Il nesso di causalità quale elemento costitutivo dell’illecito extracontrattuale

Nel diritto civile è considerato illecito, e, dunque, fonte di responsabilità risarcitoria, l’atto che lede posizioni giuridiche altrui. In virtù dell’art. 2043 c.c., qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.

Sono elementi costitutivi dell’illecito extracontrattuale: il fatto, il dolo o la colpa, il danno ingiusto, il nesso di causalità. Quest’ultimo elemento costitutivo riguarda sia il collegamento della condotta all’evento lesivo (causalità di fatto) sia la determinazione del danno risarcibile (causalità giuridica).

L’illecito civile ha una struttura diversa da quello penale.

In ambito penalistico è necessario accertare se la condotta umana abbia prodotto l’evento che costituisce il fatto-reato.

Nell’ambito della responsabilità civile, tale verifica non è considerata sufficiente, sarà necessario, infatti, accertare anche se da quella lesione siano derivate conseguenze pregiudizievoli.

In sede civile, la lesione dell’interesse protetto non costituisce il danno, ma la causa di quest’ultimo.

È, pertanto, necessario accertare due nessi di causalità: quello tra la condotta illecita e la lesione dell’interesse e quello tra la lesione dell’interesse e il danno risarcibile.

La prima verifica attiene alla causalità materiale, mentre la seconda riguarda la causalità giuridica. Gli unici riferimenti normativi si rinvengono negli artt. 2043 c.c. e 1223 c.c.

Quest’ultimo, secondo l’opinione prevalente, si riferisce al nesso di causalità giuridica a sua volta richiamato dall’art. 2056 cc.

Nel codice civile, a differenza del codice penale, manca una definizione del nesso di causalità materiale.

Preso atto della lacuna legislativa esistente, l’orientamento giurisprudenziale tradizionale afferma che il riferimento normativo è da ricondurre ai principi delineati negli artt. 40 e 41 c.p.

La causalità materiale, definita altrimenti come causalità fondativa è quella che fonda la responsabilità, mentre la causalità giuridica, viene definita come causalità descrittiva della responsabilità; ove sussista la prima, si rinviene l’illecito, ove ricorra anche la seconda sarà configurabile, altresì, il danno.

Con riguardo alla causalità materiale esistono diverse teorie comuni al diritto penale.

Secondo la teoria della condicio sine qua non la condotta illecita è causa dell’evento dannoso se in mancanza della prima, attraverso l’eliminazione mentale o ipotetica della condotta, l’evento non si sarebbe verificato.

La debolezza del paradigma è rinvenuta nel fatto che, anche eliminando mentalmente ogni semplice occasione di un evento, si ha l’impressione che essa sia stata causa di quest’ultimo, con la conseguenza che la catena causale diventerebbe infinita, senza valutazioni qualitative dell’effettiva incidenza eziologica delle varie circostanze che hanno portato all’evento.

La rigidità del criterio è temperata dall’applicazione del 2 comma dell’art. 41 c.p. secondo cui “le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento”.

La dottrina maggioritaria ritiene che la norma imponga un giudizio valutativo sull’efficacia causale delle varie circostanze; il nesso di causalità sarà escluso quando rispetto alla circostanza che si sta eliminando mentalmente, esemplificativamente: un incidente che comporta il ricovero in ospedale del paziente, ve n’è un’altra: precedente, concomitante o sopravvenuta (caso fortuito o forza maggiore) come un terremoto che determina il crollo dell’ospedale, dotata di efficienza causale assolutamente prevalente rispetto alla circostanza che si sta eliminando mentalmente, nei confronti dell’evento che si verifica, nel caso di specie, ad esempio: la morte del ricoverato.

La teoria della causalità adeguata impone, infatti, una valutazione qualitativa delle circostanze presenti lungo la linea causale dell’evento sostituendo alla mera eliminazione mentale ex post della circostanza una vera e propria valutazione, pur sempre meramente ipotetica, ex ante sull’idoneità della medesima a produrre l’evento in termini ipotetici e, dunque, probabilistici.

L’impostazione della teoria della causalità adeguata è stata perfezionata da altre teorie tese ad individuare i criteri per valutare l’efficienza causale di una circostanza rispetto ad un evento.

La teoria del rischio specifico propone, invece, di valutare se l’evento è concretizzazione del rischio creato dalla condotta negligente dell’agente.

L’impostazione si avvicina a quella dello scopo della norma violata secondo cui l’evento è riconducibile causalmente alla condotta se la norma mirava proprio ad impedirlo, si pensi ad esempio all’investimento di un pedone per eccesso di velocità nel centro abitato.

La tesi, nata nell’ambito della responsabilità per omissione trova operatività anche nell’illecito extracontrattuale, necessariamente commissivo. Infine, la tesi della sussunzione del rapporto tra condotta ed evento sotto leggi scientifiche, se note, o statistiche negli altri casi, al fine di verificare l’efficienza eziologica di una causa presunta.

Ad ogni modo, nonostante il richiamo ai principi penalistici, ciò che cambia nell’accertamento della causalità materiale dalla responsabilità civile a quella penale è il coefficiente probabilistico finale.

Mentre, infatti, nel diritto penale il regime probatorio trova fondamento nella regola della prova” oltre il ragionevole dubbio”, per la causalità materiale, in ambito civilistico, opera il criterio della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non” (Cass., S.U., 11 gennaio 2008, n.581) inteso sotto il profilo della probabilità logica oltre che statistica.

Secondo l’espressione usata dall’articolo 1223 c.c. la causalità giuridica limita i danni risarcibili a quelli che sono conseguenza immediata e diretta dell’atto illecito. La norma impedisce che, una volta accertato il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento siano risarcibili tutti i danni subiti in occasione dell’illecito.

Il criterio è sostanzialmente empirico, e rappresenta un valido strumento a disposizione del giudice per risolvere le peculiarità del caso concreto, limitando i danni risarcibili a quelli che sono dotati di una certa regolarità causale.

Per la causalità giuridica che riguarda il rapporto dell’interesse leso dal fatto illecito e le conseguenze pregiudizievoli che ne sono derivate, occorre, dunque, fare riferimento alla regola stabilita dall’articolo 1223 c.c. Il filtro imposto da questa norma prevede la risarcibilità della sola causalità immediata e diretta, da valutare sulla base dei medesimi parametri della preponderanza dell’evidenza sopracitati.

La Cassazione, con una recente pronuncia (Cass. Sez. III, 26 aprile 2023, n. 10978), ha ribadito che il criterio della preponderanza dell’evidenza rimane lo standard probatorio in materia civile. Sarà sufficiente, infatti, un grado di certezza inferiore rispetto a quella richiesta in ambito penale ove trova

applicazione l’art. 533 c.p.p. che legittima la condanna solo quando l’imputato risulti colpevole “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Jessica Destradi