Salario Minimo e Appalti. Dal contratto Multiservizi alla normativa in tema di appalti e di lavoro. Due trattamenti differenziati per appalti pubblici e non

Nonostante in sede istituzionale sia momentaneamente chiuso il discorso sul salario minimo, sempre peraltro sollecitato da molteplici indirizzi giurisprudenziali, proprio nell’ambito degli appalti dove la protezione del lavoro rischia di essere minore, sorgono per committente ed appaltatore importanti obblighi per il rispetto dei minimi retributivi.

Ciò dimostra la perenne vitalità ed il carattere fondamentale dell’articolo 36 della Carta Costituzionale.

Per quanto riguarda i più recenti indirizzi giurisprudenziali, i giudici del lavoro sono giunti a sindacare i minimi tabellari negoziati dalle sigle sindacali, verificandoli in ragione dei parametri costituzionali. (Cassazione 2 ottobre 2023 n.27722).

Tornando alla materia degli appalti, viene alla ribalta il contratto Multiservizi che il Tribunale di Milano con sentenza 11 settembre 2023, in forza dell’articolo 3 della legge n.12/2001 applicabile alle cooperative, ha ritenuto non affine all’oggetto dell’appalto considerato e quindi non applicabile ai dipendenti dall’appaltatore.

Il concetto di affinità all’oggetto dell’appalto (vedasi anche Tribunale di Genova 31/2022) riporta in qualche modo al contratto collettivo applicato nel settore dal committente.

È così introdotto un ulteriore elemento di complessità in qualche modo in controtendenza con gli ultimi interventi legislativi di sostanziale flessibilità (Legge Biagi – d.lgs. n.276/2003) che hanno abrogato il vincolo di parità di trattamento retributivo tra i dipendenti del committente e quelli dell’appaltatore.

Nel frattempo, è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.52 del 2 marzo 2024, il decreto legge 2 marzo 2024 n.19.

Tra le disposizioni di maggiore interesse, troviamo le modifiche apportate al d.lgs. n. 276/2003 articolo 29, che nel nuovo testo al comma 1-bis stabilisce che al personale impiegato nell’appalto di opere o servizi e nell’eventuale subappalto è corrisposto un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale maggiormente applicato nel settore e per la zona il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto.

Il testo precedente in vigore sino al 1° marzo 2024 nulla prevedeva in merito.

In realtà, la nuova normativa in tema di applicazione della contrattazione collettiva era già stata introdotta con il nuovo codice degli appalti, che all’art. 11, comma 1 stabilisce che “Al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente”.

Notiamo infatti che il predetto articolo 11 del codice degli appalti trova applicazione esclusiva negli appalti pubblici e fa riferimento ai contratti stipulati dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative.

Quest’ultimo riferimento invece manca nell’ambito generale lavoristico rappresentato dal nuovo testo dell’articolo 29 del d.lgs. n.276/2003 laddove il riferimento va al trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale maggiormente applicato nel settore e per la zona il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto.

Quindi il trattamento retributivo in questo caso va inteso in senso generale e complessivo alla contrattazione di zona e di settore.

Fabio Petracci

Novità per il preposto della sicurezza sul lavoro

Al centro dei cambiamenti introdotti dal D.L. 146/2021 vi è sicuramente la figura del preposto per la sicurezza sul lavoro.

Nel sistema del Decreto Legislativo 81/2008, il preposto per la sicurezza viene definito come il lavoratore che svolge il ruolo di sovrintendente dell’attività lavorativa e si fa garante dell’applicazione delle direttive del datore di lavoro in virtù delle sue competenze professionali e dei suoi poteri gerarchici e funzionali.

Trova inoltre applicazione il principio di effettività descritto all’articolo 299 del Testo Unico 81/2008, di conseguenza può definirsi preposto “di fatto” anche colui che esercita nel concreto la funzione di vigilanza e sovrintendenza senza aver ricevuto una nomina ufficiale o formale dal datore di lavoro.

A seguito della riforma, la nomina del preposto è sancita dall’aggiunta all’art. 18 del d.lgs. 81/2008 della lettera b-bis; tra gli obblighi per la sicurezza attribuiti al datore di lavoro è dunque specificamente aggiunto di: “individuare il preposto o i preposti per l’effettuazione delle attività di vigilanza di cui all’articolo 19. I contratti e gli accordi collettivi di lavoro possono stabilire l’emolumento spettante al preposto per lo svolgimento delle attività di cui al precedente periodo. Il preposto non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività”.

La mancata individuazione del preposto diventa quindi penalmente sanzionabile; rimane l’assoluta necessità di nominare il preposto nei casi di lavori svolti in appalto o subappalto.

L’integrazione all’art. 26 del D.Lgs. 81/2008 introduce peraltro l’obbligo per i datori di lavoro delle aziende appaltatrici e subappaltatrici di indicare al committente i nominativi dei soggetti che svolgono la funzione di preposto.

Pertanto, ogni azienda che lavora in un cantiere deve individuare un lavoratore, opportunamente formato, che ricopra il ruolo di preposto.

Ancora, i contratti e gli accordi collettivi possono stabilire l’emolumento, o il compenso, che compete al preposto in ragione dello svolgimento delle sue mansioni.

Quanto agli obblighi del preposto, lo stesso deve:

  • intervenire per modificare eventuali comportamenti non conformi, somministrando le dovute indicazioni di sicurezza;
  • interrompere l’attività del lavoratore che non attua le disposizioni di sicurezza e segnalarlo ai superiori diretti;
  • interrompere temporaneamente l’attività e segnalare al datore di lavoro eventuali non conformità e a situazioni di pericolo.

