La soppressione di ANPAL: e ora?

Con il DPCM n.230 del 22 novembre 2023 che contiene il regolamento di Riorganizzazione del Ministero del Lavoro, è soppressa l’ANPAL – Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro con decorrenza 1° marzo 2024.

Le risorse umane, finanziarie e strumentali sono trasferite al Ministero del Lavoro.

Parte del personale è trasferito ad INAPP ex ISFOL.

ANPAL oltre a gestire le politiche attive del lavoro ed i cosiddetti Navigator ha avuto una parte importante nella gestione del Reddito di Cittadinanza tramite Anpal Servizi Spa.

I risultati non sono tuttavia stati ottimali anche per quanto attiene la gestione dei Centri per l’Impiego.

Ad ANPAL era affiancata ANPAL Servizi che succedeva ad Italia Lavoro come società in House controllata da ANPAL.

ANPAL SERVIZI SPA era una società per azioni con unico azionista il Ministero dell’Economia e della Finanze, con funzioni di ente strumentale di ANPAL per la realizzazione delle politiche attive del lavoro, il rafforzamento dei servizi per l’impiego, la ricollocazione dei disoccupati in Naspi, la promozione della collaborazione tra scuole e aziende con i percorsi scuola – lavoro.

Nel luglio 2022, l’economista Cristina Tajani era stata nominata presidente di ANPAL Servizi e vi decadeva nel marzo 2023 a seguito della decisione della Ministra del Lavoro Marina Calderone che revocava il Consiglio di Amministrazione a due anni dalla Sua scadenza.

Era quindi nominato presidente Massimo Temussi che rassegnava le proprie dimissioni il 17 gennaio 2024 per assumere la responsabilità della Direzione Generale delle Politiche Attive per il Lavoro presso il Ministero del Lavoro.

A seguito della soppressione di ANPAL con il decreto 230/2023, ANPAL SERVIZI diviene Sviluppo Lavoro Italia Spa con compiti di raccordo tra Stato e Regioni per il mercato del lavoro.

SVILUPPO LAVORO ITALIA SPA è una società in house del Ministero del Lavoro che dovrebbe assumere il ruolo di braccio operativo del Ministero stesso per un migliore sviluppo delle politiche del lavoro anche attraverso forme di integrazione tra programmazione nazionale e regionale dei Fondi europei ed il mercato del lavoro.

Per quanto riguarda invece ANPAL, tutte le funzioni da questa esercitata vengono trasferite al Ministero del Lavoro come ad esempio la gestione del programma GOL (Garanzia Occupabilità Lavoratori) nonché le risorse del PNRR e quelle di REACT EU – Assistenza alla Ripresa per la Coesione e i Territori d’Europa.

ANPAL inoltre coordinava il Fondo Sociale Europeo (FSE).

In fase transitoria, le funzioni di ANPAL trasferite al Ministero continuano ad essere svolte dal personale dell’Agenzia.

Resta operativo il NUL Numero Unico del Lavoro.

Il Consiglio di Amministrazione di ANPAL è stato dall’inizio presieduto dal dottor Maurizio Del Conte e quindi dal professor Domenico Parisi.

Con DPR 7 giugno 2021 era conferito l’incarico di Commissario straordinario al dottor Raffaele Tangorra con contestuale decadenza delle cariche del Consiglio di Amministrazione e della Presidenza.

Fabio Petracci

Rientro dei Cervelli: Le novità alla luce delle recenti modifiche.

Un recente articolo dal titolo “Lies, Damned Lies, and Statistics: un’indagine per comprendere le reali dimensioni della diaspora dei giovani italiani[1]”, a cura della Fondazione Nord-Est e Talented Italians in UK dell’Eurostat, ha destato un certo clamore mediatico. Invero, analizzando i flussi migratori degli italiani nel decennio 2011/2021, gli autori hanno scoperto che 1.3 milioni di loro, in una fascia d’età compresa tra i 20 e 34 anni, sono andati a vivere all’estero. Lo studio ha altresì evidenziato due importanti aspetti della nuova migrazione:

A) a differenza dei numeri ufficiali Istat, secondo cui gli italiani andati all’estero, nel periodo analizzato, sarebbero 450 mila circa, la realtà dei fatti è ben più drammatica. Secondo gli autori questo dato dev’essere moltiplicato per 3, per dare un’immagine reale dello stato del fenomeno. Esiste, infatti, un divario notevole tra il numero dei giovani emigrati che si iscrivono all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE), e che poi risultano conteggiati nei dati Istat, e quelli risultanti, invece, dagli uffici statistici dei paesi stranieri di arrivo; e

B) la grande percentuale (30%) di persone laureate che abbandonano l’Italia. Il c.d. brain drain, fuga dei cervelli, genera, secondo una stima del centro studi di Confindustria, una perdita di un punto di Pil all’anno, pari a 14 miliardi di euro.

Le cause di questo fenomeno sono principalmente legate alla cultura economica e sociale italiana, che, inevitabilmente, si riflette nella mancanza di un’adeguata offerta di opportunità e anche di retribuzioni. Per di più gli autori ritengono che sia assai verosimile che le stesse cause che inducono i giovani italiani ad andar via, scoraggino i giovani di altri paesi a venire in Italia, nonostante la sua rinomata bellezza.

Per invertire questo fenomeno servono politiche credibili ed affidabili. Uno degli strumenti adottati per invertire la rotta è stato il decreto Crescita nel 2019, che prevedeva un’agevolazione per chi avesse fatto ritorno in Italia. Tuttavia, la manovra recentemente approvata dal Consiglio dei ministri, in esame in questo articolo, ha ridotto notevolmente gli incentivi e con essi anche l’attrattività del ritorno.

