Nuove frontiere dell’Economia e del Lavoro: dopo lo Smart Working arriva il Chronoworking

Si sente parlare di Chronoworking o di Crono- lavoro.

Qualcuno in maniera forse prematura intravede in questi termini una vera e propria rivoluzione per il mondo del lavoro.

Ci riferiamo al termine Chronoworking coniato dalla giornalista britannica Ellen Scott che ce lo presenta come un’evoluzione naturale del concetto di benessere sul posto di lavoro che dovrebbe accordare la prestazione con i bioritmi del lavoratore.

È forse presto per valutarne la portata e il destino soprattutto in termini così futuribili. Il concetto però va attentamente esaminato.

Ordinariamente, come sappiamo, il rapporto di lavoro si snoda e disciplina in termini di luogo e di tempo. In questo caso sarebbe operata un’importante rivoluzione.

L’autrice, come già accennato, opera un collegamento tra l’organizzazione della giornata lavorativa ed i bioritmi dei dipendenti.

Limitiamoci, per ora, a considerare il tutto come un fattore di libera organizzazione del tempo di lavoro.

Andiamo quindi a verificare l’ambito in cui si pone questo nuovo concetto di lavoro.

Se si vuole collegare il sorgere di questa tendenza a superare i rigidi termini di contenimento della prestazione lavorativa, il riferimento va al periodo post pandemico, allorquando l’organizzazione del lavoro era costantemente alla ricerca di moduli creativi per superare le difficoltà di contatto e trattenere il personale. Si proponeva così lo Smart Working, la settimana lavorativa ridotta ed altro, aprendo la strada a modelli ancora maggiormente creativi.

Lo stesso istituto del Lavoro Agile o Smart Working se rigidamente collegato agli orari di lavoro ed a regole rigide, assume un significato alquanto limitato.

Una volta sganciata la prestazione dal limite di luogo e quindi da un assiduo e costante controllo, è quasi automatico l’affidamento della stessa ad un orario verificabile, ma organizzato dal lavoratore, se non addirittura ad un semplice vincolo quantitativo e qualitativo di produzione da tradursi in un valore orario e quindi economico.

Il superamento di questi limiti sino ad oggi intrinseci alla prestazione di lavoro subordinato non ne esauriscono il concetto e pertanto si dovrà sempre parlare di rapporto di lavoro dipendente.

Essi appaiono infatti come una nuova forma di flessibilità.

Il termine flessibilità nell’ambito del lavoro evoca esperienze non sempre felici soprattutto per i prestatori di lavoro.

Dobbiamo però affrontare queste novità senza preconcetti per verificare se, ove la tipologia del lavoro lo renda possibile, l’organizzazione del tempo di lavoro affidata al dipendente non rappresenti non solo un miglioramento dell’organizzazione e della produzione, ma pure, al di là dei bioritmi, una migliore organizzazione della vita del lavoratore.

Ne dovrebbe quindi derivare una diminuzione dello stress che oggi connota molti rapporti di lavoro, consentendo ai dipendenti di lavorare in modo più equilibrato e sostenibile, aumentando la soddisfazione.

Appare evidente come una simile organizzazione del lavoro non possa coinvolgere tutte le tipologie di prestazione.

Ne risultano evidentemente esclusi tutti quei rapporti di lavoro che coinvolgono rapporti diretti con l’utenza e la clientela che ineriscono a schemi orari di contatto e presenza fisica, come pure i rapporti che presuppongono relazione di controllo e gerarchiche con altro personale.

Chiaramente la contrattazione collettiva non appare idonea a disciplinare una relazione di lavoro dove è il singolo lavoratore ad organizzare individualmente i tempi ed i modi della propria prestazione.

È altresì vero che la mancanza di una cornice di regolazione legale o collettiva potrebbe introdurre abusi e distorsioni.

Sarebbe quindi opportuno ricorrere ad una disciplina quadro di natura collettiva per poi regolare in maniera conforme gli accordi individuali.

Fabio Petracci

E’possibile nominare apposito medico competente per i lavoratori in smart working

La conferma dell’Interpello n.1/2023 del Ministero del Lavoro: è possibile nominare apposito medico competente per i lavoratori in smart working

Con istanza di interpello veniva sollevato il quesito se, considerato l’utilizzo sempre maggiore dello smart working, fosse possibile per il datore di lavoro individuare, con una apposita nomina, medici competenti diversi e ulteriori rispetto a quelli già nominati per la sede di assegnazione originaria dei dipendenti, vicini al luogo ove gli stessi dipendenti ora continuano ad operare in regime di smart working.

L’Interpello conferma che, ai sensi dell’art. 39 del d.lgs. n.81/2008, il datore di lavoro possa nominare più medici competenti, individuando tra essi un medico con funzioni di coordinamento, per particolari esigenze organizzative nei casi di aziende con più unità produttive, nei casi di gruppi di imprese nonché qualora emerga la necessità in relazione alla valutazione dei rischi.

Resta fermo che, qualora trovi applicazione la citata disposizione, ogni medico competente, verrà ad assumere tutti gli obblighi e le responsabilità in materia ai sensi della normativa vigente.

In linea generale, infine, si osserva che dovrà essere cura del datore di lavoro rielaborare il DVR con aggiornamento delle misure di prevenzione effettivamente adottate.

Coronavirus

Lavoro agile nella PA, primi risultati e indicazioni sulla gestione post – pandemia

Come è accaduto nel settore privato, così anche nel pubblico impiego si è assistito, durante l’emergenza pandemica, ad un ricorso massiccio allo smart working come modalità di esecuzione della prestazione di lavoro, che garantisse continuità del servizio salvaguardando la sicurezza dei cittadini.

Sul piano normativo, la disciplina applicata è la legge 81/2017, in quanto compatibile e fatta salva l’applicazione delle diverse disposizioni specificamente previste, in accordo con le direttive per la promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, adottate in base all’art. 14 della L. 124/2015.

Si è altresì previsto (art. 263 del D.L. 34/2020) che le pubbliche amministrazioni elaborassero entro il 31 gennaio di ciascun anno, il Piano organizzativo del lavoro agile (POLA), e che almeno il 15 per cento del personale potesse avvalersi della modalità agile per lo svolgimento della prestazione lavorativa[1].

