Alte professionalità

Legge di bilancio 2024 e nuovo CCNL Funzioni Centrali. Le novità per il pubblico impiego. Cancellati gli incarichi per le Elevate Professionalità?

  1. In generale il tema delle elevate professionalità e dei quadri nella Pubblica Amministrazione.

Collegata al tema del rinnovamento della nostra Pubblica Amministrazione è l’individuazione di un’area di dipendenti caratterizzata da una spiccata professionale e di un altrettanto spiccata specializzazione.

La riforma cosiddetta “privatizzazione” avviata agli inizi degli anni 90 aveva riposto le proprie aspettative nell’area ben individuata della dirigenza cui faceva da contraltare una vasta e generica area non dirigenziale suddivisa in tre aree professionali e disciplinata da un unico contratto collettivo.

  1. Il DL 80/2021.

Con la pandemia e con la necessità di ottemperare agli importanti impegni connessi all’ attuazione del PNRR, era sentita la necessità di una Pubblica Amministrazione ampliamente professionalizzata non solo nei vertici e pronta a recepire le nuove tecnologie.

Era così emanato il DL 44/2021 poi convertito in legge che arrecava notevoli innovazioni anche in funzione emergenziale connessa alla pandemia e che introduceva, innovando la materia concorsuale,  dei principi di selezione in funzione di accrescimento e rinnovamento della professionalità di fronte ai rilevanti impegni connessi all’attuazione del PNRR.

Successivamente con l’emanazione del DL 9.6.2021 n.80, titolato   “Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia.” Era messa mano proprio all’obiettivo della professionalizzazione della Pubblica Amministrazione.

A differenza del precedente DL 44/2021, questa volta lo spunto all’efficienza non veniva dall’emergenza pandemica, ma dal piano nazionale PNRR che per essere attuato abbisogna di risorse oggetto di particolare selezione, destinate quindi ad inserirsi una volta compiuta la missione assegnata, nell’organico della pubblica amministrazione, in un ambito apicale destinato a prendere corpo per dar vita ad una classe di pubblici dipendenti non dirigenti, ma ad alta qualificazione.

Il provvedimento avviava numerosi interventi in materia di assunzioni innovando in tema di contratti di formazione e lavoro, apprendistato, rilievo nelle procedure assuntive del dottorato di ricerca, assunzioni specifiche di personale ad elevata specializzazione.

Ma, per quanto qui d’interesse, importanti interventi riguardano l’inquadramento del personale pubblico e le progressioni di carriera con significative modifiche all’articolo 52 del DLGS 165/2001.

Erano infatti codificate nell’ambito dell’articolo 52 del DLGS 165/2001 (inquadramento e mansioni) le aree di inquadramento del personale che ammontano a tre, oltre ad una quarta area da definirsi per il tramite della contrattazione collettiva e che riguarderà il personale ad alta professionalità non dirigente, quello che potrebbe intendersi un’area quadri.

  1. Nella contrattazione collettiva.

La contrattazione collettiva della Amministrazioni Centrali faceva propri questi principi.

Quivi, l’articolo 13 articolava l’inquadramento del personale in quattro aree, riservando la quarta area alle elevate professionalità.

Il successivo allegato A conteneva la definizione professionale (declaratoria) dell’area delle Elevate Professionalità.

Al successivo articolo 15 (Posizioni organizzative e professionali) era previsto come nell’ambito dell’area dei funzionari potevano essere conferiti incarichi di natura organizzativa e professionale che, pur rientrando nell’ambito delle funzioni di appartenenza, richiedessero lo svolgimento di compiti di maggiore responsabilità e professionalità, anche implicanti iscrizione ad albi professionali, per i quali è attribuita una specifica indennità di posizione organizzativa.

Il successivo articolo 16 (Incarichi al personale dell’area EP) prevedeva invece l’attribuzione generale di specifici incarichi al personale dell’area EP ad elevato contenuto professionale ed autonomia decisionale con durata minima di un anno e massima di tre anni.

Con il nuovo CCNL 2022/2024 è introdotto l’articolo 17 che modifica ed espressamente abroga il predetto articolo 15 innovando taluni punti in tema di posizioni organizzative da conferire agli appartenenti all’area dei funzionari.

Sparisce invece nel testo redatto dall’ARAN e definito “Ipotesi di Contratto Collettivo di Lavoro del Comparto Funzioni Centrali Triennio 2022 – 2024 il testo del menzionato articolo 16 (Incarichi al personale dell’area EP) contratto collettivo 2019 – 2021.

Ci si chiede a questo punto, se si tratti di un semplice problema di redazione e coordinamento del nuovo contratto o se, invece, l’articolo 16 sia stato tacitamente abrogato, riconducendo così l’area delle Elevate Professionalità al regime delle Posizioni Organizzative di cui al nuovo articolo 17.

  1. Nella legge di bilancio 2025.

Sul punto si impone qualche riflessione volta a chiarire i dubbi in merito ad un eventuale “depotenziamento” all’introduzione dell’area delle Elevate Professionalità.

In tema, la legge di bilancio per il 2025 che impone un limite al turn over pari al 75% della spesa del personale di ruolo cessato nell’anno precedente, oltre alla possibilità di trattenimento in servizio del personale che lo richieda sino al settantesimo anno di età, inducono a ritenere compromessa l’immissione di giovani generazioni nella pubblica amministrazione e l’assunzione di personale da inserire nell’area delle elevate professionalità (EP).

Per reperire in tale ambito le risorse al fine di implementare l’area delle Elevate Professionalità, sarebbe opportuna la riduzione di una parte delle posizioni dei posti vacanti dei dirigenti di seconda fascia, indirizzando così le risorse reperite verso l’area delle elevate professionalità. In tal modo, per ogni dirigente in meno, si potrebbero assumere due super esperti da inserire nella quarta area.

Inoltre tale misura contenuta nella legge di bilancio 2025 e relativa alla capacità assunzionale viene ad interferire sulla programmazione delle assunzioni in corso (PIAO) stante anche l’assenza di un diritto transitorio.

La norma non presenta collegamento alcuno con la programmazione del personale ed inoltre numerosi concorsi indetti nel 2024 sono destinati a concludersi nel 2025. In tal senso andrebbe comunque adottata una disciplina transitoria.

Fabio Petracci

Legge di bilancio 2025: luci ed ombre oltre che zone grigie.

Il DDL è entrato in Commissione Bilancio alla Camera.

Come CIU UNIONQUADRI, data anche la vastità del provvedimento, toccheremo quegli aspetti che involgono l’interesse dei lavoratori intesi in primo luogo come quadri, alte professionalità e ceto medio.

  1. Taglio del cuneo fiscale

Toccheremo in primo luogo la misura fiscale di carattere generale che riguarda il taglio del cuneo fiscale.

Notiamo con favore che essa è destinata a trasformarsi in misura strutturale.

