaco pro tempore del Comune di XXXX, adottato, ai sensi dell’art. 110 TUEL, il decreto n. 11 del 18 giugno 2013, con il quale ha conferito incarico dirigenziale, con responsabilità dell’Area Seconda “Servizi economici e finanziari”, ad un funzionario, il XXXXXX, privo del necessario diploma di laurea.

Nel sistema degli enti locali è prevista la possibilità di conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato ai sensi dell’art. 110 del TUEL, disposizione che fa salva, però, la necessità che sussistano i requisiti di accesso previsti in relazione alla qualifica da ricoprire. A tal proposito, l’art. 19 del D.lgs. 165/2001 -così come modificato dall’art. 40 comma 1 del D.Lgs. 150/09 che ne ha esteso l’applicazione a tutte le amministrazioni di cui all’art.1, comma 2-, avente ad oggetto l’attribuzione degli incarichi dirigenziali a tempo determinato, fa riferimento alla formazione universitaria e post universitaria ai fini della verifica della particolare qualificazione professionale. Anche l’art. 28 del medesimo decreto legislativo prevede il possesso di titolo di studio pari alla laurea per l’accesso alle qualifiche dirigenziali a tempo indeterminato.

L’attribuzione di detto incarico, decorrente dal 11 giugno 2013 e cessato con il termine del mandato del Sindaco nel maggio 2018, non può, quindi, secondo la Procura, considerarsi legittima e ha comportato il riconoscimento al predetto funzionario di un trattamento economico superiore a quello che gli sarebbe spettato se la responsabilità della medesima Area gli fosse stata attribuita attraverso il riconoscimento di una c.d. posizione organizzativa: il relativo differenziale è, dunque, la misura del danno arrecato al Comune di XXXX, pari ad euro 78.120.

Sotto il profilo soggettivo il comportamento del convenuto è connotato da colpa grave, risultando agli atti una comunicazione del Segretario comunale dell’epoca, d.ssa XXXXX, indirizzata al Sindaco con protocollo riservato e a mezzo pec in data 21 giugno 2013, con la quale sono stati posti in evidenza i profili di illegittimità dell’incarico, peraltro sottoposti al medesimo Sindaco anche oralmente, come confermato dalla medesima Segretario in sede di audizione. L’odierno convenuto, successivamente alla notifica dell’invito a dedurre, ha fatto pervenire alla Procura articolate controdeduzioni, con le quali, da un lato, ha ritenuto sussistere la c.d. esimente politica al fine di escludere la configurabilità del danno e, dall’altro, ne ha in ogni caso contestato i presupposti, sia oggettivo (in quanto l’attribuzione dell’incarico a un funzionario già in servizio costituirebbe un risparmio di spesa rispetto al conferimento di incarico ad un dirigente esterno) che soggettivo (non potendosi configurare neppure la colpa grave, trattandosi di atto esecutivo di un previo atto generale di pianificazione in materia di personale adottato dalla Giunta comunale, la delibera n. 20 del 2013, e comunque interamente predisposto dalla stessa Segretario comunale in assenza di alcun rilievo od eccezione). La Procura ha ritenuto che tali controdeduzioni non superassero l’impianto delle contestazioni formulate, dal momento che la mancanza del titolo professionale di accesso alla qualifica determina uno squilibrio sinallagmatico che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, anche in funzione consultiva di controllo, è causativo di danno, la cui responsabilità è da attribuirsi, in quanto esclusivo titolare del relativo potere di conferimento dell’incarico, al Sindaco, la cui condotta, pertanto, viene a configurarsi come violazione degli obblighi di servizio caratterizzata da colpa grave perché in contrasto con disposizioni chiare, confermate da pareri e giurisprudenza, che delineano un quadro chiaro e consolidato, apparendo inverosimile che tale quadro non fosse noto.

Non pertinente è apparso, poi, alla Procura l’argomento dell’esimente politica di cui all’art. 1, comma 1 ter della legge 20/94, che disciplina la diversa fattispecie astratta degli atti che rientrano nella competenza di uffici tecnici od amministrativi approvati, autorizzati o eseguiti in buona fede da titolari di organi politici. Non utili ad escludere la responsabilità, poi, sarebbero i richiami alla buona fede dell’odierno convenuto in riferimento alla complessità e tecnicità della materia, nonché l’esistenza di precedenti analoghi incarichi conferiti allo stesso soggetto.

