L’interesse dei quadri ad un sistema di coinvolgimento dei lavoratori nella gestione delle aziende

Qualche novità nella legge di bilancio 2025.

L’articolo 1, comma 457 della legge di bilancio per il 2025 stanzia 70 milioni di euro per il 2025 e 7 milioni per il 2026 per la costituzione di un fondo per il finanziamento della partecipazione dei lavoratori al capitale alla gestione ed ai risultati di impresa.

Lo stanziamento viene incontro al progetto di legge già presentato dalla CISL nonché alle osservazioni formulate dal sindacato Unionquadri nel corso dell’audizione in tema di legge di bilancio tenutasi l’11 dicembre 2024.

Testualmente riportava il documento di Unionquadri presentato all’incontro con il Governo:

“In merito al coinvolgimento dei lavoratori nella gestione aziendale, ricordiamo come l’articolo 45 della Costituzione stabilisca il principio della partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale.

Ricordiamo come l’articolo 4 della legge 92/2012 conteneva una delega per il governo a realizzare un tanto. La delega in realtà decadde per il mancato intervento del Governo.”

L’interesse sindacale per tale tema proviene in primo luogo da quelle parti sindacali che non intendono ricorrere a mere strategie di contrapposizione, favorendo anche momenti di collaborazione.

Per quanto riguarda Unionquadri, interesse di è anche dato dalla particolare collocazione professionale della categoria spesso vicina e quindi più sensibile alle vicende aziendali e spesso in grado di supportarne la gestione.

Non va peraltro dimenticato come nel nostro ordinamento l’articolo 46 della Costituzione riporti testualmente “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.

Il principio non è mai stato attuato.

Non va dimenticato come in diversi periodi di crisi economica, si sia tornato a riproporre il tema per promuovere la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese senza però ottenere risultati concreti.

Il principio della Cogestione.

Per affrontare in maniera anche sommaria il tema è innanzitutto necessario chiarire i termini con i quali vengono individuate diverse forme di partecipazione dei lavoratori alle vicende aziendali.

In primo luogo, ricordiamo la cosiddetta partecipazione agli utili (Gains Sharing) che consiste nella distribuzione degli utili ai lavoratori in base ad una quota individuale di partecipazione.

Questo istituto, a differenza di quello che definiremo Cogestione non prevede normalmente una partecipazione organizzata alla direzione dell’impresa.

Diverso, anche perché sviluppato in un contesto politico molto diverso da quello attuale è il concetto di autogestione delle aziende proposto nel dopoguerra nell’allora Jugoslavia da Milovan Djilas Edvard Kardelj e Boris Kidric e fatta propria dal governo di quel paese.

Il sistema in quest’ultimo caso, non presupponeva una reale democratizzazione del sistema politico ed economico nel persistere di un sistema a partito unico che ignorava la libertà economica e d’impresa e dunque, non pare rapportabile alle attuali esigenze.

Attualmente ed in sintesi, si possono individuare almeno quattro differenti tipologie di partecipazione dei lavoratori all’azienda:

  • quella di tipo “organizzativo/gestionale”, da intendersi come presenza di una rappresentanza dei lavoratori all’interno degli organi di controllo e decisionali dell’azienda (es. presenza di un rappresentante indicato o eletto dai lavoratori all’interno del Consiglio di Amministrazione);
  • quella di tipo “informativo/consultivo”, che può essere considerata come il diritto dei lavoratori (o meglio, dei loro rappresentanti) alla conoscenza dei piani aziendali passati, presenti e futuri, anche come condizione vincolante rispetto alle decisioni da assumere, con altresì possibilità di elaborare suggerimenti e controproposte;
  • quella di tipo “economico”, che mira a far partecipare i lavoratori meritevoli dei risultati e del benessere dell’azienda, promuovendo una parziale redistribuzione degli utili aziendali sulla base delle prestazioni effettivamente svolte dagli stessi lavoratori, rendendoli partecipi del successo dell’azienda;
  • quella di tipo “finanziario”, con la possibilità di accedere ad un azionariato diretto dei dipendenti delle aziende per cui lavorano, in modo da indirizzarle anche verso un assetto proprietario più condiviso, con forte responsabilizzazione e creazione di spirito d’appartenenza in capo ai singoli lavoratori.

La prima, di cui parleremo, da intendersi quale cogestione, è la forma più attiva e significativa di partecipazione dei lavoratori all’azienda.

Il modello tedesco.

Il sistema di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese trova le proprie origini nelle economie occidentali e principalmente in Germania.

Esso fonda le proprie radici nella Repubblica di Weimar (1919 – 1933) dove si cercò di realizzare l’eguaglianza capitale – lavoro sulla base di un patto sociale.

Era così riconosciuto ai lavoratori un ruolo centrale nell’ambito dei processi economici imprenditoriali mediante la possibilità di istituire “una rappresentanza legale nei consigli operai, nei consigli di distretto, nonché nel consiglio operaio nazionale.”

Su tale base, si instaurava un sistema a doppio canale di cui uno rappresentativo, sindacale e rivendicativo e l’altro partecipativo e gestionale soprattutto nelle grandi imprese definito “Mitbestimmung”.

Il sistema destinato a cadere con l’avvento del Nazionalsocialismo e con il secondo conflitto mondiale, riapparve e si stabilizzò alla fine della guerra attraverso l’approvazione di una serie di leggi federali.

Si evolvevano ed in parte confluivano parallelamente in tal modo il diritto societario, il diritto d’impresa e quello sindacale e del lavoro.

In tal modo tramite un doppio canale, i lavoratori partecipano alle decisioni della società attraverso due organi: il c.d. Consiglio di Fabbrica ed il c.d. Consiglio di Sorveglianza.

In particolare, il modello tedesco, noto come Mitbestimmung, è una vera e propria parte caratterizzante del sistema di relazioni industriali del paese.

Mitbestimmung può essere tradotto come “codeterminazione” e si riferisce ad una partecipazione paritaria di dipendenti, azionisti e dirigenti alla gestione della politica aziendale ed alle conseguenti decisioni.

In effetti, il modello tedesco prevede che l’economia e le strutture produttive lungi dal costituire esclusivamente un luogo di scontro di interessi configgenti tra capitale e lavoro, dessero invece vita ad una vera e propria “Gemeinschaft”, una “comunità” avente il fine comune di garantire benessere e prosperità per i suoi componenti.

La partecipazione dei lavoratori in Germania si compone di due livelli:

  • la “betriebliche Mitbestimmung”, partecipazione a livello di unità produttiva, che in Italia si potrebbe tradurre o intendere come “partecipazione o cogestione aziendale”;
  • la “unternehmerische Mitbestimmung”, partecipazione a livello di organi societari d’impresa, che indica la parte gestionale che è adibita all’impiego delle risorse prodotte dalla parte produttiva, traducibile come “partecipazione o cogestione societaria”.

A sottolineare il valore e l’importanza della partecipazione dei lavoratori, lo stesso art. 9 del Grund Gesetz, la Carta costituzionale varata nel 1949, dispone l’ordinamento e la pacificazione del mondo del lavoro mettendo sullo stesso piano sia la contrapposizione degli interessi sia la volontà comune di collaborazione.

Per tale motivo, le società in Germania sono soggette alla Mitbestimmung (co-determinazione) se impiegano più di 500 dipendenti.

Come già accennato i lavoratori partecipano alle decisioni della società attraverso due organi: il c.d. Consiglio di Fabbrica ed il c.d. Consiglio di Sorveglianza.

Se il primo rappresenta i lavoratori nelle singole sedi aziendali ed è formato interamente da dipendenti, il secondo è invece un organo aziendale che fa capo alla sede centrale, composto per metà dai rappresentanti dei lavoratori e per metà dagli azionisti.

Il modello Volkswagen.

Il più noto modello di partecipazione dei lavoratori all’impresa è quello del Gruppo Volkswagen.

Uno dei punti di forza del modello Volkswagen è sicuramente l’elevato grado di percentuale di lavoratori iscritti al sindacato IG METALL, che rappresenta buona parte dei dipendenti.

Il modello di relazioni industriali del Gruppo Volkswagen è improntato sulla Carta dei diritti dei lavoratori che la multinazionale tedesca ha sottoscritto a livello globale e che prevede forme intense di coinvolgimento partecipativo in tutte le aziende che fanno capo al gruppo, anche nei paesi diversi dalla Germania.

Detta Carta definisce i diritti d’informazione e di partecipazione e si pone come obiettivo quello di instaurare un rapporto di reciproca fiducia e rispetto tra le parti.

Tra i molti principi contenuti nella Carta, che richiama nei contenuti e nei principi gran parte delle Convenzioni OIL stipulate, è interessante leggere come il Gruppo Volkswagen riconosca espressamente il diritto di contrattazione collettiva e che di conseguenza il Gruppo Volkswagen e i sindacati o le rappresentanze dei lavoratori conducano insieme un dialogo sociale, di cui le contrattazioni collettive rappresentano una particolare forma.

Il sistema tedesco di cogestione delle aziende ha interessato la Comunità Europea.

La Cogestione nelle politiche comunitarie.

Le istituzioni europee nel corso degli anni 70 pensarono di poter agevolmente introdurre nei singoli stati il modello partecipativo tedesco, ma ben presto si videro costrette a compiere dei passi indietro anche a causa della profonda diversità delle relazioni sindacali nei diversi stati europei.

In ogni caso, le istituzioni comunitarie continuavano nell’obiettivo del coinvolgimento dei lavoratori nella gestione delle imprese, cercando di avviare un processo volto ad uniformare le discipline dei singoli stati dal punto di vista del diritto societario e delle relazioni industriali mediante numerose direttive volte perlomeno ad agevolare l’introduzione del modello partecipativo presente in Germania.

Si arrivò però soltanto ad una serie di direttive volta ad introdurre a livello comunitario obblighi di informazione e consultazione in materia di relazioni industriali finalizzate a favorire la partecipazione del personale alla gestione delle imprese.

Il processo si protrasse sino alle direttive relative alla Società Europea ed ai Comitati Aziendali Europei che consolidarono dei principi minimi di informazione e partecipazione nelle aziende nazionali aventi rilevanza europea.

La Cogestione nell’ordinamento italiano.

Per quanto riguarda invece l’Italia, nel tempo vi sono stati forti resistenze alla diffusione delle forme partecipative e pertanto l’art. 46 della Carta Costituzionale deve considerarsi come una norma rimasta sostanzialmente inapplicata.

Il codice civile all’articolo 2349 prevede l’ipotesi di assegnazione degli utili ai prestatori di lavoro delle società, anche mediante l’emissione di speciali categorie di azioni.

Lo stesso articolo prevede inoltre la possibile attribuzione ai dipendenti di diritti patrimoniali ed amministrativi con esclusione del voto nell’assemblea generale riservato agli azionisti.

In particolare, deve essere ricordato il tentativo operato dalla c.d. “Riforma Fornero”, legge n. 92/2012, la quale aveva delegato il governo ad adottare uno o più decreti finalizzati a favorire le forme di coinvolgimento dei lavoratori nell’impresa, attivate attraverso la stipulazione di un contratto collettivo aziendale, nel rispetto di principi e criteri direttivi previsti dalla legge (art. 4 c. 62 legge n. 92/2012).

Tuttavia, anche tale intervento non ha trovato concreta e capillare attuazione.

A livello legislativo, il DLGS 11/2017 che tratta delle Imprese Sociali, il coinvolgimento dei lavoratori è indicato all’articolo 11 come elemento fondamentale e necessario.

