Festival del lavoro: di cosa si tratta?

Il Festival del Lavoro è una manifestazione itinerante organizzata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro e dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro.

Nato come evento di categoria, il Festival del Lavoro, dopo 12 edizioni, è unico nel suo genere e ospita tutti i protagonisti del mondo del lavoro: dalle istituzioni ai sindacati, dai professionisti ai lavoratori, dagli accademici agli studenti, con l’obiettivo di confrontarsi su temi che riguardano il diritto del lavoro e l’attualità, analizzando un mondo del lavoro in continuo cambiamento e individuando le soluzioni strategiche per il rilancio delle imprese e del Paese.

Si tratta dunque di una tre giorni ricca di appuntamenti tematici in contemporanea assolutamente da non perdere.

La partecipazione è gratuita, nel mentre è obbligatoria l’iscrizione.

Normalmente è previsto un piccolo contributo a scopo benefico. In particolare, per l’anno 2022, è stato previsto un piccolo contributo in favore dell’associazione AMACI per finanziare l’acquisto della strumentazione robotica utile alla cura delle patologie di Chirurgica Pediatrica.

Potrebbe essere interessante istituire una partecipazione del Centro Studi o di CIU Unionquadri.

Fabio Petracci

Alte professionalità

CONVEGNO: Quadri ed elevate professionalità nel pubblico impiego e nella contrattazione dopo il D.L. 80/2021

Venerdì 20 gennaio 2023  presso l’Hotel Coppe di via Mazzini n.24 a Trieste si terrà il convegno “Quadri ed elevate professionalità nel pubblico impiego e nella contrattazione delle funzioni centrali e degli enti locali dopo il D.L. 80/2021”.

Il convegno segue l’inaugurazione della nuova sede CIU UNUONQUADRI per il Friuli Venezia Giulia sita a Trieste in via Coroneo n.5.

PROGRAMMA DEL CONVEGNO

SALUTI ISTITUZIONALI
Dott.ssa Gabriella ANCORA
Presidente CIU UNIONQUADRI

RELATORI
Prof. Nicola de MARINIS
Consigliere della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione

Dott. Fulvio CARLI
Segretario Regionale Friuli-Venezia Giulia di CIU UNIONQUADRI

Dott. Liano CAPICOTTO
Docente Link Campus

MODERA
Avv. Fabio PETRACCI
Vicepresidente CIU UNIONQUADRI

 

DIBATTITO

Seguirà Cocktail

VIDEO del Seminario “Salario minimo garantito”

Video descrittivo dell’evento tenutosi a Milano il 14 luglio 2022 sul tema del Salario Minimo Garantito. Legge e contrattazione collettiva.

SEMINARIO – Salario minimo garantito

Giovedì 14 luglio 2022 presso il Centro Congressi Fondazione Cariplo di Milano a partire dalle 15:00.

Alte professionalità

In vista dell’area delle Elevate Professionalità nelle Pubbliche Amministrazioni

Intervento dell’avv. Fabio Petracci , Centro Studi di CIU Unionquadri, in occasione del Convegno Quadri e Alte Professionalità nel Pubblico Impiego.

Vedrò di sollevare alcuni quesiti per favorire ed avviare la discussione.

Stiamo trattando delle categorie delle alte professionalità nell’ambito del Pubblico Impiego, dove un grosso nucleo di professionalità appaiono  compresse nel cosiddetto inquadramento delle categorie non dirigenziali e dove si è voluto individuare il motore della macchina amministrativa esclusivamente nella dirigenza.

Ciò avviene, nonostante nell’organizzazione del lavoro privato presenti ormai e da tempo nuove forme di organizzazione che vede sempre più protagonisti lavoratori altamente qualificati che svolgono un lavoro non manuale volto alla produzione di output tendenzialmente intangibili.

Da molto tempo, sono emerse e si sono consolidate nuove istanze del ceto medio che dopo la marcia dei 40.000 e la lotta al livellamento retributivo, ora è alle prese con l’accentramento della ricchezza e la scomparsa di molte forme di mobilità sociale.

