CONVEGNO: Avvocato e rete professionale: nuove frontiere organizzative, autonomia e indipendenza ovvero dall’intelligenza artificiale alla mono-committenza.

Giovedì 13 giugno alle ore 15.30 a Trieste presso la Sala Università Unicusano, Via Fabio Severo n.14/A

ANF Associazione Nazionale Forense e CIU UNIONQUADRI

CONVEGNO

Avvocato e rete professionale: nuove frontiere organizzative, autonomia e indipendenza ovvero dall’intelligenza artificiale alla mono-committenza.

Interverranno:

Saluti di benvenuto da parte dell’Avv. Marco Marocco – Consigliere Ordine Avvocati Trieste

Prof. Francesco Russo – Professore associato di Storia e Politiche Internazionali della Formazione presso l’Università degli Studi di Udine Consigliere regionale Vice Presidente del Consiglio regionale
Le libere professioni nell’economia regionale

Dott. Marco ANCORA – esecutivo CIU Unionquadri
Gli obiettivi delle reti tra professionisti

Prof. Dott. Nicola DE MARINIS – Consigliere Suprema Corte di Cassazione Sezione Lavoro
Subordinazione e parasubordinazione in ambito legale

Avv. Adriano SPONZILLI – Direttivo Associazione Nazionale Forense
Monocommittenza e progetti di legge su autonomia e indipendenza

Avv. Giampaolo Di Marco – Segretario Generale Associazione Nazionale Forense
Relazione di sintesi

Modera Avv. Fabio Petracci

Attribuzione crediti n. 3 di cui uno in materia deontologica

Basse retribuzioni. Basta una legge sul salario minimo?

In questi ultimi tempi, si è molto parlato di salario minimo in termini estremamente contrapposti, facendone da una parte una bandiera e dall’altra l’oggetto di una decisa opposizione.

L’argomento è reso attuale dal basso livello delle retribuzioni nel nostro paese che non solo non crescono, ma tendono addirittura a faticare nell’adeguarsi all’inflazione.

Scopriamo però come il tema dei bassi salari non possa esclusivamente risolversi tramite norme di legge, ma imponga di valutare l’intera situazione del lavoro e dell’economia nel nostro paese.

Qui troveremo un argomento ripetutamente segnalato da CIU-Unionquadri, individuato nella mancata valorizzazione dei lavoratori della conoscenza, della meritocrazia e della formazione di imprenditori e manager.

Appare semplicistico, ma anche fuorviante parlare solo di retribuzioni, di retribuzioni minime e di una sostanziale perdita del valore di acquisto della retribuzione in Italia.

Il tema va affrontato sul piano della qualità e quantità del lavoro, della produttività e della retribuzione dei lavori della conoscenza.

In realtà una delle variabili che determinano il salario è data dalla qualità del lavoro.

Nel 2022 in base ai dati OCSE risultava nel nostro paese una diminuzione del salario medio dal 1990 pari al 2,9%, contro una crescita in tutti restanti paesi dell’organizzazione.

Una delle prime cause di questa situazione è ascrivibile al PIL italiano che non ha ancora recuperato i dati anteriori al 2008.

Oggi nel nostro paese, la percentuale degli occupati con contratto di lavoro subordinato si aggira intorno al 50% contro il 40% degli anni ‘90.

Non va però dimenticato come molti di questi occupati lavorino con contratti a part time, a tempo determinato, a chiamata, o contratti stagionali (contrati che contribuiscono ad abbassare la media salariale).

Nel contempo è in aumento anche il tasso di ingressi ed uscite dai rapporti di lavoro.

Sommando questi fattori comprendiamo, almeno parzialmente, la dinamica verso la compressione del salario medio.

Notiamo in tal senso che tale diminuzione risulta superiore al tasso di inflazione.

Un altro aspetto però va rimarcato.

In Italia, mancano lavori di qualità connotati da salari alti.

In sostanza, manca il lavoro di qualità e dove presente è mediamente poco retribuito.

Sono scarsi e talora poco pagati i lavori della conoscenza e del talento.