Il convenuto si è costituito in giudizio in data 30.7.2019, formulando preliminarmente eccezione di intervenuta prescrizione. Il dies a quo della prescrizione corrisponde, in materia di responsabilità amministrativo-contabile, alla data in cui si è verificato l’evento dannoso che nel caso di cui si tratta deve identificarsi nell’adozione del provvedimento di conferimento dell’incarico, datato 18 giugno 2013. Il primo atto interruttivo, la notifica dell’invito a dedurre, è avvenuta in data 26.9.2018, successivamente, cioè, alla perenzione del termine quinquennale. Nel merito, il convenuto ha ricordato che il decreto attributivo dell’incarico di giugno 2013 era solo l’ultimo di una lunga serie, che fondava le proprie ragioni in scelte di economicità-efficienza correlate alla peculiare situazione dell’organico del Comune di XXXXXX – in cui una serie di cessazioni dal servizio avevano lasciato vacanti settori di rilievo- e ai vincoli assunzionali e di spesa del personale che aveva imposto alla Giunta Comunale, in sede di ricognizione del fabbisogno del personale (del. 90/2013), di scegliere tra la spesa per un dirigente esterno (che avrebbe coperto la quasi totalità delle risorse disponibili) e la destinazione delle risorse per l’assunzione di 9 unità di personale, con assegnazione di incarico dirigenziale a personale interno. L’adozione del provvedimento di incarico sarebbe stato, quindi, l’atto attuativo di una scelta politica effettuata dalla Giunta in assenza di indicazioni contrarie da parte del Segretario comunale e degli uffici: l’individuazione del funzionario da incaricare, poi, sarebbe stata obbligata in relazione alla indisponibilità a ricoprire il ruolo manifestata dagli altri funzionari di cat. D, questi ultimi in possesso del necessario titolo di studio. Non sussisterebbe, quindi, alcun danno patrimoniale per l’ente, in quanto nessuna delle altre opzioni a disposizione dell’Ente avrebbe comportato un risparmio di spesa, nè sussiste alcun danno all’immagine, stante l’acclarata professionalità con cui il funzionario ha eseguito l’incarico. Difetterebbe, peraltro, anche l’elemento soggettivo della colpa grave, alla luce dell’obiettiva complessità del quadro normativo di riferimento, caratterizzato da rinvii tra disposizioni e continui mutamenti, a fronte della quale è venuta meno una seria collaborazione da parte degli uffici tecnici.

Conclusivamente il convenuto ha osservato che l’atto dal quale viene fatto discendere il danno contestato non è stato di iniziativa del Sindaco, trattandosi di atto attuativo di una previa scelta della Giunta: la soggettiva imputabilità dell’atto sotto il profilo sostanziale deve essere individuata, quindi, in relazione agli apporti concretamente in esso convergenti. Diversamente considerando, la responsabilità dedotta finirebbe per connotarsi come meramente oggettiva. Nel caso in esame la responsabilità è da imputare al comportamento del Segretario comunale che non solo ha materialmente predisposto l’atto senza peraltro formulare alcun rilievo, ma che non ha neppure informato il Sindaco, né informalmente né formalmente con la nota del 21.6.2013 citata dalla Procura regionale –mai pervenuta né brevi manu né tramite pec-, di eventuali illegittimità dell’incarico, venendo meno al proprio ruolo di garanzia. Nessuna responsabilità, quindi, potrebbe essere ascritta al convenuto. In via del tutto subordinata il convenuto ha contestato il criterio di quantificazione del danno, visto che il posto dirigenziale doveva essere coperto e, in assenza di funzionari aventi i requisiti professionali, il ricorso ad un esterno avrebbe comportato una maggiore spesa. In ogni caso, il danno deve essere ripartito tra tutti i soggetti che hanno partecipato alla procedura di individuazione del modello organizzativo che ha portato al conferimento dell’incarico al rag. XXXX, ferma restando la richiesta di applicazione del potere riduttivo. In via istruttoria il convenuto ha chiesto, infine, l’ammissione di prova per testi.