Interessante nel dopoguerra ed anni successivi (1945 – 1971), il cosiddetto modello Olivetti, azienda nella quale era costituito un Consiglio di Gestione coinvolto nei processi industriali e di organizzazione del lavoro in un’azienda tanto radicata sul territorio, quanto proiettata sui mercati internazionali.

Conclusioni.

Oggi, anche grazie alle nuove sfide della digitalizzazione ed i recenti sviluppi dell’economia, con un passaggio a quella che è stata definita l’era della “condivisione” (sharing economy), potrebbero essere state gettate le basi per la revisione del modello conflittuale su cui, storicamente, si sono rette le relazioni industriali e dunque vi sarebbero concrete possibilità di un recupero dello strumento della partecipazione dei lavoratori all’impresa.

In effetti, con l’avvento della c.d. quarta rivoluzione industriale, uno degli effetti più rilevanti è stato quello di considerare non più la prestazione lavorativa nella sua mera esecuzione materiale, quindi come mera collaborazione passiva, strettamente legata alle mansioni assegnate al lavoratore bensì la necessità di una vera e propria partecipazione attiva da parte dei lavoratori nella generazione dei valori aziendali.

In effetti, il modello storico delle relazioni industriali è principalmente basato sulla forte asimmetria tra potere direttivo e dovere di collaborazione, fondato sulla prerogativa dell’imprenditore di dirigere l’azienda in coerenza al principio di libertà di iniziativa economica privata, considerando i rischi assunti esclusivamente a carico dell’impresa stessa.

Oggi, la possibilità di partecipazione dei lavoratori alle vicende d’impresa potrebbe da un lato attenuare gli effetti del disequilibrio in termini di condizioni di lavoro e, dall’altro, essere ulteriore strumento di eventuale modifica dell’esercizio del potere direttivo in una chiave maggiormente collaborativa, tenuto dovuto conto altresì dell’evoluzione ed attenuazione del concetto di subordinazione registratosi negli ultimi anni.

UNIONQUADRI sindacato dei quadri direttivi, professionisti e ricercatori delle aziende rivolge la propria attenzione agli importanti mutamenti che coinvolgono la tecnologia, l’economia ed il mondo del lavoro e si pone come tramite tra le fasce di lavoratori maggiormente professionalizzate e le direzioni aziendali in un’ottica di collaborazione nell’interesse dell’azienda intesa anche come comunità.

Ne deriva l’interesse di UNIONQUADRI per ogni forma utile di incontro tra interessi del lavoro e dell’impresa.

avv. Fabio Petracci

Alte professionalità

Ceto Medio, Lavoro, Economia.

Il sindacato CIU Unionquadri come noto, opera nel campo del lavoro e della sicurezza sociale, nell’interesse delle professionalità medio al fine di veder loro riconosciuto il ruolo e la posizione sociale ed economica.

Il tema in maniera più ampia politica e sociologica involve il ceto medio italiano.

Partiremo nell’inquadrare l’argomento da una recente ricerca del CENSIS (Il valore del ceto medio per l’economia e la società Rapporto finale Roma, 20 maggio 2024 FONDAZIONE CENSIS 2).

Si ritiene che di fronte all’erosione del benessere economico, il ceto medio che sin qui ha svolto un ruolo fondamentale nel progresso del paese e nelle aspettative di ascesa sociale stia subendo un profondo declassamento economico e sociale, anche se un reponderante maggioranza di italiani ritiene ancora di appartenere al ceto medio, come collocazione più sociale che economica.

La percezione è pero quella di chi si rende conto come ormai, nella scala sociale, sia molto difficile salire, ma molto facile scivolare in basso. Assistiamo quindi alla fragilizzazione della condizione del ceto medio italiano.

Del resto molti dei processi globali ed internazionali che generano la ricchezza, appaiono quanto mai lontani ed impenetrabili. Le conseguenti azioni dei governi sono sempre più interdipendenti da contesti internazionali non sempre allineati con le aspirazioni dei cittadini appartenenti al ceto medio.

Vi concorre inoltre a livello nazionale un fisco non sempre orientato a premiare impegno e capacità ed un welfare volto quasi esclusivamente a favore dei redditi più bassi e per nulla orientato ad una copertua anche parziale dei redditi medi.

L’impoverimento della classe media certamente è dovuto sia blocco dell’ascensore sociale  ma anche alla precarizzazione del lavoro non solo quello operaio ma anche quello intellettuale, inoltre la globalizzazione  con la ricerca del massimo profitto senza conoscenza ed innovazione ha determinato l’allontanamneto di parte della produzione industriale dai paesi occidentali ai paesi in via di sviluppo senza che si sia bilanciatà questa scelta nefasta e pseudo colonialista, con lo sviluppo dei settori ITC e di centri di ricerca ed innovazione tecnologica.

Non facilita la creazone e l’incremento di una classe manageriale una scuola altamente burocratizzata con un corpo insegnante non sempre adeguatamente selezionato. Questo perdita di ruolo della scuola sia valoriale che di contenuto tende a far percepire l’istruzione come diplomificio necessario per lavorare ma poi alla fine del ciclo anche i ragazzi/e si rendono consapevoli dello itao tra istruzione emondo del lavoro.

Si accompagna a tali considerazioni, la condizione di pensionati anche longevi e di buon reddito che vedono realizzarsi una costante diminuzione del potere d’acquisto e la riduzione di ogni forma di indicizzazione.

La stessa rigidità delle opzioni pensionistiche non tiene affatto conto di chi, come spesso gli appartenenti al ceto medio, vuole e può ancora lavorare.

Aspetto non secondario che manca nel dibattito politico-sindacale è la problematica sociale determinata dall’inflazione, si ipotiza ingenuamente che baterebbe aumentare i salari  e questo automaticamente  determinerebbe un recupero di potere di acquisto e di ruolo sociale dei ceti medi oggi fortemente penalizzati, ma ciò è falso e ci fa comprendere che la globalizzazione ha fatto e fa credere che l’economia sia un fenomeno determinatistico. L’aspetto principe non è il salario in sè ma il suo potere di acquisto dunque il rapporto salario prezzi senza creare falsi automatismi. Per controllare l’inflazione non si può lasciare al libero mercato tout court visto le storture determinalte dalla globalizzazione.  Serve un intervento dello stato e delle parti sociali  nel determinare il controllo dei prezzi e dunque norme a tutela di tali accordi con una burocrazia che se da un lato dovrebbe snellirsi dall’altro deve aumentare le competenze rigurdo i controlli anche in questo settore dove la speculazione parissatiria è alta.

Sotto l’aspetto culturale e sociologico, notiamo la caduta di valori tradizionali, ma non superati, come il merito il talento, l’ascesa sociale ed il lavoro in genere, sta determinando giovani demotivati per una rottura di quei valori che determinano il senso di appartenza e di saqudra che valorizzano quei sentimenti umani di solidarietà e di appartenenza e che sono parte integrante del bisogno umano di sentirsi utili per se e per gli altri, coloro che hanno queste sensibilità purtroppo si  allontanano dal nostro paese in cerca di fortuna altrove. Il dinamismo sociale ancora presente tra i giovani non trova risposte adegute nel nostro paese.

Lo stesso concetto di ricchezza è spesso demonizzato, collegato al malaffare, mentre dovrebbe costituire un obiettivo legittimo dentro regole condivise.

L’ossessione per il ritorno al passato sempre ritenuto migliore ed osannato da certi media (non sempre disinteressati), crea diffidenza per la scienza e per progetti di innovazione dovuto anche ad un fenomeno oggettivo che i figli oggi stanno peggio dei padri

Un diverso orientamento socio – culturale potrebbe assumere un ruolo fondamentale per motivare le persone in grado di guidare il rilancio del paese.

Un rilancio della pubblica amministrazione e della managerialità e non solo a livello di dirigenza, potrebbe contribuire a superare almeno certi vincoli burocratici ed a favorire le nuove tecnologie che spesso diventano solo oggetto di occhiuta regolamentazione.

Secondo la ricerca che abbiamo citato in fase di introduzione, la fase di declino del ceto medio che viene segnalata inizia con la crisi economica del 2007 / 2012 ed ha mutato spesso a livello non adeguatamente percepito gli stili di vita di coloro che ancora in maggioranza si sentono ceto medio.

Va evidenziato in proposito come l’asse della creazione del reddito che interessava in primo luogo il ceto medio ed i lavoratori altamente professionalizzati, con la rivoluzione digitale si sia spostato fuori dai confini nazionali ed addirittura europei.

Contestualmente, avviene una rilevante dislocazione dei processi di creazione della ricchezza fuori dall’Italia e dalla UE verso economie di recente sviluppo che vedono specularmente dei processi di formazione di un ceto medio, simili a quelli che a suo tempo si sono verificati in Italia.

Nel nostro paese, si verifica una rapida concentrazione della ricchezza che amplia le disparità sociali.

Le misure comunitarie imposte dalla necessità di un governo sovranazionale dei processi globali come ad esempio la lotta al riscaldamento globale e la relativa transizione energetica ha posto ulteriori problemi ad un ceto medio già impoverito e non in grado economicamente di assecondare queste scelte.

Quindi oggi, il 65% degli italiani si sente ceto medio, ma più nominalmente che economicamente. ( trattasi infatti di redditi che vanno dai 15.000 euro annui  ai 34 milae dai 35.000 euro ai 50.000.

In questi gruppi rilevante è la presenza di anziani (over 65) e di persone in possesso di diploma o laurea.

Del resto gli ultra sessantacinquenni in possesso di titolo di studio superiore hanno avuto un ruolo da protagonisti nella fase alta dello sviluppo economico sociale del nostro paese.

Nella fase attuale, prevale nell’ambito del ceto medio la propensione a difendersi dai rischi di caduta in basso, piuttosto che a migliorare il proprio status.

Di fronte a questa realtà, è quanto mai necessario modificare l’assetto professionale e retributivo nei contratti di lavoro e prima ancora migliorare gli assetti scolastici ed universitari, incrementando le fasce di lavoratori che, anche se non dirigenti, sono portatori di professionalità come i quadri, i professionisti sia liberi che dipendenti, i ricercatori.

Fabio Petracci

Roberto Giuliano

Staff leasing: rinviata alla CGUE la questione del requisito di temporaneità

Il DLGS 81/2015 (Jobs Act) agli articoli da 30 a 40 disciplina la Somministrazione di Lavoro (lavoro interinale) definito dall’articolo 30 come il contratto a tempo indeterminato o determinato con il quale un’agenzia di somministrazione autorizzata dalla legge, mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione ed il controllo dell’utilizzatore.

Come dato a vedere, la somministrazione può avvenire a tempo determinato o a tempo indeterminato (cosiddetto staff leasing).

Limiti percentuali pari al 20% della forza lavoro sono imposti dalla legge per quanto riguarda la somministrazione a tempo determinato ed un limite maggiore del 30% per la somministrazione a tempo determinato.

I lavoratori somministrati a tempo indeterminato debbono essere stati assunti a tempo indeterminato dal somministratore.

La somministrazione a tempo determinato è soggetta inoltre al limite di utilizzo di 24 mesi per ciascun lavoratore, anche non continuativi, potendo superare detto limite senza che si costituisca un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatore, ma esclusivamente con la conseguenza della costituzione di un rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore. Detta disposizione per espressa previsione di legge è destinata ad avere vigore sino al 30 giugno 2025.

Precisa la legge come il contratto di somministrazione sia vietato per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero,  presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi, presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione di lavoro; da parte di datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

Mentre il contratto di lavoro intercorre tra il somministratore ed il dipendente somministrato, il rapporto tra somministratore ed utilizzatore è disciplinato dal contratto di somministrazione vero e proprio contratto commerciale che deve contenere tutta una serie di requisiti formali stabiliti dalla legge.