Premessa

Il 28 dicembre scorso è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il D. Lgs. 20/2023 di attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale. L’articolo 5, rubricato nuovo regime agevolativo a favore dei lavoratori impatriati, e seguenti modificano il precedente regime, art. 16, comma 3, del D.Lgs. 147/2015, e la successiva modifica introdotta con l’art. 5, commi 2 bis, ter, e quater del D.L. 34/2019.

Il recente Decreto si inserisce nella lunga scia di provvedimenti[2], emanati dal governo, per incentivare il rientro in Italia dei cosiddetti “cervelli in fuga”, ovvero figure professionali di alto livello, che abbiano acquisito una notevole esperienza professionale all’estero. A differenza dei provvedimenti precedenti, tuttavia, l’ultimo intervento del governo Meloni riduce in maniera significati i benefici fiscali nei confronti degli impatriati[3].

Condizioni Generali a favore dei lavoratori impatriati

Ai sensi dell’art. 7 della nuova disposizione, il regime si applica ai contribuenti che trasferiscono la residenza fiscale[4] nel territorio dello Stato a partire dal 1º gennaio 2024 e che percepiscono, ai sensi dell’art. 5, i seguenti redditi:

  1. redditi di lavoro dipendente,
  2. redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, e
  3. redditi di lavoro autonomo derivanti dall’esercizio di arti e professioni.

Per tali contribuenti è previsto un abbattimento dell’imponibile fiscale del 50% entro un limite massimo di €600.000 euro[5]. Si tratta di due novità rispetto al precedente dettato normativo che prevedeva un’agevolazione del 70%, che raggiungeva il 90% per i lavoratori che trasferivano la loro residenza al Centro-Sud e nessun un tetto massimo reddituale. La normativa richiede che per usufruire delle suddette agevolazioni debbano ricorrere le seguenti condizioni:

  1. i lavoratori si impegnano a risiedere fiscalmente in Italia per un periodo di tempo corrispondete a quello di cui al comma 3, ossia cinque anni;
  2. i lavoratori non devono essere stati fiscalmente residenti in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti il loro trasferimento. Se il lavoratore presta la propria attività lavorativa, al suo rientro in Italia, alle dipendenze dello stesso datore di lavoro oppure in favore di un soggetto appartenente al medesimo gruppo, il requisito di permanenza all’estero è di:
  • Sei anni, se il contribuente non ha lavorato in Italia a favore dello stesso datore di lavoro oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo;
  • Sette anni, se il contribuente, prima del suo trasferimento all’estero, ha lavorato alle dipendenze del medesimo datore di lavoro oppure di altro datore di lavoro appartenente allo stesso gruppo.
  1. l’attività lavorativa deve essere prestata per la maggior parte del periodo d’imposta nel territorio dello Stato;
  2. i lavoratori devono essere in possesso requisiti di elevata qualificazione o specializzazione come definiti dal D.Lgs 108/2012 e dal D.Lgs. 206/2007.

Per quanto riguarda la definizione di soggetti appartenenti al medesimo gruppo, essi si identificano in coloro che hanno un rapporto di controllo diretto o indiretto ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, del Codice civile oppure che sono sottoposti al comune controllo diretto o indiretto da parte di un altro soggetto. La norma precisa che, qualora la residenza fiscale non sia mantenuta per almeno 4 anni consecutivi al rientro in Italia, il lavoratore decade dai benefici e l’Agenzia delle Entrate provvede al recupero delle imposte nel frattempo risparmiate e dei relativi interessi.

Sulla base dei nuovi requisiti appare chiaro che vi siano numerose differenze rispetto alla precedente normativa. In particolare, è stato introdotto il requisito dell’elevata specializzazione e qualificazione che deve possedere il lavoratore richiedente, ai sensi del D.Lgs 108/2012 e dal D.Lgs. 206/2007.

Ne consegue che il nuovo regime viene riservato a coloro che risultino in possesso di:

  • un titolo di istruzione superiore, rilasciato da autorità competenti nel Paese dove è stato conseguito, che attesti il completamento di un percorso di istruzione superiore di durata almeno triennale e della relativa qualifica professionale superiore, come rientrante nei livelli:
  • 1 (legislatori, imprenditori e alta dirigenza);
  • 2 (professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione) e
  • 3 (professioni tecniche) della classificazione ISTAT delle professioni CP 2011, attestata dal paese di provenienza e riconosciuta in Italia[6];
  • dei requisiti previsti dal D.LGS 206/2017 limitatamente all’esercizio delle professioni ivi regolamentate.

Risulta allungato sia il periodo di residenza all’estero (3 anni contro i precedenti 2) sia quello di permanenza in Italia al momento del rientro (5 anni contro i precedenti 2).

A differenza della precedente normativa, i nuovi incentivi fiscali non trovano più applicazione per i soggetti che rientrano in Italia per svolgere attività d’impresa, che prima, invece, erano soggetti ad un trattamento agevolato.

Rispetto alle versioni precedenti del testo, infine, la versione definitiva ora contempla la possibilità di svolgere attività lavorativa in Italia in continuità con quella svolta all’estero. Ciò riguarda tutti i lavoratori che rientrano con un trasferimento infragruppo in cui il nuovo datore di lavoro appartenga allo stesso gruppo multinazionale del datore di lavoro estero.