All’odierna udienza il Pubblico Ministero ha preso posizione in merito all’eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto, evidenziandone l’infondatezza: l’evento dannoso va individuato nei singoli pagamenti, dai quali inizia a decorrere il termine, circostanza di cui la stessa Procura ha tenuto conto nella quantificazione del danno contestato. Nel merito delle difese del convenuto, la Procura, riportandosi agli atti, ha sottolineato che non vi è contestazione in merito alla normativa applicabile in materia di incarichi, trattandosi di questione ben delineata a chiara fin dai primi anni 2000. Il convenuto, quindi, non solo avrebbe dovuto conoscere le norme applicabili, tanto più che disciplinavano una attribuzione propria, ma non si trovava, quanto a scelta del dipendente, neppure in una situazione necessitata dal momento che esistevano nell’organico dell’ente altre professionalità a cui attribuire l’incarico. Né, ha proseguito la Procura, la responsabilità del convenuto può essere esclusa o anche solo diminuita per il fatto che vi darebbe stata una previa delibera di Giunta adottata senza interlocuzione del Segretario, che funge da mero verbalizzante. L’Avv. Gianesin nell’interesse del convenuto si è riportata agli atti, insistendo in particolare sull’eccezione di prescrizione, richiamando i pronunciamenti in materia delle Sezioni Riunte di questa Corte del 2003 e del 2007 e sottolineando come, contrariamente a quanto sostenuto dalla Procura, il ruolo del Segretario comunale sia stato determinante nel convincere il convenuto della legittimità del proprio operato, avendo la d.ssa XXXX avallato l’attribuzione al medesimo dipendente dello stesso incarico negli anni precedenti. All’esito della discussione la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO In via preliminare deve essere esaminata l’eccezione di prescrizione formulata dal convenuto. Secondo il convenuto, decorrendo la prescrizione ex art. 1, comma 2 della L. 20/94 dal giorno in cui si è verificato l’evento dannoso, nel caso di specie il dies a quo non potrebbe che essere identificato, seguendo la ricostruzione della Procura, nel giorno di adozione del decreto sindacale n. 11 del 18.6.2013. Il primo ed unico atto interruttivo intervenuto è l’invito a dedurre, notificato il 26 settembre 2018, a termine ormai perento. Osserva il Collegio che “secondo la consolidata giurisprudenza della Corte dei conti, l’espressione “verificazione” del fatto dannoso, dal quale decorre in via generale il termine di prescrizione quinquennale previsto dall’art. 1, comma 2, L. 20/1994, comprende non soltanto la condotta illecita ma anche l’effetto lesivo che ne deriva, potendo i due eventi coincidere ma, talvolta, anche essere distanziati nel tempo, e in questa ultima ipotesi ciò che rileva è la seconda componente (l’effetto lesivo della condotta)” (Sez. Giurisd. Lazio, n. 258/2019). In caso di illecita percezione di somme la giurisprudenza di questa Corte è, poi, altrettanto costante nel ritenere che la fattispecie si completa con l’avverarsi della sequenza condotta-evento dannoso che, nel caso di specie, si perfeziona con il pagamento delle retribuzioni connesse all’incarico dirigenziale, momento nel quale si realizza il depauperamento dell’erario (recentemente, Sez. Puglia, n.227/2018: “Va rammentato che, secondo i principi generali della materia, la responsabilità amministrativa si fonda – come è noto – su un fatto dannoso, composto dal binomio condotta-evento, perciò le relative fattispecie vanno costruite sulla base di detto binomio. Detto in altri termini, dette fattispecie si perfezionano solo dopo l’avverarsi della sequenza condotta-evento dannoso; l’evento di danno è elemento costitutivo della fattispecie lesiva e, pertanto, nell’ipotesi di danno per erogazione di una somma di denaro la fattispecie si completa con il pagamento, momento nel quale di realizza il depauperamento dell’erario e da cui comincia a decorrere la prescrizione.”). Sulla scorta di tali consolidati principi, quindi, nel caso in esame risultano prescritte solo le somme il cui pagamento è avvenuto prima del quinquennio anteriore rispetto alla notificazione, in data 26 settembre 2018, dell’invito a dedurre e, quindi, prima del mese di ottobre 2013. La domanda avanzata dalla Procura regionale, tuttavia, ha tenuto conto della prescrizione maturatasi, essendo stato quantificato il danno espressamente con riferimento alle somme versate dal Comune di XXXXX dall’ottobre 2013 al maggio 2018 al rag. XXXX in dipendenza dell’incarico dirigenziale da questo ricevuto ed eseguito. L’eccezione di prescrizione, pertanto, non è fondata e va respinta.