Il contratto di somministrazione va pertanto stipulato in forma scritta e deve contenere una serie di dati essenziali per la sua validità quali: gli estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore; il numero dei lavoratori da somministrare;)  l’indicazione di eventuali rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e le misure di prevenzione adottate; la data di inizio e la durata prevista della somministrazione di lavoro; le mansioni alle quali saranno adibiti i lavoratori e l’inquadramento dei medesimi; il luogo, l’orario di lavoro e il trattamento economico e normativo dei lavoratori.

Con il medesimo contratto l’utilizzatore assume l’obbligo di comunicare al somministratore il trattamento economico e normativo applicabile ai lavoratori suoi dipendenti che svolgono le medesime mansioni dei lavoratori da somministrare e a rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questo effettivamente sostenuti in favore dei lavoratori.

Somministrazione a tempo indeterminato e somministrazione a tempo determinato.

L’agenzia di somministrazione può assumere il lavoratore in entrambe le forme di cui sopra.

Nel caso di assunzione a tempo indeterminato il contratto con l’agenzia avrà tutte le caratteristiche del contratto a tempo indeterminato e nei periodi nel corso dei quali il lavoratore non sarà inviato in missione presso l’utilizzatore, gli dovrà essere corrisposta un’indennità di disponibilità.

Per quanto invece riguarda l’assunzione a tempo determinato, la legge stabilisce l’applicabilità della normativa sui contratti a termine.

Si ribadisce rispetto ai contratti a termine, l’applicazione del termine massimo di durata del contratto a termine, le ipotesi del limite totale di 24 mesi per le assunzioni a termine, la disciplina delle proroghe e della sanzione consistente nella trasformazione del contratto in tempo indeterminato, si esclude il limite degli intervalli tra un contratto a termine e l’altro ed il diritto di precedenza.

Per quanto riguarda la retribuzione dei lavoratori somministrati durante la missione, a parità di mansione, essa non può essere nel suo complesso inferiore a quella dei dipendenti dell’utilizzatore di pari livello.   Inoltre, l’utilizzatore è obbligato in solido con il somministratore a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e a versare i relativi contributi previdenziali, salvo il diritto di rivalsa verso il somministratore.

Da quanto sin qui emerso dal dato testuale della legge, si ricava che il contratto di somministrazione a tempo indeterminato non presenta limiti di durata.

Dunque il somministrante può inviare in missione presso l’utilizzatore un dipendente che intrattenga con il somministrante un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Di recente però, il Tribunale di Reggio Emilia, Sezione Lavoro, con l’ordinanza del 7 novembre 2024 ha disposto il rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea della questione pregiudiziale per verificare se la normativa nazionale si ponga in violazione della Direttiva 2008/104/CE che impone il requisito della temporaneità al contratto di somministrazione lavoro.

Fabio Petracci

Utilizzo improprio dei permessi di cui alla legge 104/92 e licenziamento

L’utilizzo improprio dei permessi di cui alla legge 104/92 può giustificare il licenziamento del lavoratore.

È legittimo l’utilizzo dell’opera di un’agenzia investigativa qualora finalizzato a confermare i sospetti di un uso fraudolento dei permessi. Conferma questo orientamento una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 12/03/2024, n. 6468).

Cosa accade e cosa può fare il datore di lavoro di fronte ad un utilizzo dei permessi di cui alla legge 104/92 non coerente con le finalità della legge?

La fattispecie.

L’articolo 33 della legge 104/1992 comma 3 e 3 bis così stabilisce:

  1.   Il lavoratore dipendente, pubblico o privato, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa, per assistere una persona con disabilità in situazione di gravità, che non sia ricoverata a tempo pieno, rispetto alla quale il lavoratore sia coniuge, parte di un’unione civile ai sensi dell’articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, convivente di fatto ai sensi dell’articolo 1, comma 36, della medesima legge, parente o affine entro il secondo grado. In caso di mancanza o decesso dei genitori o del coniuge o della parte di un’unione civile o del convivente di fatto, ovvero qualora gli stessi siano affetti da patologie invalidanti o abbiano compiuto i sessantacinque anni di età, il diritto è riconosciuto a parenti o affini entro il terzo grado della persona con disabilità in situazione di gravità. Fermo restando il limite complessivo di tre giorni, per l’assistenza allo stesso individuo con disabilità in situazione di gravità, il diritto può essere riconosciuto, su richiesta, a più soggetti tra quelli sopra elencati, che possono fruirne in via alternativa tra loro. Il lavoratore ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone con disabilità in situazione di gravità, a condizione che si tratti del coniuge o della parte di un’unione civile di cui all’articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, o del convivente di fatto ai sensi dell’articolo 1, comma 36, della medesima legge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con disabilità in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.

3-bis.    Il lavoratore che usufruisce dei permessi di cui al comma 3 per assistere persona in situazione di handicap grave, residente in comune situato a distanza stradale superiore a 150 chilometri rispetto a quello di residenza del lavoratore, attesta con titolo di viaggio, o altra documentazione idonea, il raggiungimento del luogo di residenza dell’assistito”.

Quindi la legge 104/92 impone al datore di lavoro un sacrificio ed un limite alla propria attività ed alla naturale corrispettività del rapporto di lavoro, sacrificio finalizzato a ragioni di solidarietà sociale a favore del lavoratore chiamato ad assistere un proprio familiare gravemente invalido.

In sostanza, l’assenza dal lavoro e la mancata prestazione trovano ragione e giustificazione in base alla stretta attinenza con tale finalità.

Al di fuori di tali limiti, si concretizza una condotta del lavoratore idonea a determinate condizioni di gravità a giustificare il licenziamento.

L’ipotesi disciplinare.

L’orientamento della Corte di Cassazione e dei giudici di merito è quello di ravvisare l’ipotesi disciplinare del licenziamento, ogniqualvolta non sussista uno stretto nesso causale tra l’attività svolta dal lavoratore nel corso del permesso e le necessità dell’assistito.

Ciò significa in primo luogo che non sussiste il nesso causale allorquando il lavoratore utilizzi il permesso per riposarsi dall’attività di assistenza prestata. Non è pertanto consentito un riposo che potrebbe definirsi “compensativo” dell’assistenza prestata in altri momenti, Non sussiste inoltre in tutti i casi in cui il lavoratore utilizzi il tempo concessogli per finalità che alcuna attinenza hanno con l’opera di assistenza.

Sussiste invece, il nesso e la giustificazione laddove il dipendente risulti assente per effettuare compere o commissioni per conto dell’assistito.

Non sussiste l’ipotesi disciplinare allorquando il lavoratore si sia momentaneamente assentato per una necessità urgente ed imprevista.

L’ipotesi di utilizzo fraudolento dei permessi qualora grave per durata o intenzionalità o reiterazione, giustifica il licenziamento per giusta causa.

Minimi discostamenti tra tempo di assistenza e durata del permesso ove contenuti e non reiterati possono dar luogo a sanzioni disciplinari minori.

Si fa presente che anche la mancata comunicazione dell’avvenuto ricovero dell’assistito che in base all’articolo 33 fa venir meno il diritto all’assistenza può costituire mancanza disciplinare che nei casi più gravi può dar luogo anche al licenziamento.

Come procedere.

L’accertamento.

L’onere di provare l’utilizzo improprio dei permessi grava sul datore di lavoro.

Normalmente gli accertamenti è consigliabile siano affidati ad una agenzia investigativa.

Sul punto meritano attenzione alcune cautele.

Se l’agenzia investigativa non può verificare e controllare l’effettuazione della prestazione del dipendente, essa può invece indagare condotte truffaldine che arrechino pregiudizio all’azienda.

Quindi ben potrà l’agenzia investigativa verificare la presenza e l’attività del lavoratore in permesso per fornire l’assistenza di cui alla legge 104/92.

Si ritiene però da molte parti che l’attività investigativa sia comunque soggetta alla disciplina in materia di trattamento dei dati e quindi, secondo quanto disposto dall’articolo 4 n.1 e 2 del Regolamento 679/2016 – GDPR, l’investigatore potrà agire solo sulla base di concreti sospetti.

Si consiglia pertanto di dare atto di un tanto nella lettera con la quale viene conferito l’incarico all’agenzia investigativa sulla base di rilevati e concreti sospetti.

Alla fine della propria attività, l’investigatore dovrà redigere una relazione con i nominativi degli accertatori che potranno essere indicati in qualità di testi nell’eventuale procedimento di impugnazione del licenziamento.

La contestazione.

La procedura disciplinare di licenziamento è imperniata sulla lettera di contestazione che in apertura del procedimento deve essere inviata all’incolpato.

Si ricorda che per la validità del procedimento, la contestazione di addebito deve individuare in maniera chiara e specifica il fatto in merito al quale il lavoratore è chiamato a discolparsi.

Quindi dovranno essere indicate le giornate e l’ora di assenza dagli incombenti di cui alla legge 104/92 e preferibilmente anche le attività svolte in luogo della dovuta assistenza.

Molta attenzione dovrà essere posta alle giustificazioni poste dal lavoratore per verificare se siano idonee o meno a smentire l’esito degli accertamenti svolti.

Fabio Petracci

Il nesso di causalità quale elemento costitutivo dell’illecito extracontrattuale

Nel diritto civile è considerato illecito, e, dunque, fonte di responsabilità risarcitoria, l’atto che lede posizioni giuridiche altrui. In virtù dell’art. 2043 c.c., qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.

Sono elementi costitutivi dell’illecito extracontrattuale: il fatto, il dolo o la colpa, il danno ingiusto, il nesso di causalità. Quest’ultimo elemento costitutivo riguarda sia il collegamento della condotta all’evento lesivo (causalità di fatto) sia la determinazione del danno risarcibile (causalità giuridica).

L’illecito civile ha una struttura diversa da quello penale.

In ambito penalistico è necessario accertare se la condotta umana abbia prodotto l’evento che costituisce il fatto-reato.

Nell’ambito della responsabilità civile, tale verifica non è considerata sufficiente, sarà necessario, infatti, accertare anche se da quella lesione siano derivate conseguenze pregiudizievoli.

In sede civile, la lesione dell’interesse protetto non costituisce il danno, ma la causa di quest’ultimo.

È, pertanto, necessario accertare due nessi di causalità: quello tra la condotta illecita e la lesione dell’interesse e quello tra la lesione dell’interesse e il danno risarcibile.

La prima verifica attiene alla causalità materiale, mentre la seconda riguarda la causalità giuridica. Gli unici riferimenti normativi si rinvengono negli artt. 2043 c.c. e 1223 c.c.

Quest’ultimo, secondo l’opinione prevalente, si riferisce al nesso di causalità giuridica a sua volta richiamato dall’art. 2056 cc.

Nel codice civile, a differenza del codice penale, manca una definizione del nesso di causalità materiale.

Preso atto della lacuna legislativa esistente, l’orientamento giurisprudenziale tradizionale afferma che il riferimento normativo è da ricondurre ai principi delineati negli artt. 40 e 41 c.p.

La causalità materiale, definita altrimenti come causalità fondativa è quella che fonda la responsabilità, mentre la causalità giuridica, viene definita come causalità descrittiva della responsabilità; ove sussista la prima, si rinviene l’illecito, ove ricorra anche la seconda sarà configurabile, altresì, il danno.

Con riguardo alla causalità materiale esistono diverse teorie comuni al diritto penale.

Secondo la teoria della condicio sine qua non la condotta illecita è causa dell’evento dannoso se in mancanza della prima, attraverso l’eliminazione mentale o ipotetica della condotta, l’evento non si sarebbe verificato.

