Le mansioni nel lavoro portuale

Il lavoro nel contesto portuale trova la propria disciplina del CCNL Porti, che definisce anche le declaratorie contrattuali dei vari livelli di inquadramento.

Con specifico riferimento alle mansioni, l’art. 2103 c.c. così stabilisce:“Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.

In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale.

Il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall’assolvimento dell’obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell’atto di assegnazione delle nuove mansioni.

Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi.

Nelle ipotesi di cui al secondo e al quarto comma, il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.

Nelle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.

Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.

Il lavoratore non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

Salvo che ricorrano le condizioni di cui al secondo e al quarto comma e fermo quanto disposto al sesto comma, ogni patto contrario è nullo.”

Non risultano con riferimento al lavoro portuale normative derogatorie connesse al lavoro somministrato ed in particolare alla fornitura di lavoro portuale rispetto alla norma di legge generale.

Pertanto, il dipendente portuale deve essere adibito alle mansioni proprie del livello di inquadramento.

Lvoro precario

Alcune considerazioni sul lavoro che cambia

Quali cambiamenti ci aspettano e come influiranno sul lavoro. All’inizio degli anni 2000, gli assetti che mutano rapidamente dell’economia inducevano ad istanze di flessibilità orientate a prevenire o assecondare i bisogni della produzione e della concorrenza.

Si assisteva ad un ricorso a criteri di flessibilità che permettevano il mutare degli elementi temporali della prestazione, nonché l’instaurazione di rapporti non sottoposti alle regole del lavoro dipendente (parasubordinati).

In parte questi assetti rispondevano a nuove esigenze delle imprese in parte, essi spesso mascheravano a fini di evasione normali rapporti di lavoro.

Si confidava che questi nuovi assetti del lavoro avrebbero ridato vita al mercato ed all’occupazione, ma così non fu.

Si considerava quindi ancora troppo rigide le regole del lavoro sia in entrata che in uscita e con il Jobs Act del 2015, si dava luogo ad una operazione inversa.

Venivano così eliminate molte delle fattispecie atipiche di cui al DLGS 276/2003 legge Biagi, e si favoriva l’instaurazione di un unico rapporto di lavoro cui erano tolte numerose rigidità in entrata ed in uscita. Neppure questa rapida conversione dava frutti sul piano dell’occupazione.

Ci troviamo ora di fronte ad ulteriori evoluzioni ed innovazioni che questa volta solo in parte provengono dall’economia e dalla globalizzazione.

L’elemento catalizzatore è dato ora da cambiamenti di natura tecnica che si ripercuotono direttamente sugli elementi di spazio, tempo, autonomia tipici del rapporto di lavoro.

Premettiamo che questo fenomeno non è ancora generale e non lo sarà, destinato sicuramente a convivere con forme maggiormente datate e comuni di prestazione. Per tale motivo, ci troveremo di fronte ad un quadro estremamente complesso.

Permane e permarrà comunque lo squilibrio contrattuale tra chi rende la prestazione e chi la utilizza.

Si tratta di costruire anche in questi casi un punto di equilibrio.

L’esperienza sin qui vissuta ci induce a ritenere che gli interventi normativi non assumono in tal senso effetti miracolosi.

Si tratta quindi di capire quali strade intraprendere per regolamentare il lavoro nel prossimo futuro.

Di fronte ad un panorama così variegato, due sono le tentazioni, da un lato dar corso ad una legislazione di dettaglio che cerchi di disciplinare ogni aspetto delle novità in atto, d’altro lato, creare una normativa ampia leggera ed adattabile articolata nei seguenti interventi:

Definizione di lavoro dipendente

Evitare la proliferazione di nuove tipologie e ricondurre ad unica disciplina tutte le prestazioni caratterizzate da continuità e mono committenza.

Rappresentanza e retribuzione

In ragione della sempre maggiore complessità del mondo del lavoro, occorre assolutamente evitare sistemi rigidi di rappresentanza. Quindi non si dovrebbero assumere con  legge gli accordi interconfederali sulla rappresentatività, in mancanza della piena attuazione dell’articolo 39 della Costituzione. Serve invece assicurare una retribuzione basilare introducendo per legge un minimo retributivo orario.

Disciplina della prestazione

Accanto al binomio ore lavorate /retribuzione, andrebbero introdotte per il lavoro sganciato dai requisiti di orario e sede della prestazione, forme di retribuzione accessoria collegata al raggiungimento di obiettivi da definire in sede di contrattazione aziendale.

Andrebbe normata ove possibile una riduzione a retribuzione invariata dell’orario di lavoro.

Formazione

Andrebbero valorizzate le competenze professionali e la formazione mediante l’inclusione della professionalità della sua spendita e della sua manutenzione nell’oggetto del contratto di lavoro.

La formazione professionale andrebbe almeno in parte ricondotta tra le competenze statali per evitare le sfasature in ambito regionale.

Andrebbe quindi istituita un’anagrafe delle competenze certificate per ciascun lavoratore.

L’inclusione della professionalità raggiunta nel concetto di scambio del contratto di lavoro, consentirebbe un rapido accesso al mercato stesso.

Diritto al maggior benessere possibile nell’ambito del lavoro

Il mobbing affrontato con un recente disegno di legge rappresenta la punta d’iceberg di un diffuso malessere dei rapporti anche interpersonali sul lavoro.