Lavoratori con Figli Minori

L’abbattimento dell’imponibile fiscale di cui al comma 1, dell’art. 5, raggiunge il 60% (invece del 50%) per il lavoratore impatriato che:

  1. si trasferisce in Italia con un figlio minore;
  2. diventi genitore ovvero adotti un minorenne durante il periodo di fruizione del regime. In tal caso il maggior beneficio fiscale inizia a decorrere dal periodo d’imposta in corso al momento della nascita o dell’adozione e per il tempo residuo di fruibilità dell’agevolazione.

In entrambe le ipotesi è richiesto come condicio sine qua non che il figlio minore o adottato sia residente nel territorio dello Stato insieme al lavoratore che si avvale del beneficio.

Iscrizione AIRE

Resta confermata, invece, la norma per cui il beneficio fiscale spetta:

  1. ai cittadini italiani iscritti all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE), e
  2. a quelli che non sono iscritti all’AIRE purché siano stati fiscalmente residenti in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi nel periodo di tre anni richiesto dal comma 1, lettera a).

Proroga Triennale

A differenza del precedente regime, il nuovo testo di legge adottato dal governo Meloni non prevede una proroga dei benefici fiscali per ulteriori 5 anni, in caso di acquisto di un immobile di tipo residenziale oppure in presenza di prole minorenne a carico al rientro in Italia.

Tuttavia, i lavoratori che trasferiranno la residenza anagrafica in Italia nell’anno 2024, potranno beneficiare di una proroga delle agevolazioni, per ulteriori 3 periodi di imposta, a condizione che essi diventino proprietari, entro il 31 dicembre 2023 e, in ogni caso nei 12 mesi precedenti al trasferimento, di un’unità immobiliare di tipo residenziale adibita ad abitazione principale in Italia.

Docenti e Ricercatori

Le nuove modifiche non riguardano gli incentivi fiscali per i “docenti e ricercatori” che rientrano a lavorare in Italia, per essi, infatti, continuano a rimanere valide le vecchie regole sia come misura percentuale delle agevolazioni, sia per quanto riguarda i requisiti. L’art. 44 del D.L. 78/2010, al quale si rimanda, statuisce un’esenzione del 90% del reddito derivante da lavoro autonomo o dipendente per i docenti e ricercatori a condizione che trasferiscano la propria residenza in Italia.

Di Francesco Rizzo Marullo
Avvocato cassazionista e consulente fiscale negli Stati Uniti abilitato presso l’agenzia delle Entrate American (IRS)

 


[1]Per maggiori informazioni si inviata alla consultazione del sito della Fondazione Nord Est: https://www.fnordest.it/web/fne/content.nsf/0/207F7347275379C9C1258A4E002C8CCC/$file/Paper%20FINALE%20-%20Ottobre%202023.pdf?openelement

[2] Il primo provvedimento risale al 2003, con il D.L. 269/2003.

[3] È bene ricordare che l’attuale testo è stato oggetto di numerose modifiche, dopo le polemiche scaturite da una circolazione “non autorizzata” della bozza del provvedimento a fine ottobre.

[4] Ai sensi dell’articolo 2 del TUIR.

[5] Purché nel rispetto dei limiti previsti dai regolamenti UE per gli aiuti de minimis, pari a 200mila euro nell’arco di tre anni.

[6] Si veda l’art.1, comma 1, lett.a del D.Lgs. 108/2012 dal titolo: Attuazione della Direttiva 2009/50/CE sulle condizioni d’ingresso e soggiorno di Paesi Terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati. Entrato in vigore l’8/08/2012 in G.U. n. 171 del 24/07/2012.

Decontribuzione delle lavoratrici madri con figli.

La legge di Bilancio 2024 rintracciabile nell’art. 1 c. da 180 – 182 della legge 30 dicembre 2023 n. 213, ha introdotto un nuovo esonero previdenziale a favore delle lavoratrici con figli. L’esonero, essendo una misura di carattere generale che viene applicata solo sulla quota dei contributi a carico della lavoratrice, NON rientra tra gli aiuti di stato e di conseguenza non è soggetta all’autorizzazione della Commissione Europea. Poiché non è un incentivo all’assunzione, l’applicazione della stessa non è subordinato al possesso del documento unico di regolarità contributiva (DURC)

SOGGETTI BENEFICIARI DELL’ESONERO – CARATTERISTICHE DELLE LAVORATRICI

L’applicazione dell’esonero contributivo in esame è rivolto alle lavoratrici madri dipendenti da datori di lavoro, sia pubblici che privati indipendentemente che siano qualificati o meno come imprenditori con esclusione dei rapporti di lavoro domestico.

All’art. 1 c. 180 (l.213/2020) precisa che l’esonero è destinato alle lavoratrici che nel periodo compreso dal 1/1/2024 al 31/12/2026 siano madri di tre o più figli di cui il più piccolo abbia un età inferiore a 18 anni (17 anni e 364 giorni);

In via sperimentale, solo per il 2024, come previsto all’art. 1 c. 181 (l. 213/2023) l’esonero spetta alle lavoratrici madri in presenza di due figli di cui il più piccolo abbia un età inferiore a 10 anni (9 anni e 364 giorni).

Il requisito si ritiene soddisfatto nel momento della nascita del terzo figlio (o successivo) relativi al periodo 2024/2026, mentre in via sperimentale per il solo 2024 al momento della nascita del secondo figlio.