Essa ora è stata estesa ai redditi sino ai 40.000 euro , ma con delle percentuali destinate a calare in funzione dei redditi superiori.

Compatibilmente con l’andamento dei conti pubblici ed altre forme di risparmio, vediamo con favore ogni estensione di questa misura.

Diventa strutturale anche l’accorpamento su tre scaglioni delle aliquote IRPEF.

Quivi è prevista una tassazione pari al 23% fino a 28.000 euro, 28.000-50.000 euro 35%, oltre 50.000 euro siamo al 43%.

La riduzione al 43% per i redditi medio alti è compensata dall’esclusioni di questi redditi da talune detrazioni.

Quindi, diviene strutturale l’accorpamento su tre scaglioni come elemento non trascurabile di semplificazione con pochi altri mutamenti di nostro interesse.

Altre misure riguardano ulteriori strette sulle detrazioni per chi supera i 75 mila euro destinate ad attenuarsi secondo il numero di figli.

In sostanza favorevoli al mantenimento strutturale della misura, auspichiamo ogni ulteriore misura atta ad attenuare la pressione fiscale sul ceto medio, senza naturalmente penalizzare le categorie più basse.

Riteniamo inoltre che provvedimenti di riduzione fiscale (detrazioni) dovrebbero riguardare non solo le famiglie in relazione al numero dei figli, ma anche i genitori anche singoli monoreddito con figli a carico (a prescindere dal numero degli stessi).

  1. Misure concernenti le retribuzioni.

E’ prorogata la riduzione al 5% dell’aliquota dell’imposta sostitutiva sulle somme erogate sotto forma di premi di risultato o di partecipazione agli utili di impresa.

La misura viene valutata positivamente.

Sulla partecipazione dei lavoratori agli utili d’impresa ed alla gestione di quest’ultima, auspichiamo più coraggiosi interventi.

Facilitazioni in forma di benefits riguardano i neo assunti con un reddito non superiore a 35.000 euro  dal 1 gennaio 2025 al 31 dicembre 2025 che debbano affrontare trasferimenti superiori ai 100 chilometri con detassazione delle somme pagate a titolo di locazione per un massimo di 5.000 euro annui.

La misura potrebbe garantire un minimo di sostegno alle professionalità interessate anche per loro natura. alla mobilità.

Altre riduzioni seppure in maniera ridotta riguardano la tassazione di benefits per consumi domestici di altri lavoratori.

Si auspica che la misura concernente i neo assunti nell’anno in corso sia destinata a stabilizzarsi sino a ricomprendere tutti i lavoratori interessati a fenomeni di mobilità professionale.

Sul punto, valutiamo positivamente ogni forma di riduzione fiscale sui compensi destinati a premiare la professionalità ed il raggiungimento di obiettivi.

In merito al coinvolgimento dei lavoratori nella gestione aziendale, ricordiamo come l’articolo 45 della Costituzione stabilisca il principio della partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale.

Ricordiamo come l’articolo 4 della legge 92/2012 conteneva una delega per il governo a realizzare un tanto. La delega in realtà decadde per il mancato intervento del Governo.

Auspichiamo altresì che la misura concernente la defiscalizzazione dei benefits destinati ai trasferimenti dei giovani neo assunti possa assumere un carattere più generale idoneo a tutelare le professionalità medio alte che spesso debbono seguire anche in ambito nazionale le domanda della loro prestazione, nonché le categorie dei lavoratori delle aziende in crisi nel riposizionamento per la ricerca di un nuovo lavoro.

  1. Tutela della maternità.

Ulteriori misure vanno ad aggiungersi a quelle di sostegno alle famiglie con figli minori rafforzando la disciplina in materia di congedi parentali elevando all’80% l’indennità durante il congedo di maternità entro il sesto anno del bambino.

E’ prospettata anche la decontribuzione per le lavoratrici madri in termini che saranno definiti dal Ministero per il Lavoro.

E’ riconosciuto per incentivare la natalità un bonus pari a 1000 euro per ogni figlio nato.

Sul punto, riteniamo la generale bontà di queste misure, ma anche nell’interesse delle donne destinate a percorrere obiettivi di carriera, auspichiamo il miglioramento di asili e scuole con agevolazioni anche di orario.

Come sindacato delle professionalità medio alte, riteniamo come debba essere data anche alle donne madri la possibilità in luogo di assentarsi, di continuare il loro percorso lavorativo, incentivando anche con il sistema della leva fiscale soluzioni in grado di facilitare il ricorso a scuole ed asili anche con orario prolungato ed il ricorso a personale domestico di sostegno.

  1. Le misure che riguardano il pubblico impiego.

La manovra torna ad introdurre un limite al turn over nella pubblica amministrazione pari al 75% della spesa del personale di ruolo cessato nell’anno precedente.

Esprimiamo forti perplessità sul punto, stante l’età avanzata del personale della pubblica amministrazione, l’avviamento del PNRR e l’introduzione della quarta area EP che dovrebbe trovare alimentazione anche con nuove risorse.

Riorganizzazione dell’INPS.

Solleva interrogativi anche la misura di riorganizzazione dell’INPS con l’istituzione di nuove figure dirigenziali di livello generale, di fronte alla necessità di rafforzare il middle management anche mediante significativi poteri.

Incentivo al mantenimento in servizio.

E’ prevista la possibilità per i lavoratori in possesso dei requisiti per l’accesso a Quota 103 ( 62 anni di età e 41 di contributi) di optare per rimanere in servizio sino ai 70 anni di età, ricevendo in busta paga una quota dei contributi.

Contestualmente, è altresì previsto che le pubbliche amministrazioni possano avvalersi del trattenimento volontario in servizio di personale dipendente per attività di tutoraggio ed affiancamento ai neo assunti.

Sul punto si nota positivamente come debba essere affermata il principio di una libera scelta, una volta verificatisi i presupposti del pensionamento, in merito alla prosecuzione del servizio.

A maggior ragione anche nell’interesse della formazione delle elevate professionalità può giovare l’attività di affiancamento e tutoraggio.

E’ inoltre abrogata la norma che consente alle pubbliche amministrazioni di risolvere unilateralmente il contratto di lavoro con un preavviso di sei mesi, , a decorrere dalla maturazione del requisito di anzianità contributiva per l’accesso al pensionamento.

Perplessità sul punto possono essere indotte da un ridotto ricambio generazionale soprattutto nell’area delle elevate professionalità (in particolare area EP) dove la riduzione del turn over al 75% e l’esiguità delle risorse possono addirittura paralizzare l’accesso dei giovani laureati e dei dipendenti meritevoli all’area apicale.

Sui punti che riguardano il Pubblico Impiego, il nostro sindacato non può non guardare che con favore quelle misure che consentono al lavoratore la libertà nel determinare il momento di cessazione del rapporto di lavoro.