Nel merito, la domanda è fondata. Oggetto del presente giudizio è la responsabilità risarcitoria del convenuto, all’epoca Sindaco pro tempore del Comune di XXXXXXX, per l’illegittimo conferimento di incarico dirigenziale intra dotazione organica, a tempo determinato, ad un dipendente dell’ente poiché sprovvisto dell’imprescindibile requisito del diploma di laurea, così come previsto dalla disciplina di rango primario vigente all’atto del conferimento dell’incarico medesimo, nel giugno 2013. Secondo la prospettazione della Procura Regionale, il possesso del titolo di studio della laurea, non solo era un requisito obbligatoriamente richiesto, ma emergeva in modo chiaro e puntuale dal complesso delle disposizioni normative regolanti la materia, circostanza che di per sé impediva il venir meno della gravità delle colpa. A tale conclusione la Procura è pervenuta in considerazione degli artt. 110 del D.lgs. 267/2000, che prevede che la copertura dei posti di qualifica dirigenziale possa avvenire mediante contratto a tempo determinato “fermi restando i requisiti richiesti dalla qualifica da ricoprire”, dell’art. 19 del D.Lgs.165/2001 -divenuto applicabile a tutte le amministrazioni di cui all’art.1, comma 2, del D.lgs. 165/2001 in forza dell’art. 40, comma 1 lett. f) del D.lgs. 150/09-, che disciplina il conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato e fa riferimento alla “particolare specificazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria”, e infine dell’art. 28 del D.Lgs. 165/2001 che, benchè riferito alle nomine in ruolo dei dirigenti per le quali, appunto, è richiesto il diploma di laurea, è da considerarsi norma di generale applicazione, anche per ragioni di logica e coerenza del sistema. Si tratterebbe di un quadro normativo chiaro, privo di insidie sul piano ermeneutico, anche alla luce della concorde e costante giurisprudenza amministrativa da un lato e, dall’altro, della stessa Corte dei Conti, più volte intervenuta nella materia de qua anche in sede di controllo di legittimità (Sez. Centr. Contr. Leg. N. 31/2001, n. 3/2003) che in sede consultiva di controllo (a partire dalla Sez. Contr. Lombardia n.31/01) e ribadita anche dal Dipartimento della Funzione Pubblica fin dal 2008 (parere n. 35/08). La difesa del convenuto non ha formulato contestazioni circa le norme applicabili, al momento dell’adozione del decreto sindacale n. 11 del 18 giugno 2013, al conferimento di incarichi dirigenziali ai sensi dell’art. 110 del TUEL -e, quindi, in relazione alla necessità del possesso del requisito della laurea-, tuttavia ha rappresentato che tale quadro normativo, in ogni caso farraginoso e di non semplice ricostruzione a causa della tecnica normativa del rinvio mobile, solo a partire dalla riforma del 2009 non poneva dubbi interpretativi circa i requisiti professionali e di studio necessari per il conferimento di incarichi dirigenziali. In precedenza, infatti, la formulazione letterale dell’art. 19, comma 6, del D.lgs. 165/2001, elencando i requisiti possesso di laurea/esperienza in maniera disgiuntiva, consentiva di ritenere legittimo il conferimento di incarico anche a soggetti non in possesso del titolo di studio, ma in possesso di concreta esperienza di lavoro maturata presso pubbliche amministrazioni; solo dopo il d.lgs. 150/2009, il testo della disposizione è stato mutato in modo tale da non lasciare spazio a soluzioni ermeneutiche diverse circa la necessaria compresenza di entrambi i requisiti. Osserva il Collegio che l’adozione da parte dell’odierno convenuto, all’epoca dei fatti Sindaco pro tempore del Comune di XXXX, del decreto n. 11 del 18 giugno 2013 integra una condotta antigiuridica, essendo condivisibile la ricostruzione del quadro normativo applicabile alla fattispecie dedotta dalla Procura Regionale e, nella sostanza, condivisa anche dalla difesa del convenuto. Come già ricordato, in materia di conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato negli enti locali, la normativa di settore (d.lgs 267/2000), nell’individuarne la disciplina (art. 110), ha rinviato, quanto a requisiti e presupposti, alla generale disciplina del pubblico impiego (D.lgs 29/1993 prima e, poi, D.lgs 165/2001) e, quindi, all’art. 19 del D.lgs 165/2001 (la cui applicazione agli enti locali è stata espressamente prevista dal D.lgs 150/2009, benchè in giurisprudenza, anche di questa Corte, non si fosse mancato di sottolinearne, anche in precedenza, l’estensibilità oltre l’impiego statale in quanto rappresentativa di principio generale) che, al comma 6, stabilisce i requisiti per il conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato, prevedendo la concorrenza del requisito culturale della formazione universitaria con il requisito professionale dell’esperienza quinquennale in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza. Osserva a tal proposito il Collegio che tale ultima disposizione, nel testo in vigore all’epoca dei fatti (2013) e, cioè, successivamente alle modifiche apportate dall’art. 40 del D.lgs n. 150/2009, aveva una formulazione letterale che non poteva (e non può) lasciare adito a dubbio ermeneutico alcuno in relazione al necessario possesso del titolo di studio della laurea: la “particolare specializzazione professionale” che è requisito per l’attribuzione dell’incarico, infatti, deve essere comprovata “dalla formazione universitaria e postuniversitaria, post universitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro…”. Requisito culturale e di esperienza lavorativa dunque, non possono in alcun modo essere ritenuti, anche solo sulla base della littera legis, alternativi tra loro, ma debbono, coerentemente con la ratio legis, sussistere congiuntamente. Come osservato, infatti, già prima dell’intervento del legislatore del 2009 dalla Sezione del controllo di legittimità su atti del Governo di questa Corte con la delibera n. 3/2003 del 9 gennaio 2003, “il criterio secondo il quale il legislatore ha inteso disciplinare l’immissione nell’esercizio di funzioni dirigenziali di soggetti, quali essi siano, in precedenza già non investiti di tale qualifica, risulta evidentemente informato alla