Ecco il testo integrale della
recentissima sentenza della Cassazione sui Riders di Foodora, preceduta da un
breve commento.
L’intervento della Cassazione
precede e confligge con il DL 101/2019 e considera come subordinati tutti i
rapporti di lavoro continuativi e personali con il requisito della etero –
organizzazione (superando il requisito della subordinazione – articolo 2094 del
codice civile).
Dall’inizio del 2000, se non
prima, il modello tradizionale di lavoro subordinato sta subendo una
progressivo adattamento a mezzi tecnologici.
Quelli informatici ed in pratica
le piattaforme oggi permettono lo svolgimento di una prestazione con risultati
non dissimili da quella della tradizionale organizzazione del lavoro,
prescindendo almeno in parte da alcuni elementi che connotavano la classica
prestazione di lavoro dipendente. Ci riferiamo alla determinazione da parte
dell’imprenditore, datore di lavoro dei tempi e del luogo della prestazione.
Ancor oggi, giuridicamente, il
contratto di lavoro subordinato è sintetizzato nell’articolo 2094 del codice
civile. Quivi sono individuati due soggetti, datore di lavoro e lavoratore
impegnati reciprocamente nell’erogare una retribuzione a fronte di una
prestazione che avviene sotto la direzione del datore di lavoro. L’elemento
centrale che contraddistingue questo contratto è dato dalla subordinazione, in
quanto il prestatore di lavoro soggiace al vincolo disciplinare nei confronti
del datore di lavoro.
Con il DLGS 81/2015, si vogliono
adattare le definizioni giuridiche alla emergente realtà, eliminando
fattispecie intermedie quali il lavoro a progetto che davano luogo ad
identificazioni non sempre chiare dei rapporti.
Attualmente le tipologie di
lavoro, dopo l’entrata in vigore del DLGS 81/2015 possono definirsi quattro:
La situazione così descritta era
messa in discussione con l’emergere dei contenziosi relativi alle nuove forme
di lavoro su piattaforma informatica, dove il potere organizzativo e
disciplinare assumeva forme inedite. Ci riferiamo in particolare, ma non solo,
alle vicende giudiziarie relative ai fattorini motorizzati per le consegne
“riders”.
L’aspetto maggiormente
controverso di questa disciplina è individuato nell’articolo 2 del DLGS 81/2015
che, come abbiamo visto, considera applicabile a tutti i rapporti di lavoro
continuativi e personali organizzati dall’imprenditore – datore di lavoro; la
disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
Con il decreto dignità DL
101/2019 la categoria era esplicitamente inserita tra quei lavoratori autonomi
cui erano applicabili talune protezioni del lavoro
subordinato stabilite nel
medesimo DL 101/2019 e quindi non tutta la disciplina concernente il rapporto
di lavoro.
La sentenza della Cassazione che
qui si legge è relativa ad un contenzioso anteriore all’intervento legislativo
di cui al DL 101/2019 ed attribuisce ai lavoratori di cui all’articolo 2 DLGS
81/2015 e quindi non solo ai Riders la generalità delle tutele normative che
competono ai lavoratori subordinati.
Ne consegue che alla luce
dell’intervento giurisprudenziale della Cassazione, la legge 101/2019 ha
introdotto una variante peggiorativa rispetto alla normativa precedente
(vecchio testo del DLGS 81/2015) che secondo la Cassazione garantiva i
trattamenti del lavoro subordinato a tutti i lavoratori menzionati all’articolo
2 DLGS 81/2015 in quanto sottoposti al potere organizzativo del datore di
lavoro.
La Cassazione ha così esteso il
campo applicativo dell’articolo 2094 e quindi della subordinazione a tutte
queste fattispecie, nel mentre la legge successiva ha introdotto delle
differenziazioni.
TESTO DELLA SENTENZA
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent.,
(ud. 14/11/2019)
24-01-2020,
n. 1663
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –
Dott. RAIMONDI Guido – rel. Consigliere –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11629/2019 proposto
da:
FOODINHO S.R.L., quale incorporante di DIGITAL SERVICES XXXVI ITALY S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, rappresentata e difesa dagli avvocati GIOVANNI REALMONTE, ORNELLA GIRGENTI, FIORELLA LUNARDON, PAOLO TOSI;
– ricorrente –
contro
P.M., C.G., L.R., R.A.A., G.V., tutti domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato PATRIZIA TOTARO, GIUSEPPE MARZIALE, SERGIO SONETTO, GIULIA DRUETTA;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 26/2019
della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 04/02/2019 r.g.n. 468/2018;
udita la relazione della causa
svolta nella pubblica udienza del 14/11/2019 dal Consigliere Dott. GUIDO
RAIMONDI;
udito il P.M., in persona del
Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato PAOLO TOSI;
uditi gli Avvocati GIUSEPPE
MARZIALE e GIULIA DRUETTA.
Svolgimento del processo
1. Con ricorso depositato il 10 luglio 2017,
P.M., C.G., R.A.A., L.R. e G.V. hanno chiesto al Tribunale di Torino
l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con
la Digital Services XXXVI Italy srl (Foodora) in liquidazione, lavoro
consistente nello svolgimento di mansioni di fattorino in forza di contratti di
collaborazione coordinata e continuativa (cd. riders), con la conseguente
condanna della società convenuta al pagamento delle differenze retributive
maturate, da liquidarsi in separato giudizio. I ricorrenti hanno inoltre
sostenuto di essere stati illegittimamente licenziati dalla società e hanno
chiesto il ripristino del rapporto, nonchè la condanna al risarcimento del
danno subito per effetto del licenziamento, e per violazione dell’art. 2087
c.c.. Gli stessi ricorrenti hanno infine lamentato di aver subito un danno non
patrimoniale, da liquidarsi in separato giudizio, per violazione delle norme
poste a protezione dei dati personali.