L’esonero, considerato la parificazione tra filiazione naturale e gli istituti dell’adozione (D. Lgs. n. 151/2001) è applicabile anche in situazioni di figlio in adozione o affidamento.

L’INPS con la circolare n. 27 del 31 gennaio 2024 ha fornito indicazioni e istruzioni per la relativa gestione degli adempimenti previdenziali che sono collegati alla misura dell’esonero contributivo.

RAPPORTI DI LAVORO RIENTRANTI NELL’AGEVOLAZIONE

L’agevolazione si applica a tutti i rapporti di lavoro dipendente a tempo indeterminato sia già instaurato che in via di instaurazione nel periodo di vigenza dell’esonero.

Rientrano tra i rapporti oggetto dell’agevolazione anche:

  • il contratto di lavoro part/time sempre a tempo indeterminato;
  • il contratto di apprendistato, in virtù della sua equiparazione al contratto a tempo indeterminato;
  • rapporti instaurati in attuazione del vincolo associativo stretto con una cooperativa di lavoro (l. 142/2001);
  • rapporti a tempo indeterminato stipulati a scopo di somministrazione.

L’INPS precisa che non produce alcuna decadenza dal diritto a beneficiare della riduzione contributiva al verificarsi dei seguenti eventi:

  • premorienza di uno o più figli;
  • eventuale uscita di uno o più figli dal nucleo familiare;
  • ipotesi di non convivenza di uno o più figli;
  • affidamento esclusivo al padre.

APPLICAZIONE ESONERO

L’applicazione dell’esonero spetta a partire dal mese di gennaio 2024, laddove la lavoratrice madre sia già in possesso dei requisiti richiesti, o dal mese di realizzazione dell’evento , per i casi in cui il presupposto (nascita secondo figlio o ulteriore figlio) si verifichi nel corso dell’anno.

Come precisato dalla circolare INPS, in caso di nascita di un figlio che fa sorgere il diritto dell’agevolazione o il compimento del limite di età che determina la cessazione dell’agevolazione, l’esonero spetta per l’intero mese in cui si verifica l’evento.

CARATTERISTICHE DELL’ESONERO

Come precisato dalla circolare INPS 27/2024, fermo restando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche (non c’è alcuna decurtazione dell’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche per le lavoratrici) la misura dell’agevolazione, consiste in un esonero del 100% dei contributi IVS al loro carico nel limite massimo di € 3.000,00 annui da riparametrare su base mensile.

Viene prevista la compatibilità con altri rapporti, quindi la lavoratrice titolare di più rapporti può avvalersi dell’esonero per ciascun rapporto di lavoro.

La soglia massima di esonero della contribuzione di cui usufruisce la lavoratrice è:

  • periodo di paga mensile € 250,00 (€ 3.000,00/12)
  • rapporti instaurati o cessati nel corso del mese, riproporzionamento € 8,06 (€ 250,00/31) per ogni giorno di fruizione dell’esonero contributivo).

Le soglie su esposte, trovano applicazione senza alcuna riparametrazione anche nei rapporti di lavoro part-time.

ADEMPIMENTO DELLE LAVORATRICI MADRI

Le lavoratrici che essendo in possesso dei requisiti previsti dalla normativa, avendo diritto all’esonero devono comunicare al proprio datore di lavoro la volontà di fruire della misura in oggetto. Nel caso specifico è necessario comunicare i codici fiscali dei figli al fine di comprovare la sussistenza del diritto all’esonero. Si ritiene opportuno precisare l’importanza di tale adempimento poiché in assenza, l’INPS procede alla revoca del beneficio con eventuale restituzione di quanto già eventualmente fruito a tale titolo. La lavoratrice può comunicare direttamente al proprio datore di lavoro quanto richiesto, o avvalersi di un apposito applicativo messo a disposizione dell’INPS .

 

(FAC SIMILE COMUNICAZIONE)

Spett.le AZIENDA

La sottoscritta _____________ in forza presso la Vostra azienda dal____________ con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal____________ consapevole delle sanzioni penali richiamate dall’art. 76 ai sensi del D.P.R. n. 445/2000 in caso di dichiarazioni mendaci e di formazione o uso di atti falsi, dichiara di essere madre dei figli sotto indicati:

COGNOME E NOME DATA DI NASCITA CODICE FISCALE

________________ _______________ _________________________

________________ _______________ _________________________

________________ ________________ ________________________

________________ ________________ ________________________

In base alle informazioni riportate e ai dati forniti

DICHIARO

Di aver diritto alla fruizione dell’esonero a favore delle lavoratrici madri di cui all’art. 1, commi 180 – 182 della legge 30 dicembre 2023, n. 213, a partire dal periodo ___________ e fino a tutto il periodo _____________.

 

Firma della lavoratrice

_______________________

 

STUDIO CONSULENZA LAVORO
Cdl Paolo Grimaldi

Le fasce di reperibilità dei dipendenti pubblici

Il TAR del Lazio, con la sentenza del 3 novembre 2023, n. 16305, ha annullato il decreto 17 ottobre 2017, n. 206 del Ministro della Semplificazione e della pubblica amministrazione, nella parte dell’art. 3 in cui si stabiliscono le fasce di reperibilità dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, in caso di assenza per malattia, secondo i seguenti orari: tutti i giorni dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18.

In virtù del principio di armonizzazione, richiamato nella sentenza, e sentito il Dipartimento della Funzione pubblica, l’INPS ha comunicato, con il messaggio 22 dicembre 2023, n. 4640 che le visite mediche di controllo domiciliare nei confronti dei lavoratori pubblici dovranno essere effettuate nei seguenti orari: dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19 di tutti i giorni (compresi domeniche e festivi).