volontà di acquisire professionalità estranee, tali da presentare qualità aggiuntive e comunque non minori rispetto ai già elevati requisiti previsti per le nomine di funzionari appartenenti ai ruoli dirigenziali. Tanto premesso, consegue da ciò attraverso una lettura sistematica dell’art. 19, c. 6°, che la facoltà da tale norma prevista richiede, nei suoi destinatari, il concorrente possesso di una particolare specializzazione, sia professionale, che culturale e scientifica; quando si passi all’accertamento di tali requisiti, in relazione alle funzioni da attribuire, l’interprete, dal canto suo, non può sottrarsi alla verifica, sotto ogni profilo, della presenza di tutti gli elementi che complessivamente rendono il soggetto idoneo all’incarico. Ne discende che, ferma rimanendo l’esigenza dell’accertamento di un livello di formazione culturale identificabile nel possesso della laurea, gli elementi che configurano e completano in estranei il profilo della professionalità debbano, insieme ad altri, ricavarsi dal già disimpegnato esercizio di funzioni almeno di pari rilevanza di quelle previste nel nuovo compito. Quindi, oltre all’accertato possesso di sufficiente formazione culturale, in un contesto normativo in cui è però prevista l’attribuzione di incarichi dirigenziali previa verifica della sussistenza di livelli di formazione particolarmente elevati, occorre che la valutazione venga estesa ad un puntuale esame dei curricula degli incaricandi”. L’aver conferito, da parte del convenuto, un incarico dirigenziale a soggetto non in possesso di diploma di laurea costituisce una violazione delle predette disposizioni, integrando l’elemento oggettivo della responsabilità amministrativa. In relazione all’elemento soggettivo, ritiene il Collegio che la condotta del convenuto sia connotata, come prospettato dalla Procura regionale, da colpa grave. Contrariamente, infatti, a quanto sostenuto dalla difesa del convenuto, il decreto di conferimento dell’incarico è, formalmente e sostanzialmente, atto proprio del Sindaco, adottato nell’ambito di funzioni ad esso attribuite in via esclusiva dal TUEL e dal Regolamento comunale di organizzazione degli uffici e dei servizi del Comune di XXXX (art. 50, comma 10, TUEL: “Il sindaco e il presidente della provincia nominano i responsabili degli uffici e dei servizi, attribuiscono e definiscono gli incarichi dirigenziali e quelli di collaborazione esterna secondo le modalità ed i criteri stabiliti dagli articoli 109 e 110, nonché dai rispettivi statuti e regolamenti comunali e provincia”; Art. 109 TUEL: (Conferimento di funzioni dirigenziali) “1. Gli incarichi dirigenziali sono conferiti a tempo determinato, ai sensi dell’articolo 50, comma 10, con provvedimento motivato e con le modalità fissate dal regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, secondo criteri di competenza professionale, in relazione agli obiettivi indicati nel programma amministrativo del sindaco o del presidente della provincia (…)”; art, 12, comma 1., lett.c) del Regolamento secondo cui spetta al Sindaco “l’attribuzione e la definizione degli incarichi dirigenziali ai responsabili di area” e art. 60, comma 1 dello Statuto comunale: “(Incarichi dirigenziali) 1. L’atto del Sindaco di conferimento o revoca degli incarichi dirigenziali è adottato sentita la Giunta e il Direttore Generale, se nominato, o il Segretario Generale.”). La circostanza che, a monte del decreto in questione, la Giunta Comunale, organo al quale compete la programmazione in materia di personale ex art. 48, comma 2, TUEL, avesse deciso -appunto all’interno di un atto programmatorio a valenza generale quale il Piano occupazionale: D.G.C. n. 90 del 2013, cfr. doc.16 allegato all’atto di citazione- la “copertura del posto di qualifica dirigenziale dell’Area II “servizi economico finanziari e tributari” mediante contratto a tempo determinato” con incarico ai sensi dell’art. 110 TUEL, anziché ricorrere ad altre opzioni (incarico a tempo determinato a personale esterno, concorso pubblico, attribuzione di posizione organizzativa) non vale ad escludere, neppure parzialmente, la responsabilità del convenuto. Tale decisione, infatti, attiene unicamente alle modalità di copertura del posto, non alla individuazione e alla scelta del soggetto al quale l’incarico avrebbe dovuto essere conferito, queste ultime riferibili unicamente alla volontà del titolare del potere di esercitare la relativa funzione: il sindaco, appunto. Né la circostanza che il personale apicale degli uffici o il segretario comunale fossero tenuti alla predisposizione dell’atto vale ad escludere in capo al sindaco la responsabilità dell’atto stesso, a ripartirla o ad attenuarla: si tratta, infatti, di compito di mera redazione materiale del documento, non di una (com)partecipazione alla formazione della volontà che nel documento si trasfonde dando, appunto, origine all’atto; la scelta del soggetto destinatario dell’incarico (e, quindi, la valutazione della sussistenza della speciale professionalità richiesta dalla norma) è di esclusiva pertinenza del Sindaco. La difesa del ricorrente, poi, attribuisce al Segretario comunale, che con il suo comportamento reticente avrebbe omesso di rappresentare alla Giunta e al Sindaco l’esistenza di profili di illegittimità, l’aver indotto in errore gli organi politici, privando il Sindaco in particolare di “scegliere diversamente da come ha fatto” (pag. 18 comparsa). Anche a prescindere dalla contraddittorietà dell’argomentazione difensiva, avendo lo stesso convenuto in precedenza sostenuto che la scelta del rag. XXX per l’attribuzione dell’incarico dirigenziale “si presentava sostanzialmente come obbligata” (pag. 10 comparsa) essendo quest’ultimo l’unico dipendente di categoria D disponibile ad assumere l’incarico, nell’attuale assetto normativo regolante la figura ed il ruolo del segretario comunale, dopo l’intervento della legge 127/97 (che ha abrogato il parere preventivo obbligatorio di legittimità del segretario sugli atti degli organi collegiali), al segretario sono attribuite funzioni meramente consultive e di assistenza agli organi del comune –la cui