A tal fine, il Ministro per la pubblica amministrazione ha approvato, con decreto del 9 dicembre 2020 le Linee guida che indirizzano le pubbliche amministrazioni nella redazione del suddetto Piano. I contenuti minimi richiesti sono “I) Livello di attuazione e di sviluppo del lavoro agile (da dove si parte?); II) Modalità attuative (come attuare il lavoro agile?); III) Soggetti, processi e strumenti del lavoro agile (chi fa, che cosa, quando e come per attuare e sviluppare il lavoro agile?); IV) Programma di sviluppo del lavoro agile (come sviluppare il lavoro agile?) “[2]

Quanto ai soggetti coinvolti, un ruolo fondamentale nella definizione dei contenuti del POLA è svolto dai dirigenti come promotori dell’innovazione organizzativa. Questa richiede un importante cambiamento di stile manageriale e di leadership, caratterizzato dalla capacità di lavorare e far lavorare per obiettivi, spostando l’attenzione dal controllo alla responsabilità per i risultati.

I dirigenti sono chiamati altresì a operare un monitoraggio mirato e costante, in itinere ed ex-post, basato sul raggiungimento degli obiettivi fissati e alla verifica del riflesso sull’efficacia e sull’efficienza dell’azione amministrativa.

Com’è andata

Per valutare il fenomeno sul piano quantitativo, il Dipartimento della funzione pubblica ha avviato il monitoraggio dello stato di attuazione del lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni, e a tal fine sono stati istituiti l’Osservatorio nazionale del lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni (art. 263, co. 3-bis, del D.L. 34/2020) e una Commissione tecnica di supporto (DM del 20 gennaio 2021).

L’ultimo monitoraggio disponibile risale ad aprile 2020 e costituisce una rilevazione dell’ampio utilizzo della modalità di lavoro agile durante il periodo pandemico.

L’ISTAT invece, in tempi più recenti, ha effettuato una valutazione dell’impatto della modalità di lavoro agile sulla qualità del servizio reso, misurato sulla base del grado di soddisfazione degli utenti nel periodo maggio 2020 – gennaio 2022[3].

Stando alla rilevazione, la maggioranza delle persone che si è rivolta ad un ufficio pubblico (65,2%) nel periodo preso in considerazione, non ha ravvisato cambiamenti nella qualità di almeno uno dei servizi ricevuti rispetto al periodo pre-pandemico, mentre un cittadino su quattro (25,6%), ha lamentato un peggioramento in almeno una delle circostanze in cui si è rivolto alla PA. Una quota più bassa (13%) ha notato invece un miglioramento.

Focalizzando l’attenzione su quanti si sono rivolti ad un solo ufficio pubblico, il 20,9% ha riscontrato un peggioramento, il 9,8% un miglioramento, e resta fortemente maggioritaria la quota di quanti non rilevano cambiamenti (64,8%). Il 4,5% ha avuto difficoltà a esprimere un giudizio. Tuttavia, tra quanti hanno lamentato un peggioramento, il 62,1% si è dichiarato comunque soddisfatto (a fronte del 37,9% di non soddisfatti), quindi si è tratto di un peggioramento che nella maggior parte dei casi non ha inficiato la soddisfazione degli utenti.

Ai cittadini che si sono dichiarati complessivamente insoddisfatti o hanno riscontrato un peggioramento nel servizio, sono stati proposti anche quesiti mirati a capire se le criticità riscontrate dipendessero, a loro parere, dall’adozione del lavoro a distanza e, dunque, dalla minore presenza di dipendenti negli uffici di interesse.

I rispondenti si sono distribuiti in maniera omogenea tra le opzioni date: per il 31,4% i problemi c’erano anche prima dell’adozione del lavoro a distanza, per il 31,2% il lavoro a distanza è una concausa, per il 28,6% invece il disservizio è causato esclusivamente dal lavoro a distanza. L’8,8% non è stato in grado di esprimere un’opinione in merito.

Non sono emerse differenze significative in base alle variabili socio-demografiche né in base ai canali di accesso ai servizi.

Rientro in presenza dei dipendenti pubblici

Un anno fa, con il DPCM del 23 settembre 2021, è stato sancito che, a decorrere dal 15 ottobre 2021, la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle amministrazioni pubbliche sarebbe tornata ad essere quella svolta in presenza. Le amministrazioni sarebbero comunque state chiamate ad assicurare il rispetto delle misure sanitarie di contenimento del rischio di contagio da Covid-19.

Il rientro in presenza del personale delle pubbliche amministrazioni è stato disciplinato con il decreto del Ministro per la pubblica amministrazione 8 ottobre 2021, che ha individuato le condizionalità ed i requisiti necessari per utilizzare il lavoro agile, e dalle “linee guida” che hanno ad oggetto l’obbligo di esibizione del Green pass e le modalità di controllo del rispetto di esso.

Il quadro regolatorio è stato completato dal Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale siglato a Palazzo Chigi il 10 marzo 2021, dal Contratto collettivo sottoscritto tra Aran e parti sociali il 21 dicembre 2021, che del lavoro agile nel pubblico impiego ha individuato caratteristiche, modalità, limiti e tutele.

Ai sensi della definizione data dal contratto collettivo, “Il lavoro agile di cui alla legge n. 81/2017 è una delle possibili modalità di effettuazione della prestazione lavorativa per processi e attività di lavoro, previamente individuati dalle amministrazioni, per i quali sussistano i necessari requisiti organizzativi e tecnologici per operare con tale modalità.”[4] conseguentemente, la disciplina della modalità lavorativa contiene i tratti salienti di quella applicata nel settore privato.

L’adesione al lavoro agile ha natura consensuale e volontaria ed è consentita a tutti i lavoratori, fermo restando che l’amministrazione individua le attività che possono essere effettuate in modalità agile. L’amministrazione, altresì, “avrà cura di facilitare l’accesso al lavoro agile ai lavoratori che si trovino in condizioni di particolare necessità, non coperte da altre misure.”[5]

L’accordo individuale, stipulato per iscritto ai fini della regolarità amministrativa e della prova, disciplina l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali dell’amministrazione, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro e agli strumenti utilizzati dal lavoratore, che di norma vengono forniti dall’amministrazione.

Quanto all’orario di lavoro, e al diritto alla disconnessione, si prevede che la prestazione lavorativa in modalità agile si articoli in due fasce temporali:

  1. a) fascia di contattabilità – nella quale il lavoratore è contattabile sia telefonicamente che via mail o con altre modalità similari, la cui durata non può essere superiore all’orario medio giornaliero di lavoro;
  2. b) fascia di inoperabilità – nella quale il lavoratore non può erogare alcuna prestazione lavorativa. Tale fascia comprende il periodo di 11 ore di riposo consecutivo di cui all’art. 17, comma 6, del CCNL 12 febbraio 2018 a cui il lavoratore è tenuto nonchè il periodo di lavoro notturno tra le ore 22:00 e le ore 6:00 del giorno successivo.