Del resto, se non creiamo opportunità di lavoro in questo settore e non operiamo maggiori compensi, rispetto ad altri paesi non avremo maggiore sviluppo e maggiore incremento dei salari e non solo di quelli di alto livello, ma anche dei normali livelli salariali che dovrebbero giovarsi della maggiore produttività.

A quanto riferisce Andrea Guarnero economista dell’OCSE Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, si aggiungono nel caso italiano a questi fattori di bassa crescita dei salari, l’inefficienza del settore pubblico, una scarsa meritocrazia, oltre che una contrattazione aziendale poco sviluppata.

Lo studioso vi aggiunge un aspetto altrettanto interessante come la mancata rivoluzione industriale degli anni novanta.

Rileva come non sia stato sufficiente fornire ai lavoratori adeguati strumenti tecnologici, senza fornire un’assistenza ed una istruzione e formazione adeguata, per usarli al meglio.

Altrettanto negativamente, secondo il medesimo studioso, rileva la bassa istruzione e formazione tanto dei manager che degli imprenditori.

Fabio Petracci

Le mansioni nel lavoro portuale

Il lavoro nel contesto portuale trova la propria disciplina del CCNL Porti, che definisce anche le declaratorie contrattuali dei vari livelli di inquadramento.

Con specifico riferimento alle mansioni, l’art. 2103 c.c. così stabilisce:“Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.

In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale.

Il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall’assolvimento dell’obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell’atto di assegnazione delle nuove mansioni.

Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi.

Nelle ipotesi di cui al secondo e al quarto comma, il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.

Nelle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.

Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.

Il lavoratore non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

Salvo che ricorrano le condizioni di cui al secondo e al quarto comma e fermo quanto disposto al sesto comma, ogni patto contrario è nullo.”

Non risultano con riferimento al lavoro portuale normative derogatorie connesse al lavoro somministrato ed in particolare alla fornitura di lavoro portuale rispetto alla norma di legge generale.

Pertanto, il dipendente portuale deve essere adibito alle mansioni proprie del livello di inquadramento.

Lvoro precario

Alcune considerazioni sul lavoro che cambia

Quali cambiamenti ci aspettano e come influiranno sul lavoro. All’inizio degli anni 2000, gli assetti che mutano rapidamente dell’economia inducevano ad istanze di flessibilità orientate a prevenire o assecondare i bisogni della produzione e della concorrenza.

Si assisteva ad un ricorso a criteri di flessibilità che permettevano il mutare degli elementi temporali della prestazione, nonché l’instaurazione di rapporti non sottoposti alle regole del lavoro dipendente (parasubordinati).

In parte questi assetti rispondevano a nuove esigenze delle imprese in parte, essi spesso mascheravano a fini di evasione normali rapporti di lavoro.

Si confidava che questi nuovi assetti del lavoro avrebbero ridato vita al mercato ed all’occupazione, ma così non fu.

Si considerava quindi ancora troppo rigide le regole del lavoro sia in entrata che in uscita e con il Jobs Act del 2015, si dava luogo ad una operazione inversa.

Venivano così eliminate molte delle fattispecie atipiche di cui al DLGS 276/2003 legge Biagi, e si favoriva l’instaurazione di un unico rapporto di lavoro cui erano tolte numerose rigidità in entrata ed in uscita. Neppure questa rapida conversione dava frutti sul piano dell’occupazione.

Ci troviamo ora di fronte ad ulteriori evoluzioni ed innovazioni che questa volta solo in parte provengono dall’economia e dalla globalizzazione.

L’elemento catalizzatore è dato ora da cambiamenti di natura tecnica che si ripercuotono direttamente sugli elementi di spazio, tempo, autonomia tipici del rapporto di lavoro.

Premettiamo che questo fenomeno non è ancora generale e non lo sarà, destinato sicuramente a convivere con forme maggiormente datate e comuni di prestazione. Per tale motivo, ci troveremo di fronte ad un quadro estremamente complesso.