Per svolgere detti compiti, l’art. 37 con riguardo alla formazione del preposto prevede che: “le attività formative devono essere svolte interamente con modalità in presenza e devono essere ripetute, con cadenza almeno biennale e comunque ogni qualvolta ciò sia reso necessario in ragione dell’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di nuovi rischi”.

Lvoro precario

Nuovo Codice degli Appalti – Contrattazione Collettiva applicabile.

Le associazioni sindacali dotate di rappresentatività

Il precedente codice degli appalti, DLGS 50/2016 all’articolo (Principi per l’aggiudicazione e l’esecuzione di appalti e concessioni), stabilisce al comma 4 dopo aver indicato i principi generali per l’affidamento degli appalti, come al personale impiegato nei lavori (servizi e forniture)) oggetto di appalti pubblici e concessioni debba essere applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente.

Il Nuovo Codice degli Appalti in vigore dal 1 luglio 2023, DLGS 36/2023 all’articolo 11, in maniera maggiormente estesa e dettagliata stabilisce che

  1. al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente.
  2.   Nei bandi e negli inviti le stazioni appaltanti e gli enti concedenti indicano il contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato nell’appalto o nella concessione, in conformità al comma 1.
  3.   Gli operatori economici possono indicare nella propria offerta il differente contratto collettivo da essi applicato, purché garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente.
  4.   Nei casi di cui al comma 3, prima di procedere all’affidamento o all’aggiudicazione le stazioni appaltanti e gli enti concedenti acquisiscono la dichiarazione con la quale l’operatore economico individuato si impegna ad applicare il contratto collettivo nazionale e territoriale indicato nell’esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto per tutta la sua durata, ovvero la dichiarazione di equivalenza delle tutele. In quest’ultimo caso, la dichiarazione è anche verificata con le modalità di cui all’articolo 110.
  5.   Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti assicurano, in tutti i casi, che le medesime tutele normative ed economiche siano garantite ai lavoratori in subappalto.

Come dato a vedere, la nuova normativa pur stabilendo il medesimo obbligo, stabilisce a completamento una serie di oneri e di adempimenti per gli adempimenti della procedura.

In tal modo il contratto collettivo applicato deve essere indicato nei bandi e negli inviti delle stazioni appaltanti individuato nel contratto stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.

La dichiarazione di voler partecipare alla gara d’appalto deve inoltre contenere l’indicazione del contratto collettivo applicato.

La nuova normativa nel tentativo di non contraddire il principio di libertà sindacale di cui all’articolo 39 della Costituzione, consente agli operatori economici di indicare nella propria offerta il differente contratto collettivo applicato, a patto che quest’ultimo garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente.

Sul punto sarebbe interessante approfondire nella concreta applicazione della normativa cosa si intende per il requisito della medesima tutela.

Sicuramente dovranno intendersi i minimi retributivi che però non esauriscono il concetto di tutela.

In punto retribuzione, va ricordato come già il DL 7.12.1989 n.389 stabilisca l’ammontare della retribuzione imponibile ai fini dell’accreditamento della contribuzione.

L’articolo 1 del menzionato DL stabilisce come la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non possa essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto.

Il concetto di maggiore rappresentatività (vedasi Ordine dei Consulenti del Lavoro, Consiglio Provinciale di Napoli XVIII Master in Diritto Del Lavoro, Dal Diritto Pandemico a quello della Ripartenza. Il PNRR. Le Proposte dei Consulenti del Lavoro, mercoledì 3 novembre 2021 WEBINAR – La maggiore rappresentatività comparata: L’incompiuta la distinzione tra sindacato maggiormente rappresentativo e comparativamente – Avvocato Raffaele Riccardi).

Sul punto, in merito alla differenziazione tra sindacato maggiormente rappresentativo e comparativamente più rappresentativo, il primo criterio fa riferimento ad un sindacato che possa in termini assoluti considerarsi maggiormente rappresentativo a seguito di una verifica in termini assoluti e di fatto, il secondo invece accenna ad una selezione ed a una comparazione tra i sindacati.

Il concetto di maggiore rappresentatività espresso dall’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori ha subito importanti evoluzioni.

Con il referendum del 1995 l’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori perdeva il riferimento generale alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Restava esclusivamente il riferimento a tutte le confederazioni che, seppure non affiliate alle predette confederazioni, fossero firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali applicati nell’unità produttiva.

Il predetto referendum del 1995 abrogava inoltre in tale riferimento anche le parole “nazionali o provinciali”: In tal modo, anche la sottoscrizione di un contratto aziendale era idoneo a conferire la rappresentatività al sindacato.

Quindi, la Corte Costituzionale con la sentenza 231/2013, dichiarava l’illegittimità sindacale della residua parte dell’articolo 19 della legge 300/70 nella parte in cui non prevedeva che la rappresentatività spettasse pure alle organizzazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, avessero comunque partecipato alla negoziazione degli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda, pur non avendoli poi sottoscritti.

Il DM 15 luglio 2014 n.14280 ter in tema di composizione della Commissione Consultiva Permanente per la Salute e la Sicurezza sul Lavoro ha individuato sulla scorta degli orientamenti giurisprudenziali i criteri per la valutazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali e datoriali, nei seguenti termini:

  1. Consistenza numerica degli associati;
  2. Ampiezza e diffusione sul territorio nazionale;
  3. Partecipazione alla formazione ed alla stipulazione del contratto collettivo di lavoro;
  4. Intervento dell’organizzazione nelle controversie di lavoro, individuali, plurime e collettive.