2. Con sentenza del 7 maggio 2018, n.
778 il Tribunale di Torino ha rigettato tutte le domande.
3. Avverso tale sentenza hanno
proposto appello i lavoratori.
4. La Corte d’appello di Torino,
con sentenza n. 26 depositata il 4 febbraio 2019, in parziale accoglimento
dell’appello, ha negato la configurabilità della subordinazione e ha ritenuto
applicabile al rapporto di lavoro intercorso tra le parti il D.Lgs. n. 81 del
2015, art.2, come richiesto in via subordinata dai lavoratori già in primo
grado; conseguentemente, in applicazione di tale norma ha dichiarato il diritto
degli appellanti a vedersi corrispondere quanto maturato in relazione
all’attività lavorativa prestata, sulla base della retribuzione stabilita per i
dipendenti del V livello del CCNL logistica trasporto merci, dedotto quanto
percepito; inoltre, ha condannato la società appellata al pagamento delle
differenze retributive così calcolate, oltre accessori. Ogni altro motivo di
appello, tra cui in particolare quello relativo all’asserita illegittimità dei
licenziamenti, è stato respinto, pur osservandosi da parte della Corte di
appello, su quest’ultimo punto, che in ogni caso non vi era stata
un’interruzione dei rapporti di lavoro in essere da parte della società prima
della loro scadenza naturale.
5. Per quanto qui ancora
interessa, la Corte distrettuale ha ritenuto che il D.Lgs. n. 81 del 2015, art.
2, nel testo applicabile ratione temporis, individui un “terzo genere”, che si
viene a porre tra il rapporto di lavoro subordinato cui all’art. 2094 c.c. e la
collaborazione coordinata e continuativa come prevista dall’art. 409 c.p.c., n.
3, soluzione voluta dal legislatore per garantire una maggiore tutela alle
nuove fattispecie di lavoro che, a seguito dell’evoluzione e della relativa
introduzione sempre più accelerata delle nuove tecnologie, si stanno
sviluppando. Il giudice di appello ha ritenuto esistenti i presupposti per
l’applicazione di questa norma, in particolare la etero-organizzazione
dell’attività di collaborazione anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di
lavoro e il carattere continuativo della prestazione.
6. Avverso la citata sentenza
della Corte di appello di Torino ha proposto ricorso per cassazione la Foodinho
s.r.l., quale incorporante della Digital Services XXXVI Italy s.r.l. in
liquidazione. Il ricorso è stato affidato a quattro motivi, illustrati da
memoria. I lavoratori hanno resistito con controricorso.
7. Successivamente al deposito
del ricorso è stato pubblicato il D.L. n. 101 del 2019, recante, fra l’altro,
modifiche al D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 2. Ciò ha suggerito il rinvio a nuovo
ruolo della causa originariamente fissata per l’udienza del 22 ottobre 2019, in attesa
della conversione in legge del suddetto decreto, avvenuto con L. n. 128 del
2019.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, ai sensi
dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente deduce la violazione e/o la
falsa applicazione del D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 2, in relazione all’art. 2094
c.c. e art. 409 c.p.c., n. 3, nonchè dell’art. 12 preleggi.
2. Secondo la ricorrente, il
D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 2, non ha introdotto, come invece ritenuto dalla
Corte d’appello, un tertium genus di lavoro, non riconducibile nè al lavoro
coordinato senza subordinazione (previsto dall’art. 409 c.p.c., n. 3) nè alla
subordinazione in senso proprio (art. 2094 c.c.). Secondo la ricorrente, la
etero-organizzazione è già un tratto tipico della subordinazione disciplinata
nell’art. 2094 c.c., con la conseguenza che l’art. 2 cit., nel porla in
esponente, non aggiungerebbe nulla alla ricostruzione della nozione sin qui
compiuta dalla giurisprudenza, presentandosi come una sorta di norma apparente,
inidonea a produrre autonomi effetti giuridici (tesi accolta dalla decisione di
primo grado).
3. La Corte d’appello avrebbe
inoltre commesso un altro grave errore di diritto, laddove essa ha affermato
che la etero-organizzazione disciplinata dall’art. 2, in discorso consisterebbe
nel potere di determinare le modalità di esecuzione della prestazione e cioè la
possibilità di stabilire i tempi e i luoghi della prestazione. In tal modo,
secondo la ricorrente, la Corte territoriale avrebbe trascurato che l’art. 2,
richiede, ai fini della sua applicazione, che le modalità di esecuzione della
prestazione siano organizzate dal committente “anche con riferimento ai tempi e
al luogo di lavoro”. La parola “anche” del testo normativo dimostrerebbe che le
tutele del lavoro subordinato garantite dall’art. 2, richiedono non una
semplice etero-determinazione di tempi e luogo della prestazione, tantomeno in
termini di mera “possibilità”, ma “una ingerenza più pregnante nello
svolgimento della collaborazione, eccedente quindi tale etero-determinazione”
(pag. 19 del ricorso).
4. Il motivo è infondato.
5. Il D.Lgs. n. 81 del 2015, art.
2, comma 1, sotto la rubrica “Collaborazioni organizzate dal committente”, così
recita: “1. A
far data dal 1
gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro
subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in
prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità
di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e
al luogo di lavoro”.