L’emergere di queste istanze ha trovato trova una seppur parziale risposta nel mondo del lavoro con la legge 190/85 che riconosce la categoria dei quadri intermedi, modificando l’articolo 2095 del codice civile.

Sul piano del lavoro pubblico, nonostante l’epocale riforma degli anni 90 che ha voluto introdurre la disciplina del lavoro privato nelle pubbliche amministrazioni un simile fermento non si è mai verificato.

Allorquando con la legge 421/1992 si delineava il nuovo assetto dell’impiego pubblico, nessun ostacolo normativo si frapponeva alla piena applicazione dell’articolo 2095 del codice civile che vede le categorie dei lavoratori suddivise in operai, impiegati, quadri e dirigenti.

Il tema era toccato sotto l’aspetto dello spazio contrattuale collettivo dall’articolo 40 del DLGS 165/2001 che prevedeva l’esistenza di una specifica e distinta disciplina nell’ambito dei contratti collettivi di comparto per coloro che svolgono compiti di direzione o che comportano iscrizione ad albi.

Con il DLGS 150/2009 l’articolo 40 era semi abrogato, restando la semplice previsione della possibilità per i contratti collettivi di istituire apposite sezioni per specifiche professionalità.

Trattandosi di un mondo del lavoro ormai collocato nell’ambito del diritto civile, ci si chiede il perché di questa differenziazione.

In primis, potremmo ritenere come l’organizzazione del lavoro pubblico, nonostante la riforma, non appaia in grado di fare propria la nuova organizzazione del lavoro della conoscenza nonché le istanze sociali ormai maturate.

Ove un tanto non fosse vero, potremmo azzardarci a ritenere l’esistenza nell’ambito del pubblico impiego di un deficit di pluralismo e libertà sindacale se non addirittura una certa sudditanza delle scelte legislative rispetto ad un ruolo anomalo del sindacato.

Nell’ambito di questa consolidata situazione, si inserisce l’esigenza straordinaria di una Pubblica Amministrazione altamente qualificata imposta dal PNRR.

E’ stata quindi introdotta per legge una ulteriore area professionale dove collocare le Elevate Professionalità.

Il contratto collettivo delle Funzioni Centrali ha recepito questa previsione meglio definendo quest’ambito di inquadramento.

Resta aperta la definizione dei criteri per l’accesso a quest’area di inquadramento.

Di fronte a questo improvviso mutamento di rotta che impone il riconoscimento de Elevate Professionalità serve focalizzare la nostra attenzione sui criteri di selezione degli appartenenti all’area professionale ad evitare trascinamenti ed automatismi, evitando pure che la nuova area automaticamente assorba anomale situazioni individuali e collettive già consolidate.

E’ necessario quindi creare una reale posizione retributiva e normativa per quanti verranno a far parte dell’area delle elevate professionalità.

Va attentamente verificata l’analoga ed inferiore area dei funzionari che ricalca per certi versi talune caratteristiche della nuova area delle Elevate Professionalità per verificare se vi sia un disegno di una Pubblica Amministrazione nel suo complesso totalmente professionalizzata.

Bisognerà ragionare oltre l’ipotesi prevista per il contratto delle amministrazioni centrali per poter tradurre la riforma nelle diverse amministrazioni, principalmente locali, dove esistono situazioni spesso difformi.

Logo CNEL

CONVEGNO – Quadri e Alte Professionalità nel Pubblico Impiego (meritocrazia e professionalità)

Il convegno, organizzato da CIU UNIONQUADRI, si terrà giovedì 10 marzo 2022 dalle ore 14:30 alle 17:30 a Roma presso il Parlamentino del CNEL, viale David Lubin n.2,  (scarica la locandina). 

Contestualmente, in orario da programmarsi, si terrà pure una riunione del Centro Studi.

Per i soci e consulenti del Centro Studi che provengono da fuori Roma, CIU Unionquadri troverà una sistemazione presso un hotel di propria fiducia e rimborserà le spese del viaggio.