Mediante l’introduzione del codice alfanumerico unico attribuito dal CNEL a ciascun CCNL depositato possono essere dedotti i dati concernenti la diffusione dell’organizzazione sindacale nel territorio ed il numero e la tipologia dei contratti sottoscritti.

Fabio Petracci

Nuovo Codice degli appalti DLGS 36/2023. Cosa cambia per il lavoro

Il nuovo codice degli appalti (dlgs. 36/2023) è entrato in vigore il 1° aprile 2023, ma le sue disposizioni acquistano efficacia dal 1° luglio 2023.

Tra le novità introdotte dall’intervento normativo ve ne sono alcune di primaria importanza sotto il profilo lavoristico.

  1. Applicazione contrattazione collettiva.

Anzitutto, ai sensi dell’art. 11 del nuovo Codice – rubricato “Principio di applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore. Inadempienze contributive e ritardo nei pagamenti” – trova applicazione nei confronti del personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni il contratto collettivo (nazionale e territoriale) in vigore per il settore e per la zona nella quale vengono eseguite le prestazioni di lavoro.

Il contratto collettivo da applicare deve essere indicato nei bandi di gara ed è quello stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente.

I soggetti che partecipano alla gara di appalto possono però indicare nella propria offerta il differente contratto collettivo dagli stessi applicato, purché garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente.

In tale ultimo caso, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti devono acquisire una dichiarazione con la quale l’operatore economico individuato si impegna ad applicare il contratto collettivo nazionale e territoriale indicato nell’esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto per tutta la sua durata, ovvero la dichiarazione di equivalenza delle tutele prima di procedere all’affidamento o all’aggiudicazione.

Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti sono comunque tenute ad assicurare che le medesime tutele normative ed economiche siano garantite anche ai lavoratori in subappalto.

  1. Inadempienza contributiva.

In caso di inadempienza contributiva risultante dal documento unico di regolarità contributiva (DURC) relativo al personale dipendente dell’affidatario o del subappaltatore o dei soggetti titolari di subappalti e cottimi, impiegato nell’esecuzione del contratto, la stazione appaltante trattiene dal certificato di pagamento l’importo corrispondente all’inadempienza per il successivo versamento diretto agli enti previdenziali e assicurativi, compresa, nei lavori, la cassa edile.

  1. La ritenuta a garanzia.

In ogni caso sull’importo netto progressivo delle prestazioni è operata una ritenuta dello 0,50%. Esse possono essere svincolate, ma soltanto in sede di liquidazione finale, dopo l’approvazione da parte della stazione appaltante del certificato di collaudo o di verifica di conformità, previo rilascio del documento unico di regolarità contributiva.

  1. Ritardato o mancato pagamento delle retribuzioni.

Infine, in caso di ritardo nel pagamento delle retribuzioni dovute ai lavoratori, il responsabile unico del progetto invita per iscritto il soggetto inadempiente, ed in ogni caso l’affidatario, a provvedervi entro i successivi 15 giorni.

Ove non sia stata contestata formalmente e motivatamente la fondatezza della richiesta entro il termine, il Legislatore pone a carico della stazione appaltante il pagamento delle retribuzioni arretrate, anche in corso d’opera, direttamente ai lavoratori, detraendo il relativo importo dalle somme dovute all’affidatario del contratto o dalle somme dovute al subappaltatore inadempiente nel caso in cui sia previsto il pagamento diretto.

  1. Clausole sociali.

Ai sensi dell’art. 57, invece, – rubricato “Clausole sociali del bando di gara e degli avvisi e criteri di sostenibilità energetica e ambientale” – gli affidamenti dei contratti di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale e per i contratti di concessione i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti, tenuto conto della tipologia di intervento, devono contenere specifiche clausole sociali con le quali sono richieste, come requisiti necessari dell’offerta, misure orientate tra l’altro a garantire:

le pari opportunità generazionali, di genere e di inclusione lavorativa per le persone con disabilità o svantaggiate;

la stabilità occupazionale del personale impiegato;

l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore, tenendo conto di quelli stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e di quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente;

le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell’appaltatore e contro il lavoro irregolare.

  1. Il subappalto.

In materia di subbappalto, infine, l’art. 119 prevede la responsabilità in solido dell’affidatario rispetto: alla osservanza del trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni da parte dei subappaltatori nei confronti dei loro dipendenti per le prestazioni rese nell’ambito del subappalto; nonché gli obblighi retributivi e contributivi, ai sensi dell’articolo 29 del D.Lgs. n. 276/2003.

L’appaltatore è però liberato dalla responsabilità solidale se il subcontraente è una microimpresa o impresa piccola ovvero su richiesta del subcontraente e se il contratto lo consente.

Il personale Tecnico Amministrativo che opera nell’ambito degli appalti.

Cosa cambia con il DLGS 36/2023?

Gli incentivi per il personale che svolge funzioni tecniche nell’appalto.

La questione ha costituito un punto molto importante e discusso nell’ambito della disciplina degli appalti, a 30 anni dall’entrata in vigore della legge Merloni.

La legge Merloni – legge 109/1994 all’articolo 18 prevedeva nel caso di lavori pubblici ed appalti di opere e di servizi (articolo 2 della legge medesima) un incentivo a valere sugli stanziamenti appositi nella misura del 15% a favore del personale addetto alle procedure di appalto.