6. Sul testo del D.Lgs. n. 81 del
2015, art. 2, e, più in generale, sul lavoro attraverso piattaforme digitali,
in specie sui riders, è intervenuto il decreto L. 3 settembre 2019, n. 101, convertito,
con modificazioni, nella L. 2 novembre 2019, n. 128. Le modifiche alla disciplina in
discorso non hanno carattere retroattivo, per cui alla fattispecie in esame
deve applicarsi il suddetto art. 2, nel testo previgente al citato recente
intervento legislativo. Quest’ultimo, in particolare, quanto dell’art. 2, comma
1, primo periodo, in discorso, sostituisce la parola “esclusivamente” con
“prevalentemente” e sopprime le parole “anche con riferimento ai tempi e al
luogo di lavoro”. Inoltre, la novella aggiunge, dopo il primo periodo, il
seguente testo: “Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche
qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante
piattaforme anche digitali”.
7. Prima di procedere all’analisi
della censura, conviene ricordare sinteticamente il regolamento contrattuale
della fattispecie, concluso sotto forma di contratti di collaborazione
coordinata e continuativa, e le modalità delle prestazioni litigiose, per come
tali elementi sono stati ricostruiti dalla Corte territoriale, che richiama la
sentenza di primo grado, e ripercorrere brevemente l’iter logico-giuridico
seguito dalla sentenza impugnata per giungere alle conclusioni oggi criticate
con il ricorso.
8. Secondo la ricostruzione della
Corte territoriale, che ha fatto propria quella del giudice di prime cure, la
prestazione lavorativa dei ricorrenti si è svolta a grandi linee nel modo
seguente: dopo avere compilato un formulario sul sito di Foodora i
controricorrenti venivano convocati in piccoli gruppi presso l’ufficio di
(OMISSIS) per un primo colloquio nel quale veniva loro spiegato che l’attività
presupponeva il possesso di una bicicletta e la disponibilità di un telefono
cellulare con funzionalità avanzate (smartphone); in un secondo momento veniva
loro proposta la sottoscrizione di un contratto di collaborazione coordinata e
continuativa e, dietro versamento di una caparra di Euro 50, venivano loro
consegnati gli indumenti di lavoro ed i dispositivi di sicurezza (casco,
maglietta, giubbotto e luci) e l’attrezzatura per il trasporto del cibo
(piastra di aggancio e box).
9. Il contratto che veniva
sottoscritto, cui era allegato un foglio contenente l’informativa sul
trattamento dei dati personali e la prestazione del consenso, aveva le seguenti
caratteristiche:
si trattava di un contratto di
“collaborazione coordinata e continuativa”;
era previsto che il lavoratore
fosse “libero di candidarsi o non candidarsi per una specifica corsa a seconda
delle proprie disponibilità ed esigenze di vita”;
il lavoratore si impegnava ad
eseguire le consegne avvalendosi di una propria bicicletta “idonea e dotata di
tutti i requisiti richiesti dalla legge per la circolazione”;
era previsto che il collaboratore
avrebbe agito “in piena autonomia, senza essere soggetto ad alcun vincolo di
subordinazione, potere gerarchico o disciplinare, ovvero a vincoli di presenza
o di orario di qualsiasi genere nei confronti della committente”, ma era
tuttavia “fatto salvo il necessario coordinamento generale con l’attività della
stessa committente”;
era prevista la possibilità di
recedere liberamente dal contratto, anche prima della scadenza concordata, con
comunicazione scritta da inviarsi a mezzo raccomandata a/r con 30 giorni di
anticipo;
il lavoratore, una volta
candidatosi per una corsa, si impegnava ad effettuare la consegna
tassativamente entro 30 minuti dall’orario indicato per il ritiro del cibo, con
la comminatoria a suo carico di una penale di 15 Euro;
il compenso era stabilito in Euro
5,60 al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali per ciascuna ora di
disponibilità;
il collaboratore doveva
provvedere ad inoltrare all’INPS “domanda di iscrizione alla gestione separata
di cui all’art. 2, comma 26, della L. 8 agosto 1995 n. 335” e la committente doveva
provvedere a versare il relativo contributo;
– la committente doveva
provvedere all’iscrizione del collaboratore all’INAIL ai sensi del D.Lgs. 23 febbraio 2000,
n. 38, art. 5;
il premio era a carico del
collaboratore per un terzo e della committente per due terzi;
– la committente – come accennato
– doveva affidare al collaboratore in comodato gratuito un casco da ciclista,
un giubbotto e un bauletto dotato dei segni distintivi dell’azienda a fronte
del versamento di una cauzione di Euro 50.
10. Quanto alle modalità di
esecuzione delle prestazioni litigiose, la gestione del rapporto avveniva attraverso la piattaforma multimediale “(OMISSIS) e un
applicativo per smartphone (inizialmente “(OMISSIS)” e successivamente
“(OMISSIS)”), per il cui uso venivano fornite da Foodora apposite istruzioni.
L’azienda pubblicava settimanalmente su (OMISSIS) le fasce orarie (slot) con
l’indicazione del numero di riders necessari per coprire ciascun turno. Ciascun
rider poteva dare la propria disponibilità per le varie fasce orarie in base
alle proprie esigenze personali, ma non era obbligato a farlo. Raccolte le
disponibilità, il responsabile della “flotta” confermava tramite (OMISSIS) ai
singoli riders l’assegnazione del turno. Ricevuta la conferma del turno, il
lavoratore doveva recarsi all’orario di inizio di quest’ultimo in una delle tre
zone di partenza predefinite ((OMISSIS)), attivare l’applicativo (OMISSIS)
inserendo le credenziali (nome dell’utilizzatore, user name, e parola d’ordine,
password) per effettuare l’accesso (login) e avviare la geolocalizzazione
(GPS). Il rider riceveva quindi sull’applicazione la notifica dell’ordine con
l’indicazione dell’indirizzo del ristorante. Accettato l’ordine, il rider
doveva recarsi con la propria bicicletta al ristorante, prendere in consegna i
prodotti, controllarne la corrispondenza con l’ordine e comunicare tramite
l’apposito comando dell’applicazione il buon esito della verifica. A questo
punto, posizionato il cibo nel box, il rider doveva provvedere a consegnarlo al
cliente, il cui indirizzo gli era stato nel frattempo comunicato tramite
l’applicazione, e doveva quindi confermare di avere regolarmente effettuato la
consegna.