La debolezza del paradigma è rinvenuta nel fatto che, anche eliminando mentalmente ogni semplice occasione di un evento, si ha l’impressione che essa sia stata causa di quest’ultimo, con la conseguenza che la catena causale diventerebbe infinita, senza valutazioni qualitative dell’effettiva incidenza eziologica delle varie circostanze che hanno portato all’evento.

La rigidità del criterio è temperata dall’applicazione del 2 comma dell’art. 41 c.p. secondo cui “le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento”.

La dottrina maggioritaria ritiene che la norma imponga un giudizio valutativo sull’efficacia causale delle varie circostanze; il nesso di causalità sarà escluso quando rispetto alla circostanza che si sta eliminando mentalmente, esemplificativamente: un incidente che comporta il ricovero in ospedale del paziente, ve n’è un’altra: precedente, concomitante o sopravvenuta (caso fortuito o forza maggiore) come un terremoto che determina il crollo dell’ospedale, dotata di efficienza causale assolutamente prevalente rispetto alla circostanza che si sta eliminando mentalmente, nei confronti dell’evento che si verifica, nel caso di specie, ad esempio: la morte del ricoverato.

La teoria della causalità adeguata impone, infatti, una valutazione qualitativa delle circostanze presenti lungo la linea causale dell’evento sostituendo alla mera eliminazione mentale ex post della circostanza una vera e propria valutazione, pur sempre meramente ipotetica, ex ante sull’idoneità della medesima a produrre l’evento in termini ipotetici e, dunque, probabilistici.

L’impostazione della teoria della causalità adeguata è stata perfezionata da altre teorie tese ad individuare i criteri per valutare l’efficienza causale di una circostanza rispetto ad un evento.

La teoria del rischio specifico propone, invece, di valutare se l’evento è concretizzazione del rischio creato dalla condotta negligente dell’agente.

L’impostazione si avvicina a quella dello scopo della norma violata secondo cui l’evento è riconducibile causalmente alla condotta se la norma mirava proprio ad impedirlo, si pensi ad esempio all’investimento di un pedone per eccesso di velocità nel centro abitato.

La tesi, nata nell’ambito della responsabilità per omissione trova operatività anche nell’illecito extracontrattuale, necessariamente commissivo. Infine, la tesi della sussunzione del rapporto tra condotta ed evento sotto leggi scientifiche, se note, o statistiche negli altri casi, al fine di verificare l’efficienza eziologica di una causa presunta.

Ad ogni modo, nonostante il richiamo ai principi penalistici, ciò che cambia nell’accertamento della causalità materiale dalla responsabilità civile a quella penale è il coefficiente probabilistico finale.

Mentre, infatti, nel diritto penale il regime probatorio trova fondamento nella regola della prova” oltre il ragionevole dubbio”, per la causalità materiale, in ambito civilistico, opera il criterio della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non” (Cass., S.U., 11 gennaio 2008, n.581) inteso sotto il profilo della probabilità logica oltre che statistica.

Secondo l’espressione usata dall’articolo 1223 c.c. la causalità giuridica limita i danni risarcibili a quelli che sono conseguenza immediata e diretta dell’atto illecito. La norma impedisce che, una volta accertato il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento siano risarcibili tutti i danni subiti in occasione dell’illecito.

Il criterio è sostanzialmente empirico, e rappresenta un valido strumento a disposizione del giudice per risolvere le peculiarità del caso concreto, limitando i danni risarcibili a quelli che sono dotati di una certa regolarità causale.

Per la causalità giuridica che riguarda il rapporto dell’interesse leso dal fatto illecito e le conseguenze pregiudizievoli che ne sono derivate, occorre, dunque, fare riferimento alla regola stabilita dall’articolo 1223 c.c. Il filtro imposto da questa norma prevede la risarcibilità della sola causalità immediata e diretta, da valutare sulla base dei medesimi parametri della preponderanza dell’evidenza sopracitati.

La Cassazione, con una recente pronuncia (Cass. Sez. III, 26 aprile 2023, n. 10978), ha ribadito che il criterio della preponderanza dell’evidenza rimane lo standard probatorio in materia civile. Sarà sufficiente, infatti, un grado di certezza inferiore rispetto a quella richiesta in ambito penale ove trova

applicazione l’art. 533 c.p.p. che legittima la condanna solo quando l’imputato risulti colpevole “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Jessica Destradi

Welfare Aziendale e Fringe Benefit

Prima di affrontare nello specifico la gestione tecnica di questi strumenti introdotti nel mondo del lavoro è bene soffermarsi sul significato del WELFARE AZIENDALE e del FRINGE BENEFIT.

Negli ultimi anni le aziende vuoi sotto forma di società ma anche in forma individuale, allo scopo di poter intervenire sul potere di acquisto dei lavoratori, si sono sempre più orientate ad attuare politiche retributive finalizzate al riconoscimento di beni e servizi da mettere a disposizione dei singoli lavoratori o della intera forza lavoro presente in azienda.

La concessione di tali beni e servizi, laddove vengono riconosciuti come forma integrativa della retribuzione sono definiti FRINGE BENEFIT e come tale rientrano nella sfera di assoggettamento fiscale/contributivo, diversamente se riconosciuta come forma di integrazione non monetaria della retribuzione sono definiti WELFARE AZIENDALE. COSA SONO I FRINGE BENEFIT Sono elementi aggiuntivi della retribuzione che, in linea generale, concorrono alla formazione del reddito tassato in capo al lavoratore dipendente.

Trattasi di beni e servizi forniti al dipendente diversi dalle somme in denaro, dunque benefici in natura che vanno a migliorare il tenore di vita del lavoratore evitandogli di sostenere determinate spese o garantendogli delle prestazioni che altrimenti non potrebbe permettersi.

La concessione dei Fringe benefit non è soggetta ad alcuna norma legislativa e tanto meno a quella contrattuale e il datore di lavoro può decidere di riconoscerli alla generalità dei lavoratori e/o a qualcuno di essi. Esempi di fringe benefit non sono solo i buoni pasto (formato cartaceo e/o elettronici), ma possono riguardare la concessione del cellulare aziendale, un computer portatile o tablet, l’abitazione in affitto, l’uso promiscuo dell’auto aziendale (lavoro/privato).

Questi compensi sebbene in natura, poiché vengono collocati nel quadro generale delle forme di retribuzione, rientrano conseguentemente nel campo di applicazione dei principi di assoggettamento previdenziale e fiscale delle retribuzioni con delle esenzioni.

IMPONIBILITA’ FISCALE E CONTRIBUTIVA I fringe benefit non vengono tassati e quindi non concorrono a formare il reddito, se si tratta di beni ceduti e di servizi di importo non superiore a € 258,23 nel periodo d’imposta, come previsto dall’art. 51 c. 3 del TUIR. Laddove il limite di € 258,23 viene superato, l’intero valore e NON la differenza concorre a formare il reddito.

Per periodo d’imposta si intente quello che inizia il 1° gennaio 2023 e termina il 12 gennaio 2024 quindi vale il principio di cassa allargata. Eccezionalmente nel corso del 2022 per via del periodo post COVID e delle conseguenze derivanti dall’evento bellico, il limite di esenzione fu innalzato a € 3.000,00.

NOVITA’: Il decreto Legge 48/2023 all’art. 40 c.d. “Decreto Lavoro”, nell’ambito delle misure fiscali, ha innalzato nuovamente limitatamente al 2023 la soglia di non imponibilità dei fringe benefit fino a € 3.000,00 includendo nuovamente il pagamento delle utenze domestiche relative al servizio idrico, energia elettrica e gas, ma tale misura può essere concessa solo ai lavoratori dipendenti che hanno nel proprio nucleo familiari figli a carico.

I fringe benefit possono essere corrisposti dal datore di lavoro anche ad personam. In esito a questo argomento si resta in attesa delle modalità nonché delle procedure da porre in essere e che presumibilmente resteranno invariate rispetto al DECRETO AIUTI QUATER. RAPPORTO CON IL BONUS CARBURANTE: Il Decreto «Trasparenza prezzi carburante» n. 5/2023 del Governo Meloni ha riproposto l’agevolazione per i lavoratori dipendenti il Bonus Carburante già previsto dal Governo Draghi, per sostenere il reddito dei lavoratori in difficoltà causa innalzamento inflazione. Il datore di lavoro può erogare ad personam senza accordi preventivi buoni carburante per un valore fino ad un massimo di € 200,00 utilizzabili limitatamente al periodo gennaio 2023 / 12 gennaio 2024. Tale benefit NON è imponibile fiscale e va considerato aggiuntivo rispetto a quello dei fringe benefit erogati fino a € 258,23 come previsto dall’art. 51 c. 3 del TUIR. COSA E’ IL WELFARE AZIENDALE: Trattasi di compensi in natura quindi in forma non monetaria. Il welfare aziendale è uno strumento di remunerazione alternativo/complementare alla normale retribuzione. In pratica, attraverso delle iniziative di welfare aziendale, è l’azienda che compra i beni e servizi per il dipendente.

In un secondo momento, poi, li eroga a quest’ultimi senza che, quest’ultimi, utilizzano il proprio stipendio per acquisirli. I vantaggi del welfare aziendale sono riassumibili in, meno costo lavoro, maggiore liquidità e più produttività. Si può quindi definire come l’insieme di iniziative finalizzate ad incrementare il benessere del lavoratore e della sua famiglia, conciliazione vita-lavoro.

DESTINATARI DI WELFARE AZIENDALE: Il WELFARE AZIENDALE deve essere offerto o messo a disposizione della generalità dei dipendenti o categorie omogenee. TIPOLOGIA DI WELFARE AZIENDALE: Esistono due tipi di WELFARE AZIENDALE: * CONTRATTUALE: Previsto direttamente dal contratto collettivo applicato in azienda; * AZIENDALE: sulla base dell’iniziativa unilaterale e volontaria del datore di lavoro senza accordo con le rappresentanze sindacali; WELFARE AZIENDALE E PREMIO DI RISULTATO: L’interesse del datore di lavoro è avere i propri lavoratori più motivati e viceversa interesse del lavoratore guadagnare di più. Esiste la possibilità di raggiungere questi obiettivi con il «PREMIO DI RISULTATO». Il Premio di Risultato detto anche di PRODUTTIVITA’ è la quota aggiuntiva alla retribuzione che viene riconosciuta ai lavoratori al raggiungimento di incrementi di produttività, redditività qualità efficienza e innovazione. Il lavoratore ha 2 opzioni di scelta sulla remunerazione del Premio di Risultato: 1) Riceverlo in busta paga, in tal caso opterà per una tassazione agevolata che solo per il 2023 è pari al 5% purché non ecceda i 3.000,00 € lordi annui e che il reddito del lavoratore dell’anno precedente non superi € 80.000,00. Se soddisfa tali condizioni il premio di risultato NON concorrere alla formazione del REDDITO. Per l’azienda il costo è legato a contributi previdenziali ed oneri di altro tipo, anche se deducibile ai fini IRES. Per usufruire di questa agevolazione vi deve essere un accordo territoriale o di 2° livello con le parti sindacali e che interessi la totalità dei lavoratori. 2) In alternativa all’erogazione in busta paga, il lavoratore, se espressamente indicato all’interno dell’accordo negoziale, ha facoltà di scegliere che il PREMIO venga convertito parzialmente o totalmente, in prestazioni di Welfare come ad esempio spese mediche, assistenza a familiari anziani o non autosufficienti, tasse universitarie, libri di testo, asili nido ecc. In questo caso NON è soggetto ad alcuna tassazione o onere contributivo, né per il lavoratore e tanto meno per il datore di lavoro, purché permangono i limiti di € 3.000,00 e 80.000,00 € Contrariamente al Fringe Benefit la regola base nel WELFARE AZIENDALE è che il datore di lavoro non può erogare direttamente un importo monetario, ma fornisce solo beni e/o servizi, conseguentemente nel cedolino del lavoratore non ci sarà alcun importo che andrà a concorrere alla formazione del netto in busta. Il WELFARE, per sua natura ha quindi una valenza SOCIOASSISTENZIALE e può riguardare anche: a) La previdenza complementare trattasi di contributi versati a fondi pensionistici chiusi (previsti dal ccnl) o aperti (assicurativi/bancari ecc.) con esenzione fiscale annuo fino a € 5.164,57 b) Assistenza sanitaria integrativa versati dal datore di lavoro ad enti o casse aventi fine assistenziale in conformità a disposizioni di contratto o accordo aziendale, con esenzione fino a € 3.615,20 RIFLESSIONE SULLA CONVENIENZA: Ragionando in termini di convenienza questi strumenti apportano alle parti contraenti, benefici che si possono riassumere in: a) Risparmio sul costo del personale decontribuzione e detassazione, quindi aumento della retribuzione senza ripercussioni sul costo del lavoro; b) ottimizzazione della fiscalità per entrambe le parti; c) miglioramento vivibilità in azienda con conseguente soddisfazione dei lavoratori.