Legge di Bilancio 2024: le misure in materia di lavoro

La legge di Bilancio 2024, n. 213/2023, è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale in data 30.12.2023.

  1. Misure in tema di fiscalità

Per il 2024 viene confermato il taglio del cuneo fiscale e contributivo per i dipendenti sia pubblici sia privati.

L’esonero sulla quota di contributi previdenziali dovuti dai lavoratori viene riconosciuto con le medesime modalità del 2023 nella misura del 6%, per le retribuzioni con imponibile non eccedente i 2.692 € mensili, e nella misura del 7% per retribuzioni non eccedenti l’importo mensile di 1.923 €.

Viene del pari confermata per il 2024 la soglia di esenzione fiscale dei fringe benefit a 2.000 euro per i lavoratori dipendenti con figli fiscalmente a carico e a 1.000 euro per gli altri lavoratori dipendenti. Nel regime di esenzione possono essere ricomprese le somme erogate o rimborsate dal datore di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale e delle spese per il contratto di locazione della prima casa ovvero per gli interessi sul mutuo stipulato per l’acquisto della prima casa.

La Legge di bilancio estende a tutto il 2024 l’ulteriore detassazione sull’imposta sostitutiva dell’IRPEF, e delle relative addizionali regionali e comunali, applicabile alla retribuzione variabile legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, purché misurabili e verificabili, e alle somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa.

Per il triennio 2024-2026, è previsto un esonero del 100% dei contributi previdenziali a carico delle lavoratrici madri di tre o più figli, con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, fino al compimento del diciottesimo anno di età del figlio più piccolo e nel limite massimo annuo di 3.000 euro riparametrato su base mensile.

In via sperimentale, per il solo 2024, tale esonero è riconosciuto anche alle lavoratrici madri di due figli con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, fino al mese del compimento del 10° anno di età del figlio più piccolo.

  1. Misure in tema di previdenza

Con la manovra vengono modificati gli importi-soglia previsti per la maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia e anticipata dei lavoratori con primo accredito contributivo successivo al 31.12.1995.

Per il trattamento di vecchiaia, il valore minimo, finora pari a 1,5 volte la misura dell’assegno sociale (stabilito annualmente e nel 2023 pari a 507,03 euro), viene stabilito pari a quest’ultimo con coefficiente pari a 1,0, ferma restando l’ipotesi di un valore più elevato in base alle variazioni medie quinquennali del prodotto interno lordo.

Per il trattamento pensionistico anticipato l’importo soglia, finora pari a 2,8 volte la misura dell’assegno sociale, viene rideterminato con i coefficienti moltiplicatori diversificati pari a: 3,0 volte l’assegno sociale per le donne senza figli e per gli uomini; 2,8 volte per le donne con un figlio; 2,6 volte per le donne con almeno due figli, ferma restando l’ipotesi di un valore più elevato in base alle variazioni medie quinquennali del prodotto interno lordo.

Per i soggetti privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 rientranti integralmente nel sistema contributivo, la Legge di bilancio 2024 riconosce la possibilità di riscattare, in tutto o in parte, e nella misura massima di 5 anni anche non continuativi, periodi non coperti da contribuzione antecedenti al 1° gennaio 2024.

La facoltà di riscatto è ammessa per i periodi non coperti da contribuzione presso forme pensionistiche obbligatorie, ivi comprese quelle delle Casse previdenziali dei liberi professionisti.

Con riferimento alla perequazione, per i trattamenti pensionistici superiori a dieci volte il trattamento minimo, ci sarà una decurtazione della percentuale di rivalutazione di 10 punti, passando così dal 32% al 22%.

Per le pensioni relative a valori non superiori a cinque, sei, otto e dieci volte il trattamento minimo restano fermi i valori 85%, 53%, 47% e 37%.

Ancora, il requisito anagrafico dell’APE sociale viene alzato da 63 anni a 63 anni e 5 mesi. Pertanto, i soggetti in possesso dei requisiti possono presentare domanda per il loro riconoscimento dell’APE sociale entro il 31 marzo 2024, ovvero entro il 15 luglio 2024.

Viene altresì eleva il requisito dell’età anagrafica (da 60 a 61 anni) per l’accesso anticipato al trattamento pensionistico “ Opzione Donna “, calcolato secondo le regole del sistema contributivo, alle lavoratrici che abbiano maturato, entro il 31 dicembre 2023, un’età anagrafica di almeno 61 anni (ridotta di un anno per ogni figlio e nel limite massimo di 2 anni) con un un’anzianità contributiva pari almeno a 35 anni, oltre ad essere, alternativamente, in possesso di uno dei seguenti requisiti:

  • assistano da almeno sei mesi il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap grave, ovvero un parente o un affine di secondo grado convivente qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto 70 anni oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti;
  • abbiano una riduzione della capacità lavorativa uguale o superiore al 74%;
  • siano lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale presso la struttura per la crisi d’impresa del MISE.

Per quanto riguarda la c.d. quota 103, anche per il 2024 sono necessari 62 anni di età e 41 anni di contributi.

La pensione, erogata integralmente con il sistema contributivo, non potrà superare 4 volte il trattamento minimo sino al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia, mentre per la decorrenza delle prestazioni gli interessati si dovrà attendere dalla maturazione dei requisiti 8 mesi nel settore privato e 9 mesi nel settore pubblico.