ampiezza, peraltro è delimitata dalla introduzione della figura del Direttore generale di coordinamento dell’attività dei dirigenti, ma non certo funzioni di amministrazione attiva. Risulta in atti che il segretario comunale di XXXXX abbia assolto al proprio compito di consulenza/assistenza, avendo rappresentato al Sindaco i profili di illegittimità del decreto di conferimento dell’incarico, sia per le vie brevi prima sia formalmente con PEC nei giorni immediatamente successivi all’adozione: la Procura ha prodotto, infatti, copia della comunicazione scritta che la medesima ha dichiarato di aver consegnato brevi manu al Sindaco e inviato tramite PEC. La difesa del convenuto ha contestato la veridicità della circostanza, peraltro confermata dalla medesima Segretario in sede di audizione (doc. 33 Procura), producendo sub doc. 9 una nota (erroneamente qualificata come dichiarazione) a firma del Vice Segretario generale del Comune di XXXX, dr. XXXX, con la quale lo stesso trasmette al difensore un file di excel (non prodotto in atti) contenente l’elenco degli atti protocollati in arrivo nel periodo 21.6.2013-30.6.2010, evidenziando che con le chiavi di ricerca “sindaco” e XXXX” non si producono risultati. E’ di tutta evidenza che, anche al di là della considerazione per cui il file predetto, in assenza di iniziative processuali di parte convenuta diverse dalla prova testimoniale richiesta –inammissibile sia per l’omessa formulazione di specifici capitoli, ma anche irrilevante per le ragioni che seguiranno-, non avrebbe certo potuto essere acquisito d’ufficio agli atti del giudizio -con la conseguenza che la mera cognizione dell’ esistenza di un file non consente di valutarne il contenuto- e anche a voler superare ogni questione in merito alla natura e alla capacità probatoria di un file in assenza di forme di certificazione circa la sua completezza, autenticità ed effettiva corrispondenza con i dati del server (se il protocollo è elettronico) ovvero dei registri (se il protocollo è cartaceo) del Comune, l’estratto del protocollo generale dell’ente dal quale non risulta l’avvenuta protocollazione di una comunicazione, potrebbe unicamente attestare, appunto, che al protocollo generale non risulta acquisito un documento, ma non può escludere, in assoluto, che tale documento esista o sia stato consegnato al destinatario. E ciò a maggior ragione se si considera che il documento allegato dal Segretario al proprio esposto (doc.1 Procura) porta un numero del protocollo riservato (il n. 89 del 2013: il relativo registro –non prodotto né offerto in produzione- è conservato nell’Ufficio del Segretario, come risulta dalla dichiarazione resa dalla d.ssa XXXX in sede di audizione), circostanza che di certo spiega l’assenza di numero di protocollo generale e che non è stata oggetto di contestazione alcuna da parte della difesa del convenuto. Del resto, la stessa XXXXX ha espressamente confermato in audizione di aver, dapprima, rappresentato verbalmente l’illegittimità dell’atto e di aver, poi, consegnato la nota scritta brevi manu ed infine di averla trasmessa anche tramite PEC. In tale sede, peraltro, la medesima Segretario ha dichiarato anche che nei colloqui intercorsi con il convenuto, quest’ultimo è apparso a conoscenza del fatto che il rag. XXXX non avrebbe potuto rivestire l’incarico dirigenziale per difetto del titolo di studio, tant’è che oggetto di discussione era la possibilità di conferire detto incarico ad altro dipendente comunale in possesso di laurea, il dr. Grassetti, che seguiva le questioni relative alla programmazione di competenza del settore finanziario e di aver appreso dell’incarico solo successivamente al conferimento, essendole stata consegnata una copia del relativo decreto sindacale. A fronte di tali evidenze probatorie, ampiamente circostanziate e non incise dalle produzioni documentali della difesa, non sembra che possa fondatamente ritenersi che via siano state condotte omissive imputabili al Segretario utili a escludere o ridurre la responsabilità del Sindaco. Quanto, poi, al ruolo del Segretario comunale in relazione alla citata delibera della Giunta comunale che ha approvato il piano occupazionale 2013 (che, peraltro, come si è visto, non è causativa di danno alcuno), la mera sottoscrizione degli atti di Giunta e Consiglio comunale quale soggetto verbalizzatore (art. 97, comma 3, TUEL) assolve ad una specifica funzione redazionale e certificativa, propria del Segretario, che non comporta alcuna responsabilità diversa da quella di registrazione dei fatti e delle volontà in conformità a quanto avvenuto nella seduta e, perciò, esterna ed estranea al processo formativo delle volontà espresse dagli organi collegiali a seguito di deliberazione (ed, in ipotesi, causative di danno). Priva di giuridico pregio appare, infine, l’argomentazione difensiva secondo cui il Sindaco, organo politico, non sarebbe per ciò tenuto, nell’esercizio delle sue funzioni e nell’adozione degli atti propri –quelli, cioè, per i quali è titolare di competenza esclusiva quale quello di cui si tratta-, alla conoscenza delle norme, dovendo provvedervi in sua vece gli uffici tecnici, invocando all’uopo la giurisprudenza di questa Corte in punto di esimente politica. “ La disposizione normativa invocata dal ricorrente, infatti, (art. 1, comma 1ter, della L. n. 20/1994), prevedendo che la responsabilità dei componenti di un organo politico viene meno quando essi abbiano in buona fede autorizzato o approvato atti di competenza di organi tecnici o amministrativi, non tutela sempre e comunque, come sembra pretendere l’appellante, il soggetto politico in quanto tale, ma si limita a prevedere la sua irresponsabilità nelle sole ipotesi in cui esso abbia fatto affidamento sull’attività gestoria svolta dai dipendenti amministrativi della quale non abbia potuto apprezzare, per la peculiarità dei relativi contenuti, il carattere potenzialmente lesivo. Come ha invero correttamente osservato la Corte territoriale, la richiamata norma si limita ad attuare il principio di separazione tra politica e gestione amministrativa, più volte affermato dal legislatore (art. 3 d. lgs