Permane e permarrà comunque lo squilibrio contrattuale tra chi rende la prestazione e chi la utilizza.

Si tratta di costruire anche in questi casi un punto di equilibrio.

L’esperienza sin qui vissuta ci induce a ritenere che gli interventi normativi non assumono in tal senso effetti miracolosi.

Si tratta quindi di capire quali strade intraprendere per regolamentare il lavoro nel prossimo futuro.

Di fronte ad un panorama così variegato, due sono le tentazioni, da un lato dar corso ad una legislazione di dettaglio che cerchi di disciplinare ogni aspetto delle novità in atto, d’altro lato, creare una normativa ampia leggera ed adattabile articolata nei seguenti interventi:

Definizione di lavoro dipendente

Evitare la proliferazione di nuove tipologie e ricondurre ad unica disciplina tutte le prestazioni caratterizzate da continuità e mono committenza.

Rappresentanza e retribuzione

In ragione della sempre maggiore complessità del mondo del lavoro, occorre assolutamente evitare sistemi rigidi di rappresentanza. Quindi non si dovrebbero assumere con  legge gli accordi interconfederali sulla rappresentatività, in mancanza della piena attuazione dell’articolo 39 della Costituzione. Serve invece assicurare una retribuzione basilare introducendo per legge un minimo retributivo orario.

Disciplina della prestazione

Accanto al binomio ore lavorate /retribuzione, andrebbero introdotte per il lavoro sganciato dai requisiti di orario e sede della prestazione, forme di retribuzione accessoria collegata al raggiungimento di obiettivi da definire in sede di contrattazione aziendale.

Andrebbe normata ove possibile una riduzione a retribuzione invariata dell’orario di lavoro.

Formazione

Andrebbero valorizzate le competenze professionali e la formazione mediante l’inclusione della professionalità della sua spendita e della sua manutenzione nell’oggetto del contratto di lavoro.

La formazione professionale andrebbe almeno in parte ricondotta tra le competenze statali per evitare le sfasature in ambito regionale.

Andrebbe quindi istituita un’anagrafe delle competenze certificate per ciascun lavoratore.

L’inclusione della professionalità raggiunta nel concetto di scambio del contratto di lavoro, consentirebbe un rapido accesso al mercato stesso.

Diritto al maggior benessere possibile nell’ambito del lavoro

Il mobbing affrontato con un recente disegno di legge rappresenta la punta d’iceberg di un diffuso malessere dei rapporti anche interpersonali sul lavoro.

Andrebbe opportunamente in tale ambito, considerato lo stress lavoro correlato ed ogni grave problema connesso a diffusa mancanza di organizzazione, oltre alle discriminazioni di ogni tipo.

Si potrebbe ipotizzare un testo unico sul benessere lavorativo.

In tal modo, il primo vantaggio deriverebbe alle aziende.

I controlli

Stante la complessità del mondo del lavoro, necessita favorire i controlli. Si tratta pertanto di superare la normativa in tema di accessi e controlli che ha unificato i ruoli degli ispettori di INPS INAIL Ispettorato del Lavoro.

Serve innovare le procedure di controllo in materia antinfortunistica rafforzando le competenze dell’INAIL

La pubblica Amministrazione

L’avanzare della tecnologia interesserà sempre di più anche la pubblica amministrazione. Quivi dovrebbe trovare finalmente realizzazione la riforma della dirigenza, istituendo figure professionali idonee a definire esperti e ricercatori, modificando i ruoli della dirigenza, l’accesso alla stessa ed istituendo apposita area di quadri ed esperti.

Fabio Petracci

Formazione e Istruzione Professionale. L’auspicabile intervento della competenza statuale

L’articolo 117 terzo comma della Costituzione esclude la materia dell’istruzione e della formazione professionale dalla competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni, demandandole così alla potestà legislativa residuale delle Regioni (Comma 4 articolo 117 Costituzione).

Non va però dimenticato come istruzione e formazione professionale si trovino spesso in una posizione di collegamento con altre materie di stretta competenza statale.