Andrebbe opportunamente in tale ambito, considerato lo stress lavoro correlato ed ogni grave problema connesso a diffusa mancanza di organizzazione, oltre alle discriminazioni di ogni tipo.

Si potrebbe ipotizzare un testo unico sul benessere lavorativo.

In tal modo, il primo vantaggio deriverebbe alle aziende.

I controlli

Stante la complessità del mondo del lavoro, necessita favorire i controlli. Si tratta pertanto di superare la normativa in tema di accessi e controlli che ha unificato i ruoli degli ispettori di INPS INAIL Ispettorato del Lavoro.

Serve innovare le procedure di controllo in materia antinfortunistica rafforzando le competenze dell’INAIL

La pubblica Amministrazione

L’avanzare della tecnologia interesserà sempre di più anche la pubblica amministrazione. Quivi dovrebbe trovare finalmente realizzazione la riforma della dirigenza, istituendo figure professionali idonee a definire esperti e ricercatori, modificando i ruoli della dirigenza, l’accesso alla stessa ed istituendo apposita area di quadri ed esperti.

Fabio Petracci

Formazione e Istruzione Professionale. L’auspicabile intervento della competenza statuale

L’articolo 117 terzo comma della Costituzione esclude la materia dell’istruzione e della formazione professionale dalla competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni, demandandole così alla potestà legislativa residuale delle Regioni (Comma 4 articolo 117 Costituzione).

Non va però dimenticato come istruzione e formazione professionale si trovino spesso in una posizione di collegamento con altre materie di stretta competenza statale.

Istruzione e Formazione professionale spesso si inseriscono nella materia dell’accesso alle professioni ed in quella del diritto del lavoro.

Spesso infatti, la Corte Costituzionale è stata chiamata a dirimere situazioni complesse inerenti proprio la formazione professionale.

Si è così creata una diffusa giurisprudenza costituzionale in materia di formazione professionale ed apprendistato. (Corte Costituzionale  28 gennaio 2005 nn. 50 e 51; 7 dicembre 2006 n. 406; 19 dicembre 2006 n. 425; 7 febbraio 2007 n. 21; 6 febbraio 2007 n. 24; 14  maggio 2010 n. 176; 24 novembre 2010 n. 334).

Va inoltre considerata la natura di diritto sociale della formazione professionale nell’ambito dell’ordinamento italiano ed il suo nesso inscindibile con il diritto del lavoro.

Inoltre, sull’autonomia regionale, anche a seguito dell’interazione con l’ordinamento comunitario, pesa l’ambito della disciplina sulla libera circolazione dei lavoratori e delle professioni in ambito comunitario, e quindi in sede nazionale, la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali.

Ci riferiamo in particolare al piano d’azione per le competenze e la mobilità – Comunicazione della Commissione del 13 febbraio 2002 al Consiglio, al Parlamento Europeo, al CESE ed al Comitato delle Regioni

Pure in tema di professioni intellettuali, la competenza statuale vuole assicurare un tutela uniforme degli interessi connessi all’esercizio delle professioni regolamentate.

Nel mentre, una formazione di competenza regionale per l’accesso o più spesso per l’aggiornamento dei professionisti, comporta un rischio non indifferente di frammentazione ed inutile differenziazione.

Ci si dovrebbe quindi proporre non tanto una modifica delle competenze legislative che comporterebbe una complessa e difficile azione di modifica costituzionale, ma piuttosto in ambito legislativo una disciplina chiara che suddivida istruzione professionale e formazione in diversi settori dove si riconosca facilmente il collegamento con la materia del lavoro e delle professioni, al fine di delimitare la competenza regionale.

Fabio Petracci

I prossimi obiettivi di CIU – UNIONQUADRI nel mondo del lavoro

Il sindacato CIU UNIONQUADRI che opera da lungo tempo nell’ambito del lavoro pubblico e privato ed è rappresentato presso il CNEL e presso il CESE, suggerisce una serie di interventi ad ampio respiro nel mondo del lavoro, sottolineando inoltre alcuni punti già sostenuti e fatti propri.

Riteniamo di grande rilievo generale il tema della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese in quanto le alte professionalità sono le più sensibili all’argomento in quanto normalmente coinvolte nella gestione.

Di seguito il tema della professionalità e della formazione congeniale ad un sindacato come il nostro che considera la professionalità come un elemento centrale nel rapporto di lavoro

Di seguito, il riconoscimento dei quadri nell’ambito del pubblico impiego, argomento, a nostro avviso fondamentale, per un vero cambiamento della Pubblica Amministrazione all’insegna della competenza e della professionalità.

Esaminiamo in breve questi punti:

1. Realizzazione del principio sancito dall’articolo 45 della Costituzione – Partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale.

L’argomento era tornato alla ribalta con la delega contenuta nell’articolo 4 della legge 28 giugno 2012 n.92, ma di seguito la delega non venne attuata nei tempi previsti.

Riteniamo come una simile misura anche se attuata in maniera flessibile, gradata e variabile, apporterebbe sensibili benefici alla produttività, all’occupazione e sarebbe in grado di favorire il benessere aziendale, nonché ad evitare spesso confronti spesso conflittuali ed ideologici.