n. 29/1993, art. 4 d.lgs. n. 165/2001, art. 107 del d. lgs. n. 267/2000) ed in forza del quale i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo delle amministrazioni pubbliche, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita mediante poteri autonomi ai dirigenti, Ne segue che tale norma non consente di ancorare sic et simpliciter l’irresponsabilità del soggetto politico al particolare ruolo istituzionale che lo diversifica dai dirigenti, dovendosi detta disposizione considerare inoperante quando il soggetto stesso abbia direttamente compiuto, nell’ambito delle sue competenze, atti causativi di danno erariale.” (Sez. III App., 432/2016). Ed è, appunto, questo il caso che ci aggrava: come già ricordato più sopra, il conferimento di incarico dirigenziale ex art. 110 TUEL è atto proprio del Sindaco dal quale è causalmente derivato il contestato danno al Comune di XXXXX con il pagamento di competenze retributive ad un soggetto privo della professionalità necessaria per la copertura dell’incarico illegittimamente conferito. Venendo ad esaminare il terzo elemento costitutivo della responsabilità erariale, l’ avvenuta causazione di un danno risarcibile, il Collegio osserva che, come peraltro correttamente rappresentato dalla Procura attrice, l’illegittimità dell’incarico conferito a soggetto privo dei requisiti di studio richiesti dalla norma ha causato all’amministrazione un ingiusto pregiudizio economico: il danno in caso di prestazioni rese in mancanza del prescritto titolo di studio e professionale è insito nella lesione della violazione del sinallagma contrattuale, dal momento che alla retribuzione percepita non corrisponde una prestazione adeguatamente commisurata e qualitativamente corrispondente alla professionalità richiesta, come peraltro ormai acquisito dalla costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. Veneto sent. n. 107/2015; Sez. Sicilia n. 55/2014; Sez. Lombardia n. 280/2013; Sez. Toscana n. 433/2011; Sez. Sardegna n.1246/2009; Sez. Piemonte n. 24/2009 per citare, ex multis, alcune tra le più recenti e, da ultimo, Sez. Campania n. 129/2017). Alla luce di tali consolidati orientamenti, corretto appare, quindi, il criterio di quantificazione del danno utilizzato dalla Procura e, cioè, la differenza fra le retribuzioni percepite dal XXX in dipendenza dall’incarico dirigenziale e quelle che gli sarebbero spettate qualora avesse ricevuto il riconoscimento di una posizione organizzativa quale funzionario di cat. D5 (questa sì, legittima e conforme alla normativa e alle disposizioni contrattuali applicabili ratione temporis: “ART. 8 – Area delle posizioni organizzative. 1. Gli enti istituiscono posizioni di lavoro che richiedono, con assunzione diretta di elevata responsabilità di prodotto e di risultato: a)lo svolgimento di funzioni di direzione di unità organizzative di particolare complessità, caratterizzate da elevato grado di autonomia gestionale e organizzativa; b) lo svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità e specializzazione correlate a diplomi di laurea e/o di scuole universitarie e/o alla iscrizione ad albi professionali; c) lo svolgimento di attività di staff e/o di studio, ricerca, ispettive, di vigilanza e controllo caratterizzate da elevate autonomia ed esperienza. 2. Tali posizioni, che non coincidono necessariamente con quelle già retribuite con l’indennità di cui all’art. 37, comma 4, del CCNL del 6.7.1995, possono essere assegnate esclusivamente a dipendenti classificati nella categoria D, sulla base e per effetto d’un incarico a termine conferito in conformità alle regole di cui all’art. 9.” CCNL del 31.3.1999). La difesa del convenuto contesta in nuce l’esistenza di un danno risarcibile rappresentando, al contrario, l’avvenuta realizzazione di una economia di spesa in quanto il posto avrebbe comunque dovuto essere coperto, con maggiori costi, con ricorso ad un dirigente esterno, argomentando in ordine alla necessaria copertura del posto con una figura dirigenziale non potendosi procedere ad accorpamenti di aree, ma nulla argomentando in merito alla possibilità di affidare la responsabilità dell’area ad un funzionario di cat. D mediante l’istituto della posizione organizzativa, contrattualmente previsto (ed applicabile al caso de quo), appunto oggetto di contestazione da parte della Procura Regionale. In conclusione, sussistendone tutti i presupposti, deve essere dichiarata la responsabilità erariale del convenuto per i fatti di cui è causa e lo stesso deve essere condannato al risarcimento del danno in favore del Comune di XXXX. Per le ragioni ampiamente più sopra esposte in merito alla solo presunta compartecipazione di soggetti terzi (Giunta comunale/Segretario Comunale) alla formazione della volontà sottostante al decreto di conferimento dell’incarico, ritiene il Collegio non ricorrere nemmeno i presupposti per l’applicazione del potere riduttivo, così come richiesto dalla difesa. In conclusione, la domanda attorea deve essere accolta e il convenuto condannato al risarcimento in favore del Comune di XXXXX del danno complessivamente derivante dai fatti di cui è causa e quantificato in euro 78.120,00, somma comprensiva della rivalutazione monetaria, oltre agli interessi legali dalla data della sentenza al saldo effettivo. Ai sensi dell’art. 31 del c.g.c. il convenuto va inoltre condannato al pagamento delle spese di giustizia, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto della Corte dei Conti, ogni diversa e/o contraria domanda od eccezione respinta, definitivamente pronunciando nel giudizio iscritto al n. 30799 del registro di segreteria promosso dal Procuratore Regionale nei confronti di XXXX -respinge l’eccezione preliminare di prescrizione; -in accoglimento della domanda avanzata dalla Procura Regionale condanna XXXX al risarcimento del danno nei confronti del Comune di XXX di euro 78.120,00 (settantottomilacentoventi/00), somma comprensiva della rivalutazione monetaria, oltre interessi dalla data della sentenza fino al saldo effettivo; -condanna XXXXX al pagamento delle spese di giustizia che si liquidano in euro 288,00 (euro duecentottantotto/00)