Viene sancito il diritto alla disconnessione; pertanto, negli orari al di fuori della fascia a), egli non è tenuto ad avere contatti con i colleghi o con il dirigente per lo svolgimento della prestazione lavorativa, a leggere e rispondere a e-mail e messaggi, a rispondere alle chiamate, ad accedere al sistema informativo dell’Amministrazione.

Per quanto riguarda i lavoratori fragili, invece, il Dipartimento della Funzione pubblica ha precisato che la flessibilità per l’utilizzo del lavoro agile per il pubblico impiego, già presente all’interno della circolare del 5 gennaio 2022, sarà disponibile anche dopo il 30 giugno 2022, per garantire ai lavoratori fragili della PA la più ampia fruibilità di questa modalità di svolgimento della prestazione lavorativa. Sarà quindi il dirigente responsabile a individuare le misure organizzative che si rendono necessarie, anche derogando, ancorché temporaneamente, al criterio della prevalenza dello svolgimento della prestazione lavorativa in presenza.

A cura della dott.ssa Laura Angeletti
Centro Studi Corrado Rossitto di UNIONQUADRI

[1] percentuale così ridotta dall’art. 11-bis del D.L. 52/2021, in luogo dell’originario 60 per cento

[2] LINEE GUIDA SUL PIANO ORGANIZZATIVO DEL LAVORO AGILE (POLA) E INDICATORI DI PERFORMANCE (Art. 14, comma 1, legge 7 agosto 2015, n. 124, come modificato dall’articolo 263, comma 4 bis, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77)

[3] Rapporto ISTAT  “CITTADINI E LAVORO A DISTANZA NELLA PA DURANTE LA PANDEMIA | MAGGIO 2020 – GENNAIO 2022”

[4] CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE DI LAVORO DEL PERSONALE DEL COMPARTO FUNZIONI CENTRALI TRIENNIO 2019 – 2021, Art. 36, comma 1

[5] CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE DI LAVORO DEL PERSONALE DEL COMPARTO FUNZIONI CENTRALI TRIENNIO 2019 – 2021, Art. 37, comma 3

2] LINEE GUIDA SUL PIANO ORGANIZZATIVO DEL LAVORO AGILE (POLA) E INDICATORI DI PERFORMANCE (Art. 14, comma 1, legge 7 agosto 2015, n. 124, come modificato dall’articolo 263, comma 4 bis, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77)

[3] Rapporto ISTAT  “CITTADINI E LAVORO A DISTANZA NELLA PA DURANTE LA PANDEMIA | MAGGIO 2020 – GENNAIO 2022”

[4] CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE DI LAVORO DEL PERSONALE DEL COMPARTO FUNZIONI CENTRALI TRIENNIO 2019 – 2021, Art. 36, comma 1

[5] CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE DI LAVORO DEL PERSONALE DEL COMPARTO FUNZIONI CENTRALI TRIENNIO 2019 – 2021, Art. 37, comma 3

parlamento europeo

Diritto alla disconnessione sul lavoro. Il parlamento europeo emette una raccomandazione.

Il Parlamento Europeo ha adottato la risoluzione del 21 gennaio 2021 relativa al diritto alla disconnessione recante raccomandazioni alla Commissione per addivenire ad una generale tutela del lavoro dai rischi di una costante connessione con i mezzi informatici dell’azienda, tale da comportare il rischio di un abnorme e pericolosa dilatazione dei tempi di lavoro.

Molteplici sono le ragioni che sostengono questa decisione.

L’invasività del lavoro è resa quanto mai attuale dalla ormai rilevante presenza dei mezzi informatici a scopi lavorativi e quindi la nascita di una cultura della connessione permanente che rende ormai difficile una definizione dell’orario di lavoro e di una giusta e proporzionata retribuzione, compromettendo l’equilibrio tra attività lavorativa e vita privata. Il documento riconosce come l’efficace registrazione dell’orario di lavoro possa contribuire al rispetto del lavoro ed a limitare gli eccessi.

Lo stesso documento ammette pure come una certa flessibilità nell’organizzazione del lavoro e l’utilizzo in maniera sicura ed adeguata di strumenti digitali a scopi lavorativi possano determinare conseguenze positive sulla salute fisica e mentale dei lavoratori.

Quindi, il Parlamento europeo invita la Commissione a valutare ed affrontare i rischi della mancata tutela di un diritto alla disconessione , invitando la Commissione medesima a presentare una proposta di direttiva sull’argomento, ricorrendo anche alla consultazione e collaborazione delle parti sociali.

L’invito del Parlamento europeo tocca anche temi connessi che possono comportare un coinvolgimento temporale ed invasivo del lavoratore come ad esempio le attività di apprendimento e formazione a distanza, auspicando come le stesse siano circoscritte nell’ambito dell’orario di lavoro, salvo adeguato compenso.

La stesso Parlamento sottolinea l’importanza di una adeguata formazione informatica per consentire ai lavoratori uno svolgimento corretto ed efficiente della prestazione.

Quindi la Raccomandazione del Parlamento europeo invoca il diritto alla disconnessione dai mezzi di lavoro da applicarsi a tutti i lavoratori e a tutti i settori, sia pubblici che privati mediante una direttiva che stabilisca condizioni minime per il diritto alla disconnessione.

A seguito della predetta direttiva, è auspicato come gli Stati membri debbano poi garantire l’istituzione di un sistema oggettivo, affidabile ed accessibile che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore, anche attraverso accordi tra le parti sociali.

Articolo 1 Oggetto e ambito d’applicazione.

1. La presente direttiva stabilisce prescrizioni minime che permettano ai lavoratori di utilizzare strumenti digitali, comprese le TIC, a scopi lavorativi e di esercitare il diritto alla disconnessione e che garantiscano il rispetto del diritto dei lavoratori alla disconnessione da parte dei datori di lavoro. Essa si applica a tutti i settori, sia pubblici che privati, e a tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro status e dalle loro modalità di lavoro.

2. La presente direttiva precisa e integra le direttive 89/391/CEE, 2003/88/CE, (UE) 2019/1152 e (UE) 2019/1158 ai fini di cui al paragrafo 1, lasciando impregiudicate le prescrizioni stabilite in tali direttive. Articolo 2 Definizioni

1. Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni: (1) “disconnessione”: il mancato esercizio di attività o comunicazioni lavorative per mezzo di strumenti digitali, direttamente o indirettamente, al di fuori dell’orario di lavoro; (2) “orario di lavoro”: l’orario di lavoro quale definito all’articolo 2, punto 1, della direttiva 2003/88/CE.

Articolo 3 Diritto alla disconnessione

1. Gli Stati membri garantiscono che i datori di lavoro prendano i provvedimenti necessari per fornire ai lavoratori i mezzi per esercitare il diritto alla disconnessione.

Gli Stati membri garantiscono che i datori di lavoro istituiscano un sistema oggettivo, affidabile e accessibile che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore, nel rispetto del diritto dei lavoratori alla vita privata e alla tutela dei dati personali. I lavoratori possono richiedere e ottenere il registro del loro orario di lavoro. Gli Stati membri provvedono affinché i datori di lavoro attuino il diritto alla disconnessione in modo equo, lecito e trasparente.

Articolo 4 Misure di attuazione del diritto alla disconnessione.

1. Gli Stati membri garantiscono che, previa consultazione delle parti sociali al livello adeguato, siano stabilite modalità dettagliate che consentano ai lavoratori di esercitare il diritto alla disconnessione e che i datori di lavoro attuino tale diritto in modo equo e trasparente. A tal fine gli Stati membri garantiscono almeno le seguenti condizioni di lavoro: (a) le modalità pratiche per scollegarsi dagli strumenti digitali a scopi lavorativi, compreso qualsiasi strumento di monitoraggio legato al lavoro; (b) il sistema per la misurazione dell’orario di lavoro; (c) valutazioni della salute e della sicurezza, comprese le valutazioni del rischio psicosociale, in relazione al diritto alla disconnessione; (d) i criteri per la concessione di una deroga ai datori di lavoro dall’obbligo di attuare il diritto dei lavoratori alla disconnessione; (e) in caso di deroga a norma della lettera d), i criteri per stabilire le modalità di calcolo della compensazione per il lavoro svolto al di fuori dell’orario di lavoro conformemente alle direttive 89/391/CEE, 2003/88/CE, (UE) 2019/1152 e (UE) 2019/1158 nonché al diritto e alle prassi nazionali. (f) le misure di sensibilizzazione, compresa la formazione sul luogo di lavoro, che i datori di lavoro sono tenuti ad adottare riguardo alle condizioni di lavoro di cui al presente paragrafo. Le deroghe di cui al primo comma, lettera d), sono previste soltanto in circostanze eccezionali, quali la forza maggiore o altre emergenze, a condizione che il datore di lavoro fornisca per iscritto a ogni lavoratore interessato le motivazioni che dimostrino la necessità di una deroga ogniqualvolta si ricorra a essa.

2. Gli Stati membri possono, conformemente al diritto e alle prassi nazionali, affidare alle parti sociali il compito di concludere accordi collettivi a livello nazionale, regionale, settoriale o di datore di lavoro che stabiliscano o integrino le condizioni di lavoro di cui al paragrafo 1.

3. Gli Stati membri provvedono affinché i lavoratori che non sono coperti da un accordo collettivo a norma del paragrafo 2 beneficino di una tutela conformemente alla presente direttiva.

Articolo 5 Tutela contro trattamenti sfavorevoli

1. Gli Stati membri provvedono affinché siano vietati la discriminazione, il trattamento meno favorevole, il licenziamento e altre misure sfavorevoli da parte dei datori di lavoro per il fatto che il lavoratore abbia esercitato o tentato di esercitare il diritto alla disconnessione.

2. Gli Stati membri garantiscono che i datori di lavoro proteggano i lavoratori, compresi i rappresentanti dei lavoratori, da qualsiasi trattamento sfavorevole e da qualsiasi conseguenza sfavorevole derivante da un reclamo presentato al datore di lavoro o da un procedimento promosso al fine di garantire il rispetto dei diritti di cui alla presente direttiva.

3. Gli Stati membri garantiscono che, quando i lavoratori che ritengono di essere stati licenziati o di aver subito un altro trattamento sfavorevole per aver esercitato o tentato di esercitare il diritto alla disconnessione presentano dinanzi a un tribunale o a un’altra autorità competente fatti idonei a far sorgere una presunzione che siano stati licenziati o abbiano subito un altro trattamento sfavorevole per tale motivo, incombe al datore di lavoro dimostrare che il licenziamento o il trattamento sfavorevole è stato basato su motivi diversi.

4. Il paragrafo 3 non osta a che gli Stati membri impongano un regime probatorio più favorevole ai lavoratori.

 5. Gli Stati membri non sono tenuti ad applicare il paragrafo 3 alle procedure nelle quali l’istruzione dei fatti spetta all’organo giurisdizionale o all’organo competente.

 6. Salvo diversa disposizione degli Stati membri, il paragrafo 3 non si applica ai procedimenti penali.

Articolo 6 Diritto di ricorso

1. Gli Stati membri provvedono affinché i lavoratori il cui diritto alla disconnessione è stato violato abbiano accesso a un meccanismo di risoluzione delle controversie rapido, efficace e imparziale e beneficino di un diritto di ricorso in caso di violazioni dei loro diritti derivanti dalla presente direttiva.

2. Gli Stati membri possono stabilire che le organizzazioni sindacali o altri rappresentanti dei lavoratori abbiano la facoltà, per conto o a sostegno dei lavoratori e con la loro approvazione, di avviare procedimenti amministrativi al fine di garantire la conformità con la presente direttiva o la sua applicazione.

Articolo 7 Obbligo di informazione Gli Stati membri provvedono affinché i datori di lavoro forniscano per iscritto a ciascun lavoratore informazioni chiare, sufficienti ed adeguate sul diritto alla disconnessione, compresa una dichiarazione che precisi i termini degli accordi collettivi o di altri accordi applicabili. Tali informazioni comprendono almeno i seguenti elementi: (a) le modalità pratiche per scollegarsi dagli strumenti digitali a scopi lavorativi, compresi eventuali strumenti di monitoraggio legato al lavoro, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera a); (b) il sistema di misurazione dell’orario di lavoro, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera b); (c) le valutazioni del datore di lavoro sulla salute e sulla sicurezza in relazione al diritto alla disconnessione, comprese le valutazioni del rischio psicosociale, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera c); (d) i criteri per la concessione di una deroga ai datori di lavoro dall’obbligo di attuare il diritto alla disconnessione e i criteri per stabilire la compensazione per il lavoro svolto al di fuori dell’orario di lavoro, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettere d) ed e); (e) le misure di sensibilizzazione del datore di lavoro, compresa la formazione sul luogo di lavoro, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera f); (f) le misure di tutela dei lavoratori contro trattamenti sfavorevoli conformemente all’articolo 5; (g) le misure di attuazione del diritto di ricorso dei lavoratori conformemente all’articolo 6.

Articolo 8 Sanzioni

Gli Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in conformità della presente direttiva o delle pertinenti disposizioni già in vigore riguardanti i diritti che rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva, e adottano tutte le misure necessarie per assicurarne l’attuazione. Tali sanzioni sono effettive, proporzionate e dissuasive. Entro … [due anni dalla data di entrata in vigore della presente direttiva], gli Stati membri notificano tali norme e misure alla Commissione e provvedono poi a dare immediata notifica delle eventuali modifiche successive.

Articolo 9 Livello di protezione 1. La presente direttiva non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di protezione riconosciuto ai lavoratori negli Stati membri.

2. La presente direttiva lascia impregiudicata la prerogativa degli Stati membri di applicare o introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori o di promuovere o consentire l’applicazione di contratti collettivi che siano più favorevoli ai lavoratori. 3. La presente direttiva lascia impregiudicato ogni altro diritto conferito ai lavoratori da altri atti giuridici dell’Unione.

Articolo 10 Relazione, valutazione e revisione del diritto alla disconnessione

1. Entro … [cinque anni dopo l’entrata in vigore della presente direttiva] e successivamente ogni due anni, gli Stati membri presentano alla Commissione una relazione contenente tutte le informazioni pertinenti sull’attuazione e l’applicazione pratiche della presente direttiva, così come indicatori di valutazione sulle pratiche di attuazione del diritto alla disconnessione, indicando i rispettivi punti di vista delle parti sociali nazionali.

 2. Sulla base delle informazioni fornite dagli Stati membri a norma del paragrafo 1, la Commissione, entro … [sei anni dopo l’entrata in vigore della presente direttiva] e successivamente ogni due anni, presenta una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’attuazione e sull’applicazione della presente direttiva e valuta la necessità di misure aggiuntive, compresa, se del caso, la modifica della presente direttiva. Articolo 11 Recepimento 1. Entro il … [due anni dopo l’entrata in vigore della presente direttiva], gli Stati membri adottano e pubblicano le misure legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva. Essi ne informano immediatamente la Commissione. Essi applicano tali disposizioni a decorrere dal … [tre anni dopo l’entrata in vigore della presente direttiva]. Le misure adottate dagli Stati membri contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di tale riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono stabilite dagli Stati membri.

2. A decorrere dall’entrata in vigore della presente direttiva, gli Stati membri provvedono a comunicare alla Commissione, in tempo utile perché questa possa presentare le proprie osservazioni, qualsiasi progetto di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative che intendano adottare nel settore disciplinato dalla presente direttiva.

3. Conformemente all’articolo 153, paragrafo 3, TFUE, gli Stati membri possono affidare alle parti sociali l’attuazione della presente direttiva, su loro richiesta congiunta, a condizione che garantiscano il rispetto della presente direttiva.

 Articolo 12 Dati personali I datori di lavoro trattano i dati personali di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettere a) e b) della presente direttiva soltanto ai fini della registrazione dell’orario di lavoro del singolo lavoratore. Essi non trattano tali dati per altri fini. I dati personali sono trattati conformemente al regolamento (CE) n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio1 e alla direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio2 . Articolo 13 1 Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (GU L 119 del 4.5.2016, pag. 1).

2 Direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche) (GU L 201 del 31.7.2002, pag. 37). Entrata in vigore La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. Articolo 14 Destinatari Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva. Fatto a …, Per il Parlamento europeo Per il Consiglio Il presidente Il presidente

Un orario di lavoro “smart”: lo smart time

Una forma di flessibilità a favore di aziende e lavoratori inserita nel contratto di Assopostale con CIU Unionquadri.

Il commento è di Fabio Petracci e Alberto Tarlao del Centro Studi Corrado Rossitto di Ciu – Unionquadri.

L’organizzazione del lavoro è in continua evoluzione: oltre al lavoro agile, la cui finalità principale è quella di garantire una migliore conciliazione dei tempi di vita e lavoro ed aumentare la produttività del lavoratore, un ulteriore possibile strumento di flessibilità all’interno del rapporto di lavoro potrebbe essere quello della formulazione di un contratto di lavoro con applicazione di un orario agile o “smart time”.

Di fronte a forme di flessibilità dettate principalmente dall’interesse dell’impresa a restringere i costi e ad affrontare la concorrenza, aumentando spesso la precarietà, avanzano pure forme di flessibilità volte anche a migliorare i tempi di vita delle lavoratrici e dei lavoratori. Il primo esempio viene dal lavoro agile connotato da flessibilità nell’orario e nel luogo della prestazione, il secondo, di natura esclusivamente contrattuale e diremmo sperimentale, come vedremo, deriva da una sostanziale combinazione del part time verticale con il lavoro a chiamata.

CIU Unionquadri organizzazione sindacale operante nell’ambito delle nuove professionalità, nonché dei quadri, e dei ricercatori assieme ad altre organizzazioni sindacali, assieme ad Assopostale hanno siglato il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per la Distribuzione delle Merci, la gestione multifase della Logistica e dei Servizi Privati, disciplina settori quali il ritiro, la consegna, trasporto, gestione immagazzinamento e deposito (merci, prodotti, pacchi, alimentari, cibo, posta), volantinaggio, consegna di cataloghi pubblicitari e distribuzione giornali; la prestazione di hostess e steward, ed altre prestazioni affini della logistica e del terziario.

Nel campo della logistica, affiorano professionalità innovative, ma instano anche posizioni ad elevata precarietà e rischio di sfruttamento come ad esempio il personale incaricato della consegna di merci di beni di qualunque titolo.

Si è così voluto introdurre, come già accennato, uno strumento contrattuale idoneo di fornire alle prime un ambito di libertà organizzativa ed alle seconde, nel rispetto della particolarità dei tempi di lavoro, la sicurezza di un regolare contratto di lavoro tutelato dalla contrattazione collettiva.

In pratica al lavoratore, assunto con contratto a tempo indeterminato, è assegnato un monte orario che non copre l’intero orario contrattuale “normale” (40 ore settimanali) disciplinato secondo schemi concordati in precedenza con il datore di lavoro per fronteggiare eventuali picchi di attività.

Si tratta quindi della combinazione della normativa in materia di lavoro a tempo parziale con quella del lavoro a chiamata.

Vengono riprese infatti, alcune caratteristiche del lavoro a tempo parziale: in particolare, il riferimento va al part – time c.d. “verticale”, in quanto il dipendente lavorerebbe esclusivamente nel corso di alcune giornate in uno spazio temporale settimanale, mensile o annuo.

Di conseguenza, viene stabilito il numero di ore che il dipendente è tenuto a svolgere, senza tuttavia predeterminare con precisione la collocazione oraria della prestazione lavorativa, garantendogli nel contempo una forma contrattuale a tempo indeterminato, in grado di consentire anche lo svolgimento di altra prestazione che non presenti aspetti di concorrenzialità con l’impresa e di affrancare il dipendente da un collegamento troppo stretto con le eventuali vicende negative della propria azienda.

Il lavoro a chiamata (o lavoro intermittente) è quell’istituto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi, anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno.

Appare rilevante richiamare in questa sede che il contratto di lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore a quattrocento giornate di effettivo lavoro nell’arco di tre anni solari. In caso di superamento del predetto periodo il relativo rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato.

Ancora, qualora si desideri imporre al lavoratore l’obbligo di rispondere alla chiamata (c.d. disponibilità) gli deve essere riconosciuta un’indennità pari ad almeno il 20% della paga oraria.

Si è quindi voluto inserire nel nuovo contratto collettivo stipulato tra Assopostale – CIU Unionquadri ed altre organizzazioni sindacali una specifica norma contrattuale che stabilisce l’ammissibilità del cosiddetto Smart Time e che in sintesi viene così elaborata:

“Smart time”Il contratto definito “Smart Time” è un contratto a tempo indeterminato a part time verticale con un orario massimo pari a ________ ore annue.

La prestazione può essere delimitata ad un periodo dell’anno definito dalle parti all’inizio dell’anno medesimo e si svolgerà nell’ambito e con i limiti dell’orario di lavoro definito dalla legge e dal contratto.

La chiamata potrà avvenire anche al di fuori del periodo programmato ed in tal caso non sussisterà per il lavoratore l’obbligo di aderirvi.

Questa formula contrattuale può essere adottata per esigenze aziendali di carattere sostitutivo o organizzativo o in periodi temporali predeterminati caratterizzati da punte lavorative o in periodi di festività.

Il contratto definito Smart Time non esclude l’applicazione in detti casi del ricorso al lavoro a chiamata per le causali sopra indicate e nei limiti di legge”.

Una prima applicazione del contratto definito Smart Time è, come si è detto, contenuta nel contratto collettivo stipulato da Assopostale che assicura a categorie sino ad oggi altamente precarizzate un rapporto di lavoro che sebbene ad orario limitato, assicura un contratto a tempo indeterminato con la possibilità di trasformazione a tempo pieno.

Ma, precisa CIU Unionquadri una simile forma contrattuale potrebbe indurre anche le piccole e medie aziende ad assumere consulenti, ricercatori ed alte professionalità, limitando il loro impegno economico e consentendo a questi ultimi ampi spazi di libertà temporale per integrare i loro compensi.

Il Fondo per le nuove competenze. Come ridurre l’orario di lavoro, facendo formazione.

Il fondo nuove competenze è stato istituito con il DL Rilancio n.34/2000 il quale prevede che imprese e sindacati mediante la contrattazione collettiva territoriale o aziendale possano rimodulare l’orario di lavoro , destinando parte dello stesso a percorsi formativi.

La norma è stata emanata al fine di consentire la graduale ripresa delle attività lavorative in conseguenza della pandemia.

Gli oneri delle ore di formazione ed i relativi ed i relativi contributi sono posti a carico di ANPAL.

I programmi sono aperti ai Fondi Paritetici Interprofessionali costituiti in base all’articolo 118 della legge 388/2000.

E’ in corso con il decreto di agosto il finanziamento del provvedimento e l’emanazione del relativo decreto interministeriale di attuazione.

6 settembre 2020.

Fabio Petracci.

Orario di lavoro come in Finlandia?

Riduzione dell’orario di lavoro e Lavoro agile due facce della stessa medaglia.

Si torna a parlare di riduzione dell’orario di lavoro quale antidoto alla disoccupazione spesso indotta anche dall’utilizzo di strumenti tecnologici in grado di rendere superfluo l’intervento umano.

La questione già da qualche anno era affiorata nel panorama politico nazionale.

Sul punto è intervenuto l’approfondimento ed il parere favorevole del giuslavorista professor Piergiovanni Alleva, nonché del neo presidente dell’INPS Pasquale Tridico. E’ stato inoltre presentato un progetto di legge in parlamento nel 2017.

Si ipotizza in proposito una riduzione di orario a parità di retribuzione compensata da uno sgravio IRPEF per i lavoratori che l’accettano.

In questo modo, si renderebbero possibili della nuove assunzioni.

Non va dimenticato che in Italia, nonostante l’alto numero di ore lavorate, non si registra un aumento del PIL o della produttività.

La proposta è tornata attuale in questi ultimi giorni, in quanto il premier finlandese Sanna Marin ha proposto nel proprio paese la riduzione dell’orario di lavoro da 6 a 4 ore quotidiane.

La Finlandia non è nuova ad iniziative che hanno ad oggetto l’orario di lavoro, in quanto già vige il Working Hours Pact che prevede una flessibilità di tre ore in entrata ed in uscita.

In Svezia, una notevole riduzione dell’orario di lavoro è attuata presso la Toyota di Goteborg.

Di fronte ad un ipotesi da tenere in sicura considerazione, non va sottovalutato come il lavoro umano non presenti sempre le stesse caratteristiche.

Di fronte a professioni e prestazioni che ben possono concentrarsi in un minor impegno orario, ve ne sono altre che involgono attività di studio, di relazioni umane, di ricerca, la cui durata è difficilmente programmabile e contenibile in limiti rigidi.

In questo caso, non tanto una rigida riduzione dell’orario, quanto piuttosto la liberazione del lavoratore dal vincolo di orario nel rispetto di obiettivi potrebbe rappresentare la giusta soluzione.

La questione così posta trovava già eco nelle dichiarazioni rese dall’allora Ministro del Lavoro Poletti il 27 novembre 2015 presso l’Università LUISS dove il ministro dichiarava la misurazione ora – lavoro come un attrezzo vecchio e frenante rispetto ad aspetti di innovazione. Negava il ministro di fronte alle reazioni non favorevoli del sindacato e, in data 2 dicembre 2015, tornava sull’argomento, negando di aver fatto riferimento al cottimo ed evidenziando come il tema necessitava di essere affrontato a livello europeo.

In effetti poco dopo, la legge 81 del 22 maggio 2017 introduceva il cosiddetto Lavoro Agile o Smart Working che comporta la possibilità del lavoratore di collocare almeno parte della propria prestazione da remoto ed in tempi da lui ritenuti e comunque utili agli obiettivi prefissati.

Per questo motivo, una riduzione dell’orario di lavoro per molte professionalità ben può accompagnarsi ad una liberalizzazione dell’orario per altre.

Fabio Petracci.

Orario di lavoro libertà o rigidità – il problema dei quadri e delle alte professionalità

Un intervento del Ministro del Lavoro Poletti apparentemente non collegato a tematiche indifferibili, ha suscitato numerose polemiche sul fronte sindacale. Esso lascia ampi interrogativi anche per gli addetti alla materia i quali, lungi da posizioni preconcette, cercano di collocare l’intervento in un quadro logico. Da un lato si tocca il delicato tema dell’orario di lavoro, dall’altro si ipotizza una diversa struttura della prestazione e quindi del contratto e della retribuzione.

Per tale motivo, l’intervento ha suscitato qualche interesse, qualche polemica, ma al di là di questo potrebbe anticipare qualche cambiamento anche a lungo termine nell’ambito del lavoro.

Le dichiarazioni del ministro se lette attentamente paiono anticipare l’introduzione di forme di lavoro definite subordinate o a cui si applica la normativa del lavoro subordinato, ma che si differenziano dal lavoro tradizionale per il contenuto di autonomia da cui sono caratterizzate.

Mi riferisco alle recenti riforme del lavoro concretizzatesi nel jobs act che trovano attuazione nel DLGS 81/2015 nel cui ambito prestazioni professionali al limite della subordinazione, ma che non sempre sono destinate a dissimulare la stessa, saranno trasformate in rapporti di lavoro subordinato o comunque disciplinate dalla normativa del lavoro.

Il forte contenuto di autonomia di alcune prestazioni potrebbe far venir meno la stretta correlazione ore di lavoro e retribuzione, a favore di quella retribuzione e qualità o retribuzione e prodotto.

Già per quanto riguarda dirigenti e quadri, l’orario di lavoro appare una variabile non sempre correlata alla retribuzione.

Sappiamo che per queste categorie non valgono i limiti di legge all’orario di lavoro, e non dovrebbero valere, anche se ciò non accade i corrispettivi obblighi di orario.

Torniamo per il momento alle opinioni espresse dal Ministro per valutarle ormai “a freddo” dopo un certo lasso di tempo e dopo l’intervento di un ulteriore riforma del lavoro. .

1.L’opinione espressa dal ministro.

Il 27 novembre il Ministro Poletti, intervenendo all’Università LUISS, ha dichiarato che sarebbe necessario immaginare un contratto che non abbia come unico riferimento l’ora-lavoro, ma la misurazione dell’apporto dell’opera. La misurazione ora-lavoro è un attrezzo vecchio, aggiunge il ministro, e frena rispetto ad elementi di innovazione. La reazione, soprattutto da parte dei sindacati, è stata immediata: in particolare, il segretario generale della Cgil Susanna Camusso ha obiettato che molte persone svolgono dei lavori faticosi, per cui l’orario di lavoro è una garanzia fondamentale per la salvaguardia della loro salute.

l 2 dicembre il Ministro Poletti è tornato sulla questione, affermando che la riflessione su un’eventuale modifica dell’orario di lavoro non è meramente personale o di livello nazionale, ma si tratta invece di un argomento allo studio affrontato sia a livello europeo che mondiale. Il Ministro ha proseguito dicendo che forme e modalità di un’eventuale riforma devono essere studiate e discusse; ha successivamente negato di aver fatto riferimento al cottimo, sottolineando invece il suo riferimento ad una partecipazione attiva e responsabile del lavoratore alla propria attività di lavoro.(Fonte: http://video.repubblica.it/economia-e-finanza/poletti-e-le-polemiche-sull-orario-di-lavoro-mai-pensato-di-tornare-al-cottimo/220648/219847 ). Partiremo dall’attuale disciplina dell’orario di lavoro che già è stata in tempi non lontani, oggetto di interventi legislativi comunitari e nazionali.

Non vi è dubbio che allo stato, l’elemento di misurazione della prestazione subordinata è ancora il tempo. Aggiungo che ciò appare naturale dal momento che è insito nel concetto di subordinazione, mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie capacità psicofisiche.

Ne risulta che, la misurazione della prestazione in un ambito temporaneo appare quella contrattualmente più coerente. Da un lato, il lavoratore non potrebbe mettere a disposizione forze ed energie per un tempo indefinito, se non violando i canoni della nostra Costituzione, dall’altro, la direzione dell’attività che compete al datore di lavoro pone a carico di quest’ultimo l’organizzazione dei tempi di prestazione, così come pure del luogo.

La normativa comunitaria pone regole abbastanza precise in tema di orario di lavoro e di distribuzione della prestazione nell’ambito temporale. La Direttiva 93/104/CE del Consiglio, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, all’articolo 2 prevede che per “orario di lavoro” si intende: qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali.

L’articolo 6 dispone che, in funzione degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, la durata settimanale del lavoro sia limitata mediante disposizioni legislative, regolamentari o amministrative oppure contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali.

Tuttavia, a ben osservare, essa in diversi punti in qualche modo contiene il germe per il superamento del rigido computo dell’orario giornaliero come base della prestazione.

La direttiva CE infatti, come pure la legge nazionale che fa seguito con il DLGS 66/2003 introduce un computo multi periodale dell’orario di lavoro in base alla durata media dello stesso.

In sostanza, la legge pone dei limiti di durata dei tempi di lavoro che si traducono in 48 ore settimanali, e in 11 ore di sosta tra una prestazione giornaliera e l’altra.

Ne permette però, tramite la contrattazione collettiva, il superamento qualora in un periodo massimo di tempo che può arrivare sino a 12 mesi, tramite una sorta di media, i limiti possano dirsi rispettati.

Vi è un ulteriore aspetto del rapporto di lavoro, laddove la rigida bilateralità orario e retribuzione, viene almeno in parte meno.

Mi riferisco all’orario dei dirigenti, dei quadri e del personale direttivo. Già l’articolo 3 del RD n.1955 del 1923 all’articolo 3 escludeva i dirigenti ed il personale direttivo tutto dall’applicazione della normativa in tema di limitazione all’orario di lavoro.

Di seguito, la legge 22.2.1934 n.370 escludeva i preposti dalla normativa in tema di riposo settimanale.

Quindi era emanato il DLGS 66/2003 cui abbiamo accennato ed esso è la normativa attualmente in vigore in materia di orario di lavoro.

Leggiamo quindi all’articolo 17 comma 5 del DLGS che le disposizioni in materia di limitazione dell’orario di lavoro non si applicano ai lavoratori la cui durata dell’orario di lavoro , a causa delle caratteristiche dell’attività esercitata, non è misurata o predeterminata o può essere determinata dai lavoratori stessi e in particolare quando si tratta: a) di dirigenti, di personale direttivo delle aziende o di altre persone aventi potere di decisione autonomo.

Leggendo il dato testuale, sarei portato a concludere che l’elemento necessario e sufficiente per l’applicazione della deroga sia la possibilità per il lavoratore di poter determinare il proprio orario di lavoro. Nella pratica quotidiana, ciò non accade spesso e quindi, a differenza che per il dirigente, soprattutto di livello elevato, il quadro o il direttivo finisce per avere un orario rigido o quasi e a non vedersi retribuito lo straordinario.

E’ interessante richiamare una non lontana sentenza della Corte di Cassazione (Sezione Lavoro 13.6.2008 n.16041) la quale intervenendo in materia, chiamata a decidere in merito all’orario di lavoro di un quadro dipendente da una casa automobilistica che regolarmente partecipava a fiere nonostante ciò non rientrasse nei suoi compiti, come per tali prestazioni allo stesso spettassero gli straordinari.

La Corte nel riconoscergli il diritto allo straordinario, testualmente così afferma: Non gli applica perciò la norma del R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692, art. 23, convertito in L. 17 aprile 1925, n. 473 , secondo cui la normativa sui limiti dell’orario normale di lavoro non si applica al personale direttivo delle aziende.Nè gli si applica la L. 22 febbraio 1934, n. 370, art. 1, n. 4, che menziona, tra le singole ipotesi di esenzione dal riposo settimanale, il “personale preposto alla direzione tecnica od amministrativa di una azienda ed avente diretta responsabilità nell’andamento dei servizi”: il signor E. non era preposto alla direzione dell’azienda, e non aveva responsabilità diretta nell’andamento dei servizi, considerati nella loro globalità.

Dunque una pronuncia non eccessivamente datata non successivamente emendata da altre decisioni dello stesso livello pone rilevanti limiti all’eccezione per i quadri dall’applicazione della normativa in tema di orario massimo di lavoro.

Il rapporto stretto ore di lavoro e retribuzione non trova neppure applicazione in un’altra fattispecie che potremmo definire a subordinazione attenuata come nel caso del lavoro a domicilio.

Dunque dove vengono meno i riferimenti di luogo e di tempo della prestazione, è quanto mai difficile ancorarvi l’assetto retributivo. Da qui il sorgere di numerose problematiche cui solo la contrattazione collettiva dedicata a specifiche professionalità potrà porre rimedio.

Con l’emergere della possibilità di superare il binomio orario – retribuzione,, si salda in qualche modo un progetto di legge destinato a diventare legge tra breve tempo.

Trattasi del disegno di legge 2233 del 2016 che oltre ad introdurre una disciplina innovativa per quanto attiene al lavoro autonomo e parasubordinato, tocca anche l’ambito del lavoro dipendente, con una fattispecie di prestazione (lavoro agile) caratterizzata da connotati di ampia autonomia soprattutto sotto l’aspetto del tempo e del luogo della prestazione.

Ci riferiamo al cosiddetto lavoro agile del quale indicheremo alcuni tratti. La disciplina del lavoro agile – secondo quanto si legge nella relativa proposta di legge , ha lo scopo di incrementare la produttività del lavoro e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Il progetto di legge identifica le caratteristiche del c.d. “lavoro agile”, la prestazione che deve essere svolta in parte all’interno dei locali aziendali e con i soliti vincoli di massima che derivano dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

Ciò significa in pratica che, una volta uscito dall’ambiente di lavoro, il lavoratore non è tenuto a rispettare non solo l’orario, ma neppure l’organizzazione dei tempi di lavoro per cui in qualche modo, egli si vincola, almeno in parte e principalmente al risultato della prestazione. Di norma, si tratterà di lavori svolti per il tramite di postazioni tecnologiche e ad ampia autonomia.

Di massima si intendono prestazioni dovute da personale con inquadramento medio alto.

E’ questa una tipologia di lavoro che può ampiamente interessare l’area dei quadri.

La disciplina di legge appare forse volutamente generica a favore probabilmente di una definizione contrattuale in sede collettiva, ma in parte anche collettivo – aziendale e pure individuale.

Il tutto potrebbe trovare risposta in un contratto collettivo nazionale o aziendale ideato per le alte professionalità.

Le parti sarebbero così indotte se non costrette a ricercare altri indici misuratori della prestazione, così valorizzando la professionalità richiesta e le caratteristiche della prestazione.

In tale ambito potrebbe trovare una concreta definizione anche il tema dell’orario di lavoro delle categorie direttive e ad elevata professionalità. Trattasi infatti di una disciplina che facilmente si presta ad interpretazioni del tutto equivoche che da un lato finiscono per imporre comunque un rigido orario di lavoro anche ai capi e d’altro canto non garantisce loro lo straordinario.

Una simile situazione potrebbe trovare definizione contrattuale nei casi di prestazioni ad ampia autonomia dove la contrattazione potrebbe definire delle fattispecie più o meno avanzate di lavoro agile e nel contempo stabilire una disciplina dell’orario e della sua retribuzione per il restante personale direttive cui risulta difficile l’applicazione di un contratto di lavoro anche in parte legato al risultato.

Fabio Petracci.