La misura è presente in Germania, in Francia ed altri paesi e trova già avvallo anche in sede comunitaria.

Essa potrebbe trovare attuazione primaria nelle aziende a partecipazione pubblica e quindi anche in forme diverse e modulate in altre realtà produttive.

Una normativa finalizzata alla partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale potrebbe essere attuata in maniera flessibile a diversi livelli.

In primo luogo mediante apposite procedure in grado di rendere informati e partecipi i lavoratori alle decisioni strategiche per l’azienda.

In secondo luogo, con lo sviluppo dell’azionariato dei dipendenti, ed in maniera più completa creando o nell’ambito dei consigli di amministrazione o in apposite strutture di controllo e co – decisione una gestione comune.

CIU UNIONQUADRI sin da ora si dichiara disponibile ad approfondire il tema ed a fornire ogni collaborazione.

2. Miglioramento del rapporto Scuola – Mondo del Lavoro. – Formazione.

Scuola – Alta formazione professionale.

Riteniamo utili alcune misure atte a migliorare il mercato del lavoro ed in particolare il rapporto domanda offerta, come pure gli investimenti in tema di ricerca e di sviluppo.

In tal senso vediamo con favore il consolidamento dei rapporti formazione professionale anche continua, istruzione professionale anche di alto livello.

Consideriamo strategica ed importante la funzione degli Istituti Tecnici Superiori dotati di un corpo docente proveniente in maniera rilevante dalla categoria dei quadri aziendali in grado di offrire specializzazioni che il sistema scolastico da solo non è in grado di offrire.

Formazione professionale.

Sempre in tema di formazione professionale riteniamo come la stessa per quanto riguarda la formazione in entrata debba trovare stretto contatto con l’auspicato sistema integrato di formazione tecnica e scolastica anche di alto livello di cui sopra superando talune riserve di competenza regionale a favore della concorrenza con le competenze statali.

Per quanto invece riguarda, la formazione in corso di rapporto di lavoro, auspicandone pure l’integrazione nel sistema nazionale di formazione, essa dovrebbe trovare adeguata registrazione e pubblicità a livello di ciascun lavoratore ed essere trattata e considerata come oggetto contrattuale nell’ambito del rapporto di lavoro.

In tema di formazione ed istruzione professionale, siamo disponibili ad approfondire ed istituzionalizzare l’inserimento dei quadri aziendali in progetti di istruzione e formazione.

Ricercatori.

Per quanto riguarda la ricerca nell’ambito delle aziende ed istituzioni private di ricerca, stiamo lavorando per addivenire ad un contratto collettivo per la categoria dei ricercatori che ne colga la specificità e le esigenze.

3. Retribuzioni

Facciamo propria la preoccupazione dell’intero mondo del lavoro per il basso livello retributivo offerto dal nostro paese.

Quale sindacato dei quadri, auspichiamo per la categoria l’istituzione di istituti premiali anche legati all’andamento aziendale non sottoposti e gravati da tassazione.

4. Pubblico Impiego

 Questo sindacato ha apprezzato le recenti misure che hanno istituito l’area EP Elevate Professionalità nell’ambito dell’Impiego Pubblico.

Auspica però misure maggiormente incisive atte a favorire l’ingresso dei giovani laureati nella Pubblica Amministrazione, rendendolo vantaggioso e prestigioso.

Per tali motivi ritiene utili sistemi innovativi di ingresso nella pubblica amministrazione anche per i giovani appena laureati anche mediante periodi di formazione con la scuola della pubblica amministrazione o in aziende private a partecipazione pubblica.

Ritiene altresì utile forme di circolazione del personale altamente qualificato tra il pubblico ed il privato anche mediante esperienze all’estero.

Quanto esposto dovrebbe essere sorretto dall’esistenza di una specifica area di contrattazione o perlomeno a livello integrativo per le alte professionalità del settore pubblico.

In merito al riconoscimento di una specifica area dei quadri nell’ambito delle pubbliche amministrazioni. Il nostro sindacato ha avuto diverse interlocuzioni a livello istituzionale ed offre ogni possibile collaborazione sul tema.

WEBINAR – Decreto PNRR 2 (D.L. 36/22) e Riforma del Pubblico Impiego

Giovedì 23 giugno 2022, dalle 10.00 alle 12.00, l’avv. Petracci sarà relatore del webinar:

Decreto PNRR 2 (D.L. 36/22) e Riforma del Pubblico Impiego
Tutte le novità in materia di reclutamento, concorsi, fabbisogni del personale e codice di comportamento dei dipendenti

Durante la sessione affronterà in diretta tutti gli argomenti indicati nel programma, risponderà ai quesiti pervenuti e approfondirà le tematiche segnalate dai partecipanti.

L’obiettivo di questo webinar è fornire gli strumenti per attuare tutte le novità, in tema di pubblico impiego, introdotte dal PNRR 2 (D.L. 36/2022).