Istruzione e Formazione professionale spesso si inseriscono nella materia dell’accesso alle professioni ed in quella del diritto del lavoro.

Spesso infatti, la Corte Costituzionale è stata chiamata a dirimere situazioni complesse inerenti proprio la formazione professionale.

Si è così creata una diffusa giurisprudenza costituzionale in materia di formazione professionale ed apprendistato. (Corte Costituzionale  28 gennaio 2005 nn. 50 e 51; 7 dicembre 2006 n. 406; 19 dicembre 2006 n. 425; 7 febbraio 2007 n. 21; 6 febbraio 2007 n. 24; 14  maggio 2010 n. 176; 24 novembre 2010 n. 334).

Va inoltre considerata la natura di diritto sociale della formazione professionale nell’ambito dell’ordinamento italiano ed il suo nesso inscindibile con il diritto del lavoro.

Inoltre, sull’autonomia regionale, anche a seguito dell’interazione con l’ordinamento comunitario, pesa l’ambito della disciplina sulla libera circolazione dei lavoratori e delle professioni in ambito comunitario, e quindi in sede nazionale, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali.

Ci riferiamo in particolare al piano d’azione per le competenze e la mobilità – Comunicazione della Commissione del 13 febbraio 2002 al Consiglio, al Parlamento Europeo, al CESE ed al Comitato delle Regioni

Pure in tema di professioni intellettuali, la competenza statuale vuole assicurare un tutela uniforme degli interessi connessi all’esercizio delle professioni regolamentate.

Nel mentre, una formazione di competenza regionale per l’accesso o più spesso per l’aggiornamento dei professionisti, comporta un rischio non indifferente di frammentazione ed inutile differenziazione.

Ci si dovrebbe quindi proporre non tanto una modifica delle competenze legislative che comporterebbe una complessa e difficile azione di modifica costituzionale, ma piuttosto in ambito legislativo una disciplina chiara che suddivida istruzione professionale e formazione in diversi settori dove si riconosca facilmente il collegamento con la materia del lavoro e delle professioni, al fine di delimitare la competenza regionale.

Fabio Petracci

I prossimi obiettivi di CIU – UNIONQUADRI nel mondo del lavoro

Il sindacato CIU UNIONQUADRI che opera da lungo tempo nell’ambito del lavoro pubblico e privato ed è rappresentato presso il CNEL e presso il CESE, suggerisce una serie di interventi ad ampio respiro nel mondo del lavoro, sottolineando inoltre alcuni punti già sostenuti e fatti propri.

Riteniamo di grande rilievo generale il tema della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese in quanto le alte professionalità sono le più sensibili all’argomento in quanto normalmente coinvolte nella gestione.

Di seguito il tema della professionalità e della formazione congeniale ad un sindacato come il nostro che considera la professionalità come un elemento centrale nel rapporto di lavoro

Di seguito, il riconoscimento dei quadri nell’ambito del pubblico impiego, argomento, a nostro avviso fondamentale, per un vero cambiamento della Pubblica Amministrazione all’insegna della competenza e della professionalità.

Esaminiamo in breve questi punti:

1. Realizzazione del principio sancito dall’articolo 45 della Costituzione – Partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale.

L’argomento era tornato alla ribalta con la delega contenuta nell’articolo 4 della legge 28 giugno 2012 n.92, ma di seguito la delega non venne attuata nei tempi previsti.

Riteniamo come una simile misura anche se attuata in maniera flessibile, gradata e variabile, apporterebbe sensibili benefici alla produttività, all’occupazione e sarebbe in grado di favorire il benessere aziendale, nonché ad evitare spesso confronti spesso conflittuali ed ideologici.

La misura è presente in Germania, in Francia ed altri paesi e trova già avvallo anche in sede comunitaria.

Essa potrebbe trovare attuazione primaria nelle aziende a partecipazione pubblica e quindi anche in forme diverse e modulate in altre realtà produttive.

Una normativa finalizzata alla partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale potrebbe essere attuata in maniera flessibile a diversi livelli.

In primo luogo mediante apposite procedure in grado di rendere informati e partecipi i lavoratori alle decisioni strategiche per l’azienda.

In secondo luogo, con lo sviluppo dell’azionariato dei dipendenti, ed in maniera più completa creando o nell’ambito dei consigli di amministrazione o in apposite strutture di controllo e co – decisione una gestione comune.

CIU UNIONQUADRI sin da ora si dichiara disponibile ad approfondire il tema ed a fornire ogni collaborazione.

2. Miglioramento del rapporto Scuola – Mondo del Lavoro. – Formazione.

Scuola – Alta formazione professionale.

Riteniamo utili alcune misure atte a migliorare il mercato del lavoro ed in particolare il rapporto domanda offerta, come pure gli investimenti in tema di ricerca e di sviluppo.

In tal senso vediamo con favore il consolidamento dei rapporti formazione professionale anche continua, istruzione professionale anche di alto livello.

Consideriamo strategica ed importante la funzione degli Istituti Tecnici Superiori dotati di un corpo docente proveniente in maniera rilevante dalla categoria dei quadri aziendali in grado di offrire specializzazioni che il sistema scolastico da solo non è in grado di offrire.

Formazione professionale.

Sempre in tema di formazione professionale riteniamo come la stessa per quanto riguarda la formazione in entrata debba trovare stretto contatto con l’auspicato sistema integrato di formazione tecnica e scolastica anche di alto livello di cui sopra superando talune riserve di competenza regionale a favore della concorrenza con le competenze statali.

Per quanto invece riguarda, la formazione in corso di rapporto di lavoro, auspicandone pure l’integrazione nel sistema nazionale di formazione, essa dovrebbe trovare adeguata registrazione e pubblicità a livello di ciascun lavoratore ed essere trattata e considerata come oggetto contrattuale nell’ambito del rapporto di lavoro.

In tema di formazione ed istruzione professionale, siamo disponibili ad approfondire ed istituzionalizzare l’inserimento dei quadri aziendali in progetti di istruzione e formazione.

Ricercatori.

Per quanto riguarda la ricerca nell’ambito delle aziende ed istituzioni private di ricerca, stiamo lavorando per addivenire ad un contratto collettivo per la categoria dei ricercatori che ne colga la specificità e le esigenze.

3. Retribuzioni

Facciamo propria la preoccupazione dell’intero mondo del lavoro per il basso livello retributivo offerto dal nostro paese.

Quale sindacato dei quadri, auspichiamo per la categoria l’istituzione di istituti premiali anche legati all’andamento aziendale non sottoposti e gravati da tassazione.

4. Pubblico Impiego

 Questo sindacato ha apprezzato le recenti misure che hanno istituito l’area EP Elevate Professionalità nell’ambito dell’Impiego Pubblico.

Auspica però misure maggiormente incisive atte a favorire l’ingresso dei giovani laureati nella Pubblica Amministrazione, rendendolo vantaggioso e prestigioso.

Per tali motivi ritiene utili sistemi innovativi di ingresso nella pubblica amministrazione anche per i giovani appena laureati anche mediante periodi di formazione con la scuola della pubblica amministrazione o in aziende private a partecipazione pubblica.

Ritiene altresì utile forme di circolazione del personale altamente qualificato tra il pubblico ed il privato anche mediante esperienze all’estero.

Quanto esposto dovrebbe essere sorretto dall’esistenza di una specifica area di contrattazione o perlomeno a livello integrativo per le alte professionalità del settore pubblico.

In merito al riconoscimento di una specifica area dei quadri nell’ambito delle pubbliche amministrazioni. Il nostro sindacato ha avuto diverse interlocuzioni a livello istituzionale ed offre ogni possibile collaborazione sul tema.