11. Non ignora la Corte il vivace
dibattito dottrinale che ha accompagnato l’entrata in vigore e i primi anni di
vita del D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 2, comma 1 – dibattito che non si è esaurito
e che certamente proseguirà alla luce delle novità portate dal recente
intervento legislativo che si è ricordato – e nell’ambito del quale sono state
proposte le soluzioni interpretative più varie, soluzioni che possono
schematicamente e senza alcuna pretesa di esaustività così evocarsi:
a) una prima via, che segue
inevitabilmente il metodo qualificatorio, preferibilmente nella sua versione
tipologica, è quella di riconoscere alle prestazioni rese dai lavoratori delle
piattaforme digitali i tratti della subordinazione, sia pure ammodernata ed
evoluta;
b) una seconda immagina
l’esistenza di una nuova figura intermedia tra subordinazione e autonomia, che
sarebbe caratterizzata dall’etero-organizzazione e che troverebbe nel D.Lgs. n.
81 del 2015, art. 2, comma 1, il paradigma legale (teoria del tertium genus o
del lavoro etero-organizzato);
c) la terza possibilità è quella
di entrare nel mondo del lavoro autonomo, dove tuttavia i modelli
interpretativi si diversificano notevolmente essendo peraltro tutti riconducibili
nell’ambito di una nozione ampia di parasubordinazione;
d) infine, vi è l’approccio
“rimediale”, che rinviene in alcuni indicatori normativi la possibilità di
applicare una tutela “rafforzata” nei confronti di alcune tipologie di
lavoratori (quali quelli delle piattaforme digitali considerati “deboli”), cui
estendere le tutele dei lavoratori subordinati.
12. La via seguita dalla sentenza
impugnata è quella per cui il D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 2, avrebbe introdotto
un tertium genus avente caratteristiche tanto del lavoro subordinato quanto di
quello autonomo, ma contraddistinto da una propria identità, sia a livello
morfologico, che funzionale e regolamentare.
13. La conseguenza più
significativa dell’inquadramento proposto dalla Corte torinese è rappresentata
dall’applicazione delle tutele del lavoro subordinato al rapporto di
collaborazione dei riders. Anche in questo caso, però, la Corte territoriale
non ritiene praticabile un’estensione generalizzata dello statuto della
subordinazione, ma opta per un’applicazione selettiva delle disposizioni per
essa approntate, limitata alle norme riguardanti la sicurezza e l’igiene, la
retribuzione diretta e differita (quindi relativa all’inquadramento
professionale), i limiti di orario, le ferie e la previdenza ma non le norme
sul licenziamento.
14. Contro la sentenza della
Corte torinese i lavoratori non hanno proposto ricorso incidentale, non
insistendo così sulla loro originaria tesi principale, tendente al
riconoscimento nella fattispecie litigiosa di veri e propri rapporti di lavoro
subordinato.
15. Venendo ora all’esame del
motivo, sotto il primo profilo la doglianza censura radicalmente l’applicazione
alla fattispecie litigiosa del D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 2, comma 1, giacchè
si tratterebbe di norma “apparente”, incapace come tale di produrre effetti
nell’ordinamento giuridico.
16. Non ritiene la Corte di poter
accogliere tale radicale tesi.
17. Come è stato osservato, i
concetti giuridici, in specie se direttamente promananti dalle norme, sono
convenzionali, per cui se il legislatore ne introduce di nuovi l’interprete non
può che aggiornare l’esegesi a partire da essi, sforzandosi di dare alle norme
un senso, al pari di quanto l’art. 1367 c.c., prescrive per il contratto,
stabilendo che, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono
interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anzichè in quello
secondo cui non ne avrebbero alcuno.
18. La norma introdotta
nell’ordinamento nel 2015 va contestualizzata. Essa si inserisce in una serie
di interventi normativi con i quali il legislatore ha cercato di far fronte,
approntando discipline il più possibile adeguate, alle profonde e rapide
trasformazioni conosciute negli ultimi decenni nel mondo del lavoro, anche per
effetto delle innovazioni tecnologiche, trasformazioni che hanno inciso
profondamente sui tradizionali rapporti economici.
19. In attuazione della
delega di cui alla L. n. 183 del 2014, cui sono seguiti i decreti delegati dei
quali fa parte il D.Lgs. n. 81 del 2015, e che vanno sotto il nome di Jobs Act,
il legislatore delegato, nel citato D.Lgs., dopo aver indicato nel lavoro
subordinato a tempo indeterminato il modello di riferimento nella gestione dei
rapporti di lavoro, ha infatti affrontato il tema del lavoro “flessibile”
inteso come tale in relazione alla durata della prestazione (part-time e lavoro
intermittente o a chiamata), alla durata del vincolo contrattuale (lavoro a
termine), alla presenza di un intermediario (lavoro in somministrazione), al
contenuto anche formativo dell’obbligo contrattuale (apprendistato), nonchè
all’assenza di un vincolo contrattuale (lavoro accessorio). Per quanto attiene
allo svolgimento del rapporto, il legislatore delegato ha poi introdotto un
ulteriore incentivo indiretto alle assunzioni, innovando profondamente la
disciplina delle mansioni attraverso il D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 3, con la
riformulazione dell’art. 2103 c.c..