Saranno analizzate, punto per punto, le nuove disposizioni, con particolare attenzione a:

  • Programmazione dei fabbisogni e nuovi profili professionali
  • Reclutamento e possibilità di assunzione: novità
  • Nuove regole per i concorsi e portale unico del reclutamento inPA
  • Novità in tema di codice di comportamento dei dipendenti pubblici sui social
  • Parità di genere e vantaggi specifici per i generi meno rappresentati
  • Novità in tema di passaggi diretti e distacchi, concorsi e procedure di mobilità
  • Modifiche al decreto-legge 80/2021, applicazione a regioni ed enti locali
  • Incarichi professionali al personale in quiescenza: novità

La registrazione video del Webinar sarà disponibile entro 24 ore dalla conclusione.

Per informazioni sulle modalità di iscrizione si rimanda alla seguente pagina di riferimento della Professional Ac@demy.

Lvoro precario

Cosa sono le politiche attive del lavoro?

L’occupazione è un principio posto costituzionalmente dall’art. 4, che intende promuovere l’effettività del diritto al lavoro, imponendo al contempo al cittadino, sulla base delle proprie capacità e della propria scelta, un’attività utile.

Il d.lgs. n. 150/2015 costituisce il nucleo centrale per l’attuazione delle politiche attive per il lavoro ma la disciplina del mercato del lavoro rientra non solo tra le competenze dello Stato, ma anche delle regioni.

In particolare è l’ANPAL, l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive per il Lavoro a coordinare le misure di politica attiva del lavoro, del collocamento dei disabili e delle misure di sostegno al reddito collegate alla cessazione del rapporto di lavoro.

Le strutture regionali per le politiche attive del lavoro sono invece costituite dai Centri per l’Impiego, che si occupano non solo di gestire i servizi di politica attiva del lavoro e gli ammortizzatori sociali ma anche di verificare l’effettivo stato di disoccupazione, provvedere alla profilazione dei disoccupati, stipulare il patto di servizio personalizzato, promuovere e garantire ausilio nella ricerca di esperienze lavorative, formative ed orientative.

Per collocamento mirato si intende il complesso degli strumenti e le procedure che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità in relazione all’effettiva possibilità di impiego. I destinatari del collocamento mirato sono i disabili con invalidità riconosciuta superiore al 45% e gli invalidi del lavoro con invalidità riconosciuta superiore al 35% (cfr. legge n. 68/1999).

Le politiche attive del lavoro hanno come obiettivo quello di far incontrare domanda e offerta di lavoro, al fine di creare nuova occupazione e di alleggerire il ricorso agli ammortizzatori sociali.

Nell’ambito delle politiche attive del lavoro sono ricompresi anche l’instaurazione di tirocini o altre esperienze formative. Con specifico riferimento ai giovani dai 15 ai 18 anni, la legge n.107/2015 ha potenziato l’alternanza scuola lavoro, inserendo dei percorsi obbligatori nel all’interno della scuola secondaria di secondo grado.

Nell’ambito delle politiche attive del lavoro risulta fondamentale il ruolo, tanto determinante quanto complesso, della formazione. Anche in materia di formazione è rilevante la competenza e l’intervento regionale.

Per formazione professionale deve infatti intendersi una vasta gamma di interventi destinati a ripercuotersi sul rapporto di lavoro: non solo l’inserimento nel mercato del lavoro ma anche la tutela occupazionale ed il perseguimento di legittimi obiettivi di carriera e di guadagno.

Nell’auspicio del legislatore, la formazione dovrebbe infatti fornire al lavoratore la cosiddetta “occupabilità”, ovvero la possibilità di poter, nel corso della propria vita lavorativa, spendere diverse occasioni di lavoro senza soluzione di continuità.

Avvocato Alberto Tarlao

CONVEGNO – La formazione continua dei lavoratori per la ripartenza

Venerdì 10 dicembre alle 10:00 in diretta streaming su WEBTV.SENATO.IT dalla Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani presso il Senato della Repubblica.

Professionalità e formazione nel contratto di lavoro

Per formazione professionale intendiamo una vasta gamma di interventi destinati a ripercuotersi sul rapporto di lavoro.

Conosciamo la formazione inziale che corrisponde a quella attuata prima dell’ingresso nel mondo del lavoro, cui in qualche modo si affianca anche l’alternanza scuola – lavoro, la formazione continua in stretta connessione con il rapporto di lavoro, la formazione permanente che attiene principalmente ad una scelta del lavoratore.

Le principali funzioni della formazione professionale sono l’inserimento nel mercato del lavoro, la tutela occupazionale, ma anche legittimi obiettivi di carriera e di guadagno.

In questi periodi, siamo portati a vedere principalmente la formazione professionale in funzione di riconversione delle professionalità legate alle crisi ed alle trasformazioni aziendali o come strumento di politica attività del lavoro. Principalmente come strumento di mero Welfare.

Un esame completo della normativa in tema di formazione potrebbe fornirci un quadro maggiormente completo.

Eviteremo così un concetto povero e limitato di formazione professionale con connotati spesso emergenziali ed assistenziali.

Trattasi in primo luogo nel caso della formazione professionale, di un istituto che trova copertura costituzionale.

L’articolo 4 della Costituzione riconosce ad ogni cittadino non solo il diritto al lavoro, anche il dovere di svolgere una funzione utile secondo le sue possibilità e la sua scelta, riconoscendo così il diritto al miglioramento non solo economico, ma anche professionale.

Vi concorre anche nell’ambito della Costituzione medesima l’articolo 35 che testualmente tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.