Per fruire dell’agevolazione, sarà necessario comunicare la propria adesione entro la giornata del 4 marzo, telefonando dalle 9.00 alle 16.00 allo 06 320 04 27 oppure al 392 572 04 35, chiedendo della signora Zaira Odicino.

Il Presidente del Centro Studi
Fabio Petracci

CONVEGNO – La formazione continua dei lavoratori per la ripartenza

Venerdì 10 dicembre alle 10:00 in diretta streaming su WEBTV.SENATO.IT dalla Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani presso il Senato della Repubblica.

Professionalità e formazione nel contratto di lavoro

Per formazione professionale intendiamo una vasta gamma di interventi destinati a ripercuotersi sul rapporto di lavoro.

Conosciamo la formazione inziale che corrisponde a quella attuata prima dell’ingresso nel mondo del lavoro, cui in qualche modo si affianca anche l’alternanza scuola – lavoro, la formazione continua in stretta connessione con il rapporto di lavoro, la formazione permanente che attiene principalmente ad una scelta del lavoratore.

Le principali funzioni della formazione professionale sono l’inserimento nel mercato del lavoro, la tutela occupazionale, ma anche legittimi obiettivi di carriera e di guadagno.

In questi periodi, siamo portati a vedere principalmente la formazione professionale in funzione di riconversione delle professionalità legate alle crisi ed alle trasformazioni aziendali o come strumento di politica attività del lavoro. Principalmente come strumento di mero Welfare.

Un esame completo della normativa in tema di formazione potrebbe fornirci un quadro maggiormente completo.

Eviteremo così un concetto povero e limitato di formazione professionale con connotati spesso emergenziali ed assistenziali.

Trattasi in primo luogo nel caso della formazione professionale, di un istituto che trova copertura costituzionale.

L’articolo 4 della Costituzione riconosce ad ogni cittadino non solo il diritto al lavoro, anche il dovere di svolgere una funzione utile secondo le sue possibilità e la sua scelta, riconoscendo così il diritto al miglioramento non solo economico, ma anche professionale.

Vi concorre anche nell’ambito della Costituzione medesima l’articolo 35 che testualmente tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.

L’articolo 4 appena esaminato che menziona la scelta del lavoratore valorizza l’autodeterminazione del singolo per il quale la formazione può costituire uno strumento di innalzamento sociale e personale.

Si tratta quindi anche nella di un modello di formazione che dovrebbe assumere dimensione dinamica ed a misura del soggetto interessato Quindi l’istituto oltre che come diritto sociale dovrebbe rilevare pure come diritto della persona immedesimato nel termine di “capability” inteso come libertà effettiva.

Quindi, la formazione dovrebbe fornire al lavoratore la cosiddetta «occupabilità» o employability cioè la possibilità di spendere diverse occasioni di lavoro nell’arco della propria vita.

Notiamo che la normativa comunitaria in materia riconosce la formazione nell’ambito dei diritti sociali (trattato di Roma e Carta Sociale Europea).

Passando all’ordinamento nazionale, constatiamo come il diritto alla formazione non sia ancora del tutto effettivo.

In primo luogo con la legge 3/2001 e l’articolo 117 della Costituzione, la formazione è entrata a far parte delle competenze regionali.

Ciò determina il prevalere di una tipologia di formazione caratterizzata da interventi di welfare destinati a confliggere con la normativa statale cui è demandata la competenza in ambito di ordinamento civile e quindi di interventi nell’ambito del rapporto di lavoro e di natura contrattuale.

Numerosi sono in tema di competenza formativa i contenziosi presso la Corte Costituzionale.

In tema di normativa nazionale, troviamo la legge quadro 845/78 e più tardi la legge 196/1997 (Pacchetto Treu) che prevede un riordino della materia della formazione, stabilendo per la prima volta l’integrazione della formazione con il sistema scolastico ed universitario e con il mondo del lavoro.

Di seguito la legge n.53/2000 che prevede i cosiddetti congedi formativi.