20. La finalità complessiva degli
interventi del Jobs Act, costituita dall’auspicato incremento dell’occupazione,
perseguita attraverso la promozione del contratto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato, è stata attuata anche attraverso l’esonero contributivo previsto
dalla legge di stabilità, la quale ha previsto questa agevolazione per un
triennio nel caso di assunzioni effettuate nel 2015 e l’esonero contributivo
del 40% per un biennio per le assunzioni effettuate nel 2016; il legislatore
delegato del 2015 è dunque intervenuto in tutte le fasi del rapporto di lavoro
con l’intento di incentivare le assunzioni in via diretta ed indiretta.
21. Anche l’abolizione dei
contratti di lavoro a progetto, la stabilizzazione dei collaboratori coordinati
e continuativi anche a progetto e di persone titolari di partite IVA e la
disciplina delle collaborazioni organizzate dal committente si collocano dunque
nella medesima prospettiva.
22. In effetti, le
previsioni del D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 2, vanno lette unitamente all’art.
52 dello stesso decreto, norma che ha abrogato le disposizioni relative al
contratto di lavoro a progetto previsto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. da 61 a 69-bis (disposizioni che
continuano ad applicarsi per la regolazione dei contratti in atto al 25 giugno 2015,
data di entrata in vigore del decreto), facendo salve le previsioni di cui all’art.
409 c.p.c.. Quindi dal 25 giugno 2015 non è più consentito stipulare nuovi
contratti di lavoro a progetto e quelli esistenti cessano alla scadenza, mentre
possono essere stipulati contratti di collaborazione coordinata e continuativa
ai sensi dell’art. 409 c.p.c., n. 3, sia a tempo determinato sia a tempo
indeterminato.
23. E’ venuta meno, perciò, una
normativa che, avendo previsto dei vincoli e delle sanzioni, comportava delle
garanzie per il lavoratore, mentre è stata ripristinata una tipologia contrattuale
più ampia che, come tale, comporta il rischio di abusi. Pertanto, il
legislatore, in una prospettiva anti-elusiva, ha inteso limitare le possibili
conseguenze negative, prevedendo comunque l’applicazione della disciplina del
rapporto di lavoro subordinato a forme di collaborazione, continuativa e
personale, realizzate con l’ingerenza funzionale dell’organizzazione
predisposta unilateralmente da chi commissiona la prestazione. Quindi, dal 1 gennaio 2016,
si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato tutte le volte in
cui la prestazione del collaboratore abbia carattere esclusivamente personale e
sia svolta in maniera continuativa nel tempo e le modalità di esecuzione della
prestazione, anche in relazione ai tempi e al luogo di lavoro, siano
organizzate dal committente.
24. Il legislatore, d’un canto
consapevole della complessità e varietà delle nuove forme di lavoro e della
difficoltà di ricondurle ad unità tipologica, e, d’altro canto, conscio degli
esiti talvolta incerti e variabili delle controversie qualificatorie ai sensi
dell’art. 2094 c.c., si è limitato a valorizzare taluni indici fattuali ritenuti
significativi (personalità, continuità, etero-organizzazione) e sufficienti a
giustificare l’applicazione della disciplina dettata per il rapporto di lavoro
subordinato, esonerando da ogni ulteriore indagine il giudice che ravvisi la
concorrenza di tali elementi nella fattispecie concreta e senza che questi
possa trarre, nell’apprezzamento di essi, un diverso convincimento nel giudizio
qualificatorio di sintesi.
25. In una prospettiva così
delimitata non ha decisivo senso interrogarsi sul se tali forme di
collaborazione, così connotate e di volta in volta offerte dalla realtà
economica in rapida e costante evoluzione, siano collocabili nel campo della
subordinazione ovvero dell’autonomia, perchè ciò che conta è che per esse, in
una terra di mezzo dai confini labili, l’ordinamento ha statuito espressamente
l’applicazione delle norme sul lavoro subordinato, disegnando una norma di disciplina.
26. Tanto si spiega in una ottica
sia di prevenzione sia “rimediale”. Nel primo senso il legislatore, onde
scoraggiare l’abuso di schermi contrattuali che a ciò si potrebbero prestare,
ha selezionato taluni elementi ritenuti sintomatici ed idonei a svelare
possibili fenomeni elusivi delle tutele previste per i lavoratori. In ogni caso
ha, poi, stabilito che quando l’etero-organizzazione, accompagnata dalla
personalità e dalla continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere
il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una
protezione equivalente e, quindi, il rimedio dell’applicazione integrale della
disciplina del lavoro subordinato.
27. Si tratta di una scelta di
politica legislativa volta ad assicurare al lavoratore la stessa protezione di
cui gode il lavoro subordinato, in coerenza con l’approccio generale della
riforma, al fine di tutelare prestatori evidentemente ritenuti in condizione di
“debolezza” economica, operanti in una “zona grigia” tra autonomia e subordinazione,
ma considerati meritevoli comunque di una tutela omogenea. L’intento protettivo
del legislatore appare confermato dalla recente novella cui si è fatto cenno,
la quale va certamente nel senso di rendere più facile l’applicazione della
disciplina del lavoro subordinato, stabilendo la sufficienza – per
l’applicabilità della norma di prestazioni “prevalentemente” e non più
“esclusivamente” personali, menzionando esplicitamente il lavoro svolto
attraverso piattaforme digitali e, quanto all’elemento della
“etero-organizzazione”, eliminando le
parole “anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”, così
mostrando chiaramente l’intento di incoraggiare interpretazioni non restrittive
di tale nozione.
28. Il secondo profilo della
doglianza in esame invita proprio questa Corte, invece, a adottare
un’interpretazione restrittiva della norma in discorso.