Ancor più favorevolmente è da noi vista la possibilità di trattenimento volontario in servizio per attività di tutoraggio ed accompagnamento dei nuovi assunti.

Resta irrisolto il problema di voler conciliare questa normativa con la riduzione del turn over al 75% delle risorse.

La riduzione del turn over acuisce il proprio effetto con il trattenimento in servizio di una parte del personale.

Temiamo in questo modo, possa essere compromessa l’immissione di giovani generazioni nella pubblica amministrazione e l’assunzione di personale da inserire nell’area delle elevate professionalità (EP).

Suggeriremo una qualche modifica specifica sul punto alla previsione che limita al 75% il turn over nella pubblica amministrazione, in riferimento al personale adibito a funzioni di tutoraggio e di accompagnamento.

L’audizione di CIU UNIONQUADRI da parte del Governo per valutare la legge di bilancio 2025.

Ieri a Palazzo Chigi il governo ha illustrato alle organizzazioni sindacali il testo della Legge di Bilancio 2025 che a breve sarà presentato al parlamento.

Era presente all’incontro pure una delegazione di CIU UNIONQUADRI che è intervenuta principalmente sui temi d’interesse della categoria dei quadri e conseguentemente del ceto medio.

In merito alle misure fiscali, CIU UNIONQUADRI si è dichiarata favorevole alla trasformazione in misura strutturale della normativa a termine attinente il taglio del cuneo fiscale, auspicando l’estensione della misura anche ai redditi superiori ai 40.000 euro ricomprendendovi la generalità dei redditi del ceto medio e di quelli generati dall’attività dei quadri.

Analoghe considerazioni sono state svolte per quanto attiene l’accorpamento delle aliquote IRPEF e le detrazioni fiscali.

Per quanto riguarda gli interventi fiscali sulle retribuzioni, CIU UNIONQUADRI ha valutato positivamente la riduzione al 5% dei prelievi fiscali sui compensi destinati a premiare la professionalità ed il raggiungimento di obiettivi, nonché la partecipazione agli utili di impresa, auspicando un trattamento sempre più favorevole per questi compensi.

In merito alla partecipazione dei lavoratori non solo agli utili delle imprese, ma anche alla loro gestione, CIU UNIOQUADRI ha aperto una parentesi nel dibattito, rilevando come la nostra Costituzione 46 preveda il principio della partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa e come di seguito l’articolo 4 della legge 92/2012 contenesse una delega a realizzare un tanto, delega decaduta per il mancato intervento dei governi dell’epoca.

Sul punto, il governo ha assicurato essere in corso la valutazione di un progetto di legge presentato in parlamento.

In merito alla defiscalizzazione per i neo assunti con reddito non superiore a 35.000 euro dal primo gennaio 2025 al 31 gennaio 2025 delle spese inerenti i trasferimenti superiori ai 100 chilometri, CIU UNIONQUADRI nel sottolineare la positività dell’intervento di legge ha auspicato che la misura concernente i neo assunti nell’anno in corso sia destinata a stabilizzarsi sino a ricomprendere tutti i lavoratori interessati a fenomeni di mobilità professionale.

Ha altresì auspicato CIU UNIONQUADRI che la misura concernente la defiscalizzazione dei benefits destinati ai trasferimenti dei giovani neo assunti possa assumere un carattere più generale idoneo a tutelare le professionalità medio alte che spesso debbono seguire anche in ambito nazionale le domanda della loro prestazione, nonché le categorie dei lavoratori delle aziende in crisi nel riposizionamento per la ricerca di un nuovo lavoro.

Sono state esaminate quindi le novità concernenti i trattamenti di maternità, dove è stata elevata all’80% l’indennità durante il congedo entro il sesto anno del bambino, assieme ad ulteriori misure di decontribuzione a favore delle lavoratrici madri.

CIU UNIONQUADRI ha rilevato la bontà della misura, anche tenendo conto delle donne che non intendono fruire del beneficio, intendendo continuare a lavorare, ha richiesto l’adozione di misure atte a favorire anche l’utilizzazione di scuole ed asili, agevolando le madri impegnate nel lavoro.

CIU UNIONQUADRI come misura di reale eguaglianza tra i sessi atta a permettere anche alle donne quadro di completare il percorso lavorativo intrapreso, ha invitato il governo a favorire con idonee misure le donne intenzionate ad affiancare e rendere compatibile la maternità con il lavoro.

In materia di pubblico impiego è stata oggetto di particolare attenzione da parte di CIU UNIONQUADRI il limite alle assunzioni contenute nel 75% del personale di ruolo cessato nell’anno precedente.

Il sindacato CIU UNIONQUADRI ha notato come questa misura vada ad interferire con la prevista possibilità per i lavoratori aventi diritto alla pensione di trattenersi in servizio sino al settantesimo anno di età, anche svolgendo attività di tutoraggio per i nuovi assunti, di fatto impedendo l’afflusso di nuove e qualificate energie nell’ambito della pubblica amministrazione.

Premesso di guardare con favore a misure che consentano l’accrescimento della professionalità e la libertà di prolungare la permanenza sul posto di lavoro, ha rilevato CIU UNIONQUADRI come queste misure nel loro insieme possano limitare il rinnovamento nell’ambito della pubblica amministrazione, impedendo tra l’altro l’immissione di nuove professionalità e di esperti nell’ambito dell’area EP – Elevate professionalità di nuova creazione.

Sul punto è stata suggerita al governo una rimodulazione della norma volta ad attenuare le conseguenze paventate.

In conclusione, CIU UNIONQUADRI, rilevando dei segnali positivi nella legge di bilancio 2025 chiede in primo luogo lo sviluppo di ulteriori misure atte a sorreggere la professionalità e la premialità nella logica di un adeguato sostegno alla classe media. Nel contempo auspica un’attenta revisione della limitazione parziale del turn over nel pubblico impiego, l’attuazione di politiche atte a favorire la creazione di una fascia intermedia di lavoratori pubblici con una propria caratterizzazione, nonché il rinnovamento e l’avanzamento tecnologico della pubblica amministrazione medesima.

Alte professionalità

La mancanza nella PA di un corpo intermedio tra dirigenza e personale non dirigente. Un problema non solo sindacale, ma anche organizzativo.

Un interessante e recente articolo del dottor Naddeo titolato – Capitale umano, CCNL, corso-concorso, dirigenti, Elevate professionalità, giovani, giovani laureati, Ministeri, PA, Pubblica amministrazione – tratto dal Blog di Antonio Naddeo – mira a conferire effettiva e pratica attuazione alla normativa concernente l’inquadramento nelle pubbliche amministrazioni di cui al decreto legge 9.6.2021 n.80 che in particolare creando lo spazio per l’area contrattuale EP (elevate professionalità) ha cercato di rivalutare le professionalità medio alte troppo spesso schiacciate tra il ruolo preminente della dirigenza e quello generale delle altre categorie non dirigenziali valorizzando inoltre in funzione della professionalità acquisita la dinamica di progressione tra le diverse aree.