Quindi la legge finanziaria del 2001 istituisce i fondi paritetici per la formazione.

Ma, in particolare, la norma mediante la quale viene fatta calare la formazione nell’ambito del contratto di lavoro, anche se risulta ancora difficile parlare di un obbligo formativo da parte del datore di lavoro è data dall’articolo 2103 del codice civile che, tutelando la professionalità del lavoratore impedendone la dequalificazione e favorendone la promozione, in qualche modo impone al datore di lavoro seppure nelle ipotesi tipiche, la manutenzione della professionalità del dipendente.

Di fronte poi all’evoluzione di molti istituti del diritto del lavoro, la manutenzione della professionalità, il suo ampliamento o la sua sostituzione rivestono un’importanza fondamentale-

La cosiddetta classificazione per aree professionale ha messo in qualche modo in crisi la cosiddetta staticità delle mansioni.

Di fronte alla dilatazione dell’oggetto del contratto e quindi dell’obbligazione dedotta, il lavoratore non è sempre in grado di adattare la propria professionalità. Quindi un’adeguata formazione può rivestire nell’obbligazione contrattuale un ruolo doveroso.

Le stesse modifiche apportate dal c.d. Jobs Act  (DLGS 81/2015) all’articolo 2103 del codice civile che rendono esigibili nei confronti del lavoratore tutte le mansioni dell’area o categoria di appartenenza e che prevedono in taluni casi un obbligo di formazione da parte del datore di lavoro contribuiscono ad evidenziare la necessità che la professionalità e quindi la sua manutenzione o il suo ampliamento vengano ad inserirsi nel rapporto contrattuale.

La stessa normativa in tema di licenziamenti che di fatto ha notevolmente limitato l’obbligo di reintegra finisce con il rendere necessaria una professionalità aggiornata o mutata come un patrimonio del lavoratore tanto per evitare la risoluzione del rapporto di lavoro, quanto per trovarne uno nuovo.

Ne deriva che sempre di più la professionalità e la formazione dovrebbero assumere rilievo nell’oggetto e nella causa del contratto di lavoro.

Naturalmente individuare fattispecie contrattuali con tali caratteristiche significa contraddire la natura tipica dei rapporti di lavoro che è prevista dalla legge e che prevede solo delle specifiche ipotesi di contratti formativi.

Quindi un importante compito in quest’ambito compete alla contrattazione collettiva che però dovrebbe introdurre una tutela personalizzata della professionalità ed una formazione di natura non generica né burocratica, ma aderente alle esigenze del singolo lavoratore.

Nell’ambito della contrattazione collettiva del settore metalmeccanico già nel 2016 era affermato all’articolo il diritto soggettivo alla formazione continua, era stabilito che a far data dal 1 gennaio 2017, le aziende avrebbero coinvolto i lavoratori in percorsi di formazione continua della durata di 24 ore pro capite con le modalità erogate da fondo impresa, elaborando progetti aziendali o aderendo a progetti territoriali o settoriali, non computandosi nelle previste 24 ore quelle erogate per la sicurezza.

E’ previsto che le iniziative formative siano finalizzate all’acquisizione di competenze trasversali, digitali, tecniche e gestionali, impiegabili nel contesto lavorativo aziendale.

Il contratto medesimo Stabilisce apposita commissione nazionale per la formazione professionale e l’apprendistato, apposite commissioni territoriali ed aziendali con il medesimo oggetto ed un referente aziendale per la formazione professionale.

Chi scrive ritiene una simile iniziativa sicuramente interessante, rileva però come il tema della professionalità sia strettamente inerente la persona del singolo lavoratore ed appare quindi inadeguato se non illogico prevedere un monte ore fisso di formazione eguale per tutti dal momento che un soggetto potrebbe averne affatto bisogno ed altri necessitare di una totale rivisitazione della professionalità attività neppure pensabile nello spazio di 24 ore, sarebbe stato quindi opportuno delegare agli organi nazionali, territoriali e aziendali unitamente all’azienda a valutare i casi destinati alla formazione e le relative necessità.