L’articolo 4 appena esaminato che menziona la scelta del lavoratore valorizza l’autodeterminazione del singolo per il quale la formazione può costituire uno strumento di innalzamento sociale e personale.

Si tratta quindi anche nella di un modello di formazione che dovrebbe assumere dimensione dinamica ed a misura del soggetto interessato Quindi l’istituto oltre che come diritto sociale dovrebbe rilevare pure come diritto della persona immedesimato nel termine di “capability” inteso come libertà effettiva.

Quindi, la formazione dovrebbe fornire al lavoratore la cosiddetta «occupabilità» o employability cioè la possibilità di spendere diverse occasioni di lavoro nell’arco della propria vita.

Notiamo che la normativa comunitaria in materia riconosce la formazione nell’ambito dei diritti sociali (trattato di Roma e Carta Sociale Europea).

Passando all’ordinamento nazionale, constatiamo come il diritto alla formazione non sia ancora del tutto effettivo.

In primo luogo con la legge 3/2001 e l’articolo 117 della Costituzione, la formazione è entrata a far parte delle competenze regionali.

Ciò determina il prevalere di una tipologia di formazione caratterizzata da interventi di welfare destinati a confliggere con la normativa statale cui è demandata la competenza in ambito di ordinamento civile e quindi di interventi nell’ambito del rapporto di lavoro e di natura contrattuale.

Numerosi sono in tema di competenza formativa i contenziosi presso la Corte Costituzionale.

In tema di normativa nazionale, troviamo la legge quadro 845/78 e più tardi la legge 196/1997 (Pacchetto Treu) che prevede un riordino della materia della formazione, stabilendo per la prima volta l’integrazione della formazione con il sistema scolastico ed universitario e con il mondo del lavoro.

Di seguito la legge n.53/2000 che prevede i cosiddetti congedi formativi.

Quindi la legge finanziaria del 2001 istituisce i fondi paritetici per la formazione.

Ma, in particolare, la norma mediante la quale viene fatta calare la formazione nell’ambito del contratto di lavoro, anche se risulta ancora difficile parlare di un obbligo formativo da parte del datore di lavoro è data dall’articolo 2103 del codice civile che, tutelando la professionalità del lavoratore impedendone la dequalificazione e favorendone la promozione, in qualche modo impone al datore di lavoro seppure nelle ipotesi tipiche, la manutenzione della professionalità del dipendente.

Di fronte poi all’evoluzione di molti istituti del diritto del lavoro, la manutenzione della professionalità, il suo ampliamento o la sua sostituzione rivestono un’importanza fondamentale-

La cosiddetta classificazione per aree professionale ha messo in qualche modo in crisi la cosiddetta staticità delle mansioni.

Di fronte alla dilatazione dell’oggetto del contratto e quindi dell’obbligazione dedotta, il lavoratore non è sempre in grado di adattare la propria professionalità. Quindi un’adeguata formazione può rivestire nell’obbligazione contrattuale un ruolo doveroso.

Le stesse modifiche apportate dal c.d. Jobs Act  (DLGS 81/2015) all’articolo 2103 del codice civile che rendono esigibili nei confronti del lavoratore tutte le mansioni dell’area o categoria di appartenenza e che prevedono in taluni casi un obbligo di formazione da parte del datore di lavoro contribuiscono ad evidenziare la necessità che la professionalità e quindi la sua manutenzione o il suo ampliamento vengano ad inserirsi nel rapporto contrattuale.

La stessa normativa in tema di licenziamenti che di fatto ha notevolmente limitato l’obbligo di reintegra finisce con il rendere necessaria una professionalità aggiornata o mutata come un patrimonio del lavoratore tanto per evitare la risoluzione del rapporto di lavoro, quanto per trovarne uno nuovo.

Ne deriva che sempre di più la professionalità e la formazione dovrebbero assumere rilievo nell’oggetto e nella causa del contratto di lavoro.

Naturalmente individuare fattispecie contrattuali con tali caratteristiche significa contraddire la natura tipica dei rapporti di lavoro che è prevista dalla legge e che prevede solo delle specifiche ipotesi di contratti formativi.

Quindi un importante compito in quest’ambito compete alla contrattazione collettiva che però dovrebbe introdurre una tutela personalizzata della professionalità ed una formazione di natura non generica né burocratica, ma aderente alle esigenze del singolo lavoratore.

Nell’ambito della contrattazione collettiva del settore metalmeccanico già nel 2016 era affermato all’articolo il diritto soggettivo alla formazione continua, era stabilito che a far data dal 1 gennaio 2017, le aziende avrebbero coinvolto i lavoratori in percorsi di formazione continua della durata di 24 ore pro capite con le modalità erogate da fondo impresa, elaborando progetti aziendali o aderendo a progetti territoriali o settoriali, non computandosi nelle previste 24 ore quelle erogate per la sicurezza.

E’ previsto che le iniziative formative siano finalizzate all’acquisizione di competenze trasversali, digitali, tecniche e gestionali, impiegabili nel contesto lavorativo aziendale.

Il contratto medesimo Stabilisce apposita commissione nazionale per la formazione professionale e l’apprendistato, apposite commissioni territoriali ed aziendali con il medesimo oggetto ed un referente aziendale per la formazione professionale.