Trova infine conferma anche nel 2024 l’incentivo alla prosecuzione dell’attività lavorativa, per coloro che abbiano raggiunto i requisiti pensionistici, con la facoltà di richiedere al proprio datore di lavoro la corresponsione in proprio favore dell’importo corrispondente alla quota di contribuzione a proprio carico.

  1. Congedi

La Legge di bilancio prevede modifiche al criterio di calcolo dell’indennità per i congedi parentali fruiti fino al 6° anno di vita del bambino.

Per i genitori che fruiscono alternativamente del congedo parentale, in aggiunta all’attuale previsione di una indennità pari dell’80% della retribuzione per un mese, entro il sesto anno di vita del bambino, e il riconoscimento di un’indennità pari al 60% per un mese ulteriore al primo, la quale è ulteriormente elevata all’80% per il solo 2024.

Lvoro precario

Salario minimo: la proposta di legge delle opposizioni

In data 4 luglio 2023 è stata presentata alla Camera una proposta di legge per l’istituzione del salario minimo.

La proposta di legge porta la firma di tutte le opposizioni, ovvero Pd, Movimento 5 Stelle, Avs Azione e + Europa, con la sola eccezione di Italia Viva.

Il progetto di legge va letto come uno dei possibili tentativi di recepimento dei contenuti della direttiva comunitaria 2022/2041 in materia di salario minimo adeguato.

La relazione illustrativa che accompagna la proposta riporta una situazione allarmante, con dati che documentano un rapido incremento del gap salariale, in crescita di quasi 10 punti percentuali dal 2006, soprattutto a svantaggio delle lavoratrici, dei giovani e dei lavoratori a tempo parziale.

Le differenze salariali sono state esasperate dalla pandemia e dalla crescita dell’inflazione, soprattutto nei settori con elevata percentuale di lavoratori a basso salario.

Secondo l’INPS, sono oltre 2 milioni e 500 mila i lavoratori “sotto soglia” considerando un salario minimo di 8 euro all’ora, e sono oltre 2 milioni e 800 considerando un salario minimo di 9 euro l’ora e le mensilità aggiuntive.

L’insufficienza dei salari è misurabile anche dal fatto che 172.868 titolari di un rapporto di lavoro attivo hanno avuto necessità di ricorrere al reddito di cittadinanza.

Per i promotori della legge, il più grave ostacolo ad una giusta retribuzione sarebbe soprattutto il proliferare di contratti collettivi “pirata”, stipulati da soggetti con scarsa forza rappresentativa e che determinano fenomeni distorsivi della concorrenza.

Altre concause sono individuate nella frammentazione dei settori, nella proliferazione di forme di lavoro atipico, nel massiccio ricorso alle esternalizzazioni.

La proposta di legge lascia alla contrattazione collettiva il compito di stabilire le tabelle retributive, con il vincolo però che la retribuzione non possa essere inferiore a 9 Euro/ora per il Trattamento economico minimo orario (TEM) e a quanto stabilito dai sindacati comparativamente più rappresentativi per il Trattamento economico complessivo (TEC).

Il testo propone poi l’introduzione di strumenti di tutela ad hoc contro il sottosalario.

In primo luogo, un procedimento giudiziario strutturato sul modello di quello previsto in tema di repressione di comportamento antisindacale (art. 18 L. 300/1970) e finalizzato a contrastare le condotte elusive della norma.

Altro strumento di tutela potrebbe essere rappresentato dalla diffida accertativa (art. 12 D.lgs. 124/2004) che grazie alla novella normativa, dovrebbe consentire di quantificare ex ante il trattamento minimo retributivo cui il lavoratore ha diritto, per procedere su base certa al suo recupero in via amministrativa attraverso l’Ispettorato nazionale del lavoro.

L’adeguamento delle aziende alla legge del salario minimo dovrebbe essere accompagnato da appositi benefici temporanei.

Le disposizioni dovrebbero entrare in vigore il 15 novembre 2024, entro il termine previsto per il recepimento della già citata direttiva UE sul salario minimo adeguato.

Anche se la proposta di legge ribadisce che i sindacati possono stabilire un Trattamento economico complessivo più favorevole con efficacia limitata ai propri iscritti, resta il rischio che la soglia minima fissata per legge porti ad uno schiacciamento salariale al ribasso dei salari medi.

Trattative aperte per la crisi dello stabilimento di Wärtsilä Italia a Trieste.

Ciu Unionquadri: “Un anno di incertezze. Chiudere la vicenda salvaguardando professionalità”.

Dopo un lungo e tumultuoso anno di indeterminatezza, è ora di tracciare un disegno maggiormente definito per lo stabilimento di Wärtsilä Italia a Trieste, uno dei più grandi produttori di motori diesel di proprietà del gruppo finlandese Wärtsilä. Tali crisi industriale dell’azienda finnica, nata con l’acquisizione della Grandi Motori Trieste nel 1997, ha gettato nell’ombra il futuro di un’importante realtà industriale attiva nel settore navale internazionale e nella produzione di motori per generatori di corrente per centrali elettriche.

Lo stabilimento di Trieste, che attualmente conta circa 1.150 dipendenti, negli ultimi mesi ha attraversato un periodo di grandi incertezze, con la minaccia di esuberi che potrebbero coinvolgere fino a 321 persone. L’azienda ha infatti preso la decisione di delocalizzare la produzione dei motori, riportandola in Finlandia a Vaasa, poiché realizzare motori a Trieste non appare più conveniente dal punto di vista economico.

