Basse retribuzioni. Basta una legge sul salario minimo?

In questi ultimi tempi, si è molto parlato di salario minimo in termini estremamente contrapposti, facendone da una parte una bandiera e dall’altra l’oggetto di una decisa opposizione.

L’argomento è reso attuale dal basso livello delle retribuzioni nel nostro paese che non solo non crescono, ma tendono addirittura a faticare nell’adeguarsi all’inflazione.

Scopriamo però come il tema dei bassi salari non possa esclusivamente risolversi tramite norme di legge, ma imponga di valutare l’intera situazione del lavoro e dell’economia nel nostro paese.

Qui troveremo un argomento ripetutamente segnalato da CIU-Unionquadri, individuato nella mancata valorizzazione dei lavoratori della conoscenza, della meritocrazia e della formazione di imprenditori e manager.

Appare semplicistico, ma anche fuorviante parlare solo di retribuzioni, di retribuzioni minime e di una sostanziale perdita del valore di acquisto della retribuzione in Italia.

Il tema va affrontato sul piano della qualità e quantità del lavoro, della produttività e della retribuzione dei lavori della conoscenza.

In realtà una delle variabili che determinano il salario è data dalla qualità del lavoro.

Nel 2022 in base ai dati OCSE risultava nel nostro paese una diminuzione del salario medio dal 1990 pari al 2,9%, contro una crescita in tutti restanti paesi dell’organizzazione.

Una delle prime cause di questa situazione è ascrivibile al PIL italiano che non ha ancora recuperato i dati anteriori al 2008.

Oggi nel nostro paese, la percentuale degli occupati con contratto di lavoro subordinato si aggira intorno al 50% contro il 40% degli anni ‘90.

Non va però dimenticato come molti di questi occupati lavorino con contratti a part time, a tempo determinato, a chiamata, o contratti stagionali (contrati che contribuiscono ad abbassare la media salariale).

Nel contempo è in aumento anche il tasso di ingressi ed uscite dai rapporti di lavoro.

Sommando questi fattori comprendiamo, almeno parzialmente, la dinamica verso la compressione del salario medio.

Notiamo in tal senso che tale diminuzione risulta superiore al tasso di inflazione.

Un altro aspetto però va rimarcato.

In Italia, mancano lavori di qualità connotati da salari alti.

In sostanza, manca il lavoro di qualità e dove presente è mediamente poco retribuito.

Sono scarsi e talora poco pagati i lavori della conoscenza e del talento.

Del resto, se non creiamo opportunità di lavoro in questo settore e non operiamo maggiori compensi, rispetto ad altri paesi non avremo maggiore sviluppo e maggiore incremento dei salari e non solo di quelli di alto livello, ma anche dei normali livelli salariali che dovrebbero giovarsi della maggiore produttività.

A quanto riferisce Andrea Guarnero economista dell’OCSE Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, si aggiungono nel caso italiano a questi fattori di bassa crescita dei salari, l’inefficienza del settore pubblico, una scarsa meritocrazia, oltre che una contrattazione aziendale poco sviluppata.

Lo studioso vi aggiunge un aspetto altrettanto interessante come la mancata rivoluzione industriale degli anni novanta.

Rileva come non sia stato sufficiente fornire ai lavoratori adeguati strumenti tecnologici, senza fornire un’assistenza ed una istruzione e formazione adeguata, per usarli al meglio.

Altrettanto negativamente, secondo il medesimo studioso, rileva la bassa istruzione e formazione tanto dei manager che degli imprenditori.

Fabio Petracci