Chi scrive ritiene una simile iniziativa sicuramente interessante, rileva però come il tema della professionalità sia strettamente inerente la persona del singolo lavoratore ed appare quindi inadeguato se non illogico prevedere un monte ore fisso di formazione eguale per tutti dal momento che un soggetto potrebbe averne affatto bisogno ed altri necessitare di una totale rivisitazione della professionalità attività neppure pensabile nello spazio di 24 ore, sarebbe stato quindi opportuno delegare agli organi nazionali, territoriali e aziendali unitamente all’azienda a valutare i casi destinati alla formazione e le relative necessità.

Fabio Petracci

Incontro di studio: “Le novità del sistema pensionistico”

Pubblichiamo di seguito la locandina dell’incontro di studio dedicato, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 4/2019 convertito in legge n. 26/2019, alle principali novità del sistema pensionistico.

Nel corso dell’incontro, che si terrà in data giovedì 19 settembre in Udine dalle ore 15 alle ore 18 presso la Sala Scrosoppi di viale Ungheria 22, sarà presentato il volume “Previdenza sociale e lavoro – Il nuovo sistema pensionistico: tutele e contenzioso” degli autori Fabio Petracci ed Alberto Tarlao.

Inapplicabilità del termine di decadenza ex art.32 c.4 legge 183/2010 nel caso il lavoratore non contesti ma persegua il di trasferimento d’azienda

Riportiamo di seguito la massima ed il testo integrale della sentenza n. 13648/2019 della Suprema Corte di Cassazione, che ha accolto il ricorso proposto dagli avv. Fabio Petracci ed Alessandra Marin.

In caso di trasferimento di azienda la domanda del lavoratore volta all’accertamento del passaggio del rapporto di lavoro in capo al cessionario non è soggetta al termine di decadenza di cui all’art. 32, comma 4, lett. c), della l. n. 183 del 2010, applicandosi tale disposizione ai soli provvedimenti datoriali che il lavoratore intenda impugnare, al fine di contestarne la legittimità o la validità.

Cassazione civile sez. lav., 21/05/2019, (ud. 07/02/2019, dep. 21/05/2019), n.13648

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5553/2017 proposto da:

D.L., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato FABIO PETRACCI, ALESSANDRA MARIN;

– ricorrente –

contro

                   , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,                 , presso lo studio dell’avvocato L. M. C., che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

                   .;

– intimata –

avverso la sentenza n. 271/2016 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 27/12/2016 R.G.N. 164/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/02/2019 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

udito l’Avvocato FABIO PETRACCI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Trieste, con sentenza n. 271 pubblicata il 27.12.16, in accoglimento dell’appello proposto da                       e                  e in riforma della pronuncia di primo grado ha dichiarato inammissibile per intervenuta decadenza, ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, la domanda di D.L. di impugnazione della risoluzione del rapporto di lavoro con la                ; ha respinto l’appello incidentale con cui era stata riproposta l’impugnazione del contratto a termine concluso con                   ed ha accertato l’insussistenza di un vincolo di solidarietà tra quest’ultima società e la             per il pagamento del trattamento di fine rapporto maturato dalla lavoratrice nel rapporto di lavoro intercorso con ciascuna delle appellanti.

2. La Corte territoriale ha premesso in fatto come la D. fosse stata dipendente dell’             . dall’8.11.99; che a partire dal 4.2.13 la stessa era stata distaccata, insieme alle colleghe V.L. e V.E., presso la sede della                   ; che il 30.6.13 la stessa aveva risolto consensualmente il rapporto di lavoro con                    e dall’1.7.13 era stata assunta con contratto a tempo determinato da               ; analoga sorte avevano avuto le due colleghe, che avevano cessato il rapporto di lavoro con la                 ed erano state assunte a tempo determinato dalla             

3. La sentenza d’appello ha ritenuto che l’impugnativa stragiudiziale proposta dalle lavoratrici, tra cui la D., avente ad oggetto i distacchi, l’asserito trasferimento d’azienda e i contratti a termine, in quanto pervenuta alle società appellanti nelle date 13 e 14 gennaio 2014 non fosse rispettosa del termine di decadenza di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32 e fosse quindi tardiva. Ha sottolineato come il dies a quo del termine di 60 giorni per l’impugnativa stragiudiziale, in una fattispecie come quella in esame in cui non vi era un atto formale di trasferimento di azienda, dovesse individuarsi nel momento in cui il predetto trasferimento, invocato dalla lavoratrice, fosse stato nei fatti esteriorizzato. Ha precisato che tale momento dovesse coincidere con l’inizio del distacco, che la lavoratrice assumeva come simulatorio di un trasferimento di azienda, e che in ogni caso la decorrenza dei 60 giorni non potesse traslarsi in avanti oltre la formale assunzione alle dipendenze della società           , posto che in questo momento risultava certa la cessazione del rapporto di lavoro con              e l’inizio di un autonomo rapporto con l’altra società, a tempo determinato.

4. Nel respingere l’appello incidentale della lavoratrice, la Corte di merito ha dato atto di come il primo contratto a termine fosse stato concluso nella vigenza del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1 bis, che ne consentiva la stipulazione senza indicazione della causale giustificativa.

5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la D. affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso la                .