Fabio Petracci

CONVEGNO – Il procedimento disciplinare nei rapporti di lavoro pubblico e privato.

Pubblichiamo il video Youtube del convegno “Il procedimento disciplinare nei rapporti di lavoro pubblico e privato” organizzato dall’Ordine degli avvocati di Roma e tenutosi in diretta streaming il 25 maggio 2021.

Convegno: IL LAVORO AGILE. Misure di emergenza o nuova flessibilità?

Di Seguito l’intervento dell’avvocato Fabio Petracci:

  1. Le ragioni dell’omissione della contrattazione collettiva come fonte regolatrice, dimenticanza o novità?

Nell’ambito della disciplina del lavoro agile (Legge 81/2017) un ruolo importante è attribuito alla contrattazione individuale.

Esamineremo la delimitazione e le conseguenze di questa preminenza, se tale si può definire, del contratto individuale.

Assume in ogni caso rilevanza nell’ordinamento del lavoro il principio dell’autonomia contrattuale individuale riconducibile all’articolo 1322 del codice civile.

Se ben guardiamo, la contrattazione collettiva ha addirittura anticipato la disciplina individuale sancita dalla legge 81/2017.In effetti, il lavoro agile ha trovato una certa diffusione anche per il tramite della contrattazione collettiva. Alcuni contratti disciplinavano il lavoro agile già prima che la disciplina legale entrasse in vigore. Si trattava però di discipline aventi per lo più carattere sperimentale ed alquanto limitative in tema di organizzazione del lavoro agile.

Ciononostante, il testo della legge 81/2017 che disciplina il lavoro agile prevede l’accordo individuale come forma regolatrice del rapporto. ( articolo 18, comma 1, legge 81/2017). Ne individueremo le ragioni.

Che non si tratti di una svista lo rivela lo stesso comma 1 dell’articolo 18 che prevede la possibilità di organizzare tale tipologia di lavoro con formedi organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro.

Difficilmente inoltre, una previsione collettiva e quindi generale può disciplinare un rapporto contrattuale senza vincoli di orario e luogo di lavoro, tesa al raggiungimento di un delicato e equilibrio tra esigenze personali ed aziendali, in quanto alla regola generale e collettiva valevole per tutti è destinata a sostituirsi una disciplina che segue mutevoli e non sempre standardizzate esigenze individuali ed aziendali.

Rafforza questa lettura e questa esigenza il fatto che scopo di questa particolare forma di lavoro è quella di incrementare la competitività e contemporaneamente di agevolare la conciliazione dei tempi di vita con quelli di lavoro.

In pratica si tratta di una forma di flessibilità diversa da quelle sin d’ora esaminate, in quanto non rivolta esclusivamente a sostenere le esigenze aziendali e quelle della piena occupazione, ma volta invece a conciliare esigenze del lavoratore variabili e quindi di volta in volta individuate con lo svolgimento della prestazione, adattando così quest’ultima alle esigenze del prestatore e ricavandone in forza della soddisfazione di quest’ultimo una prestazione migliore.

Più che di flessibilità forse enfatizzando un poco potremmo parlare della liberazione delle energie lavorative dei soggetti della produzione.

Dopo queste considerazioni non possiamo ritenere che con l’introduzione del lavoro agile sia stata effettuata una conversione totale a favore dell’autonomia collettiva, in quanto, come vedremo il lavoro agile nel suo svolgimento, si pone una duplice serie di limiti.

 Il primo limite è dato dalle norme di legge vigenti ed in particolare di quelle attinenti il lavoro agile (legge 81/2017) in forza delle quali, si evita lo stravolgimento dell’istituto in sede di contrattazione collettiva. Il secondo limite, come vedremo, è dato dai riferimenti alla contrattazione collettiva valevoli per ogni rapporto di lavoro in tema di orario e retribuzione.