Assunzione di Ricercatori e Tecnologi per l’innovazione

Assunzione di Ricercatori e Tecnologi Innovatori nella Legge Finanziaria – Incentivi.

La legge di bilancio inserisce nel credito di imposta la spesa per l’assunzione di ricercatori – innovatori tecnologici – design – innovazione estetica.

Legge 27.12.2019 n.160 Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022.

Articolo 1 comma 199 – 200 – spesa assunzione ricercatori.

le spese di personale relative ai ricercatori e ai tecnici titolari di rapporto di lavoro subordinato o di lavoro autonomo o altro rapporto diverso dal lavoro subordinato, direttamente impiegati nelle operazioni di ricerca e sviluppo svolte internamente all’impresa, nei limiti del loro effettivo impiego in tali operazioni. Le spese di personale relative a soggetti di età non superiore a trentacinque anni, al primo impiego, in possesso di un titolo di dottore di ricerca o iscritti a un ciclo di dottorato presso un’università italiana o estera o in possesso di una laurea magistrale in discipline di ambito tecnico o scientifico secondo la classificazione internazionale standard dell’educazione (Isced) dell’UNESCO, assunti dall’impresa con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e impiegati esclusivamente nei lavori di ricerca e sviluppo, concorrono a formare la base di calcolo del credito d’imposta per un importo pari al 150 per cento del loro ammontare;

Comma 201 – 202 – Innovazione tecnologica.

Sono considerate attività di innovazione tecnologica ammissibili al credito d’imposta le attività, diverse da quelle indicate nel comma 200, finalizzate alla realizzazione di prodotti o processi di produzione nuovi o sostanzialmente migliorati. Per prodotto o processo di produzione nuovo o sostanzialmente migliorato si intende un bene materiale o immateriale o un servizio o un processo che si differenzia, rispetto a quelli già realizzati o applicati dall’impresa, sul piano delle caratteristiche tecnologiche o delle prestazioni o dell’eco compatibilità o dell’ergonomia o per altri elementi sostanziali rilevanti nei diversi settori produttivi. Non sono considerate attività di innovazione tecnologica ammissibili al credito d’imposta le attività di routine per il miglioramento della qualità dei prodotti e in generale le attività volte a differenziare i prodotti dell’impresa da quelli simili, presenti sullo stesso mercato concorrenziale, per elementi estetici o secondari, le attività per l’adeguamento di un prodotto esistente alle specifiche richieste di un cliente nonché le attività per il controllo di qualità e la standardizzazione dei prodotti. Con il decreto del Ministro dello sviluppo economico previsto dal comma 200, sono dettati i criteri per la corretta applicazione di tali definizioni, tenendo conto dei princìpi generali e dei criteri contenuti nel Manuale di Oslo dell’OCSE. Ai fini della determinazione della base di calcolo del credito d’imposta, sono considerate ammissibili, nel rispetto delle regole generali di effettività, pertinenza e congruità: a) le spese per il personale titolare di rapporto di lavoro subordinato o di lavoro autonomo o altro rapporto diverso dal lavoro subordinato, direttamente impiegato nelle operazioni di innovazione tecnologica svolte internamente all’impresa, nei limiti dell’effettivo impiego in tali operazioni. Le spese di personale relative a soggetti di età non superiore a trentacinque anni, al primo impiego, in possesso di un titolo di dottore di ricerca o iscritti a un ciclo di dottorato presso un’università italiana o estera o in possesso di una laurea magistrale in discipline di ambito tecnico o scientifico secondo la classificazione Isced dell’UNESCO, assunti dall’impresa con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e impiegati esclusivamente nei lavori di innovazione tecnologica, concorrono a formare la base di calcolo del credito d’imposta per un importo pari al 150 per cento del loro ammontare;

202. Sono considerate attività innovative ammissibili al credito d’imposta le attività di design e ideazione estetica svolte dalle imprese operanti nei settori tessile e della moda, calzaturiero, dell’occhialeria, orafo, del mobile e dell’arredo e della ceramica, per la concezione e realizzazione dei nuovi prodotti e campionari. Con il decreto del Ministro dello sviluppo economico previsto dal comma 200, sono dettati i criteri per la corretta applicazione del presente comma anche in relazione alle medesime attività svolte in settori diversi da quelli sopraindicati. Ai fini della determinazione della base di calcolo del credito d’imposta per le attività di design e ideazione estetica, si considerano ammissibili, nel rispetto delle regole generali di effettività, pertinenza e congruità: a) le spese per il personale titolare di rapporto di lavoro subordinato o di lavoro autonomo o altro rapporto diverso dal lavoro subordinato, direttamente impiegato presso le strutture produttive dell’impresa nello svolgimento delle attività di design e ideazione estetica ammissibili al credito d’imposta, nei limiti dell’effettivo impiego in tali attività. Le spese di personale relative a soggetti di età non superiore a trentacinque anni, al primo impiego, in possesso di una laurea in design o altri titoli equiparabili, assunti dall’impresa con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e impiegati esclusivamente nei lavori di design e innovazione estetica, concorrono a formare la base di calcolo del credito d’imposta per un importo pari al 150 per cento del loro ammontare;