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso la sig.ra D. ha censurato la sentenza per violazione della L. n. 183 del 2010, art. 1, comma 1 bis e dell’art. 2112 c.c..

2. Ha contestato il ragionamento della Corte di merito secondo cui il lavoratore che agisca per far accertare l’avvenuto trasferimento d’azienda ed invochi il passaggio in capo al cessionario del proprio rapporto di lavoro, debba formulare un’impugnazione ai sensi del citato art. 32, pur in assenza di un provvedimento datoriale da impugnare.

3. Ha sostenuto come la L. n. 183 del 2010, art. 1, comma 1 bis, che ha esteso la disciplina di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 6, come modificato, alla “cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell’art. 2112 c.c., con termine decorrente dalla data del trasferimento”, dovesse trovare applicazione nella sola ipotesi in cui il lavoratore contesti la “cessione del contratto”; con la conseguenza non solo che il termine di decadenza non potrebbe decorrere in mancanza di comunicazione della “cessione del contratto” per effetto del trasferimento d’azienda ma che l’ipotesi del lavoratore che intendesse avvalersi dell’avvenuta “cessione” sarebbe estranea alla previsione di cui alla lett. c).

4. Secondo la ricorrente, il caso in esame non potrebbe neanche essere ricondotto dell’art. 32 cit., lett. d), che comunque presuppone l’impugnativa della risoluzione del rapporto di lavoro formale, anche se unitamente all’accertamento della costituzione del rapporto in capo a soggetto diverso, risultando non conforme a Costituzione (Corte Cost. n. 143 del 1969) il decorso del termine di decadenza in costanza di rapporto.

5. Ha censurato l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto maturata la decadenza anche in relazione all’impugnativa del contratto a termine ed ha sottolineato come il dies a quo di decorrenza del termine dovesse individuarsi nella data di scadenza del contratto, nel caso di specie il 31.12.13 (con proroga fino al 30.6.14), risultando tempestiva l’impugnativa stragiudiziale con lettera dell’8.1.14.

6. Ha affermato l’illegittimità del contratto a termine, se pure acausale, in quanto stipulato da chi, in base all’avvenuto trasferimento di azienda, doveva considerarsi già datore di lavoro.

7. Il motivo di ricorso è fondato e deve trovare accoglimento quanto alla censura di violazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, lett. c).

8. La questione in diritto che occorre affrontare attiene all’applicabilità della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, lett. c), all’ipotesi in cui il lavoratore, sul presupposto della configurabilità di un trasferimento d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., chieda l’accertamento del passaggio del proprio rapporto di lavoro in capo al cessionario.

9. La Corte d’appello di Trieste ha ritenuto tale fattispecie ricompresa nella previsione della citata lett. c) dell’art. 32 e, nel caso in esame, verificata la decadenza per essere stata tardivamente proposta la relativa impugnativa stragiudiziale.

10. Questa Corte reputa erronea l’interpretazione data dalla Corte di merito.

11. La L. n. 183 del 2010, art. 32, ha esteso ad una serie di ipotesi ulteriori la previsione della L. n. 604 del 1966, art. 6(previamente modificato) sull’impugnativa stragiudiziale, originariamente limitata al licenziamento.

12. I commi 3 e 4 del citato art. 32 sono formulati proprio nel senso di estendere (“le disposizioni di cui all’art. 6… si applicano anche..”) alle ipotesi ivi specificamente elencate l’onere di impugnativa stragiudiziale nei sessanta giorni.

13. Posto che impugnare equivale a contestare o confutare, l’estensione attuata dal citato art. 32, deve intendersi come diretta ad attrarre nella disciplina, prima limitata al solo licenziamento, una serie ulteriore di provvedimenti datoriali che il lavoratore intenda, appunto, impugnare, nel senso di contestarne la legittimità o la validità.

14. Con la conseguenza che fuoriescono dal perimetro del citato art. 32, tutte le ipotesi in cui non vi siano provvedimenti datoriali da impugnare, per denunciarne la nullità o l’illegittimità.

15. Questa Corte (Cass. n. 13179 del 2017) ha, ad esempio, escluso che fosse assoggettata al termine di decadenza di cui all’art. 32 cit. l’azione per l’accertamento e la dichiarazione del diritto di assunzione del lavoratore presso l’azienda subentrante nell’ipotesi di cambio di gestione dell’appalto con passaggio dei lavoratori all’impresa nuova aggiudicatrice; si è affermato come tale fattispecie non rientrasse “nella previsione di cui alla lett. c), riferita ai soli casi di trasferimento d’azienda, nè in quella di cui alla lett. d) del medesimo articolo; detta norma presuppone, infatti, non il semplice avvicendamento nella gestione, ma l’opposizione del lavoratore ad atti posti in essere dal datore di lavoro dei quali si invochi l’illegittimità o l’invalidità con azioni dirette a richiedere il ripristino del rapporto nei termini precedenti, anche in capo al soggetto che si sostituisce al precedente datore, o ancora, la domanda di accertamento del rapporto in capo al reale datore, fondata sulla natura fraudolenta del contratto formale”.

