Appalto pubblico

  1. Appalto pubblico; 2. Le procedure di appalto: D.lgs. 50/2016; 3. Disciplina amministrativa: l’articolo 120 C.P.A; 4. Ricorrente principale: procedura di impugnazione; 5. Come agire nei confronti del ricorrente principale: ricorso incidentale paralizzante o escludente; 6. Analisi dal punto di vista applicativo.

 

  1. APPALTO PUBBLICO

L’appalto in generale è un contratto “col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di una opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro” ex articolo 1655 C.C.

Diversamente è l’appalto pubblico, il quale trova la sua disciplina, nonché il procedimento, nell’articolo 120 del codice del processo amministrativo (C.P.A) e nel D.lgs. 50/2016, quest’ultimo noto anche come “Codice degli appalti” ovvero “Codice dei contratti pubblici”.

 

  1. LE PROCEDURE DI APPALTO: D.LGS. 50/2016

Le procedure di appalto sono quelle attraverso cui l’amministrazione individua un soggetto con cui stipulare un contratto oppure individua un contraente. Una disciplina molto dettagliata si trova nel D.lgs. 50/2016 ed è una normativa che quasi integralmente deriva dalle direttive dell’UE. L’amministrazione, quando deve individuare il contraente per stipulare un contratto, in specie quando il contratto supera alcune soglie di valore, deve seguire determinate procedure in cui, quasi sempre, vi è un atto, detto bando di gara o lettera d’invito, in cui viene indicata tutta una serie di requisiti per poter partecipare alla gara. Solo successivamente, le imprese partecipanti, entro i termini previsti dal bando, presentano le loro offerte.

In genere, i partecipanti presentano sempre due buste chiuse: l’amministrazione apre per prima quella con la documentazione amministrativa per valutare che tutti i partecipanti sono in possesso dei requisiti per partecipare e infine emette dei provvedimenti di ammissione o esclusione. In quella con l’offerta tecnica invece, i partecipanti fanno la vera e propria offerta, preciseranno a che prezzi e a che condizioni sono in grado di fornire le prestazioni che l’amministrazione desidera.

Dopo questa fase, l’amministrazione aprirà la busta con le offerte tecniche solo delle imprese ammesse.

 

  1. DISCIPLINA AMMINISTRATIVA: L’ARTICOLO 120 C.P.A

L’articolo 120 C.P.A si applica alle procedure di affidamento, di pubblici lavori, servizi e forniture, ivi comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico-amministrative, i provvedimenti adottati dall’Autorità nazionale anticorruzione, sempre in materia di affidamento di appalti pubblici.

L’ANAC (Autorità nazionale anti corruzione) svolge un’attività di ausilio nelle procedure di appalto, come ad esempio viene segnalato all’ANAC con l’esclusione dell’impresa dalle successive gare quando quest’ultima rilascia delle dichiarazioni false o è gravemente inadempiente nei precedenti contratti pubblici viene.

Siamo nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ergo vi è la sola tutela degli interessi legittimi e il giudice ha giurisdizione fino al provvedimento di aggiudicazione. Dopo di ciò, l’amministrazione stipula il contratto con l’aggiudicatario. E dal contratto in poi la giurisdizione è del giudice ordinario.

La peculiarità della disciplina è che il termine per proporre ricorso è dimezzato e per le materie ex art 120 C.P.A non è possibile proporre ricorso straordinario davanti al Presidente della Repubblica.

Vi può sorgere dei problemi tra il provvedimento amministrativo di aggiudicazione e il contratto, in specie, le conseguenze sul contratto a causa del successivo annullamento del provvedimento di aggiudicazione. Vi erano infatti, diversi casi in cui la sentenza accoglieva il ricorso e annullava il provvedimento di aggiudicazione, ma il contratto era stipulato ed eseguito. Il contratto ha effetto tra le parti e i terzi, ossia quelli che hanno proposto ricorso per l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione e non possono rivolgersi al giudice per far valere eventuali cause di invalidità del contratto. Secondo la Cassazione, solo l’amministrazione poteva agire dinanzi al giudice ordinario per chiedere l’annullamento del contratto stipulato, facendo valere un vizio del consenso. Ne conseguenze che il ricorrente non ha una tutela effettiva, anche se il provvedimento di aggiudicazione era annullato. Per arginare ciò, l’articolo 120 C.P.A ha previsto un rito veloce.

Un rimedio a tale problematica è la previsione della CLAUSOLA DI STAND STILL, la quale impone all’amministrazione di fermarsi dopo l’aggiudicazione di modo tale da permettere agli interessati di proporre ricorso:

  • Il contratto va stipulato entro 60 giorni dopo l’aggiudicazione (regola generale);
  • il contratto non può comunque essere stipulato prima di 35 giorni dall’invio dell’ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione (clausola stand still);
  • l’amministrazione, la stazione appaltante deve comunicare immediatamente, entro 5 giorni, a tutti i partecipanti i vari provvedimenti (aggiudicazione, eventuale esclusione, decisione di non aggiudicare l’appalto, la data di stipula del contratto) perché dalla comunicazione decorre il termine per rivolgersi al giudice. Queste comunicazioni vanno fatte via PEC, dove viene indicato il soggetto aggiudicatario e il termine dilatorio per la stipulazione del contratto;
  • dall’invio dell’ultima PEC, l’amministrazione aspetta 35 giorni prima di stipulare perché il termine per proporre ricorso al TAR è di 30 giorni;
  • se viene notificato un eventuale ricorso, contro l’aggiudicazione, il periodo di stand still viene prolungato;
  • negli appalti il ricorrente deve proporre la domanda cautelare in quanto tutela sia il ricorrente che l’amministrazione. In questo caso l’amministrazione deve attendere i successivi 20 giorni, purché intervenga almeno il provvedimento cautelare di primo grado, o almeno la sentenza di primo grado;
  • l’effetto sospensivo sulla stipula del contratto cessa se il giudice con ordinanza si dichiara incompetente, cessa anche se il giudice fissa l’udienza di discussione senza concedere l’azione cautelare, oppure quando il ricorrente rinuncia all’esame della domanda cautelare.
  1. PROCEDURA DI IMPUGNAZIONE

Tutti gli atti della procedura di gara sono impugnabili ex art 120 C.P.A e in alcuni casi si impugna direttamente il bando di gare ossia l’atto di avvio della procedura; ad es. quando quest’ultimo contiene delle clausole immediatamente escludenti che impediscono a un soggetto di partecipare, il bando è immediatamente lesivo e va impugnato subito nei 3 giorni, altrimenti lo si impugna alla fine assieme all’aggiudicazione.

Si può impugnare inoltre, quando il bando non ci sia, ergo non viene indetta una procedura di gara. Il d.lgs. 50/2016 prevede che quando l’amministrazione stipula un contratto sopra una certa soglia deve pubblicare l’avviso del contratto stipulato, e allora i 30 giorni iniziano dal giorno di pubblicazione. Se non vi è stato nemmeno questo avviso di aggiudicazione, il termine è di 6 mesi dal giorno successivo alla data di stipulazione del contratto.

In materia di appalti se la stazione appaltante fruisce del patrocinio dell’avvocatura dello Stato, come accade in FVG, ergo o è un’amministrazione statale o un’altra amministrazione, il ricorso deve essere notificato sia all’avvocatura, altrimenti è inammissibile, che alla sede reale dell’amministrazione, così da poter applicare la clausola di stand still.

Il giudice deve fissare un’udienza d’ufficio, e deve fissarla entro 45 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione in giudizio delle parti intimate.

Se la controversia ha un valore economico importante, si può consentire il superamento dei limiti dimensionali del ricorso, ma oltre le 35 pagine. Risulta pacifico che se i tempi sono tutti dimezzati anche gli atti debbano essere chiari e sintetici.

Da precisare, per quanto riguarda i nuovi atti attinenti alla medesima procedura di gara che, in materia di appalti, non può scegliere deve fare motivi aggiunti ex articolo 43 C.P.A, a differenza della regola generale, secondo cui per i nuovi atti il ricorrente può scegliere se proporre un ricorso autonomo o motivi aggiunti.

La sentenza deve essere redatta in forma semplificata ovvero quando al giudice pare evidente l’esito del giudizio.

Il TAR deposita la sentenza entro 30 giorni dall’udienza di discussione, a differenza del termine ordinario di 45 giorni. Le parti possono chiedere la pubblicazione anticipata del dispositivo che avviene entro 2 gironi dall’udienza.

Le stesse regole esposte si applicano anche in appello dinanzi al Consiglio di Stato.

Si ha inefficacia del contratto ex art. 121 C.P.A quando vi è un contratto stipulato nelle more del giudizio amministrativo sul provvedimento di aggiudicazione. Il caso più frequente è il mancato rispetto della clausola stand still. Tuttavia, vi sono delle volte in cui il contratto non viene dichiarato inefficace per esigenze imperative connesse a un interesse generale.

Ex articolo 124 C.P.A, nel ricorso in materia di appalti, il ricorrente, oltre a dover inesorabilmente proporre domanda cautelare, deve sempre inserire nel ricorso l’istanza di conseguire l’aggiudicazione del contratto, altrimenti il giudice potrà non consentirgli di ottenere il risarcimento danni.

 

  1. COME AGIRE NEI CONFRONTI DEL RICORRENTE PRINCIPALE: RICORSO INCIDENTALE PARALIZZANTE O ESCLUDENTE

Il ricorso incidentale paralizzante o escludente è il più comune del ricorso indentale nel processo amministrativo ed è quel ricorso presente soprattutto in materia degli appalti, ma prima di procedere, è opportuno spendere qualche parola per quello “ordinario”.

Con il ricorso incidentale ex articolo 42 C.P.A, il controinteressato chiede al giudice di annullare il provvedimento amministrativo già impugnato dal ricorrente oppure un provvedimento connesso rispetto a quello già impugnato dal ricorrente, però per parti o per motivi diversi rispetto a quelli indicati dal ricorrente. Da aggiungere una premessa ossia il ricorrente notifica il ricorso alle altre parti entro 60 giorni, lo deposita entro i successivi 30 giorni e poi le parti intimate possono costituirsi entro 60 giorni (termine non perentorio).

Le parti intimate giocano in difesa, nel senso che cercheranno di dimostrare nei loro atti processuali che il ricorso non può essere accolto, o per ragioni di rito o per ragioni di merito.

In alcuni casi però, le parti intimate, possono avere interesse a proporre un ricorso incidentale ex articolo 42 C.P.A, il quale si occupa di tutti i casi in cui c’è giurisdizione del giudice amministrativo, sia che si tratti di tutelare un interesse legittimo sia che si tratti di tutelare un diritto soggettivo.

Nella giurisdizione generale di legittimità il ricorso incidentale lo può presentare soltanto il controinteressato e non l’amministrazione resistente, quest’ultima può presentare, se c’è una giurisdizione esclusiva, una domanda riconvenzionale.

In altre parole, il ricorso incidentale può essere chiesto solo dal controinteressato e non dall’amministrazione, perché il controinteressato chiede a sua volta che il provvedimento amministrativo impugnato sia annullato per parti o motivi diversi, l’amministrazione non può, ovviamente, chiedere al giudice di annullare un proprio provvedimento; l’amministrazione se ritiene di aver compiuto degli atti illegittimi li annulla in autotutela, visto che non può fare causa a sé stessa.

Il controinteressato con il ricorso incidentale se lo ritiene, nei 60 giorni dalla notifica del ricorso principale, può proporre domande il cui interesse sorge in dipendenza della domanda proposta in via principale.

Il controinteressato è un soggetto che, dal provvedimento che il ricorrente vuole far annullare, ha tratto vantaggio, ergo egli intende mantenere tale vantaggio; un interesse, dunque, totalmente contrario a quello del ricorrente. Normalmente il controinteressato si costituisce con una memoria con la quale cerca di convincere il giudice a non accogliere il ricorso; in alcuni casi però, il controinteressato può avere interesse a presentare un ricorso incidentale, con il quale chiede al giudice di annullare il provvedimento amministrativo già impugnato dal ricorrente, oppure un provvedimento connesso rispetto a quello già impugnato dal ricorrente però per parti o per motivi diversi rispetto a quelli indicati dal ricorrente.

Con il ricorso incidentale il controinteressato diventa ricorrente a sua volta, in quanto presenta anche lui un ricorso e chiede al giudice di annullare un provvedimento amministrativo. In tal caso, il controinteressato fa valere a sua volta dei vizi del provvedimento impugnato e richiede l’annullamento in parte, al fine di mantenere lo stesso assetto di interessi ovvero al fine di restare comunque in una posizione utile al mantenere il bene della vita che aveva già ottenuto. Il ricorso in generale in genere viene presentato nelle procedure comparative, concorsi appalti.

In caso di accoglimento del ricorso incidentale, il controinteressato mantiene la situazione di vantaggio già verificata in virtù dei provvedimenti impugnati.

Come introdotto all’inizio, il ricorso incidentale più comune nel processo amministrativo è il ricorso incidentale cd. paralizzante o escludente. Paralizzante nel senso che, se si riesce a dimostrare con il ricorso incidentale la mancanza in capo al ricorrente delle condizioni dell’azione, allora il ricorso viene deciso per primo, in quanto pone delle questioni pregiudiziali ex articolo 276 C.P.C che, appunto, vengono decise per prime.

L’art. 276 C.P.C si applica al processo amministrativo perché vi è un preciso rinvio, infatti esso disciplina la modalità attraverso la quale il giudice deve decidere l’esito del giudizio. “La decisione è deliberata in segreto nella camera di consiglio. Ad essa possono partecipare soltanto i giudici che hanno assistito alla discussione”.

Nel processo amministrativo di solito c’è una sola udienza, più precisazione l’udienza di discussione in cui partecipano i difensori delle parti, il collegio giudicante e il segretario di udienza. Finita la discussione di solito fanno tutte le discussioni chiamate in quella giornata e poi si riuniscono in segreto nella camera di consiglio dove sono presenti solo i giudici e in tale occasione decidono l’esito della causa: “Il collegio, sotto la direzione del presidente, decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio e quindi il merito della causa”.

Il collegio decide gradatamente, ergo prima le questioni pregiudiziale proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio e solo successivamente, se sussistono i presupposti, decide il merito della causa.

I presupposti sono: la giurisdizione, la competenza, le condizioni dell’azione (interesse e legittimazione ad agire), tempestività della notifica e del deposito, e verificare che l’interesse ad agire perduri al momento della decisone.

Col ricorso incidentale paralizzante il controinteressato presenta un ricorso incidentale con cui asserisce che il ricorrente non doveva proprio essere ammesso alla procedura comparativa, ergo l’amministrazione avrebbe dovuto escludere la sua offerta e i provvedimenti dell’amministrazione vengono impugnati per la parte in cui non hanno escluso l’offerta del ricorrente principale.

Se il controinteressato riesce a dimostrare che l’offerta del ricorrente doveva essere proprio esclusa in radice. Se questo ricorso incidentale si rivela fondato il ricorso principale del ricorrente principale sarà inammissibile per difetto di interesse ad agire, in quanto il ricorrente principale se doveva essere escluso del tutto dalla selezione non ha interesse a contestare gli esiti di una selezione di cui non avrebbe dovuto prendere parte.

 

  1. ANALISI DAL PUNTO DI VISTA APPLICATIVO

È intuitivo che nelle gare vi è un soggetto che si aggiudica l’appalto a discapito di tutti gli altri partecipanti. Poniamo il caso che un soggetto, che non abbia vinto, propone ricorso. In tal caso, l’aggiudicatario diventa il controinteressato nel ricorso: il ricorrente (soggetto che ha perso) propone ricorso e solleva una serie di vizi, asserisce che la gara si sia svolta in maniera illegittima per una serie di ragioni o che ad essere illegittimità è l’ammissione dell’offerta dell’aggiudicatario; l’aggiudicatario (controinteressato) si vede notificare il ricorso. Egli ha tutto l’interesse a mantenere il bene della vita, e in molti casi presenta un ricorso incidentale con cui asserisce che l’offerta del ricorrente non doveva essere ammessa, ergo il ricorrente era privo dei requisiti per partecipare alla procedura.

In questi casi, il giudice amministrativo, almeno fino a poco tempo fa, sosteneva che la questione proposta dal controinteressato, che si configurava come ricorrente incidentale, è pregiudiziale ex art. 276 C.P.C perché se dovesse essere accolto il ricorso incidentale, ossia il ricorso principale viene dichiarato inammissibile, viene meno l’interesse ad agire del ricorrente principale ovvero è carente l’interesse. È evidente che in questo modo il ricorso principale non viene preso in considerazione perché non si valuta se è legittima o meno l’aggiudicazione disposta in favore all’aggiudicatario o l’ammissione dell’offerta dell’aggiudicatario. L’aggiudicatario gode, dunque, di un vantaggio, rispetto agli altri partecipanti nel processo amministrativo, solo perché è aggiudicatario.

Potrebbe essere che il ricorso principale sia fondato e quindi, ad essere illegittima non sia solo l’ammissione del ricorrente principale, ma anche l’aggiudicazione in favore dell’aggiudicatario.

A tale problematica è intervenuta l’Adunanza plenaria 4/2011 (CDS), la quale si distingue per la sua rilevanza perché è una delle prime che fornito delle interpretazioni sia per il C.P.A che per il processo amministrativo vero e proprio. Si è espressa sul rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale. L’Adunanza Plenaria era giunta alla conclusione che si doveva valutare prima il ricorso incidentale se ha natura paralizzante rispetto al ricorso principale.

Rispetto al problema dell’eventuale vantaggio di cui gode il controinteressato aggiudicatario, qui emerge la posizione di difendere la necessità di valutare prima il ricorso incidentale in relazione al principio che il processo amministrativo è un processo di diritto soggettivo e non di diritto oggettivo, ossia si asserisce che il processo è finalizzato a tutelare la situazione giuridica soggettiva del ricorrente che è un interesse legittimo, ma viene detto diritto soggettivo perché è funzionale alla tutela dell’interesse delle parti e non è di diritto oggettivo, in quanto quest’ultimo non è funzionale a tutelare la legittimità dell’attività amministrativa, ergo, se il ricorrente non può ottenere l’aggiudicazione dell’appalto perché doveva essere escluso, si dichiara il ricorso inammissibile senza guardare il merito del ricorso. Anche nel caso in cui il ricorrente principale alleghi l’interesse strumentale alla rinnovazione dell’intera procedura, ad es. i ricorrenti sono soltanto due, ed entrambi sostengono che l’altro concorrente doveva essere escluso, il giudice potrebbe accogliere entrambi i ricorsi e disporre la ripetizione della gara. In tal caso si realizza un interesse strumentale in capo al ricorrente grazie a cui è possibile ripetere la procedura selettiva, ergo, si possa partecipare nuovamente ad essa.

Vi è il dubbio se l’interesse strumentale costituisca un interesse ad agire sufficiente per ottenere dal TAR una sentenza nel merito.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha risposto negativamente, infatti o il ricorrente dimostra che può ottenere subito l’aggiudicazione dell’appalto oppure egli non è legittimato ossia non ha interesse a proporre ricorso che gli dichiara inammissibile.

Su tale posizione però, il TAR Piemonte, sez II, (Ordinanza 208/2012) rimette la questione con un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’UE in quanto pone il quesito del contrasto con l’art. 267 TFUE, il quale prevede che se un giudice nazionale dubita della compatibilità di una disposizione legislativa rispetto a una norma proveniente dall’UE può rimette la questione alla Corte di giustizia. Se i giudici, compreso quello amministrativo, ritengono che una legge sia in contrasto con una disposizione normativa dell’UE devono disapplicare la legge.

La Corte di giustizia dell’UE si è espressa il 4 Luglio 2013, con una prima sentenza riguardante una procedura con solo due offerte da due soggetti, dando ragione al TAR Piemonte e non all’ Adunanza Plenaria, asserendo che se le offerte sono due devono essere valutate entrambe, ergo sia il ricorso principale che quello incidentale, ma solo se i vizi che entrambi sollevano riguardano la stessa fase procedimentale (simmetria escludente).

Nel 2018 è la stessa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che si rivolge nuovamente alla Corte di giustizia, chiedendo come deve comportarsi se vi sono più imprese che vi partecipano e non abbiano solo due offerte ammesse. La Corte di giustizia ha risposto che in materia di appalti, anche se il ricorso incidentale paralizzante o escludente dovesse essere fondato, bisogna comunque valutare la fondatezza o meno del ricorso principale, dando così rilievo all’effettività della disciplina volta ad individuare, nel rispetto della libera concorrenza, la migliore offerta con cui l’amministrazione decide di stipulare un contratto (Sent. 5 settembre 2019).

Da questa evoluzione e sempre più spesso nei processi amministrativi, si è formata un’opzione per le parti di chiedere al Consiglio di Stato di rivolgersi alla Corte di giustizia per ottenere un’interpretazione in via pregiudiziale.

Anche il legislatore ha tentato svariati modi per snellire il contenzioso e uno di questi è stato una modifica all’art. 120 C.P.A, ma tale procedura super accelerata in materia di ammissione delle offerte è stata abrogata con una decreto legge di Aprile, convertito in legge a Giugno del 2019, il c.d decreto SBLOCCA CANTIERI, il quale “contiene una serie di norme per ridurre regolamenti e controlli nella gestione degli appalti pubblici e semplificare l’attività edilizia in generale, a partire dalle costruzioni sismiche, per le quali è necessaria la preventiva autorizzazione della Sovrintendenza dell’Ufficio tecnico regionale, e per finire alle distanze tra edifici (secolare DM 1444/1968)”.

Lili Liu, studentessa di Giurisprudenza presso l’Università di Trieste

Alte professionalità

In vista dell’area delle Elevate Professionalità nelle Pubbliche Amministrazioni

Intervento dell’avv. Fabio Petracci , Centro Studi di CIU Unionquadri, in occasione del Convegno Quadri e Alte Professionalità nel Pubblico Impiego.

Vedrò di sollevare alcuni quesiti per favorire ed avviare la discussione.

Stiamo trattando delle categorie delle alte professionalità nell’ambito del Pubblico Impiego, dove un grosso nucleo di professionalità appaiono  compresse nel cosiddetto inquadramento delle categorie non dirigenziali e dove si è voluto individuare il motore della macchina amministrativa esclusivamente nella dirigenza.

Ciò avviene, nonostante nell’organizzazione del lavoro privato presenti ormai e da tempo nuove forme di organizzazione che vede sempre più protagonisti lavoratori altamente qualificati che svolgono un lavoro non manuale volto alla produzione di output tendenzialmente intangibili.

Da molto tempo, sono emerse e si sono consolidate nuove istanze del ceto medio che dopo la marcia dei 40.000 e la lotta al livellamento retributivo, ora è alle prese con l’accentramento della ricchezza e la scomparsa di molte forme di mobilità sociale.

L’emergere di queste istanze ha trovato trova una seppur parziale risposta nel mondo del lavoro con la legge 190/85 che riconosce la categoria dei quadri intermedi, modificando l’articolo 2095 del codice civile.

Sul piano del lavoro pubblico, nonostante l’epocale riforma degli anni 90 che ha voluto introdurre la disciplina del lavoro privato nelle pubbliche amministrazioni un simile fermento non si è mai verificato.

Allorquando con la legge 421/1992 si delineava il nuovo assetto dell’impiego pubblico, nessun ostacolo normativo si frapponeva alla piena applicazione dell’articolo 2095 del codice civile che vede le categorie dei lavoratori suddivise in operai, impiegati, quadri e dirigenti.

Il tema era toccato sotto l’aspetto dello spazio contrattuale collettivo dall’articolo 40 del DLGS 165/2001 che prevedeva l’esistenza di una specifica e distinta disciplina nell’ambito dei contratti collettivi di comparto per coloro che svolgono compiti di direzione o che comportano iscrizione ad albi.

Con il DLGS 150/2009 l’articolo 40 era semi abrogato, restando la semplice previsione della possibilità per i contratti collettivi di istituire apposite sezioni per specifiche professionalità.

Trattandosi di un mondo del lavoro ormai collocato nell’ambito del diritto civile, ci si chiede il perché di questa differenziazione.

In primis, potremmo ritenere come l’organizzazione del lavoro pubblico, nonostante la riforma, non appaia in grado di fare propria la nuova organizzazione del lavoro della conoscenza nonché le istanze sociali ormai maturate.

Ove un tanto non fosse vero, potremmo azzardarci a ritenere l’esistenza nell’ambito del pubblico impiego di un deficit di pluralismo e libertà sindacale se non addirittura una certa sudditanza delle scelte legislative rispetto ad un ruolo anomalo del sindacato.

Nell’ambito di questa consolidata situazione, si inserisce l’esigenza straordinaria di una Pubblica Amministrazione altamente qualificata imposta dal PNRR.

E’ stata quindi introdotta per legge una ulteriore area professionale dove collocare le Elevate Professionalità.

Il contratto collettivo delle Funzioni Centrali ha recepito questa previsione meglio definendo quest’ambito di inquadramento.

Resta aperta la definizione dei criteri per l’accesso a quest’area di inquadramento.

Di fronte a questo improvviso mutamento di rotta che impone il riconoscimento de Elevate Professionalità serve focalizzare la nostra attenzione sui criteri di selezione degli appartenenti all’area professionale ad evitare trascinamenti ed automatismi, evitando pure che la nuova area automaticamente assorba anomale situazioni individuali e collettive già consolidate.

E’ necessario quindi creare una reale posizione retributiva e normativa per quanti verranno a far parte dell’area delle elevate professionalità.

Va attentamente verificata l’analoga ed inferiore area dei funzionari che ricalca per certi versi talune caratteristiche della nuova area delle Elevate Professionalità per verificare se vi sia un disegno di una Pubblica Amministrazione nel suo complesso totalmente professionalizzata.

Bisognerà ragionare oltre l’ipotesi prevista per il contratto delle amministrazioni centrali per poter tradurre la riforma nelle diverse amministrazioni, principalmente locali, dove esistono situazioni spesso difformi.

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In vigore il codice alfanumerico unico per indicare i CCNL con attribuzione affidata al CNEL

A partire da febbraio 2022, è in vigore l’attuazione del codice alfanumerico unico per indicare i CCNL (Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro), la cui attribuzione è demandata al CNEL.

Secondo l’articolo 16-quater del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 (cioè il Decreto Semplificazioni), è stato istituito il codice alfanumerico unico per l’indicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) nel settore privato.

Tale disposizione, come annunciato dalla Circolare INPS numero 170 del 12/11/2021, prevede che, in sede di acquisizione del contratto collettivo nell’archivio nazionale dei contratti collettivi di lavoro, nelle comunicazioni obbligatorie al Ministero del Lavoro per le denunce retributive mensili all’INPS, il dato relativo al contratto collettivo nazionale del lavoro (CCNL) che viene applicato al lavoratore, venga indicato attraverso il codice alfanumerico unico attribuito dal Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL).

Tale informazione sul contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al lavoratore subordinato era precedentemente trasmessa attraverso il flusso di denuncia Uniemens.

Questo passaggio da Uniemens INPS a Codice alfanumerico unico ha previsto un periodo di transizione in cui era consentito utilizzare anche il codice INPS, per dare modo ai datori di lavoro, ai consulenti, agli intermediari, nonché ai loro applicativi utilizzati per suddette denunce di adeguarsi alla nuova direttiva istituita.

Per consentire una progressiva transizione verso la nuova modalità relativo al codice alfanumerico unico per i CCNL, come appena accennato, c’è stata una fase di passaggio di durata bimestrale (Dicembre 2021 e Gennaio 2022) in cui l’invio del dato poteva essere effettuato o con il nuovo codice alfanumerico unico del CNEL o con il codice INPS.

Da febbraio 2022 invece, la trasmissione di tali dati avviene solo ed esclusivamente per mezzo del codice alfanumerico unico del CNEL.

Dott. Gilberto Roma

PARERE – Doppia imposizione fiscale tra Belgio e Italia

Egregio dottore,

a seguito di attento esame, con riferimento alle Sue molteplici richieste in merito alla situazione della Sua compagna, possiamo significare quanto segue.

Appare doveroso premettere, trattandosi di tematiche estremamente delicate ed attinenti alla normativa fiscale sia fiscale sia internazionale, che il presente parere viene reso sulla base delle informazioni fornite e si invita il richiedente a rivolgersi ad un commercialista esperto nel settore della fiscalità internazionale al fine di ricevere una consulenza più specifica oltre che per la corretta gestione degli adempimenti previsti dalla normativa applicabile.

Ciò posto, innanzitutto Le confermiamo che è possibile aprire la partita IVA in regime forfettario per i non residenti in Italia, purché risiedano in uno degli Stati membri dell’Unione europea (come il Belgio) e producano in Italia almeno il 75% del reddito complessivamente realizzato.

Procedendo all’esame delle Sue domande, in Italia la dichiarazione dei redditi dei non residenti deve essere presentata ogni qual volta si percepiscano redditi prodotti in Italia, anche se la residenza fiscale del contribuente è all’estero.

Ne consegue che, qualora vengano percepiti redditi sia in Italia sia in Belgio, dovrà essere presentata una dichiarazione dei redditi per ciascuno Stato.

La Convenzione del 1983 tra Italia e Belgio è stata stipulata proprio allo scopo di evitare la doppia imposizione fiscale relativamente alle imposte sui redditi.

Il fine delle convenzioni contro la doppia imposizione è duplice: da una parte esse permettono di evitare che lo stesso reddito venga tassato due volte (doppia imposizione in senso giuridico) e dall’altra provvedono a ripartire tra i due Stati contraenti le entrate tributarie derivanti dai redditi percepiti dal contribuente.

Pertanto, eventuali redditi conseguiti in Italia concorrono al reddito “complessivo”; peraltro, tendenzialmente negli Stati dell’UE lo svolgimento di attività di lavoro autonomo non è compatibile con la percezione dell’indennità di disoccupazione (sul punto, dovrà verificare la normativa belga).

La discriminante per individuare il paese di tassazione è la presenza o meno di una base fissa per l’esercizio delle attività del Professionista nello Stato diverso da quello di residenza, ovvero una sede o comunque un centro di attività di carattere fisso o permanente.

Ai fini dell’assoggettamento ad imposizione in Italia dei redditi da lavoro, l’articolo 3, comma 1, del TUIR (Testo Unico Imposte sui Redditi, D.P.R. n.917/1986), prevede che “l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’articolo 10 e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato”.

Inoltre, ai sensi dell’articolo 23, comma 1, lettera d), del TUIR si considerano prodotti nel territorio dello Stato italiano i redditi di lavoro autonomo derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato.

Tale trattamento fiscale potrebbe tuttavia essere modificato proprio in ragione della Convenzione per evitare le doppie imposizioni vigente tra Belgio e Italia.

Infatti, con particolare riferimento alle professioni indipendenti, l’art. 14 della Convenzione Italia-Belgio prevede che: “1. I redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae dall’esercizio di una libera professione o da altre attività di carattere indipendente sono imponibili soltanto in detto Stato a meno che tale residente non disponga abitualmente nell’altro Stato contraente di una base fissa per l’esercizio delle sue attività. Se egli dispone di tale base fissa, i redditi sono imponibili nell’altro Stato, ma unicamente nella misura in cui sono attribuibili a detta base fissa.

  1. L’espressione “libera professione” comprende in particolare le attività indipendenti di carattere scientifico, letterario, artistico, educativo o pedagogico, nonché le attività indipendenti dei medici, avvocati, ingegneri, architetti, dentisti e contabili”.

La citata disposizione convenzionale sancisce dunque la potestà impositiva esclusiva dello Stato di residenza, sempreché il professionista non disponga abitualmente nell’altro Stato contraente di una base fissa per l’esercizio delle sue attività.

In tale eventualità si applica la tassazione concorrente, che consente anche allo Stato della fonte (oltre allo Stato di residenza) di tassare i redditi attribuibili a tale base fissa.

Considerato quindi che la partita IVA verrebbe aperta in Italia e che l’attività verrebbe svolta esclusivamente verso clienti italiani a Milano, appare di conseguenza ipotizzabile che l’attività professionale, ai sensi della predetta norma convenzionale, sia considerabile come svolta esclusivamente in Italia attraverso una base fissa, con la conseguenza che il reddito derivante da tale attività sarà soggetto a tassazione nel nostro paese.

Sul punto e sullo svolgimento di attività di lavoro autonomo esclusivamente in Italia e nei confronti di clienti italiani, pare inoltre opportuno ribadire in questa sede che: “l’iscrizione del cittadino nell’anagrafe dei residenti all’estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali” (Cass. 16634/2018).

In altri termini, al di là della formale residenza stabilita fuori dal territorio nazionale, il contribuente sarà considerato fiscalmente residente in Italia ove venga provato, in sede amministrativa o giudiziale, che egli abbia mantenuto o stabilito il proprio domicilio civilistico nel nostro paese.

In tal senso, l’iscrizione all’AIRE deve ritenersi un mero dato formale, con ciò assegnando maggior valore al domicilio attribuibile al contribuente, “inteso come la sede principale degli affari e degli interessi economici nonché delle relazioni personali come desumibile da elementi presuntivi ed a prescindere dall’iscrizione del soggetto all’AIRE” (da ultimo, Cass. 21694/2020, 21695/2020, 21696/2020 e 21697/2020).

Quanto alla copertura sanitaria, gli iscritti AIRE non possono usufruire dell’assistenza sanitaria in Italia, beneficiando di quella del paese in cui risultano residenti.

In ogni caso, in quanto cittadina dell’UE, se la Sua compagna si dovesse ammalare nel corso di un soggiorno temporaneo – anche per motivi di lavoro – in Italia, avrà diritto alle cure mediche necessarie ed indispensabili.

L’apertura della partita IVA in Italia è condizione necessaria e sufficiente per poter regolarmente svolgere e fatturare attività di lavoro autonomo: considerata la situazione, Le consigliamo di rivolgersi ad un dottore commercialista esperto di fiscalità internazionale anche per tale adempimento.

Quanto al quesito sulla necessità o meno di coperture assicurative particolari, un tanto dipende dalla natura dell’attività consulenziale che andrà a svolgere la Sua compagna: qualora dovesse svolgere attività riservate agli iscritti ad albi professionali, oltre ad iscriversi all’albo di riferimento, dovrà altresì dotarsi di idonea assicurazione professionale.

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Rimaniamo a disposizione per eventuali chiarimenti e porgiamo cordiali saluti.

Trieste, 2 marzo 2022

 

Centro Studi Corrado Rossitto