L’autore suggerisce una serie di accorgimenti per valorizzare l’Area delle Alte Professionalità.

In chiave che potremmo definire “negativa” o meglio “restrittiva” egli mira ad evitare che questa posizione lavorativa diventi un’ulteriore area che si aggiunge a quelle già previste, dove prima o poi ci arrivano tutti. L’obiettivo è invece di fare dell’elevata professionalità non solo un traguardo di carriera, ma soprattutto un punto di partenza per aspiranti dirigenti.

E così affrontato il tema della selezione ipotizzando l’istituzione di un corso – concorso annuale della SNA, simile a quello adottato per i dirigenti, fermo restando il 50% dei posti riservato alle selezioni dei funzionari interni in possesso del titolo di studio.

Ai fini di finanziare adeguatamente tale posizione, il Presidente dell’ARAN suggerisce di operare una riduzione delle troppe posizioni dirigenziali presenti soprattutto nei ministeri frutto di una crescita continua nel tempo del numero delle posizioni dirigenziali senza una reale necessità organizzativa, accrescendo così il numero e la retribuzione dell’area intermedia.

Ritiene così l’autore che il trattamento economico dei una EP – Elevata Professionalità potrebbe arrivare a 70.000 euro e quindi, con la soppressione di un posto da dirigente si potrebbero finanziare due posizioni di Elevata Professionalità, ricostruendo così un ordinamento con una struttura piramidale.

Allargando il campo di indagine e di azione.

Le considerazioni cui perviene l’autore sono ampiamente condivisibili ed ispirate da una precisa analisi dell’attuale situazione della Pubblica Amministrazione in relazione all’inquadramento ed alla valorizzazione delle professionalità.

Ciò non toglie che CIU UNIONQUADRI – sindacato dei quadri intermedi che ha avviato numerosissime azioni sul piano sindacale, politico e giudiziario per l’introduzione o meglio forse il riconoscimento dei quadri nell’ambito del Pubblico Impiego, abbia qualcosa da puntualizzare e da aggiungere.

L’obiettivo del sindacato dei quadri è sempre stato quello della costituzione di un’area professionale intermedia nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato collocata tra la dirigenza e l’area definita non dirigenziale, non solo come risposta ad una legittima aspettativa di molti pubblici dipendenti, ma come adeguamento alle esigenze di buon funzionamento della pubblica amministrazione.

L’obiettivo principale e diretto era quello di veder applicato anche nell’ambito del pubblico impiego, dopo le riforme a cavallo tra gli anni 90 e 2000, l’articolo 2095 del codice civile che vede i prestatori di lavoro suddivisi in operai, impiegati, quadri, dirigenti.

La Corte di Cassazione invece, riteneva, stante la specialità della disciplina del pubblico impiego, non applicabile al pubblico impiego l’articolo 2095 del codice civile laddove prevede l’esistenza della categoria dei quadri accanto a quelle dei dirigenti, degli impiegati e degli operai, in nome della specialità del pubblico impiego anche dopo l’avvenuta contrattualizzazione.

Detta specificità trovava effettivamente qualche riscontro nell’allora articolo 40 del DLGS 165/2001 che prevedeva sino all’entrata in vigore del DLGS 150/2009 che per le figure professionali che, in posizione di elevata responsabilità, svolgono compiti di direzione o che comportano iscrizione ad albi o compiti scientifici dovevano essere stabilite discipline distinte nell’ambito dei contratti collettivi di comparto.

Anche questo sottile barlume di specificità professionale era limitato con l’entrata in vigore del DLGS 150/2009,  la norma di cui all’articolo 40, era modificata dall’articolo 54 del decreto nei seguenti termini: Nell’ambito dei comparti di contrattazione possono essere costituite apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità.

Era quindi eliminata la possibilità di costituire un’apposita area dei quadri e ciò anche in ragione della netta opposizione delle confederazioni sindacali generaliste.

Già nel 2002 con la legge 145 (Frattini) era stata introdotta la Vice Dirigenza.

La legge che dapprima non trovava pratica attuazione da parte della contrattazione collettiva, stante la forte opposizione in particolare di alcune sigle sindacali confederali, era definitivamente abrogata.

La mancata attuazione di un’area quadri nell’ambito dell’impiego pubblico non si limitava a vanificare le istanze delle alte professionalità, ma causava e rivelava criticità nell’ambito del funzionamento della pubblica amministrazione.

L’esigenza di un’area intermedia e vicaria si manifestava infatti, allorquando con sentenza del 25 febbraio 2015, la Corte Costituzionale censurava le Agenzie Fiscali che nella mancanza di quadri intermedi in grado di coprire determinate posizioni, aveva attribuito incarichi dirigenziali a propri funzionari per assicurare la funzionalità delle misure di contrasto all’evasione.

La mancanza di un adeguato riconoscimento della categoria dei quadri era a suo tempo notato (siamo nel 1994) dal noto sociologo Aris Accornero che scriveva:

Il riconoscimento giuridico dei quadri non ha risolto i problemi dei quadri e tre sono le ragioni:

mancanza di una organizzazione rappresentativa;

gli imprenditori non vedono di buon occhio l’emergere della categoria;

poca considerazione da parte dei sindacati tradizionali; “

Nel mese di aprile, in piena pandemia, il Comitato Colao, era presentato dall’allora Presidente del Consiglio come un gruppo di esperti con il compito di ripensare i radicati modelli organizzativi sociali e di vita economica per la ripartenza del paese.

Per questo il Piano invocava una rapida trasformazione della nostra Pubblica Amministrazione verso l’auspicata efficienza e modernizzazione.

Si voleva così attuare un’attenta gestione e valutazione delle politiche attuate con fondi europei e rafforzare la cyber difesa.

Per raggiungere questi obiettivi, Il piano reputava fondamentale la costituzione ed il rafforzamento di un middle – management pubblico.

Nello specifico auspicava come le diverse amministrazioni avrebbero dovuto identificare le figure del middle management più suscettibili di beneficiare di interventi formativi di tipo manageriale.

Il piano considerava come il «middle-management» soprattutto nel settore pubblico fosse lo snodo chiave perché iniziative di modernizzazione e digitalizzazione abbiano successo. Alle competenze tecniche dei dipendenti si devono affiancare competenze manageriali diffuse.

Il «middle management» era ribadito, poteva così divenire un acceleratore dell’innovazione invece che costituire, come da molti temuto, un freno insuperabile sui processi rispetto alle competenze esterne.

Rilevava il Comitato come già esistessero quadri intermedi validi e facilmente professionalizzabili con interventi formativi, ma spesso ignorati e non premiati.

Di seguito, anche la necessità di attuare il PNRR metteva in luce la mancanza di risorse professionali qualificate non dirigenziali nell’ambito della Pubblica Amministrazione.