16. L’analisi delle ipotesi enumerate dall’art. 32, avvalora la ricostruzione proposta. Il comma 3 sottopone all’onere di impugnativa stragiudiziale, oltre al licenziamento (e al contratto a termine, nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 81 del 2015), il recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa” anche nella modalità a progetto, di cui all’art. 409 c.p.c., n. 3), ed il trasferimento disposto ai sensi dell’art. 2103 c.c..

17. Dell’art. 32, comma 4, include, tra l’altro, “la cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell’art. 2112 c.c., con termine decorrente dalla data del trasferimento” (lett. c) e “ogni altro caso in cui, compresa l’ipotesi prevista dal D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 27, si chieda la costituzione o l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto” (lett. d).

18. Anche dell’art. 32, comma 4, al pari del comma 3, estende l’onere di impugnativa stragiudiziale a specifici provvedimenti datoriali, quali appunto il passaggio del rapporto di lavoro del dipendente in capo al cessionario per effetto del trasferimento d’azienda deciso dal datore (dovendo intendersi in senso atecnico, estraneo cioè alla previsione degli artt. 1406 c.c. e segg., il riferimento alla “cessione del contratto” contenuto nella lett. c) dell’art. 32, logicamente incompatibile con l’art. 2112 c.c.), e le fattispecie interpositorie che, se pure azionabili attraverso una domanda di costituzione del rapporto in capo all’effettivo utilizzatore, sono logicamente legate alla contestazione del rapporto fittizio costituito con il soggetto interposto (lett. d).

19. L’interpretazione dell’art. 32, come sopra delineata si impone, oltre che per la coerenza con i criteri letterale e logico sistematico, anche in ragione dell’esigenza di una lettura rigorosa della disposizione suddetta che ha introdotto, per fattispecie prima sottoposte unicamente ai termini di prescrizione, un nuovo e ristretto termine di decadenza per l’impugnativa stragiudiziale e per la successiva azione in giudizio (cfr. Cass. n. 13179 del 2017 in motivazione; Cass., S.U. n. 4913 del 2016).

20. D’altra parte, se si seguisse la tesi della Corte di merito e si ritenesse sottoposta al termine di decadenza di cui all’art. 32, comma 4, lett. c), la domanda volta ad ottenere il riconoscimento del passaggio del rapporto di lavoro in capo al cessionario, ai sensi dell’art. 2112 c.c., risulterebbe oltremodo difficile stabilire il dies a quo di decorrenza del termine; la stessa sentenza impugnata ha individuato in modo impreciso e alternativo tale dies a quo “nel momento in cui il… trasferimento risulta, nei fatti, esteriorizzato”, e lo ha collegato al distacco della dipendente (sul presupposto della simulazione dello stesso) oppure alla conclusione del contratto (a termine) con la società che la lavoratrice assume cessionaria.

21. In conclusione, la previsione di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 4, lett. c), deve intendersi come relativa alle ipotesi in cui il lavoratore contesti la “cessione del contratto”, o meglio il passaggio del rapporto di lavoro in capo al cessionario per effetto di un trasferimento d’azienda posto in essere dal suo datore di lavoro, mentre restano estranee alla stessa le ipotesi in cui il lavoratore voglia avvalersi del trasferimento d’azienda (formalmente deliberato dal datore di lavoro cedente) e quindi ottenere il riconoscimento del passaggio e della prosecuzione del rapporto di lavoro in capo al cessionario oppure chieda di accertare l’avvenuto trasferimento d’azienda che assuma realizzato in fatto, come nel caso di specie, e quindi la prosecuzione del rapporto di lavoro col cessionario.

22. Tale conclusione non esclude l’onere di impugnare i provvedimenti datoriali che siano compresi nell’elenco di cui all’art. 32 cit., o il cui onere di impugnativa sia altrimenti previsto (cfr. art. 2113 c.c.), eventualmente posti in essere al fine di mascherare il trasferimento d’azienda che il lavoratore assuma, nei fatti, realizzato.

23. Nel caso in esame, è fondata anche la censura mossa alle statuizioni della sentenza d’appello sul contratto a tempo determinato concluso dalla ricorrente con la                   , quanto alla erronea individuazione del dies a quo del termine per l’impugnativa stragiudiziale.

24. Ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 3, lett. d), “Le disposizioni di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano inoltre… d) all’azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, artt. 1,2 e 4 e successive modificazioni, con termine decorrente dalla scadenza del medesimo”.

25. Il dies a quo deve essere individuato nella scadenza del termine e non nella data di conclusione del contratto a tempo determinato; la Corte di merito ha male applicato la disposizione in esame in quanto ha giudicato tardiva l’impugnativa stragiudiziale del 13-14 gennaio 2014 in relazione al contratto concluso tra la ricorrente e la           l’1.7.2013, con scadenza il 31.12.2013.

26. La residua censura che desume l’illegittimità dell’apposizione del termine, nonostante l’applicazione ratione temporis del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1 bis, che legittimava la stipulazione di contratti a termine acausali, dagli effetti del dedotto trasferimento di azienda, deve ritenersi assorbita in ragione dell’accoglimento del motivo di ricorso in ordine alla violazione dell’art. 32, comma 4, lett. c) cit..

27. Per le considerazioni finora svolte, il ricorso deve trovare accoglimento in relazione alle censure come sopra esaminate, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame della fattispecie alla luce dei principi sopra enunciati, oltre che alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Trieste, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2019