Così stabiliva questa disposizione di legge dopo le modifiche apportate nel 1999:

Articolo 18.

  1. Una somma non superiore all’1,5 per cento dell’importo posto a base di gara di un’opera o un lavoro, a valere direttamente sugli stanziamenti di cui all’articolo 16, comma 7, è ripartita, per ogni singola opera o lavoro, con le modalità ed i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata ed assunti in un regolamento adottato dall’amministrazione, tra il responsabile unico del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo nonché tra i loro collaboratori. La percentuale effettiva, nel limite massimo dell’1,5 per cento, è stabilita dal regolamento in rapporto all’entità e alla complessità dell’opera da realizzare. La ripartizione tiene conto delle responsabilità professionali connesse alle specifiche prestazioni da svolgere. Le quote parti della predetta somma corrispondenti a prestazioni che non sono svolte dai predetti dipendenti, in quanto affidate a personale esterno all’organico dell’amministrazione medesima, costituiscono economie. I commi quarto e quinto dell’articolo 62 del regio decreto 23 ottobre 1925, n. 2537, sono abrogati. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, lettera b), possono adottare con proprio provvedimento analoghi criteri.
    (comma così sostituito dall’articolo 13, comma 4, legge n. 144 del 1999)

Con il DLGS 163/2006, i compensi per detto personale erano affidati ad apposito decreto emanato dal Ministero di Giustizia.

Entrava in vigore successivamente il DL 90/2014 che convertito nella legge 114/2014 all’articolo 7 ter stabiliva che

L’80 per cento delle risorse finanziarie del fondo per la progettazione e l’innovazione è ripartito, per ciascuna opera o lavoro, con le modalità e i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata integrativa del personale e adottati nel regolamento di cui al comma 7-bis, tra il responsabile del procedimento e gli incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, nonché tra i loro collaboratori; gli importi sono comprensivi anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell’amministrazione. Il regolamento definisce i criteri di riparto delle risorse del fondo, tenendo conto delle responsabilità connesse alle specifiche prestazioni da svolgere, con particolare riferimento a quelle effettivamente assunte e non rientranti nella qualifica funzionale ricoperta, della complessità delle opere, escludendo le attività manutentive, e dell’effettivo rispetto, in fase di realizzazione dell’opera, dei tempi e dei costi previsti dal quadro economico del progetto esecutivo. Il regolamento stabilisce altresì i criteri e le modalità per la riduzione delle risorse finanziarie connesse alla singola opera o lavoro a fronte di eventuali incrementi dei tempi o dei costi previsti dal quadro economico del progetto esecutivo, redatto nel rispetto dell’articolo 16 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, depurato del ribasso d’asta offerto. Ai fini dell’applicazione del terzo periodo del presente comma, non sono computati nel termine di esecuzione dei lavori i tempi conseguenti a sospensioni per accadimenti elencati all’articolo 132, comma 1, lettere a), b), c) e d). La corresponsione dell’incentivo è disposta dal dirigente o dal responsabile di servizio preposto alla struttura competente, previo accertamento positivo delle specifiche attività svolte dai predetti dipendenti. Gli incentivi complessivamente corrisposti nel corso dell’anno al singolo dipendente, anche da diverse amministrazioni, non possono superare l’importo del 50 per cento del trattamento economico complessivo annuo lordo. Le quote parti dell’incentivo corrispondenti a prestazioni non svolte dai medesimi dipendenti, in quanto affidate a personale esterno all’organico dell’amministrazione medesima, ovvero prive del predetto accertamento, costituiscono economie. Il presente comma non si applica al personale con qualifica dirigenziale.

Con il codice degli appalti DLGS 50/2016

L’articolo 113 del DLGS 50/2016 Codice degli appalti disciplina nuovamente gli incentivi destinati alle funzioni tecniche e tecnico – amministrative nell’ambito degli appalti di lavori pubblici di lavori, servizi, forniture.

E’ stabilito un obbligo per ciascuna amministrazione di prevedere una quota pari al 2% sull’importo posto a base di gara.

All’intero, una quota pari all’80% è attribuita per ciascuna opera o servizio, secondo modalità da concordarsi in sede di contrattazione collettiva decentrata e sulla base di un regolamento adottato da ogni singola amministrazione.

La restante quota pari al 20% può invece essere utilizzata per l’acquisto di beni, servizi, o per tirocini professionali.

Il nuovo codice degli appalti. DLGS 36/2023.

Con il nuovo codice degli appalti DLGS 36/2023 articolo 45 e allegato 1.10, la materia subisce ulteriori modifiche e specificazioni-

Il nuovo codice conferma la previsione che vuole devoluto alle funzioni tecniche – amministrative il 2% –

L’allegato 1.10 specifiche le attività tecnico amministrative che potranno avvalersi della previsione.

Se gli incentivi rappresentano il 2% dell’importo dei lavori, su questa quota è operata una ulteriore ripartizione.

L’80% è desinato ai tecnici ed il residuo 20% può essere utilizzato per l’acquisto di beni, strumenti, servizi o per tirocini e corsi, ma anche per l’introduzione di nuove tecnologie.

E’ inoltre aumentato il tetto massimo degli incentivi che viene elevato al 100% del tetto retributivo individuale, mentre il DLGS 50/2016 prevedeva un tetto massimo del 50%.

Pagamento diretto.

Non si verificherà più nessuna confluenza delle somme dovute nel fondo per l’incentivazione.

Gli importi saranno invece erogati direttamente al personale dipendente.

L’allegato I.10 contiene inoltre un elenco tassativo delle attività tecniche destinatarie degli stanziamenti. Ne riportiamo il testo:

“ALLEGATO I.10 – Attività tecniche a carico degli stanziamenti previsti per le singole procedure (Articolo 45, comma 1)

Attività di:

– programmazione della spesa per investimenti;
– responsabile unico del progetto;
– collaborazione all’attività del responsabile unico del progetto (responsabili e addetti alla gestione tecnico-amministrativa dell’intervento)
– redazione del documento di fattibilità delle alternative progettuali;
– redazione del progetto di fattibilità tecnica ed economica;
– redazione del progetto esecutivo;
– coordinamento per la sicurezza in fase di progettazione;
– verifica del progetto ai fini della sua validazione;
– predisposizione dei documenti di gara;
– direzione dei lavori;
– ufficio di direzione dei lavori (direttore/i operativo/i, ispettore/i di cantiere);
– coordinamento per la sicurezza in fase di esecuzione;
– direzione dell’esecuzione;
– collaboratori del direttore dell’esecuzione
– coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione;
– collaudo tecnico-amministrativo;
– regolare esecuzione;
– verifica di conformità;
– collaudo statico (ove necessario).”

Per quanto riguarda le erogazioni, pare non si rendono più necessarie negoziazioni in sede sindacale o regolamenti aziendali.

Stabilisce il nuovo codice degli appalti sempre all’articolo 45 testualmente che:

I criteri del relativo riparto, nonché quelli di corrispondente riduzione delle risorse finanziarie connesse alla singola opera o lavoro, a fronte di eventuali incrementi ingiustificati dei tempi o dei costi previsti dal quadro economico del progetto esecutivo, sono stabiliti dalle stazioni appaltanti e dagli enti concedenti, secondo i rispettivi ordinamenti, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del codice.

L’articolo 45 del Codice Appalti stabilisce inoltre che che

“l’allegato I.10 è abrogato a decorrere dalla data di entrata in vigore di un corrispondente regolamento adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici, che lo sostituisce integralmente anche in qualità di allegato al codice.”

Stabilisce inoltre l’articolo 45 in termini innovativi come la normativa incentivante si applichi anche agli appalti relativi a servizi o forniture nel caso in cui è nominato il direttore dell’esecuzione.

La competenza dell’erogazione è con il nuovo codice del dirigente incaricato, sentito il RUP-

Così stabilisce l’articolo 45 del nuovo Codice Appalti al comma 4:

L’incentivo di cui al comma 3 è corrisposto dal dirigente, dal responsabile di servizio preposto alla struttura competente o da altro dirigente incaricato dalla singola amministrazione, sentito il RUP, che accerta e attesta le specifiche funzioni tecniche svolte dal dipendente.

Inoltre l’articolo 45 già citato del nuovo codice appalti stabilisce pure in maniera dettagliata la destinazione del residuo 20% del fondo, nei seguenti termini:

“6.    Con le risorse di cui al comma 5 l’ente acquista beni e tecnologie funzionali a progetti di innovazione, anche per incentivare:

  1. a)  la modellazione elettronica informativa per l’edilizia e le infrastrutture;
  2. b)  l’implementazione delle banche dati per il controllo e il miglioramento della capacità di spesa;
  3. c)  l’efficientamento informatico, con particolare riferimento alle metodologie e strumentazioni elettroniche per i controlli.
  4.   Una parte delle risorse di cui al comma 5 è in ogni caso utilizzata:
  5. a)  per attività di formazione per l’incremento delle competenze digitali dei dipendenti nella realizzazione degli interventi;
  6. b)  per la specializzazione del personale che svolge funzioni tecniche;
  7. c)  per la copertura degli oneri di assicurazione obbligatoria del personale.
  8.   Le amministrazioni e gli enti che costituiscono o si avvalgono di una centrale di committenza possono destinare, anche su richiesta di quest’ultima, le risorse finanziarie di cui al comma 2 o parte di esse ai dipendenti di tale centrale in relazione alle funzioni tecniche svolte. Le somme così destinate non possono comunque eccedere il 25 per cento dell’incentivo di cui al comma 2.”

La Redazione

Contratto di logistica e responsabilità solidale del committente nei confronti dei dipendenti dall’appaltatore.

Contratto di logistica e tutela del personale

Nell’ambito del decentramento produttivo, la normativa del lavoro prevede forme di responsabilizzazione dei soggetti interessati nei confronti dei lavoratori e di tutela di questi ultimi.

In proposito, la legge vuole evitare che il trasferimento a cascata dei processi produttivi finisca per pregiudicare le ragioni creditorie dei dipendenti che rischiano di affidarsi a controparti via via meno solvibili e consistente.

E’ quanto accade nell’ambito dell’appalto che ad oggi appare come la forma principale di decentramento produttivo.

In tal senso, la normativa agisce su di un duplice piano.

In primo luogo, si vuole combattere l’elusione, circoscrivendo l’ambito di quello che viene definito coma appalto genuino e quindi quello che possiede tutti i requisiti di cui all’articolo 1655 come l’organizzazione da parte dell’appaltatore di tutti i mezzi per il compimento dell’opera e l’assunzione del relativo rischio economico, rispetto al fenomeno della somministrazione di lavoro che assume carattere fraudolento laddove non autorizzato dalla legge.

In secondo luogo, la legge prevede nell’ambito dell’appalto, forme di responsabilità solidale del nei confronti dei dipendenti.

Quivi troviamo in primo luogo l’articolo 29 comma 2 del DLGS 276/2003 che stabilisce come in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro, è obbligato in solido con l’appaltatore e con altri eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto a corrispondere i trattamenti retributivi e contributivi maturati.

Il committente assume così una posizione di garanzia anche a favore dei dipendenti di terzi come l’appaltatore o gli eventuali subappaltatori.

Sempre a tutela dei crediti dei lavoratori, il codice civile prevede l’azione diretta di cui all’articolo 1676 del codice civile che prevede la possibilità per i dipendenti dall’appaltatore di agire direttamente nei confronti del committente per soddisfarsi sui crediti che l’appaltatore vanta nei confronti di quest’ultimo.

Il contratto di logistica

Sempre nel campo del decentramento produttivo, assume sempre maggiore rilievo il campo della logistica che un tempo si limitava al semplice trasporto ed immagazzinamento.

L’appalto di logistica è divenuta ormai un’importante successione di attività e fasi che poco hanno a che fare con il trasporto. Si parla ormai infatti di logistica integrata.

A disciplinare il fenomeno produttivo è intervenuto l’articolo 1677 del Codice Civile che ha stabilito come qualora l’appalto abbia per oggetto, congiuntamente, la prestazione di due o più servizi di logistica relativi alle attività di ricezione, trasformazione, deposito, custodia, spedizione, trasferimento e distribuzione di beni di un altro soggetto, alle attività di trasferimento di cose da un luogo all’altro, si applicano le norme relative al contratto di trasporto in quanto compatibili.

Dunque, pare chiaro come le attività integrate vengano assimilate all’appalto dove l’articolo 1677 del Codice Civile trova la propria collocazione e la restante attività di trasporto se compatibile troverà l’applicazione della normativa in tema di trasporto.

Dunque, una sostanziale equiparazione della logistica integrata all’appalto almeno como sottotipo della stesa.

Le tutele del lavoro nel contratto di logisticaL’opinione del Ministero del Lavoro

Appurata la riconduzione del contratto di logistica integrata quale sottospecie dell’appalto, ci si chiede se a tale forma di decentramento della produzione, possano applicarsi le forme di tutela dei crediti dei dipendenti previsto per gli appalti.

Il Ministero del Lavoro, con l’interpello 1/2022 – Appalto di Servizi di Logistica; Responsabilità Solidale, richiesto dalle Organizzazioni Sindacali FILT CGIL e FIT CISL, in data 17 ottobre 2022 ha ritenuto come l’appalto di logistica configuri un ipotesi di appalto di servizi tenuto conto della scelta del legislatore di collocarne la disposizione nel titolo III Capo VII del Codice Civile che reca le disposizioni in tema di appalto, sia in base al tenore letterale dell’articolo 1677 del Codice Civile che stabilisce l’applicazione delle norme relative al contratto di trasporto” in quanto compatibili”.

Sulla base di tali ragioni, il Ministero del Lavoro ha ritenuto applicabile al contratto di trasporto il regime di solidarietà di cui all’articolo 29, comma 2 del DLGS 276/2003 e ciò allorquando si accerti il compimento di attività ulteriori rispetto allo schema tipico del traporto, oppure qualora l’attività si configuri come vero e proprio appalto di trasporto che, per come configurato dalla giurisprudenza, si caratterizza per “la predeterminazione e la sistematicità dei servizi, accompagnate dalla pattuizione di un corrispettivo unitario e dall’assunzione dei rischi da parte del trasportatore.” (Cass. n. 6160 del 13 marzo 2009).

Dunque chi affida le attività di trasporto e logistica a terzi deve tener conto della responsabilità che sullo stesso incombe per il pagamento dei dipendenti degli affidatari dei servizi.

Fabio Petracci

La tutela dei lavoratori negli appalti di logistica

Il contratto di appalto è molto usato dalle imprese, specialmente nella forma dell’appalto di servizi. Nell’ordinamento italiano si è scelto di tutelare i crediti – compresi TFR, contributi previdenziali e premi assicurativi – dei lavoratori impiegati nell’appalto attraverso il meccanismo della responsabilità solidale tra appaltante e appaltatore.

In effetti, l’art. 29, comma 2 del d.lgs. 276/2003 stabilisce proprio come “in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi”.

Nel corso degli anni si sono sempre più sviluppati, assumendo particolare importanza, gli appalti nel settore della logistica.

Preso atto del fenomeno, il legislatore è intervenuto con una specifica norma, l’art. 1677 bis c.c., in base al quale: “Se l’appalto ha per oggetto, congiuntamente, la prestazione di due o più servizi di logistica relativi alle attività di ricezione, trasformazione, deposito, custodia, spedizione, trasferimento e distribuzione di beni di un altro soggetto, alle attività di trasferimento di cose da un luogo a un altro si applicano le norme relative al contratto di trasporto, in quanto compatibili”.

Nella pratica era tuttavia sorto il dubbio se detta responsabilità solidale potesse operare con riferimento alle prestazioni lavorative relative alle attività di semplice trasporto di cose, in quanto al contratto di trasporto non trova applicazione la norma sulla responsabilità solidale negli appalti.

Il Ministero del Lavoro è quindi intervenuto con un interpello, il n.1/2022, chiarendo che anche nel caso di appalti di più servizi di logistica come descritti nell’art. 1677-bis c.c. trova applicazione la disciplina della responsabilità solidale prevista dall’art. 29 del d.lgs. 276/2003.