Tra i clienti di Wärtsilä figura anche un nome di spicco, Fincantieri, il gigante italiano dell’industria navale. La notizia della cessazione dell’attività produttiva nello stabilimento di Bagnoli della Rosandra ha provocato preoccupazione tra i dipendenti e la comunità locale. Questa sede è stata a lungo una delle più importanti anche in termini di occupazione.

La notizia è stata seguita anche da CIU Unionquadri, la Confederazione sindacale che rappresenta i quadri nel settore privato e pubblico, nonché i ricercatori e i professionisti dipendenti, presente al CNEL e al CESE di Bruxelles. La CIU Unionquadri, in questi mesi, ha approfondito il tema sul territorio anche grazie alla collaborazione di Giorgio Jercog già operatore del settore e grazie all’intervento del segretario regionale dottor Fulvio Carli.

Questa situazione richiede una risposta rapida e strategica, con veri piani industriali da parte delle realtà industriali interessate a subentrare a Wärtsilä. La salvaguardia delle professionalità e della comunità locale rappresenta una priorità, e la ricerca di soluzioni sostenibili e durature è essenziale per garantire un futuro stabile per lo stabilimento di Trieste e per tutti coloro che dipendono da esso, posti di lavoro e famiglie da tutelare” hanno commentato gli organi di CIU Unionquadri.

In questa fase di trattative aperte, resta da vedere quale sarà il destino di questa importante realtà industriale e delle competenze che ospita. La speranza è che tutte le parti coinvolte possano lavorare insieme per trovare una soluzione efficace capace di proteggere i lavoratori e mantenere vivo il patrimonio industriale di Trieste.

Alcune riflessioni sulle pensioni ed il ceto medio

L’inflazione ha sicuramente decurtato le pensioni, sia di fascia bassa, sia quelle di fascia medio-alta: le prime hanno recuperato assai poco dai ritocchi decisi dal governo, le seconde per niente, di fatto sono bloccate.

Non si tratta, ovviamente, di legare l’importo della pensione al grado di inflazione, ma di ritoccare gli importi secondo una scala già peraltro fissata da accordi in sede ministeriale. La questione non è di poco conto poiché investe il modus vivendi della classe media, assai bistrattata in questi anni, tanto che qualche sociologo ha azzardato addirittura la sua scomparsa.

Va pure aggiunto che i pensionati, come tutte le categorie a reddito fisso, sono puntuali pagatori del fisco (alla fonte) e quindi sono una parte considerevole di quel 13% di italiani che pagano il 60% di tutti gli introiti fiscali.

La UIL per tali ragioni ha deciso di rivolgersi al giudice. “Abbiamo avviato cinque cause-pilota dice il segretario generale della Uilp, Carmelo Barbagallo contro il taglio della rivalutazione di tutte le pensioni di importo superiore a 4 volte il trattamento minimo Inps, che è pari a 2.101,52 euro mensili lordi, disposto dalla legge di Bilancio 2023. Vogliamo mantenere alta l’attenzione su questa ennesima ingiustizia, decisa oltretutto in un momento di forte crescita dell’inflazione. Interessa circa 3 milioni e mezzo di pensionati. Non è possibile che ogni volta che servono risorse si vadano a prendere dai pensionati. Naturalmente il nostro impegno è parallelamente rivolto anche alle pensioni di importo più basso, non c’è contraddizione in questa duplice difesa del potere d’acquisto”.

Le rivalutazioni delle pensioni sono state ulteriormente tagliate tra il 25% ed il 68%, penalizzando fortemente il 28% dei pensionati.

Si tratta di 3,5 miliardi di euro lordi (2,1 miliardi netti) che i pensionati medio-alti avrebbero dovuto ricevere e invece rimarranno fermi. Chi percepisce 3.600 euro lordi mensili alla fine dell’anno ne perderà oltre 1.427. Ancora peggio per chi riceve pensioni superiori.

Sono state cancellate le fasce di perequazione automatica che erano state previste dal governo Draghi e ne sono state introdotte ben sei che quasi azzerano la rivalutazione a chi prende una pensione più consistente del minimo.

Un pensionato con assegno superiore ai 100mila euro lordi l’anno ha perduto dal 2006 a oggi un’intera annualità a causa delle ripetute decurtazioni dell’adeguamento.

In particolare, il Sindacato lamenta che “Il criterio e l’entità (inadeguata e insufficiente) della perequazione della pensione per l’anno 2023, calcolata ed erogata dall’Inps, è manifestamente in contrasto con in principi fondamentali richiamati più volte dalla Corte Costituzionale, che anche nel 2020 aveva decretato che la perequazione delle pensioni dev’essere volta a garantire nel tempo l’adeguatezza dei trattamenti e a salvaguardarne il valore reale al cospetto della pressione inflazionistica”.

In effetti, la stessa Consulta in passato aveva affermato che: “L’eventuale introduzione da parte del legislatore di meccanismi limitativi della perequazione pensionistica incontra il limite, inderogabile e invalicabile, dell’osservanza dei principi di eguaglianza sostanziale ed è soggetta a rigorosi vincoli quantitativi, temporali, di proporzionalità e di ragionevolezza”.

CASSAZIONE – Determinazione dei contributi previdenziali.

Cassazione Civile Sezione Lavoro, ordinanza 8.3.2023 n.13840.

Base di Calcolo – Contratto Collettivo stipulato dalle Associazioni Sindacali Maggiormente Rappresentative.