29. Secondo la ricorrente, come
si è detto, la Corte territoriale, affermando che la etero-organizzazione
disciplinata dall’art. 2, consisterebbe nel potere di determinare le modalità
di esecuzione della prestazione e cioè la possibilità di stabilire i tempi e i
luoghi di lavoro, avrebbe trascurato che l’art. 2, richiede, ai fini della sua
applicazione, che le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate
dal committente “anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”. La
parola “anche” del testo normativo dimostrerebbe che le tutele del lavoro
subordinato garantite dall’art. 2, richiedono non una semplice
etero-determinazione di tempi e luogo della prestazione, tantomeno in termini
di mera “possibilità”, ma “una ingerenza più pregnante nello svolgimento della
collaborazione, eccedente quindi tale etero-determinazione”.
30. Anche tale censura non può
essere condivisa.
31. La norma introduce, a
riguardo delle prestazioni di lavoro esclusivamente personali e continuative,
la nozione di etero-organizzazione, “anche con riferimento ai tempi e al luogo
di lavoro”.
32. Una volta ricondotta la
etero-organizzazione ad elemento di un rapporto di collaborazione funzionale
con l’organizzazione del committente, così che le prestazioni del lavoratore
possano, secondo la modulazione unilateralmente disposta dal primo,
opportunamente inserirsi ed integrarsi con la sua organizzazione di impresa, si
mette in evidenza (nell’ipotesi del D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 2) la
differenza rispetto ad un coordinamento stabilito di comune accordo dalle parti
che, invece, nella norma in esame, è imposto dall’esterno, appunto etero-organizzato.
33. Tali differenze illustrano un
regime di autonomia ben diverso, significativamente ridotto nella fattispecie
del D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 2: integro nella fase genetica dell’accordo
(per la rilevata facoltà del lavoratore ad obbligarsi o meno alla prestazione),
ma non nella fase funzionale, di esecuzione del rapporto, relativamente alle
modalità di prestazione, determinate in modo sostanziale da una piattaforma
multimediale e da un applicativo per smartphone.
34. Ciò posto, se è vero che la
congiunzione “anche” potrebbe alludere alla necessità che
l’etero-organizzazione coinvolga tempi e modi della prestazione, non ritiene
tuttavia la Corte che dalla presenza nel testo di tale congiunzione si debba
far discendere tale inevitabile conseguenza.
35. Il riferimento ai tempi e al
luogo di lavoro esprime solo una possibile estrinsecazione del potere di
etero-organizzazione, con la parola “anche” che assume valore esemplificativo.
In tal senso sembra deporre la successiva soppressione dell’inciso ad opera
della novella cui si è fatto più volte cenno. Del resto è stato
condivisibilmente rilevato che le modalità spazio-temporali di svolgimento
della prestazione lavorativa sono, nell’attualità della rivoluzione
informatica, sempre meno significative anche al fine di rappresentare un reale
fattore discretivo tra l’area della autonomia e quella della subordinazione.
36. Parimenti si deve ritenere
che possa essere ravvisata etero-organizzazione rilevante ai fini
dell’applicazione della disciplina della subordinazione anche quando il committente
si limiti a determinare unilateralmente il quando e il dove della prestazione
personale e continuativa.
37. Il motivo in esame non
critica dunque efficacemente le pertinenti statuizioni della sentenza
impugnata.
38. Detto questo, non ritiene la
Corte che sia necessario inquadrare la fattispecie litigiosa, come invece ha
fatto la Corte di appello di Torino, in un tertium genus, intermedio tra
autonomia e subordinazione, con la conseguente esigenza di selezionare la
disciplina applicabile.
39. Più semplicemente, al
verificarsi delle caratteristiche delle collaborazioni individuate dal D.Lgs.
n. 81 del 2015, art. 2, comma 1, la legge ricollega imperativamente
l’applicazione della disciplina della subordinazione. Si tratta, come detto, di
una norma di disciplina, che non crea una nuova fattispecie.
40. Del resto, la norma non
contiene alcun criterio idoneo a selezionare la disciplina applicabile, che non
potrebbe essere affidata ex post alla variabile interpretazione dei singoli
giudici. In passato, quando il legislatore ha voluto assimilare o equiparare
situazioni diverse al lavoro subordinato, ha precisato quali parti della
disciplina della subordinazione dovevano trovare applicazione. In effetti, la
tecnica dell’assimilazione o dell’equiparazione è stata più volte utilizzata
dal legislatore, ad esempio con il R.D. n. 1955 del 1923, art. 2, con la L. n.
370 del 1934, art. 2 e con la L. n. 1204 del 1971, art. 1, comma 1, con cui il
legislatore aveva disposto l’applicazione al socio di cooperativa di alcuni
istituti dettati per il lavoratore subordinato, nonchè con il D.Lgs. n. 626 del
1994, art. 2, comma 1 e il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 2, comma 1, lett. a), in
tema di estensione delle norme a tutela della salute e della sicurezza, e con
il D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 64, come successivamente modificato, che ha
disposto l’applicazione alle lavoratrici iscritte alla Gestione Separata
dell’INPS alcune tutele previste per le lavoratrici subordinate.
41. Non possono escludersi
situazioni in cui l’applicazione integrale della disciplina della
subordinazione sia ontologicamente incompatibile con le fattispecie da
regolare, che per definizione non sono comprese nell’ambito dell’art. 2094
c.c., ma si tratta di questione non rilevante nel caso sottoposto all’esame di
questa Corte.
42. All’opposto non può neanche
escludersi che, a fronte di specifica domanda della parte interessata fondata
sul parametro normativo dell’art. 2094 c.c., il giudice accerti in concreto la
sussistenza di una vera e propria subordinazione (nella specie esclusa da
entrambi i gradi di merito con statuizione non impugnata dai lavoratori),
rispetto alla quale non si porrebbe neanche un problema di disciplina
incompatibile; è noto quanto le controversie qualificatorie siano influenzate
in modo decisivo dalle modalità effettive di svolgimento del rapporto, da come
le stesse siano introdotte in giudizio, dai risultati dell’istruttoria
espletata, dall’apprezzamento di talemateriale effettuato dai giudici del
merito, dal convincimento ingenerato in questi circa la sufficienza degli
elementi sintomatici riscontrati, tali da ritenere provata la subordinazione;
il tutto con esiti talvolta difformi anche rispetto a prestazioni lavorative
tipologicamente assimilabili, senza che su tali accertamenti di fatto possa
estendersi il sindacato di legittimità.
