Corte di Cassazione
Sezione Lavoro
Sentenza n. 23115 del 17/9/2019
Pubblico impiego – fondo espero – passaggio volontario da TFS a TFR –
sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 26 comma 19 L.
448/1998 – conseguente richiesta rimborso dell’importo del 2,50 mensile
trattenuto sullo stipendio – rigetto del ricorso
La Corte respinge il ricorso di una lavoratrice
che, passata volontariamente dal regime di TFS a quello di TFR, chiedeva la
ripetizione dell’importo del 2,50 mensile trattenuto sullo stipendio in ragione
del disposto dell’art. 26 comma 19 della legge n. 448/1998, articolo di cui la
ricorrente chiedeva, preliminarmente, che fosse sollevata questione di
illegittimità costituzionale. Gli Ermellini infatti ricordano che: “La
problematica posta …è stata esaminata dalla Corte Costituzionale nella sentenza
n. 213 del 2018, che ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 26, comma 19, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, per violazione
degli artt. 3 e 36 Cost., nella parte in cui, nel disciplinare il passaggio dei
lavoratori alle dipendenze delle PP.AA. dal trattamento di fine servizio al
trattamento di fine rapporto, ha demandato a un D.P.C.M. il compito di
definire, ferma restando l’invarianza della retribuzione complessiva netta e di
quella utile ai fini pensionistici, gli adeguamenti della struttura retributiva
e contributiva conseguenti all’applicazione del trattamento di fine rapporto.
La Consulta ha argomentato che il principio dell’invarianza della retribuzione
netta, con i meccanismi perequativi tratteggiati in sede negoziale, mira
proprio a garantire la parità di trattamento, nell’àmbito di un disegno
graduale di armonizzazione, e non contrasta, pertanto, con il principio di
eguaglianza, né determina la violazione del diritto a una retribuzione
sufficiente e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato,
in ragione del trattamento complessivo previsto e non già della ponderazione di
una sua singola componente.”
La sentenza:
Cassazione
Civile Sezione Lavoro 17-09-2019, n. 23115
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 13935/2016 proposto da:
L.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VENUTI
30, presso lo studio dell’avvocato SILVIA CRETELLA, rappresentata e difesa
dall’avvocato MARIO CRETELLA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA
RICERCA, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e
difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in
ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1376/2015 della CORTE D’APPELLO
di SALERNO, depositata il 20/11/2015 R.G.N. 449/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/06/2019 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato MARIO CRETELLA.
Svolgimento
del processo
1. L.A. ha adito il Tribunale di Nocera inferiore e,
premesso di essere dipendente a tempo indeterminato del MIUR in regime di TFR
in virtù dell’opzione contrattuale esercitata con l’adesione al cosiddetto
“fondo espero” che consentiva, appunto, il passaggio volontario dei
dipendenti in regime di TFS al regime di TFR, chiedeva la ripetizione
dell’importo del 2,50% mensile che assumeva illegittimamente trattenuto
sul proprio stipendio in quanto non più giustificato.
2. La Corte d’appello di Salerno, in riforma della
sentenza del tribunale, rigettava la domanda. Argomentava che la trattenuta
operata dal Ministero era da considerarsi legittima perchè prevista dalla
normativa risultante dalla L. n. 448 del
1998, art. 26, comma 19,
e dal successivo D.P.C.M. 20
dicembre 1999.
3. Avverso la sentenza L.A. ha proposto ricorso per
cassazione, affidato a tre motivi, cui ha resistito il MIUR con controricorso.
Motivi della decisione
4. Con i motivi di ricorso la ricorrente deduce, in
via pregiudiziale, la questione di legittimità costituzionale della L. n. 448 del
1998, art. 26, comma 19,
per violazione degli artt. 3 e 36
Cost.. Sostiene che tale disposizione, dalla quale è promanato
il D.P.C.M. del
20/12/1999 – che stabilisce al comma tre che per assicurare
l’invarianza della retribuzione netta complessiva e di quella utile ai fini
previdenziali dei dipendenti nei confronti dei quali si applica quanto disposto
dal comma due, la retribuzione lorda viene ridotta in misura pari al contributo
previdenziale obbligatorio soppresso e contestualmente viene stabilito un
recupero in misura pari alla riduzione attraverso un corrispondente incremento
figurativo ai fini previdenziali – confliggerebbe con i richiamati precetti
costituzionali.
5. Deduce, quindi, violazione e falsa
applicazione dell’art. 437
c.p.c., comma 2, in combinato disposto con l’art. 112
c.p.c., e lamenta che la sentenza gravata abbia omesso di valutare
l’eccezione sollevata nella memoria difensiva in appello che rilevava come con
la difesa innanzi al giudice di prime cure il MIUR si fosse limitato ad
eccepire l’estinzione del giudizio ai sensi del D.L. n. 185
del 2012, e della L. n. 228 del
2012, senza contrastare la domanda sulla base della normativa poi
applicata nella sentenza gravata.
6. Infine, deduce la violazione e falsa applicazione
degli artt. 3 e 36
Cost., e dell’art.
2120 c.c., e lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto
legittima l’applicazione di una norma contenuta in un provvedimento di natura
regolamentare, che riproduce il contenuto della legge oggetto della pronuncia
di incostituzionalità contenuta nella sentenza n. 223 del 2012.
7. Il ricorso non è fondato.
Con riguardo al secondo motivo, da esaminarsi per
primo in quanto logicamente preliminare, basta qui ribadire che il giudice ha
il potere-dovere di qualificare giuridicamente i fatti posti a base della
domanda o delle eccezioni e di individuare le norme di diritto conseguentemente
applicabili, anche in difformità rispetto alle indicazioni delle parti, incorrendo
nella violazione del divieto di ultrapetizione soltanto ove sostituisca la
domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o
fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio dalle
parti (Cass. n. 13945 del 03/08/2012, n. 5153 del 21/02/2019). Correttamente
quindi la Corte d’appello ha sottoposto al proprio vaglio la correttezza della
soluzione adottata dal Tribunale, a ciò investita dall’appello del MIUR che la
contestava, senza che tale facoltà fosse preclusa al Ministero dalle difese in
diritto assunte in primo grado.
8. La problematica posta con gli altri due motivi è
stata esaminata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 213 del 2018, che
ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. 23
dicembre 1998, n. 448, art. 26, comma 19,
per violazione degli artt. 3 e 36
Cost., nella parte in cui, nel disciplinare il passaggio dei
lavoratori alle dipendenze delle PP.AA. dal trattamento di fine servizio al
trattamento di fine rapporto, ha demandato a un D.P.C.M. il compito di
definire, ferma restando l’invarianza della retribuzione complessiva netta e di
quella utile ai fini pensionistici, gli adeguamenti della struttura retributiva
e contributiva conseguenti all’applicazione del trattamento di fine rapporto.
La Consulta ha argomentato che il principio dell’invarianza della retribuzione
netta, con i meccanismi perequativi tratteggiati in sede negoziale, mira
proprio a garantire la parità di trattamento, nell’ambito di un disegno
graduale di armonizzazione, e non contrasta, pertanto, con il principio di
eguaglianza, nè determina la violazione del diritto a una retribuzione
sufficiente e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato,
in ragione del trattamento complessivo previsto e non già della ponderazione di
una sua singola componente.
9. Segue coerente il rigetto del ricorso.
10. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono
la soccombenza.
11. Sussistono i presupposti per il versamento, da
parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, previsto dal D.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater,
introdotto dalla L. 24
dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.200,00
per compensi professionali, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre quindici per
cento spese generali e altri accessori di legge. Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del
2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso
art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 giugno