Il Sole 24 Ore in un articolo del 26 novembre 2023, evidenziava il problema relativo alla mancanza di figure professionali adeguate alla gestione di progetti complessi come quelli previsti dal piano, sottolineando come questo – unito all’aumento del costo delle opere – sia un fattore di rischio per la buona riuscita degli interventi.

Le esigenze appena sottolineate erano fatte proprie dal legislatore il quale con il decreto legge 9.6.2021 n.80 introduceva importanti modifiche all’articolo 52 del DLGS 165/2001 riguardante l’inquadramento del personale.

Era quivi stabilito come i dipendenti pubblici, ad esclusione dei dirigenti e del personale della scuola, debba essere inquadrato in almeno 3 distinte aree funzionali con l’aggiunta, come vedremo, di una quarta area per le elevate professionalità.

Vengono così introdotti dei principi di legge sul tema specifico dell’inquadramento del personale.

Fermi questi principi, la norma stessa delega la contrattazione collettiva ad un individuare un’ulteriore aerea per inquadrarvi il personale ad elevata qualificazione.

Quindi ad evitare, come spesso accade, un generale trascinamento verso l’alto, la norma stabilisce come la contrattazione collettiva a venire per il periodo 2020 – 2021 potrà effettuare nuovi inquadramenti per il tramite di tabelle di corrispondenza, ad esclusione dell’area per le elevate professionalità.

Segue sul punto la contrattazione collettiva nel caso di specie quella del Comparto delle Amministrazioni Centrali.

Nel tradurre le disposizioni di legge appena indicate, essa individua la suddivisione del personale non dirigente in numero quattro aree di inquadramento.

Esso stabilisce in primo luogo l’inquadramento in quattro aree professionali per il personale non dirigente.

La titolazione delle aree è mutata nelle seguenti:

Area degli operatori;

Area degli assistenti;

Area dei funzionari;

Area delle elevate professionalità.

Il medesimo contratto delle Amministrazioni Centrali prevede che al fine di valorizzare le figure professionali del funzionari, le amministrazioni possano conferire agli stessi degli incarichi a termine di natura organizzativa o professionale compensati con apposita indennità.

Per quanto invece riguarda il personale che sarà inquadrato nell’area EP (Elevate Professionalità) il conferimento di incarichi è stabilito dalla contrattazione come obbligatorio (similmente a quanto accade per i dirigenti).

Alla luce di un siffatto e compiuto impianto normativo, forse possono apparire eccessive le preoccupazioni che traspaiono dal breve articolo del Presidente dell’ARAN con il quale abbiamo introdotto questo scritto.

In realtà traspare la preoccupazione che è anche la nostra che, senza un adeguata interlocuzione della categoria dei quadri anche come soggetti contrattuali, la loro specificità in ambito lavorativo, tarderà a manifestarsi ed a conservarsi.

Fabio Petracci

Le nuove progressioni verticali nella PA: a chi appartiene la giurisdizione?

Con il DL n.80/2021, sono state ampliate le modalità di ricorso alle progressioni verticali tra aree professionali nell’ambito del pubblico impiego.

E’ stata infatti attribuita amplia delega alla contrattazione collettiva per attuare progressioni verticali interne nell’ambito dell’inquadramento nella pubblica amministrazione, basate sulla valutazione di precisi criteri meritocratici indicati dalla legge – dl 80/2021- che è andata a modificare l’articolo 52 del DLGS 165/2001 stabilendo al comma 1 bis di quest’ultima disposizione di legge che: “le progressioni all’interno della stessa area avvengono, con modalità stabilite dalla contrattazione collettiva, in funzione delle capacità culturali e professionali e dell’esperienza maturata e secondo principi di selettività, in funzione della qualità dell’attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l’attribuzione di fasce di merito. Fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all’accesso dall’esterno, le progressioni fra le aree e, negli enti locali, anche fra qualifiche diverse, avvengono pertanto per il  tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area dall’esterno, nonché sul numero e sulla tipologia de gli incarichi rivestiti.”

Dunque le nuove progressioni verticali si realizzeranno attraverso procedure comparative che almeno in parte si discostano dalle procedure concorsuali.

Ciò, diversamente dai rigidi limiti imposti dal DLGS 150/2009, il quale consentiva le procedure di progressione verticale esclusivamente tramite l’espletamento di procedure concorsuali e con la riserva del 50% dei posti al personale interno.

Per quanto riguarda quest’ultimo limite, il TAR Sicilia con la sentenza 2406/2023 ha ritenuto che successivamente all’introduzione dell’articolo 52 bis del DLGS 165/2001 non sussiste obbligo alcuno di riserva in capo all’amministrazione nell’effettuare le progressioni verticali.

Quindi, se ne deduce che non si impone all’amministrazione di attuare una contestuale procedura concorsuale, ma di attuare nella misura del 50% altrettante procedure di assunzione per il personale esterno che può avvenire tramite concorso, ma anche mediante scorrimento delle graduatorie o mobilità volontaria nell’ambito della programmazione triennale delle assunzioni.

Diversi pareri dell’ARAN hanno ammesso la possibilità per gli enti, almeno nell’ambito della procedura transitoria sino al 31 dicembre 2025, di prevedere l’espletamento di un colloquio finalizzato ad accertare le competenze professionali (parere protocollo n.5318/2023).

Resta quindi da verificare, meglio puntualizzando la differenza tra procedura comparativa e procedura concorsuale, la sussistenza, in caso di controversia, della giurisdizione del giudice ordinario o di quello amministrativo.

Di recente, i giudici amministrativi hanno ribadito che anche nel caso di procedure per la progressione verticale permane la giurisdizione del giudice amministrativo.

In proposito, il TAR Lazio Sezione Roma con la sentenza n.10265/2023 ha stabilito la propria giurisdizione sul presupposto per cui nelle progressioni verticali le selezioni riservate ai dipendenti interni si considerano come rivolte all’assunzione, in quanto il passaggio ad aree qualitativamente diverse comporterebbe una novazione del rapporto di lavoro equiparabile ad una assunzione con conseguente giurisdizione giudice amministrativo.

Il TAR Lazio nel pronunciarsi in merito richiama la sentenza 8985/2018 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che ebbero però a pronunciarsi prima dell’entrata in vigore del DL 80/2021.