43. Del resto la norma in
scrutinio non vuole, e non potrebbe neanche, introdurre alcuna limitazione
rispetto al potere del giudice di qualificare la fattispecie riguardo
all’effettivo tipo contrattuale che emerge dalla concreta attuazione della
relazione negoziale, e, pertanto, non viene meno la possibilità per lo stesso
di accertare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, secondo i criteri
elaborati dalla giurisprudenza in materia, trattandosi di un potere costituzionalmente
necessario, alla luce della regola di effettività della tutela (cfr. Corte
Cost. n. 115 del 1994) e funzionale, peraltro, a finalità di contrasto all’uso
abusivo di schermi contrattuali perseguite dal legislatore anche con la
disposizione esaminata (analogamente v. Cass. n. 2884 del 2012, sul D.Lgs. n.
276 del 2003, art. 86, comma 2,
in tema di associazione in partecipazione).
44. Il secondo ed il terzo motivo
possono essere esaminati congiuntamente, stante la loro stretta connessione.
45. Con il secondo motivo, ai
sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente deduce la violazione
e/o la falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., in
correlazione con l’art. 111 Cost.. La motivazione sarebbe caratterizzata da un
contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili. La sentenza sarebbe
giunta alla sussunzione della fattispecie concreta nell’art. 2, dopo aver
descritto le modalità di espletamento della prestazione da parte degli appellanti
in termini tali (libertà di dare la disponibilità ai turni, libertà di non
presentarsi all’inizio del turno senza previa comunicazione e senza sanzione)
da escludere alla radice l’etero-organizzazione, come poi delineata e assunta a
base della sussunzione.
46. Con il terzo motivo, proposto
ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente deduce la
violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 2, in relazione al requisito
della etero-organizzazione. L’errore che nel secondo motivo si rifletterebbe
sulla motivazione è qui denunciato direttamente come di errore di sussunzione e
dunque come violazione di legge.
47. In realtà con il secondo
motivo, pur se esso viene presentato come error in judicando, ai sensi
dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce un vizio di nullità della
sentenza, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Cass.,
SU, n. 8053 del 2014), dolendosi la ricorrente di un contrasto irriducibile tra
affermazioni della sentenza impugnata che sarebbero tra loro inconciliabili, in
particolare in relazione a due dati funzionali all’accertamento della
etero-determinazione dei tempi e dei luoghi di lavoro dalla sentenza ritenuti
decisivi, cioè, da una parte il “fattore tempo”, in particolare con riguardo
alla circostanza che, secondo la Corte di appello “Gli appellanti… lavoravano
sulla base di una “turnistica” stabilita dall’appellata” e, d’altra parte, al fattore
“luogo della prestazione”, giacchè la stessa sentenza riconosce che i
lavoratori dovevano recarsi all’orario di inizio del turno in una delle tre
zone di partenza definite ((OMISSIS)).
48. Sotto il primo profilo si fa
valere che la stessa sentenza impugnata aveva riconosciuto che, pur trattandosi
di fasce orarie predeterminate dalla società, questa non aveva il potere di
imporre ai lavoratori di lavorare nei turni in questione o di non revocare la
disponibilità data, oltre al fatto che si ammette nella sentenza della Corte
territoriale che i lavoratori erano liberi di dare la propria disponibilità per
i vari turni offerti dall’azienda, e che la stessa Corte aveva pure accertato
l’insussistenza di un potere gerarchico disciplinare da parte della società nei
confronti degli appellanti, giacchè quest’ultima non aveva mai adottato
sanzioni disciplinari a danno dei lavoratori anche se questi dopo aver dato la
loro disponibilità la revocavano (funzione swap) o non si presentavano a
rendere la prestazione (no show).
49. Sotto il secondo profilo, la
ricorrente fa valere che la possibilità per il lavoratore di recarsi in una
qualsiasi delle tre piazze indicate evidenziava che la scelta del luogo non era
imposta dalla società.
50. Come si è notato, gli stessi
elementi vengono valorizzati come vizio di sussunzione nella fattispecie
disciplinata dal D.Lgs. n. 81, art. 2, comma 1, come interpretato dalla Corte
di appello, e quindi come violazione di legge.
51. A parere della Corte le
critiche mosse con le due doglianze in esame non valgono a censurare
efficacemente la sentenza impugnata, che ha individuato l’organizzazione
impressa ai tempi e al luogo di lavoro come significativa di una specificazione
ulteriore dell’obbligo di coordinamento delle prestazioni, con l’imposizione di
vincoli spaziali e temporali emergenti dalla ricostruzione del regolamento
contrattuale e delle modalità di esecuzione delle prestazioni. In particolare,
sotto il primo profilo, valorizzando l’impegno del lavoratore, una volta
candidatosi per la corsa, ad effettuare la consegna tassativamente entro 30
minuti dall’orario indicato per il ritiro del cibo, sotto comminatoria di una
penale. Sotto il secondo profilo, dando peso alle modalità di esecuzione della
prestazione, in particolare:
– all’obbligo per ciascun rider
di recarsi all’orario di inizio del turno in una delle zone di partenza
predefinite e di attivare l’applicativo (OMISSIS), inserendo le credenziali e
avviando la geolocalizzazione;
– all’obbligo, ricevuta sulla
applicazione la notifica dell’ordine con indicazione dell’indirizzo del
ristorante, di recarsi ivi con la propria bicicletta, prendere in consegna i
prodotti, controllarne la corrispondenza con l’ordine e comunicare tramite
apposito comando della applicazione il buon esito
dell’operazione;
– all’obbligo di consegna del
cibo al cliente, del cui indirizzo il rider ha ricevuto comunicazione sempre
tramite l’applicazione, e di conferma della regolare consegna.