Dottor Paolo Grimaldi
Consulente del Lavoro

Il Sistema Fiscale americano: Principi fiscali negli Stati Uniti d’America

L’avvocato Rizzo Marullo, socio del Centro Studi Corrado Rossitto, avvocato Cassazionista. Consulente fiscale autorizzato dal Dipartimento del Tesoro ed Agenzia delle Entrate degli Stati Uniti e Consulente legale straniero per lo Stato del Massachusetts, ha redatto questo interessante articolo che nei numeri precedenti era stato inserito erroneamente a firma della segreteria, ce ne scusiamo con l’autore e ben volentieri ne ripubblichiamo l’articolo.

 

Il complesso sistema fiscale americano si articola attraverso una tassazione su tre livelli, sia per le persone fisiche che per le persone giuridiche: federale, statale, e a volte anche locale. Nel presente articolo tratteremo solo il livello federale, che è di gran lunga il più articolato.

Residenza fiscale

Negli Stati Uniti le persone fisiche che risultino, attraverso alcuni test che analizzeremo a breve, residenti, al pari dei cittadini americani, sono soggetti a tassazione su tutti i loro redditi ovunque prodotti (c.d. principio del world-wide income). Le persone fisiche non residenti, invece, sono tassate soltanto sul reddito di fonte statunitense.

La determinazione della residenza diventa quindi fondamentale ai fini della comprensione della tassazione a cui un soggetto straniero è sottoposto. Una persona fisica, che non sia cittadino americano, acquista la residenza fiscale negli Stati Uniti se risulta lawful permanent resident durante l’anno fiscale o se soddisfa il substantial presence test.

Un lawful permanent resident è un cittadino straniero nei cui confronti il dipartimento dell’immigrazione americana, U.S. Citizenship and Immigration Services (USCIS), ha emesso il modello I-551, meglio noto come green card, ovvero un permesso di soggiorno permanente. Ottenuto il permesso di soggiorno uno straniero continua ad essere considerato residente fin tanto che il permesso non gli venga revocato o venga dallo stesso abbandonato.

Ai sensi del substantial presence test un cittadino straniero viene considerato fiscalmente residente negli Stati Uniti nel caso che:

  1. risulti presente sul territorio nazionale per almeno 183 giorni nel corso di un anno solare;
  2. trascorra negli Stati Uniti un periodo di tempo di almeno 31 giorni nell’anno solare di riferimento, soddisfi il test dei 183 giorni (meglio noto come cumulative presence test).

Per quanto concerne il cumulative presence test, esso consiste nella somma del totale dei giorni in cui la persona fisica è stata presente negli Stati Uniti nell’anno solare di riferimento, più un terzo dei giorni in cui è stato presente durante l’anno precedente ed un sesto dei giorni dell’anno ancora precedente. Se la somma, così ottenuta, è uguale o superiore a 183 giorni, il soggetto viene considerato fiscalmente residente negli Stati Uniti.

Negli esempi di seguito Tizio, cittadino italiano, soddisfa in tutti e due i casi il substantial presence test e, come tale, risulta residente fiscale negli Stati Uniti.

Esempio 1

Periodo Giorni presenti USA Percentuale % Giorni ai fini del test
Anno in corso 183 100% 183
1º Anno precedente 0 33.33 0
2º Anno precedente 0 16.67 0
Totale 183

Esempio 2

Periodo Giorni presenti USA Percentuale % Giorni ai fini del test
Anno in corso 122 100 122
1º Anno precedente 122 33.33 40.66
2º Anno precedente 122 16.67 20.34
Totale 183

 

Tassazione delle persone fisiche

Il sistema fiscale statunitense è stato profondamente modificato dalla riforma fiscale, Tax Cuts and Jobs Act (“TCJA”), del dicembre 2017, varata dal presidente Trump. Le modifiche volute dall’amministrazione repubblicana hanno interessato non solo le persone fisiche ma anche e, soprattutto, le società americane. Con la differenza che le modifiche delle prime, a differenza di quelle societarie, scadranno il 1 gennaio 2026.

Gli scaglioni fiscali, nel sistema statunitense, sono sette e sono comprese tra il 10% ed il 37% e sono così suddivisi a secondo lo stato civile del contribuente:

Tabella 1 – Singoli Individui

Reddito Aliquote 2023
$1 to $11.000 10%
$11.001 a $44.725 12%
$44.726 a $95.375 22%
$95.736 a $182.100 24%
$182.101 a $231.250 32%
$231.251 a $578.125 35%
+ $578.126 37%

 

Tabella 2 – Coniugi – Tassazione Separata

Reddito Aliquote 2023
$1 a $11.000 10%
$11.001 a $44.725 12%
$44.726 a $95.375 22%
$95.276 a $182.100 24%
$182.101 a $231.250 32%
$231.251 a $346.875 35%
+ $346.875 37%

 

Tabella 3 – Coniugi – Tassazione Congiunta

Reddito Aliquote 2023
$1 a $22.000 10%
$22.001 a $89.450 12%
$89.451 a $190.750 22%
$190.751 a $364.200 24%
$364.201 a $462.500 32%
$462.501 a $693.750 35%
+ $693.751 37%

 

Tabella 4 – Capo di Famiglia

Reddito Aliquote 2023
$1 a $15.700 10%
$15.701 a $59.850 12%
$59.851 a $93.350 22%
$93.351 a $182.100 24%
$182.101 a $231.250 32%
$231.251 a $578.100 35%
+ $578.101 37%

 

È importante sottolineare che al reddito imponibile lordo si sottraggono la deduzione forfettaria (standard deduction) quelle analitiche (itemized deduction). Le prime sono riconosciute in una misura fissa stabilita ogni anno e, per il 2023, risultano pari a $27.000, per le coppie che presentano una dichiarazione congiunta, e $13.850 per i single. Il loro valore è condizionato, inoltre, dalla tipologia di dichiarazione ed è maggiorato in caso di specifiche condizioni personali o del coniuge, come per esempio, se abbia più di 65 anni e se sia un non vedente. Le seconde, invece, sono delle deduzioni personalizzate, in base alle spese effettuate dal contribuente durante l’anno solare quali, ad esempio, le spese mediche, le commissioni su mutui etc.

La riforma Trump ha eliminato l’Alternative Minimum Tax (AMT) per le società ed ha modificato sostanzialmente la normativa relativa alle persone fisiche. Brevemente ricordiamo, che scopo dell’imposta, è tassare i contribuenti più facoltosi che abbiano redditi superiori ad un determinata soglia. Quest’ultimi, nell’intenzioni del legislatore del 1969, anno in cui l’imposta entrò in vigore, devono calcolare le imposte, sia con il modo tradizionale, sia con quello alternativo, da cui il nome dell’imposta. Dopo aver confrontato i due importi, i contribuenti verseranno le imposte considerando definitivo il debito fiscale più elevato. Per il 2023 la soglia sotto la quale non si è soggetti al regime dell’AMT a $81.300 per i single ed a $126.500. Anche le soglie di reddito oltre le quali viene tassata una porzione dei redditi inizialmente esenti, sono state elevate: $578.150 per i single; $1.156.300 per le coppie sposate

La tassazione dei capital gain, ovvero il guadagno derivato dalla compravendita di un asset finanziario, varia a secondo della durata della detenzione dell’asset medesimo: se inferiore all’anno si parla di short terms capital gains, se superiore di long terms capital gains. I primi sono soggetti ad un’aliquota che varia dal 10% al 37%, atteso che il guadagno capitale fa cumulo con il reddito imponibile durante l’anno solare. I secondi, invece, sono soggetti ad un’aliquota del 15% per i redditi compresi tra $44.625 e $492.300 e del 20% per i redditi superiori a $492.301 per i single, per le coppie sposate si applicano le stesse aliquote ma con scaglioni diversi $59.750/$523.050.

Per dovere di completezza è opportuno osservare che nel recente Progetto di Bilancio presentato dal Presidente Biden, è previsto il ritorno all’aliquota massima del 39.6% per i contribuenti che guadagnano più di $400.000. In aggiunta a ciò, il presidente Biden ha proposto l’introduzione una minimum tax del 25% sui redditi e sulle plusvalenze non realizzate. La nuova imposta colpirebbe solo lo 0.01% dei contribuenti statunitensi che guadagnano almeno $100 milioni l’anno. Infine, è previsto un aumento dal 20% al 39.6% del prelievo sui capital gains per coloro che realizzano almeno $1milione.

Tassazione delle imprese

In base al sistema societario vigente negli Stati Uniti, è possibile distinguere le seguenti diverse forme di società:

  • la società di capitali (C-corporation) caratterizzate dal possesso di una personalità giuridica e di un patrimonio sociale perfettamente autonomo e distinto dai soci (shareholders). Ciò comporta che per i debiti di una corporation risponde solamente la società con il proprio patrimonio e non i singoli soci personalmente.
  •  S (S-corporation) che, da un punto di vista giuridico è identica a quella di tipo C, mentre da un punto di vista fiscale si caratterizza per la possibilità di optare, in presenza di determinati requisiti (quali la residenza degli azionisti negli Stati Uniti, l’esistenza di una sola classe di azioni e un numero massimo di azionisti), per un regime fiscale trasparente, per effetto del quale il reddito viene tassato una sola volta, direttamente in capo agli azionisti;
  • la General Partnership costituite da due o più persone per l’esercizio in comune di un’attività economica. Le legislazioni statali normalmente prevedono due tipi di partnership: General e Limited. La General si caratterizza per la responsabilità illimitata e solidale dei soci che rispondono con il proprio patrimonio per le obbligazioni assunte dalla società. Sotto il profilo fiscale, il reddito prodotto dalla partnership non è imputato a quest’ultima ma viene attribuito ai singoli soci per mezzo del regime di tassazione trasparente. La Limited Partnership, assimilabile alla nostra società in accomandita semplice, si differenzia dalla General Partnership principalmente per la presenza di due classi di soci: i general partner e i limited partner. Mentre i general partner rispondono personalmente e illimitatamente per i debiti della società, i limited partner rispondono limitatamente alla quota conferita.
  • la Limited Liability Company è una forma ibrida di società che condivide con la corporation il carattere della responsabilità limitata dei soci (qui chiamati members) e con la partnership la mancanza di una tassazione a livello societario.
  • La Sole Proprietorship è la forma più elementare d’impresa negli Stati Uniti. Le Sole Proprietorship non possiedono personalità giuridica e autonomia patrimoniale proprie. Pertanto, dei debiti dell’impresa risponde personalmente e illimitatamente solo il loro titolare.

Ai fini contabili, al pari del sistema italiano, si ha un regime di competenza (accrual method) che impone di registrare le transazioni nel periodo di imposta a cui queste si riferiscono indipendentemente dal momento in cui i pagamenti si verificano, ed un regime per cassa (cash method). Quest’ultimo include nel calcolo del reddito solo i costi già pagati e i ricavi già incassati.

La tassazione societaria è la parte che ha subito maggiori modifiche, con la riforma Trump, ad iniziare dalla riduzione della tassazione degli utili di impresa che è passata dal 35% al 21%. Prima della riforma, l’imposta federale sul reddito delle società si configurava come un’imposta progressiva per scaglioni di reddito, quattro scaglioni compresi tra il 15% ed il 35%, rendevano gli Stati Uniti il paese, tra quelli economicamente sviluppati, con la più alta tassazione. A partire dal 1º gennaio 2018, invece, la tassazione è passata ad un’unica aliquota fissa, flat tax, del 21%, al di sotto della media dei paesi europei (22%) e dei paesi OCSE (24%). Tale aliquota, combinata con quelle dell’imposte statali e locali raggiunge il 25.75%, mantenendo gli Stati Uniti al di sotto della media dei paesi europei 26.9%, secondo lo studio di Tax Foundation.

È indubbio che una riduzione così drastica avvantaggi sia le imprese che le start-up che, a differenza delle modifiche sulle persone fisiche, potranno godere di tali riduzioni, senza limiti temporali. Come osservato per le persone fisiche, il recente progetto di bilancio dell’amministrazione Biden prevede un innalzamento dell’imposta dal 21% al 28%.

Una proposta, infine, che certamente avrà una strada in salita è la quadruplicazione, dall’1% al 4%, dell’imposta sul riacquisto di azioni proprie da parte della stessa società che le ha emesse (i c.d. buybacks). Una tecnica a cui le società statunitensi ricorrono spesso per sostenere il prezzo in borsa del titolo, specialmente nei casi in cui esso sia sottovalutato.

Imposta sulle Successioni e Donazioni

Con il termine “death tax” s’intende il complesso sistema d’imposte federali che regolano il trasferimento della proprietà o di altri diritti, in seguito alla morte del titolare o mediate un atto di liberalità di quest’ultimo. La death tax comprende: l’imposta sulle successioni, Estate Tax, l’imposta sulle donazioni, Gift Tax, e, infine, la Generation-Skipping Transfer (GST) Tax, ovvero un’imposta volta a colpire i beni trasferiti da una generazione all’altra, saltando generazioni intermedie lungo il percorso.

La riforma Trump ha raddoppiato la franchigia per l’imposta di successione, che per il 2023 è pari a $12.920.000 milioni per i single e $25.840.000 milioni per le coppie sposate. I nuovi limiti previsti dal Tax Cuts and Jobs Act resteranno in vigore fino al 2025. Al di sopra di queste franchigie è prevista un’imposta del 40%.

La franchigia per i soggetti stranieri non residenti è rimasta immutata a $60,000. Diversamente dai cittadini e residenti statunitensi, soggetti all’imposta di successione su tutti i loro beni (worldwide assets), i non residenti sono soggetti all’imposta solo per i beni presenti nel territorio statunitense qualora il loro estate abbia un valore superiore a $60,000.

Le stesse franchigie si applicano per la Generation-Skipping Transfer (GST) Tax.

Per quanto riguarda invece l’imposta sulle donazioni, al pari della nostra imposta, colpisce il trasferimento, diretto ed indiretto e a titolo gratuito, della proprietà e di altri diritti fra persone in vita. I beni oggetto dell’imposta possono essere mobili o immobili, tangibili o intangibili. L’imposta, a differenza di quanto avviene in Italia, non è tuttavia dovuta dal beneficiario della donazione, ma bensì dal donante.

In seguito alla riforma dell’amministrazione Trump, al pari dell’imposta di successione, è prevista una franchigia pari a $12,920,000 per i single e $25,840,000 per le coppie sposate. A ciò bisogna aggiungere un’esclusione annuale, per soggetto, pari a $17,000. Al pari dell’imposta di successione, non ci siano limiti alle donazioni tra coniugi, purché essi siano cittadini americani. Nel caso in cui il coniuge beneficiario non fosse un cittadino americano, invece, le donazioni da parte del coniuge statunitense saranno limitate a $175,000 annue.

L’IVA e l’imposta sulle vendite

A livello federale non è prevista alcuna imposta sul valore aggiunto.
L’imposta sulle vendite (Sales Tax), invece, è un’imposta di livello statale e comunale. Sono gli Stati e i Comuni a stabilire le regole su aliquote e determinazione della base imponibile.
In generale, l’imposta sulle vendite si applica sulla quantità di beni venduti al consumatore finale.

Trattato contro le doppie imposizioni con l’Italia

Al fine di eliminare o ridurre il problema delle doppie imposizioni, gli Stati Uniti e l’Italia hanno stipulato un trattato, nel 1984, per regolare l’esercizio della potestà impositiva. Tale trattato è stato sostituito dalla nuova convenzione, firmata a Washington, il 25 agosto 1999, e ratificata, con la Legge n. 20 del 3 marzo 2009. Per effetto delle nuove disposizioni i rapporti commerciali/finanziari tra i due paesi risultano più agevoli da un punto di vista impositivo.

Altri accordi sono in essere tra i due paesi, tra essi vale la pena di ricordare la convenzione, siglata nel marzo del 1955, a Washington, successivamente ratificata con la Legge n. 943/1956, volta ad evitare le doppie imposizioni e prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sulle successioni.

Infine, l’accordo, del gennaio 2014, per l’attuazione di FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act), sulla trasparenza fiscale e sullo scambio automatico di informazioni di natura finanziaria tra le autorità fiscali dei due Paesi. La cooperazione riguarda, in particolare, i conti detenuti in Italia da cittadini e residenti americani e viceversa, al fine di rendere più efficace la lotta all’evasione.

Avv Rizzo Marullo

Lavoro precario

Alcune considerazioni sul lavoro che cambia

Quali cambiamenti ci aspettano e come influiranno sul lavoro. All’inizio degli anni 2000, gli assetti che mutano rapidamente dell’economia inducevano ad istanze di flessibilità orientate a prevenire o assecondare i bisogni della produzione e della concorrenza.

Si assisteva ad un ricorso a criteri di flessibilità che permettevano il mutare degli elementi temporali della prestazione, nonché l’instaurazione di rapporti non sottoposti alle regole del lavoro dipendente (parasubordinati).

In parte questi assetti rispondevano a nuove esigenze delle imprese in parte, essi spesso mascheravano a fini di evasione normali rapporti di lavoro.

Si confidava che questi nuovi assetti del lavoro avrebbero ridato vita al mercato ed all’occupazione, ma così non fu.

Si considerava quindi ancora troppo rigide le regole del lavoro sia in entrata che in uscita e con il Jobs Act del 2015, si dava luogo ad una operazione inversa.

Venivano così eliminate molte delle fattispecie atipiche di cui al DLGS 276/2003 legge Biagi, e si favoriva l’instaurazione di un unico rapporto di lavoro cui erano tolte numerose rigidità in entrata ed in uscita. Neppure questa rapida conversione dava frutti sul piano dell’occupazione.

Ci troviamo ora di fronte ad ulteriori evoluzioni ed innovazioni che questa volta solo in parte provengono dall’economia e dalla globalizzazione.

L’elemento catalizzatore è dato ora da cambiamenti di natura tecnica che si ripercuotono direttamente sugli elementi di spazio, tempo, autonomia tipici del rapporto di lavoro.

Premettiamo che questo fenomeno non è ancora generale e non lo sarà, destinato sicuramente a convivere con forme maggiormente datate e comuni di prestazione. Per tale motivo, ci troveremo di fronte ad un quadro estremamente complesso.

Permane e permarrà comunque lo squilibrio contrattuale tra chi rende la prestazione e chi la utilizza.

Si tratta di costruire anche in questi casi un punto di equilibrio.

L’esperienza sin qui vissuta ci induce a ritenere che gli interventi normativi non assumono in tal senso effetti miracolosi.

Si tratta quindi di capire quali strade intraprendere per regolamentare il lavoro nel prossimo futuro.

Di fronte ad un panorama così variegato, due sono le tentazioni, da un lato dar corso ad una legislazione di dettaglio che cerchi di disciplinare ogni aspetto delle novità in atto, d’altro lato, creare una normativa ampia leggera ed adattabile articolata nei seguenti interventi:

Definizione di lavoro dipendente

Evitare la proliferazione di nuove tipologie e ricondurre ad unica disciplina tutte le prestazioni caratterizzate da continuità e mono committenza.

Rappresentanza e retribuzione

In ragione della sempre maggiore complessità del mondo del lavoro, occorre assolutamente evitare sistemi rigidi di rappresentanza. Quindi non si dovrebbero assumere con  legge gli accordi interconfederali sulla rappresentatività, in mancanza della piena attuazione dell’articolo 39 della Costituzione. Serve invece assicurare una retribuzione basilare introducendo per legge un minimo retributivo orario.

Disciplina della prestazione

Accanto al binomio ore lavorate /retribuzione, andrebbero introdotte per il lavoro sganciato dai requisiti di orario e sede della prestazione, forme di retribuzione accessoria collegata al raggiungimento di obiettivi da definire in sede di contrattazione aziendale.

Andrebbe normata ove possibile una riduzione a retribuzione invariata dell’orario di lavoro.

Formazione

Andrebbero valorizzate le competenze professionali e la formazione mediante l’inclusione della professionalità della sua spendita e della sua manutenzione nell’oggetto del contratto di lavoro.

La formazione professionale andrebbe almeno in parte ricondotta tra le competenze statali per evitare le sfasature in ambito regionale.

Andrebbe quindi istituita un’anagrafe delle competenze certificate per ciascun lavoratore.

L’inclusione della professionalità raggiunta nel concetto di scambio del contratto di lavoro, consentirebbe un rapido accesso al mercato stesso.

Diritto al maggior benessere possibile nell’ambito del lavoro

Il mobbing affrontato con un recente disegno di legge rappresenta la punta d’iceberg di un diffuso malessere dei rapporti anche interpersonali sul lavoro.

Andrebbe opportunamente in tale ambito, considerato lo stress lavoro correlato ed ogni grave problema connesso a diffusa mancanza di organizzazione, oltre alle discriminazioni di ogni tipo.

Si potrebbe ipotizzare un testo unico sul benessere lavorativo.

In tal modo, il primo vantaggio deriverebbe alle aziende.

I controlli

Stante la complessità del mondo del lavoro, necessita favorire i controlli. Si tratta pertanto di superare la normativa in tema di accessi e controlli che ha unificato i ruoli degli ispettori di INPS INAIL Ispettorato del Lavoro.

Serve innovare le procedure di controllo in materia antinfortunistica rafforzando le competenze dell’INAIL

La pubblica Amministrazione

L’avanzare della tecnologia interesserà sempre di più anche la pubblica amministrazione. Quivi dovrebbe trovare finalmente realizzazione la riforma della dirigenza, istituendo figure professionali idonee a definire esperti e ricercatori, modificando i ruoli della dirigenza, l’accesso alla stessa ed istituendo apposita area di quadri ed esperti.

Fabio Petracci

Nuovo Codice degli appalti DLGS 36/2023. Cosa cambia per il lavoro

Il nuovo codice degli appalti (dlgs. 36/2023) è entrato in vigore il 1° aprile 2023, ma le sue disposizioni acquistano efficacia dal 1° luglio 2023.

Tra le novità introdotte dall’intervento normativo ve ne sono alcune di primaria importanza sotto il profilo lavoristico.

  1. Applicazione contrattazione collettiva.

Anzitutto, ai sensi dell’art. 11 del nuovo Codice – rubricato “Principio di applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore. Inadempienze contributive e ritardo nei pagamenti” – trova applicazione nei confronti del personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni il contratto collettivo (nazionale e territoriale) in vigore per il settore e per la zona nella quale vengono eseguite le prestazioni di lavoro.

Il contratto collettivo da applicare deve essere indicato nei bandi di gara ed è quello stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente.

I soggetti che partecipano alla gara di appalto possono però indicare nella propria offerta il differente contratto collettivo dagli stessi applicato, purché garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente.

In tale ultimo caso, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti devono acquisire una dichiarazione con la quale l’operatore economico individuato si impegna ad applicare il contratto collettivo nazionale e territoriale indicato nell’esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto per tutta la sua durata, ovvero la dichiarazione di equivalenza delle tutele prima di procedere all’affidamento o all’aggiudicazione.

Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti sono comunque tenute ad assicurare che le medesime tutele normative ed economiche siano garantite anche ai lavoratori in subappalto.

  1. Inadempienza contributiva.

In caso di inadempienza contributiva risultante dal documento unico di regolarità contributiva (DURC) relativo al personale dipendente dell’affidatario o del subappaltatore o dei soggetti titolari di subappalti e cottimi, impiegato nell’esecuzione del contratto, la stazione appaltante trattiene dal certificato di pagamento l’importo corrispondente all’inadempienza per il successivo versamento diretto agli enti previdenziali e assicurativi, compresa, nei lavori, la cassa edile.

  1. La ritenuta a garanzia.

In ogni caso sull’importo netto progressivo delle prestazioni è operata una ritenuta dello 0,50%. Esse possono essere svincolate, ma soltanto in sede di liquidazione finale, dopo l’approvazione da parte della stazione appaltante del certificato di collaudo o di verifica di conformità, previo rilascio del documento unico di regolarità contributiva.

  1. Ritardato o mancato pagamento delle retribuzioni.

Infine, in caso di ritardo nel pagamento delle retribuzioni dovute ai lavoratori, il responsabile unico del progetto invita per iscritto il soggetto inadempiente, ed in ogni caso l’affidatario, a provvedervi entro i successivi 15 giorni.

Ove non sia stata contestata formalmente e motivatamente la fondatezza della richiesta entro il termine, il Legislatore pone a carico della stazione appaltante il pagamento delle retribuzioni arretrate, anche in corso d’opera, direttamente ai lavoratori, detraendo il relativo importo dalle somme dovute all’affidatario del contratto o dalle somme dovute al subappaltatore inadempiente nel caso in cui sia previsto il pagamento diretto.

  1. Clausole sociali.

Ai sensi dell’art. 57, invece, – rubricato “Clausole sociali del bando di gara e degli avvisi e criteri di sostenibilità energetica e ambientale” – gli affidamenti dei contratti di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale e per i contratti di concessione i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti, tenuto conto della tipologia di intervento, devono contenere specifiche clausole sociali con le quali sono richieste, come requisiti necessari dell’offerta, misure orientate tra l’altro a garantire:

le pari opportunità generazionali, di genere e di inclusione lavorativa per le persone con disabilità o svantaggiate;

la stabilità occupazionale del personale impiegato;

l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore, tenendo conto di quelli stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e di quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente;

le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell’appaltatore e contro il lavoro irregolare.

  1. Il subappalto.

In materia di subbappalto, infine, l’art. 119 prevede la responsabilità in solido dell’affidatario rispetto: alla osservanza del trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni da parte dei subappaltatori nei confronti dei loro dipendenti per le prestazioni rese nell’ambito del subappalto; nonché gli obblighi retributivi e contributivi, ai sensi dell’articolo 29 del D.Lgs. n. 276/2003.

L’appaltatore è però liberato dalla responsabilità solidale se il subcontraente è una microimpresa o impresa piccola ovvero su richiesta del subcontraente e se il contratto lo consente.

Il personale Tecnico Amministrativo che opera nell’ambito degli appalti.

Cosa cambia con il DLGS 36/2023?

Gli incentivi per il personale che svolge funzioni tecniche nell’appalto.

La questione ha costituito un punto molto importante e discusso nell’ambito della disciplina degli appalti, a 30 anni dall’entrata in vigore della legge Merloni.

La legge Merloni – legge 109/1994 all’articolo 18 prevedeva nel caso di lavori pubblici ed appalti di opere e di servizi (articolo 2 della legge medesima) un incentivo a valere sugli stanziamenti appositi nella misura del 15% a favore del personale addetto alle procedure di appalto.

Così stabiliva questa disposizione di legge dopo le modifiche apportate nel 1999:

Articolo 18.

  1. Una somma non superiore all’1,5 per cento dell’importo posto a base di gara di un’opera o un lavoro, a valere direttamente sugli stanziamenti di cui all’articolo 16, comma 7, è ripartita, per ogni singola opera o lavoro, con le modalità ed i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata ed assunti in un regolamento adottato dall’amministrazione, tra il responsabile unico del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo nonché tra i loro collaboratori. La percentuale effettiva, nel limite massimo dell’1,5 per cento, è stabilita dal regolamento in rapporto all’entità e alla complessità dell’opera da realizzare. La ripartizione tiene conto delle responsabilità professionali connesse alle specifiche prestazioni da svolgere. Le quote parti della predetta somma corrispondenti a prestazioni che non sono svolte dai predetti dipendenti, in quanto affidate a personale esterno all’organico dell’amministrazione medesima, costituiscono economie. I commi quarto e quinto dell’articolo 62 del regio decreto 23 ottobre 1925, n. 2537, sono abrogati. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, lettera b), possono adottare con proprio provvedimento analoghi criteri.
    (comma così sostituito dall’articolo 13, comma 4, legge n. 144 del 1999)

Con il DLGS 163/2006, i compensi per detto personale erano affidati ad apposito decreto emanato dal Ministero di Giustizia.

Entrava in vigore successivamente il DL 90/2014 che convertito nella legge 114/2014 all’articolo 7 ter stabiliva che

L’80 per cento delle risorse finanziarie del fondo per la progettazione e l’innovazione è ripartito, per ciascuna opera o lavoro, con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata integrativa del personale e adottati nel regolamento di cui al comma 7-bis, tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori; gli importi sono comprensivi anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell’amministrazione. Il regolamento definisce i criteri di riparto delle risorse del fondo, tenendo conto delle responsabilità connesse alle specifiche prestazioni da svolgere, con particolare riferimento a quelle effettivamente assunte e non rientranti nella qualifica funzionale ricoperta, della complessità delle opere, escludendo le attività manutentive, e dell’effettivo rispetto, in fase di realizzazione dell’opera, dei tempi e dei costi previsti dal quadro economico del progetto esecutivo. Il regolamento stabilisce altresì i criteri e le modalità per la riduzione delle risorse finanziarie connesse alla singola opera o lavoro a fronte di eventuali incrementi dei tempi o dei costi previsti dal quadro economico del progetto esecutivo, redatto nel rispetto dell’articolo 16 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, depurato del ribasso d’asta offerto. Ai fini dell’applicazione del terzo periodo del presente comma, non sono computati nel termine di esecuzione dei lavori i tempi conseguenti a sospensioni per accadimenti elencati all’articolo 132, comma 1, lettere a), b), c) e d). La corresponsione dell’incentivo è disposta dal dirigente o dal responsabile di servizio preposto alla struttura competente, previo accertamento positivo delle specifiche attività svolte dai predetti dipendenti. Gli incentivi complessivamente corrisposti nel corso dell’anno al singolo dipendente, anche da diverse amministrazioni, non possono superare l’importo del 50 per cento del trattamento economico complessivo annuo lordo. Le quote parti dell’incentivo corrispondenti a prestazioni non svolte dai medesimi dipendenti, in quanto affidate a personale esterno all’organico dell’amministrazione medesima, ovvero prive del predetto accertamento, costituiscono economie. Il presente comma non si applica al personale con qualifica dirigenziale.

Con il codice degli appalti DLGS 50/2016

L’articolo 113 del DLGS 50/2016 Codice degli appalti disciplina nuovamente gli incentivi destinati alle funzioni tecniche e tecnico – amministrative nell’ambito degli appalti di lavori pubblici di lavori, servizi, forniture.

E’ stabilito un obbligo per ciascuna amministrazione di prevedere una quota pari al 2% sull’importo posto a base di gara.

All’intero, una quota pari all’80% è attribuita per ciascuna opera o servizio, secondo modalità da concordarsi in sede di contrattazione collettiva decentrata e sulla base di un regolamento adottato da ogni singola amministrazione.

La restante quota pari al 20% può invece essere utilizzata per l’acquisto di beni, servizi, o per tirocini professionali.

Il nuovo codice degli appalti. DLGS 36/2023.

Con il nuovo codice degli appalti DLGS 36/2023 articolo 45 e allegato 1.10, la materia subisce ulteriori modifiche e specificazioni-

Il nuovo codice conferma la previsione che vuole devoluto alle funzioni tecniche – amministrative il 2% –

L’allegato 1.10 specifiche le attività tecnico amministrative che potranno avvalersi della previsione.

Se gli incentivi rappresentano il 2% dell’importo dei lavori, su questa quota è operata una ulteriore ripartizione.

L’80% è desinato ai tecnici ed il residuo 20% può essere utilizzato per l’acquisto di beni, strumenti, servizi o per tirocini e corsi, ma anche per l’introduzione di nuove tecnologie.

E’ inoltre aumentato il tetto massimo degli incentivi che viene elevato al 100% del tetto retributivo individuale, mentre il DLGS 50/2016 prevedeva un tetto massimo del 50%.

Pagamento diretto.

Non si verificherà più nessuna confluenza delle somme dovute nel fondo per l’incentivazione.

Gli importi saranno invece erogati direttamente al personale dipendente.

L’allegato I.10 contiene inoltre un elenco tassativo delle attività tecniche destinatarie degli stanziamenti. Ne riportiamo il testo:

“ALLEGATO I.10 – Attività tecniche a carico degli stanziamenti previsti per le singole procedure (Articolo 45, comma 1)

Attività di:

– programmazione della spesa per investimenti;
– responsabile unico del progetto;
– collaborazione all’attività del responsabile unico del progetto (responsabili e addetti alla gestione tecnico-amministrativa dell’intervento)
– redazione del documento di fattibilità delle alternative progettuali;
– redazione del progetto di fattibilità tecnica ed economica;
– redazione del progetto esecutivo;
– coordinamento per la sicurezza in fase di progettazione;
– verifica del progetto ai fini della sua validazione;
– predisposizione dei documenti di gara;
– direzione dei lavori;
– ufficio di direzione dei lavori (direttore/i operativo/i, ispettore/i di cantiere);
– coordinamento per la sicurezza in fase di esecuzione;
– direzione dell’esecuzione;
– collaboratori del direttore dell’esecuzione
– coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione;
– collaudo tecnico-amministrativo;
– regolare esecuzione;
– verifica di conformità;
– collaudo statico (ove necessario).”

Per quanto riguarda le erogazioni, pare non si rendono più necessarie negoziazioni in sede sindacale o regolamenti aziendali.

Stabilisce il nuovo codice degli appalti sempre all’articolo 45 testualmente che:

I criteri del relativo riparto, nonché quelli di corrispondente riduzione delle risorse finanziarie connesse alla singola opera o lavoro, a fronte di eventuali incrementi ingiustificati dei tempi o dei costi previsti dal quadro economico del progetto esecutivo, sono stabiliti dalle stazioni appaltanti e dagli enti concedenti, secondo i rispettivi ordinamenti, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del codice.

L’articolo 45 del Codice Appalti stabilisce inoltre che che

“l’allegato I.10 è abrogato a decorrere dalla data di entrata in vigore di un corrispondente regolamento adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici, che lo sostituisce integralmente anche in qualità di allegato al codice.”

Stabilisce inoltre l’articolo 45 in termini innovativi come la normativa incentivante si applichi anche agli appalti relativi a servizi o forniture nel caso in cui è nominato il direttore dell’esecuzione.

La competenza dell’erogazione è con il nuovo codice del dirigente incaricato, sentito il RUP-

Così stabilisce l’articolo 45 del nuovo Codice Appalti al comma 4:

L’incentivo di cui al comma 3 è corrisposto dal dirigente, dal responsabile di servizio preposto alla struttura competente o da altro dirigente incaricato dalla singola amministrazione, sentito il RUP, che accerta e attesta le specifiche funzioni tecniche svolte dal dipendente.

Inoltre l’articolo 45 già citato del nuovo codice appalti stabilisce pure in maniera dettagliata la destinazione del residuo 20% del fondo, nei seguenti termini:

“6.    Con le risorse di cui al comma 5 l’ente acquista beni e tecnologie funzionali a progetti di innovazione, anche per incentivare:

  1. a)  la modellazione elettronica informativa per l’edilizia e le infrastrutture;
  2. b)  l’implementazione delle banche dati per il controllo e il miglioramento della capacità di spesa;
  3. c)  l’efficientamento informatico, con particolare riferimento alle metodologie e strumentazioni elettroniche per i controlli.
  4.   Una parte delle risorse di cui al comma 5 è in ogni caso utilizzata:
  5. a)  per attività di formazione per l’incremento delle competenze digitali dei dipendenti nella realizzazione degli interventi;
  6. b)  per la specializzazione del personale che svolge funzioni tecniche;
  7. c)  per la copertura degli oneri di assicurazione obbligatoria del personale.
  8.   Le amministrazioni e gli enti che costituiscono o si avvalgono di una centrale di committenza possono destinare, anche su richiesta di quest’ultima, le risorse finanziarie di cui al comma 2 o parte di esse ai dipendenti di tale centrale in relazione alle funzioni tecniche svolte. Le somme così destinate non possono comunque eccedere il 25 per cento dell’incentivo di cui al comma 2.”

La Redazione

Decreto legge 4 maggio 2023 n. 48. Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro.

L’assegno di inclusione

Il decreto in questione contiene alcune misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro.

E’ così introdotto in luogo del reddito di cittadinanza a far tempo dal 1 gennaio 2024 l’assegno di inclusione.

L’assegno è riservato alle fasce deboli attraverso percorsi di inclusione sociale, di formazione e politica attiva del lavoro.

L’assegno spetterà ai nuclei familiari composti da almeno un soggetto disabile, minorenne, ultrasessantenne, invalido civile.

Il beneficio economico minimo non potrà mai essere inferiore a 480 euro annui.

Si vuole favorire la fase di transizione al lavoro

L’assegno di inclusione, nel caso di avvio di attività di lavoro dipendente, potrà coesistere con introiti pari ad un massimo di 3.000 euro annui lordi.

Si vuole incentivare l’avvio da parte dei titolari di un’attività di impresa.

A titolo di incentivo, il beneficiario, in tal caso, fruirà dell’assegno di inclusione nella misura originaria per ancora due mesi rispetto all’avvio dell’attività imprenditoriale che comunque resterà compatibile con l’assegno nella misura della differenza tra i ricavi conseguiti e le spese sostenute nello svolgimento dell’attività.

Il SIISL quale mezzo per consentire l’attivazione di percorsi personalizzati al lavoro

Trattasi dell’avvio di piattaforme digitali caratterizzate da un sistema di interoperabilità che consentirà ai beneficiari dell’assegno di aderire ad un percorso personalizzato di inclusione sociale o lavorativa.

Introduzione di benefici per chi assume i beneficiari dell’Assegno di Inclusione

Ai datori di lavoro privati che assumono i beneficiari del reddito di inclusione con contratto a tempo indeterminato o di apprendistato sarà riconosciuto per un periodo massimo di 12 mesi l’esonerp al 100% dal versamento dei contributi previdenziali con esclusione dei premi e contributi INAIL, nel limite di 8000 euro su base annua.

Le modifiche al contratto a termine

E’ stata ampliata la possibilità di stipulare il contratto a termine per la durata massima di 24 mesi, non più nei casi tassativi, previsti dalla legge, ma in tutti i casi previsti dalla contrattazione collettiva. Dunque è stata ampliata l’ipotesi di maggior durata del contratto a termine affidandola alla contrattazione collettiva nei casi di esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva.

Semplificazione delle comunicazioni dovute al lavoratore nel caso di assunzione

Per quanto riguarda le recenti norme di derivazione comunitaria che impongono dettagliate comunicazioni circa i termini del rapporto di lavoro al dipendente neoassunto, la legge comporta una notevole semplificazione mediante il semplice riferimento normativo al contratto collettivo che disciplina le materie.

Il taglio del Cuneo Fiscale

Il DL n.48/2023 impone il taglio del cuneo fiscale di 4 punti percentuali per i lavoratori dipendenti.

Il provvedimento è temporaneo in quanto destinato a durare dal 1 luglio 2023 sino al 31 dicembre 2023, senza effetti sul rateo di tredicesima.

Riduzione della sanzione per omesso versamento delle ritenute previdenziali

Viene a cessare la sanzione da 10.000 a 50.000 euro, ma la sanzione è rapportata da una volta e mezzo a quattro volte l’importo omesso.

Benefici per chi assume i giovani NEET

Con l’acronimo giovani NEET – Not in Education, in Employement or Training , sono indicati i giovani sino ai 29 anni privi di lavoro non impegnati in attività di eucazione o di formazione.

Il DL 48/2023 stabilisce l’esonero contributivo del 60% per chi dal primo giugno assumerà questa categoria di giovani.

Incremento del Fondo Nuove Competenze

Il Fondo Nuove competenze è un fondo pubblico cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo sorto con l’articolo 88 del DL 19 maggio 2020 n.34, per ovviare agli effetti economici del COVID 19.

Esso è destinato alle imprese che vogliono adeguare le competenze dei lavoratori, destinando parte dell’orario alla formazione.

Le ore di retribuzione del lavoratore in formazione sono a carico dello Stato ed i contributi sono gestiti da ANPAL

L’articolo 19 del DL 48/2023 stabilisce un incremento del finanziamento per il periodo 2021 – 2027.

Rafforzamento della normativa in tema di sicurezza sul lavoro

Sono imposte in primo luogo norme più stringenti per la nomina sul luogo di lavoro del medico incaricato. Esso dovrà essere nominato non solo nei casi previsti dalla legge, ma anche allorquando la sua nomina sia consigliata dalla valutazione dei rischi.

E’ imposto inoltre al medico del lavoro in caso di assunzione di richiedere al lavoratore la cartella sanitaria rilasciata dal precedente datore di lavoro.

Norme restrittive circa i contenuti della formazione sono imposti con la previsione che impone ad appositi accordi in sede Stato Regioni la fissazione dei contenuti ed il controllo delle attività formative.

Altre restrizioni e controlli incombono poi sui venditori e noleggiatori di macchine industriali e sono imposti pure obblighi periodici di verifica da parte dell’INAIL sulle attrezzature aziendali.

Rafforzamento dell’attività ispettiva

La norma al fine di monitorare le posizioni aziendali a rischio di evasione contributiva e di violazione della sicurezza, consente a tutti gli enti pubblici, ivi compresa la Guardia di Finanza, di condividere gratuitamente di tutti gli elementi utili per definire le pratiche ispettive.

Proroga della Cassa Integrazione Straordinaria

Articolo 30 – proroga al 31.12.2023 per le aziende che abbiano dovuto fronteggiare situazioni di perdurante crisi aziendale ed organizzazione o che non siano riuscite a completarle per prolungata indisponibilità dei locali aziendali per cause non imputabili al datore di lavoro.

Estensione della tutela assicurativa degli studenti e del personale del sistema nazionale di istruzione e formazione, della formazione terziaria professionalizzante e della formazione superiore

Articolo 18 – per l’anno 2023 – 2024 è istituito l’obbligo di assicurazione INAIL per le attività di insegnamento – apprendimento nell’ambito del sistema nazionale di istruzione e formazione.

L’obbligo si stende a tutte le categorie ivi compresi gli studenti, coinvolte nell’attività di formazione.

Con il successivo articolo 19 è istituito un apposito fondo per i familiari degli studenti vittime di infortuni in occasione dell’alternanza scuola – lavoro.

Sono inoltre apportate alcune modifiche alla disciplina dell’alternanza Scuola – Lavoro, individuando la figura del docente coordinatore di progettazione, si vuole quindi evitare il sorgere di posizioni lavorative e formative incoerenti e spesso foriere di abusi, attuando la progettazione dei percorsi formativi e per l’orientamento in coerenza con il piano triennale dell’offerta formativa ed il profilo culturale dell’istituto scolastico.

E’ inoltre istituito il Registro Nazionale per l’Alternanza Scuola – Lavoro e la relativa piattaforma presso il Ministero dell’Istruzione che viene denominata “Piattaforma per i percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento.

Maggiorazione dell’Assegno Unico e Universale

Trattasi dell’assegno che viene attribuito come sostegno economico alle famiglie con figli a carico e con determinati requisiti di ISEE dal settimo mese di gravidanza sino al ventunesimo anno di età dei figli a carico.

Piani di rilancio per Gruppi di Imprese. Contratti di Espansione

Trattasi della legge 148/2015 articolo 41 che per consentire i piani di rilancio delle imprese con oltre 1000 dipendenti, all’articolo 41permette a fronte dell’assunzione di nuove figure professionali, la procedura di licenziamento e pensionamento delle unità in forza.

In pratica, Il contratto di espansione consente di avviare piani concordati di esodo per i lavoratori che si trovino a non più di 60 mesi (5 anni) dal conseguimento del diritto alla pensione ( che puo essere sia di vecchiaia che pensione anticipata legge 92 2012).

Il Decreto 48/2003 consente di portare a termine i contratti di espansione e iniziati entro il 31.12.2022 e non ancora conclusi mediante accordo integrativo in sede ministeriale.

Disposizioni in tema di lavoro marittimo

E’ prevista nella sostanza una deroga di tre mesi per consentire l’imbarco di personale anche extracomunitario previ accordi collettivi in sede sindacale per le navi traghetto operanti in ambito nazionale, stante la carenza di personale comunitario.

Prestazioni occasionali (VOUCHER) nel settore turistico e termale

E’ aumentato sino ad euro 15.000 nel corso di un anno per ciascun utilizzatore, il limite nel settore per acquisire prestazioni di lavoro occasionali per ciascun utilizzatore che operi nel settore dei congressi, delle fiere, degli stabilimenti termali, dei parchi di divertimento.

Per utilizzare queste prestazioni il limite massimo di dipendenti e portato a 25 lavoratori dipendenti a tempo indeterminato.

Al di sopra di tale soglia, non è più possibile l’utilizzo dei Voucher.

Fabio Petracci