“In presenza di una pluralità di fonti contrattuali applicabili alla medesima categoria, la Corte territoriale ha ritenuto che il c.c.n.l. Confcooperative – Lega Coop – AGCI e Filt Cgil – Fit Cisl – Uil Trasporti dovesse essere considerato quale “contratto leader” ai fini della determinazione del minimale contributivo ai fini previdenziali, in virtù della superiore rappresentatività in termini comparativi delle associazioni sindacali stipulanti, requisito adeguatamente provato in giudizio dall’INPS sulla base di indici quali la consistenza associativa, la diffusione territoriale ed il numero di contratti collettivi stipulati;”

La Corte di Cassazione con la recente sentenza che segue stabilisce come l’onere contributivo vada parametrato sulla base del cosiddetto “contratto leader” da intendersi come quello stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative della categoria.

Il pagamento effettuato sulla base del contratto collettivo non dotato di rappresentatività deve essere valutato a titolo di evasione contributiva e non di mera omissione.

Giova ricordare che si definisce omissione contributiva il mancato o ritardato pagamento dei contributi rilevabile da denunce e registrazioni obbligatorie.

Si parla invece di evasione contributiva in caso di denunce non conformi al vero. In questo ultimo caso, rileva l’intenzione specifica del dichiarante di non versare i contributi o di occultare il rapporto di lavoro.

Nel caso di semplice omissione contributiva è applicato un tasso del 5,5% sul dovuto, nel caso, di evasione contributiva una sanzione pari al 30% del debito, nel limite del 60% dei contributi non corrisposti.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione – Con la sentenza n.4808 del 7.3.2005, era stata chiamata a comporre il contrasto emerso nell’ambito delle Sezioni Lavoro.

Le Sezioni Unite partono dall’esame dell’articolo 116, comma 8 della legge 23 dicembre 2000 n.388 secondo cui:

“I soggetti che non provvedono entro il termine stabilito al pagamento dei contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali ed assistenziali, ovvero vi provvedono in misura inferiore a quella dovuta, sono tenuti:

  1. a) nel caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti; la sanzione civile non può essere superiore al 40 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge;
  2. b) in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, cioè nel caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al 30 per cento; la sanzione civile non può essere superiore al 60 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge. Qualora la denuncia della situazione debitoria sia effettuata spontaneamente prima di contestazioni o richieste da parte degli enti impositori e comunque entro dodici mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi o premi e semprechè il versamento dei contributi o premi sia effettuato entro trenta giorni dalla denuncia stessa, i soggetti sono tenuti al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5, 5 punti; la sanzione civile non può essere superiore al 40 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge.

Nel caso di specie, si trattava di valutare o meno la sussistenza dell’evasione invece della semplice omissione, di fronte alla condotta di un soggetto che aveva omesso il pagamento dei contributi previdenziali non compilando la relativa denuncia.

Con una prima pronuncia (Cassazione 15.1.2003 n.533) la Corte di Cassazione aveva ritenuto come in tal caso, sussistesse la mera omissione, essendo in grado l’INPS di verificare il dovuto.

La seconda pronuncia (Cassazione 2.10.2003 n.14727) aveva invece espresso un orientamento maggiormente restrittivo, considerando il caso come vera e propria evasione.

Ritenevano le Sezioni Unite come anche il mancato invio della necessaria documentazione o la carenza assoluta di documentazione fossero idonee ad ostacolare ed a compromettere i compiti spettanti all’Istituto e che quindi anche la mancata o tardiva presentazione del modello DM 10 poteva configurare l’ipotesi dell’evasione contributiva.

Dunque pagare il dipendente in misura inferiore ai contratti leader e corrispondere i contributi su tale base, costituisce evasione contributiva.ù

Fabio Petracci

Il trasferimento del dipendente che assiste un disabile: la sentenza n. 33429/2022 della Suprema Corte

Nel caso oggetto della pronuncia in oggetto, un dipendente impugnava il trasferimento disposto dal datore di lavoro da Ravenna a Forlì in quanto assistente con continuità il padre disabile ai sensi dell’art. 33, comma 5, legge n. 104/1992.

In effetti, la citata disposizione normativa prevede che il lavoratore che assiste un familiare disabile non possa essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede; ma tale disposizione non esclude che tale interesse debba conciliarsi con altri rilevanti interessi, diversi da quelli sottesi all’ordinaria mobilità.

In effetti, l’applicazione dell’art. 33, comma 5, cit., postula, di volta in volta, un bilanciamento di interessi.

Bilanciamento peraltro necessario, in via generale, per tutti i trasferimenti, atteso il disposto dell’art.2103 c.c., che statuisce che il lavoratore non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra “se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive“; in particolare, poi, la norma di cui all’art. 33, comma 5, della legge n. 104/1992, deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati.

Nel caso di specie, il datore di lavoro ha provato l’effettività delle esigenze tecniche, organizzative e produttive del trasferimento, insuscettibili di essere diversamente soddisfatte nonché la proposta ed il rifiuto da parte del lavoratore di un’offerta di una posizione lavorativa alternativa a Ravenna.

Pertanto, la Corte di Cassazione ha concluso che la tutela rafforzata cui ha diritto il lavoratore che assista con continuità una familiare invalido opera nei confronti delle ordinarie esigenze tecniche, organizzative, produttive, legittimanti la mobilità, con il limite della soppressione del posto o di altre situazioni di fatto insuscettibili di essere diversamente soddisfatte.

Nel caso concreto il trasferimento siccome disposto è stato dunque ritenuto legittimo, nonostante riguardasse dipendente assistente il padre disabile.