52. Gli elementi posti in rilievo
dalla ricorrente, se confermano l’autonomia del lavoratore nella fase genetica
del rapporto, per la rilevata mera facoltà dello stesso ad obbligarsi alla
prestazione, non valgono a revocare in dubbio il requisito della
etero-organizzazione nella fase funzionale di esecuzione del rapporto,
determinante per la sua riconduzione alla fattispecie astratta di cui al D.Lgs.
n. 81 del 2015, art. 2, comma 1.
53. Come si osservava, se
l’elemento del coordinamento dell’attività del collaboratore con l’organizzazione
dell’impresa è comune a tutte le collaborazioni coordinate e continuative,
secondo la dizione dell’art. 409 c.p.c., comma 3, nel testo risultante dalla
modifica di cui alla L. n. 81 del 2017, art. 15, comma 1, lett. a), nelle
collaborazioni non attratte nella disciplina del D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 2,
comma 1, le modalità di coordinamento sono stabilite di comune accordo tra le
parti, mentre nel caso preso in considerazione da quest’ultima disposizione
tali modalità sono imposte dal committente, il che integra per l’appunto la etero-organizzazione
che dà luogo all’applicazione della disciplina del lavoro subordinato.
54. La Corte territoriale ha
individuato gli aspetti logistici e temporali dell’etero-organizzazione,
facendo leva sulla dimensione funzionale del rapporto, e dandone conto con una
motivazione coerente, esente dal “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”
denunciato dalla ricorrente.
55. Non sussistono dunque nè il
vizio di motivazione inferiore al “minimo costituzionale” (Cass., SU, n. 8053
del 2014, cit.) nè quello di sussunzione risolventesi in violazione di legge.
56. A conclusione della disamina
dei primi tre motivi di ricorso deve osservarsi che, pur non avendo questo
Collegio condiviso l’opinione della Corte territoriale quanto alla riconduzione
dell’ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 2, comma 1, a un tertium genus, intermedio
tra la subordinazione ed il lavoro autonomo, e alla necessità di selezionare le
norme sulla subordinazione da applicare, il dispositivo della sentenza
impugnata deve considerarsi, per quanto detto, conforme a diritto, per cui la
stessa sentenza non è soggetta a cassazione e la sua motivazione deve
intendersi corretta in conformità alla presente decisione, ai sensi dell’art.
384 c.p.c., u.c., come richiesto dall’Ufficio del Procuratore Generale.
57. Non vi sono censure relative
alle altre condizioni richieste per l’applicabilità del D.Lgs. n. 81
del 2015, art. 2, comma 1, cioè
il carattere esclusivamente personale della prestazione e il suo svolgimento in
maniera continuativa nel tempo.
58. A conclusione del
ricorso, la ricorrente prospetta poi, come quarto motivo, una questione di
legittimità costituzionale dell’art. 2, in discorso se interpretato come norma di
fattispecie, come norma cioè idonea a produrre effetti giuridici e a dar vita a
un terzo genere di rapporto lavorativo, a metà tra la subordinazione e la
collaborazione coordinata e continuativa. Sotto un primo profilo la ricorrente
osserva che la delega contenuta nella L. n. 183 del 2014, avrebbe autorizzato
il legislatore delegato a riordinare le tipologie contrattuali esistenti, ma
non a crearne di nuove. Se interpretato nei termini tracciati dalla Corte
d’appello di Torino, l’art. 2, si porrebbe dunque in contrasto con l’art. 76 Cost.,
in quanto esso violerebbe i limiti posti dal legislatore delegante. Inoltre,
sotto un secondo profilo, tale lettura renderebbe l’art. 2, irragionevole e
dunque in contrasto con l’art. 3
Cost., equiparando l’riders ai
fattorini contemplati dalla contrattazione collettiva, a prescindere dalla
effettiva equiparabilità delle mansioni svolte.
59. Sotto il primo profilo, la
questione sollevata non ha più ragione di essere, avendo questa Corte ritenuto
il D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 2, comma 1, norma di disciplina e non norma di
fattispecie, dovendosi escludere che essa abbia dato vita ad un tertium genus,
intermedio tra la subordinazione ed il lavoro autonomo, per cui non può
parlarsi di eccesso di delega, ben potendo inquadrarsi la norma in discorso nel
complessivo riordino e riassetto normativo delle tipologie contrattuali
esistenti voluto dal legislatore delegante.
60. Sotto il secondo aspetto, il
Collegio non ravvisa alcun profilo di irragionevolezza nella scelta del
legislatore delegato di equiparare, quanto alla disciplina applicabile, i
soggetti di cui al D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 2, comma 1, ai lavoratori subordinati,
nell’ottica della tutela di una posizione lavorativa più debole, per l’evidente
asimmetria tra committente e lavoratore, con esigenza di un regime di tutela
più forte, in funzione equilibratrice.
61. Le questioni di
costituzionalità sollevate devono dunque ritenersi manifestamente infondate.
62. Alla luce delle
considerazioni che precedono, il ricorso è quindi complessivamente da
rigettare.
63. L’assoluta novità della
questione giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità,
ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, come modificato dal D.L. n. 132 del
2014, art. 13, comma 1, convertito, con modificazioni, nella L. n. 162 del 2014.
64. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del
2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente,
di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e
compensa le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115
del 2002, art. 13, comma 1
quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello
stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 14 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2020