Tale conclusione deriva dalla considerazione secondo la quale la logistica rappresenta una peculiare ipotesi di contratto di appalto di servizi e perciò non risulta possibile escludere il regime di solidarietà sia perché l’esclusione sarebbe incoerente con la disciplina generale dell’appalto, sia perché introdurrebbe una irragionevole riduzione di tutela per il lavoratore impegnato nelle sole attività di trasferimento di cose dedotte in un contratto di appalto.

Sul punto va ricordato come era già intervenuta la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 254/2017, che aveva affermato la necessità di un’interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata dell’art. 29, comma 2, d.lgs. 276/2003, con la finalità di garantire ai lavoratori una tutela adeguata, evitando che i meccanismi di decentramento produttivo e di dissociazione fra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione vadano a danno dei lavoratori.

Il preposto. Una nuova figura di responsabile operativo della sicurezza

Con la legge 215/2021 è stato convertito in legge il DL 146/2021 mirato al rafforzamento della disciplina in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Tra le norme rilevanti in materia, l’articolo 13 del decreto legge apporta numerose modifiche al DLGS 81/2008

A modifica dell’articolo 18 di quest’ultima disposizione di legge, è posta a carico dei datori di lavoro la formale individuazione della figura del preposto in ambito aziendale per l’effettuazione della concreta attività di vigilanza, mediante una specifica figura professionale cui la legge riconosce un particolare trattamento economico e normativo demandato ai contratti ed agli accordi collettivi di settore.

Andranno quindi adeguatamente chiariti l’ambito e le modalità di applicazione di tale normativa.

I primi obblighi che balzano all’attenzione sono quello della nomina formale di un preposto cui dovrà far seguito un incremento stipendiale in ragione delle maggiori responsabilità attribuite dalla legge.

Sul punto, andrebbero individuati i casi in cui si rende necessaria ed inderogabile la nomina del preposto. Un tanto potrebbe anche essere chiarito senza ulteriori interventi normativi nel documento di valutazione dei rischi.

Per quanto riguarda l’obbligo di integrazione retributiva, va notato che con la nuova previsione di legge si ampliano le competenze di questa nuova figura professionale cui dovrebbe corrispondere una diversa declaratoria contrattuale. Per quanto riguarda i nuovi compiti attribuiti al preposto, gli è conferito il potere di interrompere l’attività del lavoratore e informare i superiori diretti, in caso di mancata attuazione delle disposizioni o di persistenza dell’inosservanza.

Quindi un potere decisionale autonomo ed immediato destinato ad influire, come già rilevato, sulla declaratoria professionale nel contratto.

Nella sostanza l’intera vigilanza comportamentale è ora attribuita ad una figura ben individuata come quella del preposto.

Rilevante diviene questa previsione nel caso di appalto, laddove l’articolo 36 del Testo Unico sulla Sicurezza è integrato prevedendo un’integrazione che stabilisce la nomina del preposto e la comunicazione al committente anche in caso di affidamento di lavori in appalto.

Fabio Petracci

Appalto pubblico

  1. Appalto pubblico; 2. Le procedure di appalto: D.lgs. 50/2016; 3. Disciplina amministrativa: l’articolo 120 C.P.A; 4. Ricorrente principale: procedura di impugnazione; 5. Come agire nei confronti del ricorrente principale: ricorso incidentale paralizzante o escludente; 6. Analisi dal punto di vista applicativo.

 

  1. APPALTO PUBBLICO

L’appalto in generale è un contratto “col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di una opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro” ex articolo 1655 C.C.

Diversamente è l’appalto pubblico, il quale trova la sua disciplina, nonché il procedimento, nell’articolo 120 del codice del processo amministrativo (C.P.A) e nel D.lgs. 50/2016, quest’ultimo noto anche come “Codice degli appalti” ovvero “Codice dei contratti pubblici”.

 

  1. LE PROCEDURE DI APPALTO: D.LGS. 50/2016

Le procedure di appalto sono quelle attraverso cui l’amministrazione individua un soggetto con cui stipulare un contratto oppure individua un contraente. Una disciplina molto dettagliata si trova nel D.lgs. 50/2016 ed è una normativa che quasi integralmente deriva dalle direttive dell’UE. L’amministrazione, quando deve individuare il contraente per stipulare un contratto, in specie quando il contratto supera alcune soglie di valore, deve seguire determinate procedure in cui, quasi sempre, vi è un atto, detto bando di gara o lettera d’invito, in cui viene indicata tutta una serie di requisiti per poter partecipare alla gara. Solo successivamente, le imprese partecipanti, entro i termini previsti dal bando, presentano le loro offerte.

In genere, i partecipanti presentano sempre due buste chiuse: l’amministrazione apre per prima quella con la documentazione amministrativa per valutare che tutti i partecipanti sono in possesso dei requisiti per partecipare e infine emette dei provvedimenti di ammissione o esclusione. In quella con l’offerta tecnica invece, i partecipanti fanno la vera e propria offerta, preciseranno a che prezzi e a che condizioni sono in grado di fornire le prestazioni che l’amministrazione desidera.

Dopo questa fase, l’amministrazione aprirà la busta con le offerte tecniche solo delle imprese ammesse.

 

  1. DISCIPLINA AMMINISTRATIVA: L’ARTICOLO 120 C.P.A

L’articolo 120 C.P.A si applica alle procedure di affidamento, di pubblici lavori, servizi e forniture, ivi comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico-amministrative, i provvedimenti adottati dall’Autorità nazionale anticorruzione, sempre in materia di affidamento di appalti pubblici.