WEBINAR – Decreto PNRR 2 (D.L. 36/22) e Riforma del Pubblico Impiego

Giovedì 23 giugno 2022, dalle 10.00 alle 12.00, l’avv. Petracci sarà relatore del webinar:

Decreto PNRR 2 (D.L. 36/22) e Riforma del Pubblico Impiego
Tutte le novità in materia di reclutamento, concorsi, fabbisogni del personale e codice di comportamento dei dipendenti

Durante la sessione affronterà in diretta tutti gli argomenti indicati nel programma, risponderà ai quesiti pervenuti e approfondirà le tematiche segnalate dai partecipanti.

L’obiettivo di questo webinar è fornire gli strumenti per attuare tutte le novità, in tema di pubblico impiego, introdotte dal PNRR 2 (D.L. 36/2022).

Saranno analizzate, punto per punto, le nuove disposizioni, con particolare attenzione a:

  • Programmazione dei fabbisogni e nuovi profili professionali
  • Reclutamento e possibilità di assunzione: novità
  • Nuove regole per i concorsi e portale unico del reclutamento inPA
  • Novità in tema di codice di comportamento dei dipendenti pubblici sui social
  • Parità di genere e vantaggi specifici per i generi meno rappresentati
  • Novità in tema di passaggi diretti e distacchi, concorsi e procedure di mobilità
  • Modifiche al decreto-legge 80/2021, applicazione a regioni ed enti locali
  • Incarichi professionali al personale in quiescenza: novità

La registrazione video del Webinar sarà disponibile entro 24 ore dalla conclusione.

Per informazioni sulle modalità di iscrizione si rimanda alla seguente pagina di riferimento della Professional Ac@demy.

Lvoro precario

Cosa sono le politiche attive del lavoro?

L’occupazione è un principio posto costituzionalmente dall’art. 4, che intende promuovere l’effettività del diritto al lavoro, imponendo al contempo al cittadino, sulla base delle proprie capacità e della propria scelta, un’attività utile.

Il d.lgs. n. 150/2015 costituisce il nucleo centrale per l’attuazione delle politiche attive per il lavoro ma la disciplina del mercato del lavoro rientra non solo tra le competenze dello Stato, ma anche delle regioni.

In particolare è l’ANPAL, l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive per il Lavoro a coordinare le misure di politica attiva del lavoro, del collocamento dei disabili e delle misure di sostegno al reddito collegate alla cessazione del rapporto di lavoro.

Le strutture regionali per le politiche attive del lavoro sono invece costituite dai Centri per l’Impiego, che si occupano non solo di gestire i servizi di politica attiva del lavoro e gli ammortizzatori sociali ma anche di verificare l’effettivo stato di disoccupazione, provvedere alla profilazione dei disoccupati, stipulare il patto di servizio personalizzato, promuovere e garantire ausilio nella ricerca di esperienze lavorative, formative ed orientative.

Per collocamento mirato si intende il complesso degli strumenti e le procedure che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità in relazione all’effettiva possibilità di impiego. I destinatari del collocamento mirato sono i disabili con invalidità riconosciuta superiore al 45% e gli invalidi del lavoro con invalidità riconosciuta superiore al 35% (cfr. legge n. 68/1999).

Le politiche attive del lavoro hanno come obiettivo quello di far incontrare domanda e offerta di lavoro, al fine di creare nuova occupazione e di alleggerire il ricorso agli ammortizzatori sociali.

Nell’ambito delle politiche attive del lavoro sono ricompresi anche l’instaurazione di tirocini o altre esperienze formative. Con specifico riferimento ai giovani dai 15 ai 18 anni, la legge n.107/2015 ha potenziato l’alternanza scuola lavoro, inserendo dei percorsi obbligatori nel all’interno della scuola secondaria di secondo grado.

Nell’ambito delle politiche attive del lavoro risulta fondamentale il ruolo, tanto determinante quanto complesso, della formazione. Anche in materia di formazione è rilevante la competenza e l’intervento regionale.

Per formazione professionale deve infatti intendersi una vasta gamma di interventi destinati a ripercuotersi sul rapporto di lavoro: non solo l’inserimento nel mercato del lavoro ma anche la tutela occupazionale ed il perseguimento di legittimi obiettivi di carriera e di guadagno.

Nell’auspicio del legislatore, la formazione dovrebbe infatti fornire al lavoratore la cosiddetta “occupabilità”, ovvero la possibilità di poter, nel corso della propria vita lavorativa, spendere diverse occasioni di lavoro senza soluzione di continuità.

Avvocato Alberto Tarlao

CONVEGNO – La formazione continua dei lavoratori per la ripartenza

Venerdì 10 dicembre alle 10:00 in diretta streaming su WEBTV.SENATO.IT dalla Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani presso il Senato della Repubblica.

Professionalità e formazione nel contratto di lavoro

Per formazione professionale intendiamo una vasta gamma di interventi destinati a ripercuotersi sul rapporto di lavoro.

Conosciamo la formazione inziale che corrisponde a quella attuata prima dell’ingresso nel mondo del lavoro, cui in qualche modo si affianca anche l’alternanza scuola – lavoro, la formazione continua in stretta connessione con il rapporto di lavoro, la formazione permanente che attiene principalmente ad una scelta del lavoratore.

Le principali funzioni della formazione professionale sono l’inserimento nel mercato del lavoro, la tutela occupazionale, ma anche legittimi obiettivi di carriera e di guadagno.

In questi periodi, siamo portati a vedere principalmente la formazione professionale in funzione di riconversione delle professionalità legate alle crisi ed alle trasformazioni aziendali o come strumento di politica attività del lavoro. Principalmente come strumento di mero Welfare.

Un esame completo della normativa in tema di formazione potrebbe fornirci un quadro maggiormente completo.

Eviteremo così un concetto povero e limitato di formazione professionale con connotati spesso emergenziali ed assistenziali.

Trattasi in primo luogo nel caso della formazione professionale, di un istituto che trova copertura costituzionale.

L’articolo 4 della Costituzione riconosce ad ogni cittadino non solo il diritto al lavoro, anche il dovere di svolgere una funzione utile secondo le sue possibilità e la sua scelta, riconoscendo così il diritto al miglioramento non solo economico, ma anche professionale.

Vi concorre anche nell’ambito della Costituzione medesima l’articolo 35 che testualmente tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.

L’articolo 4 appena esaminato che menziona la scelta del lavoratore valorizza l’autodeterminazione del singolo per il quale la formazione può costituire uno strumento di innalzamento sociale e personale.

Si tratta quindi anche nella di un modello di formazione che dovrebbe assumere dimensione dinamica ed a misura del soggetto interessato Quindi l’istituto oltre che come diritto sociale dovrebbe rilevare pure come diritto della persona immedesimato nel termine di “capability” inteso come libertà effettiva.

Quindi, la formazione dovrebbe fornire al lavoratore la cosiddetta «occupabilità» o employability cioè la possibilità di spendere diverse occasioni di lavoro nell’arco della propria vita.

Notiamo che la normativa comunitaria in materia riconosce la formazione nell’ambito dei diritti sociali (trattato di Roma e Carta Sociale Europea).

Passando all’ordinamento nazionale, constatiamo come il diritto alla formazione non sia ancora del tutto effettivo.

In primo luogo con la legge 3/2001 e l’articolo 117 della Costituzione, la formazione è entrata a far parte delle competenze regionali.

Ciò determina il prevalere di una tipologia di formazione caratterizzata da interventi di welfare destinati a confliggere con la normativa statale cui è demandata la competenza in ambito di ordinamento civile e quindi di interventi nell’ambito del rapporto di lavoro e di natura contrattuale.

Numerosi sono in tema di competenza formativa i contenziosi presso la Corte Costituzionale.

In tema di normativa nazionale, troviamo la legge quadro 845/78 e più tardi la legge 196/1997 (Pacchetto Treu) che prevede un riordino della materia della formazione, stabilendo per la prima volta l’integrazione della formazione con il sistema scolastico ed universitario e con il mondo del lavoro.

Di seguito la legge n.53/2000 che prevede i cosiddetti congedi formativi.

Quindi la legge finanziaria del 2001 istituisce i fondi paritetici per la formazione.

Ma, in particolare, la norma mediante la quale viene fatta calare la formazione nell’ambito del contratto di lavoro, anche se risulta ancora difficile parlare di un obbligo formativo da parte del datore di lavoro è data dall’articolo 2103 del codice civile che, tutelando la professionalità del lavoratore impedendone la dequalificazione e favorendone la promozione, in qualche modo impone al datore di lavoro seppure nelle ipotesi tipiche, la manutenzione della professionalità del dipendente.

Di fronte poi all’evoluzione di molti istituti del diritto del lavoro, la manutenzione della professionalità, il suo ampliamento o la sua sostituzione rivestono un’importanza fondamentale-

La cosiddetta classificazione per aree professionale ha messo in qualche modo in crisi la cosiddetta staticità delle mansioni.

Di fronte alla dilatazione dell’oggetto del contratto e quindi dell’obbligazione dedotta, il lavoratore non è sempre in grado di adattare la propria professionalità. Quindi un’adeguata formazione può rivestire nell’obbligazione contrattuale un ruolo doveroso.

Le stesse modifiche apportate dal c.d. Jobs Act  (DLGS 81/2015) all’articolo 2103 del codice civile che rendono esigibili nei confronti del lavoratore tutte le mansioni dell’area o categoria di appartenenza e che prevedono in taluni casi un obbligo di formazione da parte del datore di lavoro contribuiscono ad evidenziare la necessità che la professionalità e quindi la sua manutenzione o il suo ampliamento vengano ad inserirsi nel rapporto contrattuale.

La stessa normativa in tema di licenziamenti che di fatto ha notevolmente limitato l’obbligo di reintegra finisce con il rendere necessaria una professionalità aggiornata o mutata come un patrimonio del lavoratore tanto per evitare la risoluzione del rapporto di lavoro, quanto per trovarne uno nuovo.

Ne deriva che sempre di più la professionalità e la formazione dovrebbero assumere rilievo nell’oggetto e nella causa del contratto di lavoro.

Naturalmente individuare fattispecie contrattuali con tali caratteristiche significa contraddire la natura tipica dei rapporti di lavoro che è prevista dalla legge e che prevede solo delle specifiche ipotesi di contratti formativi.

Quindi un importante compito in quest’ambito compete alla contrattazione collettiva che però dovrebbe introdurre una tutela personalizzata della professionalità ed una formazione di natura non generica né burocratica, ma aderente alle esigenze del singolo lavoratore.

Nell’ambito della contrattazione collettiva del settore metalmeccanico già nel 2016 era affermato all’articolo il diritto soggettivo alla formazione continua, era stabilito che a far data dal 1 gennaio 2017, le aziende avrebbero coinvolto i lavoratori in percorsi di formazione continua della durata di 24 ore pro capite con le modalità erogate da fondo impresa, elaborando progetti aziendali o aderendo a progetti territoriali o settoriali, non computandosi nelle previste 24 ore quelle erogate per la sicurezza.

E’ previsto che le iniziative formative siano finalizzate all’acquisizione di competenze trasversali, digitali, tecniche e gestionali, impiegabili nel contesto lavorativo aziendale.

Il contratto medesimo Stabilisce apposita commissione nazionale per la formazione professionale e l’apprendistato, apposite commissioni territoriali ed aziendali con il medesimo oggetto ed un referente aziendale per la formazione professionale.

Chi scrive ritiene una simile iniziativa sicuramente interessante, rileva però come il tema della professionalità sia strettamente inerente la persona del singolo lavoratore ed appare quindi inadeguato se non illogico prevedere un monte ore fisso di formazione eguale per tutti dal momento che un soggetto potrebbe averne affatto bisogno ed altri necessitare di una totale rivisitazione della professionalità attività neppure pensabile nello spazio di 24 ore, sarebbe stato quindi opportuno delegare agli organi nazionali, territoriali e aziendali unitamente all’azienda a valutare i casi destinati alla formazione e le relative necessità.

Fabio Petracci