Il primo limite richiamato è dato dal secondo periodo del primo comma dell’articolo 18 della legge 81/2017 laddove è previsto che la prestazione lavorativa venga eseguita entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

Ciò appare particolarmente significativo, dal momento che il DLGS 66/2003 all’articolo 17, comma 5, esclude dai limiti di durata massima le prestazioni rese nell’ambito di rapporti di lavoro a domicilio e di telelavoro e risultando difficile includervi anche il lavoro agile, stante i richiami alle norme di legge in tema di lavoro agile operate dall’articolo 18 della legge 81/2017.

Sul piano retributivo e normativo, poi, l’articolo 20 comma 1 della legge 18/2017 impone il diritto per il lavoratore ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato ai lavoratori che svolgono la propria prestazione esclusivamente all’interno dell’azienda, in attuazione dei contratti collettivi di cui all’articolo 51 del DLGS 81/2015. Si tratta dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative. Quindi il riferimento va a fonti contrattuali ben qualificate.

Di conseguenza l’autonomia individuale incontra da una parte dei limiti legali inderogabilmente fissati inerenti la forma ed il contenuto del patto di lavoro agile, le ragioni del recesso, gli obblighi in materia di salute e sicurezza, le modalità di controllo della prestazione, l’esercizio del potere disciplinare, la durata massima della prestazione, la parità di trattamento e normativa, nonché gli ulteriori limiti assunti in sede collettivi.

Nella realtà, si è verificato quanto forse presente al legislatore, la contrattazione collettiva appare più attenta alla determinazione del luogo della prestazione, che alle modalità organizzative della stessa. In tal modo la contrattazione collettiva appare poco agile e funzionale alle esigenze delle parti lavoratori ed aziende individuando per lo più un minimale di presenza del lavoratore all’interno dell’azienda, con un orario giornaliero corrispondente a quello comunemente applicato, entro determinate fasce orarie e con la garanzia del diritto alla disconnessione, rendendo effettivo il diritto alla formazione permanente.  Scarso è invece l’intervento in tema di autonomia individuale ed organizzativa consistente in fasi cicli ed obiettivi e senza precisi vincoli di orario con l’utilizzo di strumenti tecnologici.

L’impatto propulsivo dell’autonomia individuale consiste invece, non tanto nel contrapporsi alla disciplina collettiva, quanto piuttosto di pervenire ad un equilibrio tra esigenze aziendali ed esigenze privato – individuale, in cambio di una maggiore produttività.

Se questo sarà l’effetto primario dell’accordo individuale, sotto un aspetto maggiormente evoluto e meno immediato, si confida che una maggior libertà di organizzazione e di vita favorisca non solo una maggiore produttività, ma anche, da parte delle categorie maggiormente professionalizzate, una maggiore creatività.

Ci si chiede se, una volta determinato ed ampliato lo spazio di autonomia individuale, ed una volta scalfito il solido paradigma dell’unità di luogo tempo ed azione nello svolgimento dell’attività lavorativa, possa ancora parlarsi di un concetto unitario di subordinazione grazie all’attenuazione o meglio contrattazione del potere direttivo, determinandosi così una tipologia speciale di lavoro subordinato in linea con quanto in precedenza attuato mediante l’articolo 2 del DLGS 81/2015 che estende la disciplina del lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali continuative e le cui modalità siano organizzate dal committente.

Da ultimo, affronteremo, seppure sommariamente, i problemi pratici ed immediati che si possono presentare all’operatore del diritto che sono di seguito individuati:

  1. Il potenziale conflitto tra accordo collettivo e accordo individuale laddove azienda e lavoratore trovino in tema di modalità organizzative del lavoro, fatti salvi i limiti di legge e di contratto collettivo, soluzioni conflittuali con la disciplina collettiva del lavoro agile.
  2. Il potenziale conflitto tra norme disciplinari comuni determinate dalla contrattazione collettiva e norme disciplinari individuali individuate in sede di contrattazione individuale del lavoro agile;
  3. Le difficoltà nella concreta applicazione di pattuizioni concernenti la retribuzione nelle prestazioni organizzate per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario.