PARERE: Requisiti discriminatori per assunzione

Il tema riguarda un annuncio in cui veniva esplicitato che ai fini dell’assunzione fosse “preferibile” non essere iscritti ad alcun sindacato.

Nello specifico uno studio odontoiatrico richiedeva una figura “che non sia iscritta  a sindacati di categoria”.

Nell’ambito delle “convinzioni personali”, di cui all’art. 1, D.Lgs. n. 216 del 2003, rientra a pieno titolo anche il fattore di discriminazione sindacale.

Nonostante alcune nonostante alcune perplessità iniziali segnalate dalla dottrina (Trib. Roma 21 giugno 2012, in Mass. Giur. Lav., 2012, 8-9, pag. 622, con nota di A. Vallebona, Le discriminazioni per «convinzioni personali» comprendono anche quelle per affiliazione sindacale: un’altra inammissibile stortura a favore della Fiom-Cgil), il principio pare infatti oramai pacifico in giurisprudenza (Cass. 2 gennaio 2020, n. 1, in Riv. It. Dir. Lav., 2020, II, pag. 377, con nota di D. Tardivo, Estensione dell’agevolazione probatoria avverso la discriminazione al procedimento ex art. 28 St. Lav.: un chiasmo ragionevole?).

Nel caso di specie segnalato, peraltro, si tratterebbe di vera e propria discriminazione diretta, sussimibile nelle ipotesi di cui all’art. 15, L. n. 300/1970.

Il problema risiede tuttavia nelle azioni esperibili da parte delle sigle sindacali.

Le vie percorribili dai sindacati possono essere alternativamente le seguenti:

1) il sindacato potrebbe agire per tutelare un singolo lavoratore leso.

Potrebbe invero essere presentata una richiesta di assunzione da parte di un affiliato del sindacato ed ove non venisse assunto, la sigla sindacale avrebbe la possibilità di agire in giudizio per mezzo di un ricorso ex art. 28 L. n. 150/2011.

Nel caso di specie infatti, la parte lesa, titolare dell’interesse ad agire in giudizio, sarebbe un affiliato e non il sindacato stesso, ma quest’ultimo potrebbe agire in qualità di sostituto processuale, ex art. 5, D.Lgs. n. 216 del 2003.

2) il sindacato potrebbe agire per tutelare un interesse collettivo.

Potrebbe invero essere presentato un ricorso ex art. 28 L. n. 300/1970 per violazione (come detto) dell’art. 15, L. n. 300/1970 (di recente confermato da Cass. Sez. Un. sentenza n. 20819 del 21.07.2021). Ed la violazione di questa disposizione è punita, ai sensi dell’art. 38 L. n. 300/1970, “salvo che il fatto non costituisca più grave reato, con l’ammenda da lire 100.000 a lire un milione o con l’arresto da 15 giorni ad un anno. Nei casi più gravi le pene dell’arresto e dell’ammenda sono applicate congiuntamente”.

Tra le due vie prospettate quella che consiglia lo scrivente è la seconda. Non solo perché la seconda darebbe maggior valore al sindacato in qualità di sigla sindacale, ma anche perché la prima via potrebbe incontrare limiti sul piano probatorio, dovendosi dimostrare in giudizio che il concreto motivo per cui l’associato non è stato assunto è imputabile alla sua affiliazione sindacale.

Ove non si volesse esperire nessuna delle due azioni, potrebbe comunque essere fatto un esposto alla Procura della Repubblica per tutelare le conseguenze penali derivanti dalla discriminazione, senza dover necessariamente passare per le vie dell’art. 28 L. n. 300/1970.

Fabio Petracci

Paolo Iervolino

CENTRO STUDI CIU UNIONQUADRI