Quest’ultima pronuncia delle Sezioni Unite in tema di giurisdizione aveva già affermato il concetto in base al quale per “procedure concorsuali di assunzione” – attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo, perché ascritte al diritto pubblico ed all’attività autoritativa dell’amministrazione – si intendono non soltanto quelle preordinate alla costituzione ex novo dei rapporti di lavoro (come le procedure aperte a candidati esterni, ancorché vi partecipino soggetti già dipendenti pubblici), ma anche i procedimenti concorsuali interni, destinati a consentire l’inquadramento dei dipendenti in “aree” funzionali o categorie più elevate, con “novazione oggettiva” dei rapporti di lavoro (Cass., Sez. un., 26 marzo 2014, n. 7171; Cass., Sez. un., 20 dicembre 2016, n. 26270; Cass., Sez. un., 9 aprile 2010, n. 8424 e n. 8425);

In pratica di fronte al sicuro mutamento della procedura di accesso alla progressione verticale, non muta la giurisdizione in quanto quest’ultima non è tanto legata alla natura della procedura selettiva che può essere o meno concorsuale, ma all’esito della stessa finalizzato all’accesso in un nuovo contesto lavorativo equivalente ad una nuova assunzione.

Di conseguenza, qualora insorgano contenziosi in merito alle selezioni per le progressioni verticali, il giudice da adire, dovrebbe essere, salvo mutamenti degli orientamenti giurisprudenziali, il giudice amministrativo.

Fabio Petracci

Corte Costituzionale – Maggiorazioni alla retribuzione individuale di anzianità (RIA) spetta ai dipendenti pubblici.

La sentenza n. 4/2024 della Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge n.388/2000, che era intervenuto, in via retroattiva, per escludere l’operatività delle maggiorazioni alla retribuzione individuale di anzianità (RIA) dei dipendenti pubblici in relazione al triennio 1991-1993.

Nel dettaglio, l’istituto della RIA era stato disciplinato dal D.P.R. n. 44/1990, il quale aveva recepito l’accordo sindacale del 26 settembre 1989 concernente il personale dei Ministeri: erano riconosciute maggiorazioni della RIA in favore del personale che “alla data del 1° gennaio 1990” avesse “acquisito esperienza professionale con almeno cinque anni di effettivo servizio” o che avesse maturato “detto quinquennio nell’arco della vigenza contrattuale” Ulteriori maggiorazioni erano previste nel caso di maggiore anzianità di servizio.

Quindi, il d.l. n.384/1992 prorogava al triennio 1991-1993 l’efficacia di tali disposizioni, la cui scadenza originaria era fissata al 31 dicembre 1990.

Successivamente, l’art. 51, comma 3, della legge n. 388/2000 aveva espressamente escluso che la proroga al 31 dicembre 1993 dell’intera disciplina contenuta nel d.P.R. n. 44/1990 potesse estendere anche il termine per la maturazione dell’anzianità di servizio ai fini dell’ottenimento della maggiorazione della RIA.

La Corte Costituzionale nella sentenza in commento rileva come l’art. 51, comma 3 della legge n. 388/2000 sia entrato in vigore il 1° gennaio 2001 e quindi, ben nove anni dopo la proroga disposta dal d.l. n.384/1992, in un momento in cui risultavano pendenti diversi giudizi promossi da dipendenti nei confronti di amministrazioni pubbliche, stante l’orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato favorevole alle richieste dei lavoratori.

Il legislatore è dunque intervenuto col fine specifico di superare tale orientamento giurisprudenziale, nella consapevolezza della grande diffusione del contenzioso promosso dai dipendenti pubblici per il riconoscimento delle maggiorazioni della RIA in relazione al triennio 1991-1993, come peraltro precisato nella documentazione predisposta dagli uffici parlamentari a illustrazione dei contenuti della norma.

Il controllo di costituzionalità diviene ancor più stringente qualora l’intervento legislativo retroattivo incida su giudizi in corso, specialmente nel caso in cui sia coinvolta nel processo un’amministrazione pubblica.

Infatti, tanto i principi costituzionali relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale, quanto i principi concernenti l’effettività della tutela giurisdizionale e la parità delle parti in giudizio, impediscono al legislatore di risolvere, con legge, specifiche controversie e di determinare, per questa via, uno sbilanciamento tra le posizioni delle parti coinvolte nel giudizio.

Pertanto l’art. 51, comma 3 della legge n. 388/2000, avendo introdotto una norma innovativa ad efficacia retroattiva, si è posta in contrasto con i principi del giusto processo e della parità delle parti in giudizio, sanciti dagli artt. 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost, quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, nonché con i principi di eguaglianza, ragionevolezza e certezza dell’ordinamento giuridico di cui all’art. 3 Cost: ne è dunque conseguita la dichiarazione di illegittimità costituzionale.

Utilizzo improprio dei permessi di cui alla legge 104/92 e licenziamento

L’utilizzo improprio dei permessi di cui alla legge 104/92 può giustificare il licenziamento del lavoratore.

È legittimo l’utilizzo dell’opera di un’agenzia investigativa qualora finalizzato a confermare i sospetti di un uso fraudolento dei permessi. Conferma questo orientamento una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 12/03/2024, n. 6468).

Cosa accade e cosa può fare il datore di lavoro di fronte ad un utilizzo dei permessi di cui alla legge 104/92 non coerente con le finalità della legge?

La fattispecie.

L’articolo 33 della legge 104/1992 comma 3 e 3 bis così stabilisce:

  1.   Il lavoratore dipendente, pubblico o privato, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa, per assistere una persona con disabilità in situazione di gravità, che non sia ricoverata a tempo pieno, rispetto alla quale il lavoratore sia coniuge, parte di un’unione civile ai sensi dell’articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, convivente di fatto ai sensi dell’articolo 1, comma 36, della medesima legge, parente o affine entro il secondo grado. In caso di mancanza o decesso dei genitori o del coniuge o della parte di un’unione civile o del convivente di fatto, ovvero qualora gli stessi siano affetti da patologie invalidanti o abbiano compiuto i sessantacinque anni di età, il diritto è riconosciuto a parenti o affini entro il terzo grado della persona con disabilità in situazione di gravità. Fermo restando il limite complessivo di tre giorni, per l’assistenza allo stesso individuo con disabilità in situazione di gravità, il diritto può essere riconosciuto, su richiesta, a più soggetti tra quelli sopra elencati, che possono fruirne in via alternativa tra loro. Il lavoratore ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone con disabilità in situazione di gravità, a condizione che si tratti del coniuge o della parte di un’unione civile di cui all’articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, o del convivente di fatto ai sensi dell’articolo 1, comma 36, della medesima legge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con disabilità in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.

3-bis.    Il lavoratore che usufruisce dei permessi di cui al comma 3 per assistere persona in situazione di handicap grave, residente in comune situato a distanza stradale superiore a 150 chilometri rispetto a quello di residenza del lavoratore, attesta con titolo di viaggio, o altra documentazione idonea, il raggiungimento del luogo di residenza dell’assistito”.

Quindi la legge 104/92 impone al datore di lavoro un sacrificio ed un limite alla propria attività ed alla naturale corrispettività del rapporto di lavoro, sacrificio finalizzato a ragioni di solidarietà sociale a favore del lavoratore chiamato ad assistere un proprio familiare gravemente invalido.

In sostanza, l’assenza dal lavoro e la mancata prestazione trovano ragione e giustificazione in base alla stretta attinenza con tale finalità.

Al di fuori di tali limiti, si concretizza una condotta del lavoratore idonea a determinate condizioni di gravità a giustificare il licenziamento.

L’ipotesi disciplinare.

L’orientamento della Corte di Cassazione e dei giudici di merito è quello di ravvisare l’ipotesi disciplinare del licenziamento, ogniqualvolta non sussista uno stretto nesso causale tra l’attività svolta dal lavoratore nel corso del permesso e le necessità dell’assistito.

Ciò significa in primo luogo che non sussiste il nesso causale allorquando il lavoratore utilizzi il permesso per riposarsi dall’attività di assistenza prestata. Non è pertanto consentito un riposo che potrebbe definirsi “compensativo” dell’assistenza prestata in altri momenti, Non sussiste inoltre in tutti i casi in cui il lavoratore utilizzi il tempo concessogli per finalità che alcuna attinenza hanno con l’opera di assistenza.

Sussiste invece, il nesso e la giustificazione laddove il dipendente risulti assente per effettuare compere o commissioni per conto dell’assistito.

Non sussiste l’ipotesi disciplinare allorquando il lavoratore si sia momentaneamente assentato per una necessità urgente ed imprevista.

L’ipotesi di utilizzo fraudolento dei permessi qualora grave per durata o intenzionalità o reiterazione, giustifica il licenziamento per giusta causa.

Minimi discostamenti tra tempo di assistenza e durata del permesso ove contenuti e non reiterati possono dar luogo a sanzioni disciplinari minori.

Si fa presente che anche la mancata comunicazione dell’avvenuto ricovero dell’assistito che in base all’articolo 33 fa venir meno il diritto all’assistenza può costituire mancanza disciplinare che nei casi più gravi può dar luogo anche al licenziamento.

Come procedere.

L’accertamento.

L’onere di provare l’utilizzo improprio dei permessi grava sul datore di lavoro.

Normalmente gli accertamenti è consigliabile siano affidati ad una agenzia investigativa.

Sul punto meritano attenzione alcune cautele.

Se l’agenzia investigativa non può verificare e controllare l’effettuazione della prestazione del dipendente, essa può invece indagare condotte truffaldine che arrechino pregiudizio all’azienda.

Quindi ben potrà l’agenzia investigativa verificare la presenza e l’attività del lavoratore in permesso per fornire l’assistenza di cui alla legge 104/92.

Si ritiene però da molte parti che l’attività investigativa sia comunque soggetta alla disciplina in materia di trattamento dei dati e quindi, secondo quanto disposto dall’articolo 4 n.1 e 2 del Regolamento 679/2016 – GDPR, l’investigatore potrà agire solo sulla base di concreti sospetti.

Si consiglia pertanto di dare atto di un tanto nella lettera con la quale viene conferito l’incarico all’agenzia investigativa sulla base di rilevati e concreti sospetti.

Alla fine della propria attività, l’investigatore dovrà redigere una relazione con i nominativi degli accertatori che potranno essere indicati in qualità di testi nell’eventuale procedimento di impugnazione del licenziamento.

La contestazione.

La procedura disciplinare di licenziamento è imperniata sulla lettera di contestazione che in apertura del procedimento deve essere inviata all’incolpato.

Si ricorda che per la validità del procedimento, la contestazione di addebito deve individuare in maniera chiara e specifica il fatto in merito al quale il lavoratore è chiamato a discolparsi.

Quindi dovranno essere indicate le giornate e l’ora di assenza dagli incombenti di cui alla legge 104/92 e preferibilmente anche le attività svolte in luogo della dovuta assistenza.

Molta attenzione dovrà essere posta alle giustificazioni poste dal lavoratore per verificare se siano idonee o meno a smentire l’esito degli accertamenti svolti.

Fabio Petracci

Basse retribuzioni. Basta una legge sul salario minimo?

In questi ultimi tempi, si è molto parlato di salario minimo in termini estremamente contrapposti, facendone da una parte una bandiera e dall’altra l’oggetto di una decisa opposizione.

L’argomento è reso attuale dal basso livello delle retribuzioni nel nostro paese che non solo non crescono, ma tendono addirittura a faticare nell’adeguarsi all’inflazione.

Scopriamo però come il tema dei bassi salari non possa esclusivamente risolversi tramite norme di legge, ma imponga di valutare l’intera situazione del lavoro e dell’economia nel nostro paese.

Qui troveremo un argomento ripetutamente segnalato da CIU-Unionquadri, individuato nella mancata valorizzazione dei lavoratori della conoscenza, della meritocrazia e della formazione di imprenditori e manager.

Appare semplicistico, ma anche fuorviante parlare solo di retribuzioni, di retribuzioni minime e di una sostanziale perdita del valore di acquisto della retribuzione in Italia.

Il tema va affrontato sul piano della qualità e quantità del lavoro, della produttività e della retribuzione dei lavori della conoscenza.

In realtà una delle variabili che determinano il salario è data dalla qualità del lavoro.

Nel 2022 in base ai dati OCSE risultava nel nostro paese una diminuzione del salario medio dal 1990 pari al 2,9%, contro una crescita in tutti restanti paesi dell’organizzazione.

Una delle prime cause di questa situazione è ascrivibile al PIL italiano che non ha ancora recuperato i dati anteriori al 2008.

Oggi nel nostro paese, la percentuale degli occupati con contratto di lavoro subordinato si aggira intorno al 50% contro il 40% degli anni ‘90.

Non va però dimenticato come molti di questi occupati lavorino con contratti a part time, a tempo determinato, a chiamata, o contratti stagionali (contrati che contribuiscono ad abbassare la media salariale).

Nel contempo è in aumento anche il tasso di ingressi ed uscite dai rapporti di lavoro.

Sommando questi fattori comprendiamo, almeno parzialmente, la dinamica verso la compressione del salario medio.

Notiamo in tal senso che tale diminuzione risulta superiore al tasso di inflazione.

Un altro aspetto però va rimarcato.

In Italia, mancano lavori di qualità connotati da salari alti.

In sostanza, manca il lavoro di qualità e dove presente è mediamente poco retribuito.

Sono scarsi e talora poco pagati i lavori della conoscenza e del talento.

Del resto, se non creiamo opportunità di lavoro in questo settore e non operiamo maggiori compensi, rispetto ad altri paesi non avremo maggiore sviluppo e maggiore incremento dei salari e non solo di quelli di alto livello, ma anche dei normali livelli salariali che dovrebbero giovarsi della maggiore produttività.

A quanto riferisce Andrea Guarnero economista dell’OCSE Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, si aggiungono nel caso italiano a questi fattori di bassa crescita dei salari, l’inefficienza del settore pubblico, una scarsa meritocrazia, oltre che una contrattazione aziendale poco sviluppata.

Lo studioso vi aggiunge un aspetto altrettanto interessante come la mancata rivoluzione industriale degli anni novanta.

Rileva come non sia stato sufficiente fornire ai lavoratori adeguati strumenti tecnologici, senza fornire un’assistenza ed una istruzione e formazione adeguata, per usarli al meglio.

Altrettanto negativamente, secondo il medesimo studioso, rileva la bassa istruzione e formazione tanto dei manager che degli imprenditori.

Fabio Petracci

Decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi in corso di rapporto di lavoro

Con la sentenza 36197/2023, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite è chiamata a pronunciarsi sui seguenti quesiti:

  1. se la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato debba decorrere dalla fine del rapporto, a termine o a tempo indeterminato, o, in caso di successione di rapporti, dalla cessazione dell’ultimo, come accade nel lavoro privato;
  2. se, nell’eventualità di abuso nella reiterazione di contratti a termine, seguita da stabilizzazione presso la stessa P.A. datrice di lavoro, la prescrizione dei crediti retributivi debba decorrere dal momento di tale stabilizzazione;

L’attualità del tema è data dall’entrata in vigore della legge 92 del 2012 e quindi del DLGS n.23/2015 che in caso di licenziamento illegittimo nella maggioranza dei casi hanno fatto venir meno l’ipotesi della conseguente reintegra.

Di seguito, la Corte di Cassazione con la sentenza n.26246 del 2022 ha stabilito che, in assenza della tutela reale, poteva in ogni caso ritenersi incombente sul lavoratore il timore della conseguente reazione datoriale e quindi la prescrizione doveva ritenersi operante a partire dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Ora lo stesso tema si pone nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato.

Va notato in proposito che dopo alcune oscillazioni giurisprudenziali con l’articolo 21 del decreto Madia era affermata nell’ambito delle Pubbliche Amministrazioni la piena applicabilità della legge sui licenziamenti nel testo originale che prevedeva la reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo per il personale non dirigente e dirigente.

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, è chiamata ad affrontare il tema che già sul presupposto della confermata stabilità del posto di lavoro pubblico in base all’articolo 21 del decreto Madia dovrebbe trovare soluzione nel senso di consentire il decorrere della prescrizione in corso di rapporto di lavoro.

La Corte affronta però il tema della decorrenza della prescrizione nel caso di reiterazione di contratti a termine nell’ambito del settore pubblico.

Essa ribadisce per il pubblico impiego, la regola già vigente della decorrenza della prescrizione in costanza di rapporto di lavoro in nome della peculiarità tuttora persistente tra lavoro alle dipendenze dei privati e delle pubbliche amministrazioni anche in forza dei principi fondamentali contenuti nell’articolo 97 della Costituzione.

Secondo le Sezioni Unite “La privatizzazione non ha comportato una totale identificazione tra lavoro pubblico privatizzato e lavoro privato. In particolare, permangono nel lavoro pubblico privatizzato quelle peculiarità individuate dalla Corte Costituzionale, in relazione al previgente regime dell’impiego pubblico, come giustificative di un differente regime della prescrizione: sia in punto di stabilità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato (D.Lgs. n. 165 del 2001art. 51, comma 2 e, all’attualità, D.Lgs. cit., art. 63, comma 2), che, in punto di eccezionalità del lavoro a termine (secondo la disciplina speciale dell’art. 36 D.Lgs. cit.)…” (Cass. 19 novembre 2021, n. 35676, in motivazione sub p.to 42, così, massimata: “In tema di pubblico impiego contrattualizzato, nell’ipotesi di contratto di lavoro formalmente autonomo, del quale sia successivamente accertata la natura subordinata, la prescrizione dei crediti retributivi decorre in costanza di rapporto, attesa la mancanza di ogni aspettativa del lavoratore alla stabilità dell’impiego e la conseguente inconfigurabilità di un metus in ordine alla mancata continuazione del rapporto suscettibile di tutela”).

Fabio Petracci

Il termine di 120 giorni per la conclusione del procedimento del procedimento disciplinare

Con l’ordinanza n. 33382/2023 la Corte di Cassazione in tema di procedimento disciplinare nell’ambito del pubblico impiego, ha ritenuto che il termine di 120 giorni tassativamente prescritto per concludere a pena di decadenza il procedimento disciplinare decorra dalla data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione che coincide con quella in cui la notizia è pervenuta all’ufficio per i procedimenti disciplinari o, se anteriore, con la data in cui la notizia medesima è pervenuta al responsabile della struttura in cui il dipendente lavora”.

Ove non sia possibile individuare un dirigente o un responsabile dell’Ufficio interessato competente, il termine per concludere il procedimento disciplinare non può che decorrere, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001art. 55 bis, comma 4, secondo e terzo periodo, dalla data in cui la notizia dell’illecito è pervenuta all’ufficio per i procedimenti disciplinari.

La pronuncia prende in esame un caso verificatosi in data anteriore al DLGS 75/2017 (Riforma Madia) che ha apportato importanti innovazioni all’impianto disciplinare del pubblico impiego, modificando sensibilmente l’articolo 55 bis del DLGS 165/2001 che scandisce i termini del procedimento disciplinare.

A seguito della riforma Madia, solo i termini di avvio e di conclusione del procedimento disciplinare sono perentori, mentre la violazione di altri termini nell’ambito del procedimento, non comportano la decadenza dall’azione disciplinare, a meno che non ne risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente.

La nuova normativa che va ad innovare l’articolo 55 bis del DLGS 165/2001 prevede che, nel caso in cui il fatto addebitato abbia una conseguenza disciplinare superiore al rimprovero verbale, il Responsabile della struttura entro dieci giorni, segnala il fatto all’Ufficio Procedimenti Disciplinari (UDP) e quindi quest’ultimo con immediatezza e comunque non oltre trenta giorni dal ricevimento della segnalazione , provvede a trasmettere la contestazione scritta dell’addebito al dipendente, convocandolo con un preavviso di dieci giorni per l’audizione disciplinare.

Quindi, l’UDP conclude il procedimento con l’atto di archiviazione o con l’irrogazione della sanzione, entro 120 giorni dalla contestazione dell’addebito.

A questo punto, dopo la riforma attuata con il decreto legislativo Madia DLGS 75/2017, gli unici due termini tassativamente previsti a pena di decadenza sono il termine di avvio del procedimento ( invio all’Ufficio Disciplinare 10 giorni) ed il termine di conclusione del procedimento 120 giorni dall’avvio dee contestazione.

Quindi, a seguito della riforma Madia,  il termine di 120 giorni per la conclusione del procedimento disciplinare non è più ancorato alla data della prima acquisizione della notizia dell’infrazione, come precedentemente stabilito al vecchio testo dell’articolo 55 bis DLGS 165/2001, ma è riferito ad una data più chiara e facilmente individuabile data dalla “contestazione dell’addebito fatta dall’UPD” al lavoratore.

Fabio Petracci