L’ANAC (Autorità nazionale anti corruzione) svolge un’attività di ausilio nelle procedure di appalto, come ad esempio viene segnalato all’ANAC con l’esclusione dell’impresa dalle successive gare quando quest’ultima rilascia delle dichiarazioni false o è gravemente inadempiente nei precedenti contratti pubblici viene.

Siamo nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ergo vi è la sola tutela degli interessi legittimi e il giudice ha giurisdizione fino al provvedimento di aggiudicazione. Dopo di ciò, l’amministrazione stipula il contratto con l’aggiudicatario. E dal contratto in poi la giurisdizione è del giudice ordinario.

La peculiarità della disciplina è che il termine per proporre ricorso è dimezzato e per le materie ex art 120 C.P.A non è possibile proporre ricorso straordinario davanti al Presidente della Repubblica.

Vi può sorgere dei problemi tra il provvedimento amministrativo di aggiudicazione e il contratto, in specie, le conseguenze sul contratto a causa del successivo annullamento del provvedimento di aggiudicazione. Vi erano infatti, diversi casi in cui la sentenza accoglieva il ricorso e annullava il provvedimento di aggiudicazione, ma il contratto era stipulato ed eseguito. Il contratto ha effetto tra le parti e i terzi, ossia quelli che hanno proposto ricorso per l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione e non possono rivolgersi al giudice per far valere eventuali cause di invalidità del contratto. Secondo la Cassazione, solo l’amministrazione poteva agire dinanzi al giudice ordinario per chiedere l’annullamento del contratto stipulato, facendo valere un vizio del consenso. Ne conseguenze che il ricorrente non ha una tutela effettiva, anche se il provvedimento di aggiudicazione era annullato. Per arginare ciò, l’articolo 120 C.P.A ha previsto un rito veloce.

Un rimedio a tale problematica è la previsione della CLAUSOLA DI STAND STILL, la quale impone all’amministrazione di fermarsi dopo l’aggiudicazione di modo tale da permettere agli interessati di proporre ricorso:

  • Il contratto va stipulato entro 60 giorni dopo l’aggiudicazione (regola generale);
  • il contratto non può comunque essere stipulato prima di 35 giorni dall’invio dell’ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione (clausola stand still);
  • l’amministrazione, la stazione appaltante deve comunicare immediatamente, entro 5 giorni, a tutti i partecipanti i vari provvedimenti (aggiudicazione, eventuale esclusione, decisione di non aggiudicare l’appalto, la data di stipula del contratto) perché dalla comunicazione decorre il termine per rivolgersi al giudice. Queste comunicazioni vanno fatte via PEC, dove viene indicato il soggetto aggiudicatario e il termine dilatorio per la stipulazione del contratto;
  • dall’invio dell’ultima PEC, l’amministrazione aspetta 35 giorni prima di stipulare perché il termine per proporre ricorso al TAR è di 30 giorni;
  • se viene notificato un eventuale ricorso, contro l’aggiudicazione, il periodo di stand still viene prolungato;
  • negli appalti il ricorrente deve proporre la domanda cautelare in quanto tutela sia il ricorrente che l’amministrazione. In questo caso l’amministrazione deve attendere i successivi 20 giorni, purché intervenga almeno il provvedimento cautelare di primo grado, o almeno la sentenza di primo grado;
  • l’effetto sospensivo sulla stipula del contratto cessa se il giudice con ordinanza si dichiara incompetente, cessa anche se il giudice fissa l’udienza di discussione senza concedere l’azione cautelare, oppure quando il ricorrente rinuncia all’esame della domanda cautelare.
  1. PROCEDURA DI IMPUGNAZIONE

Tutti gli atti della procedura di gara sono impugnabili ex art 120 C.P.A e in alcuni casi si impugna direttamente il bando di gare ossia l’atto di avvio della procedura; ad es. quando quest’ultimo contiene delle clausole immediatamente escludenti che impediscono a un soggetto di partecipare, il bando è immediatamente lesivo e va impugnato subito nei 3 giorni, altrimenti lo si impugna alla fine assieme all’aggiudicazione.

Si può impugnare inoltre, quando il bando non ci sia, ergo non viene indetta una procedura di gara. Il d.lgs. 50/2016 prevede che quando l’amministrazione stipula un contratto sopra una certa soglia deve pubblicare l’avviso del contratto stipulato, e allora i 30 giorni iniziano dal giorno di pubblicazione. Se non vi è stato nemmeno questo avviso di aggiudicazione, il termine è di 6 mesi dal giorno successivo alla data di stipulazione del contratto.

In materia di appalti se la stazione appaltante fruisce del patrocinio dell’avvocatura dello Stato, come accade in FVG, ergo o è un’amministrazione statale o un’altra amministrazione, il ricorso deve essere notificato sia all’avvocatura, altrimenti è inammissibile, che alla sede reale dell’amministrazione, così da poter applicare la clausola di stand still.

Il giudice deve fissare un’udienza d’ufficio, e deve fissarla entro 45 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione in giudizio delle parti intimate.

Se la controversia ha un valore economico importante, si può consentire il superamento dei limiti dimensionali del ricorso, ma oltre le 35 pagine. Risulta pacifico che se i tempi sono tutti dimezzati anche gli atti debbano essere chiari e sintetici.

Da precisare, per quanto riguarda i nuovi atti attinenti alla medesima procedura di gara che, in materia di appalti, non può scegliere deve fare motivi aggiunti ex articolo 43 C.P.A, a differenza della regola generale, secondo cui per i nuovi atti il ricorrente può scegliere se proporre un ricorso autonomo o motivi aggiunti.

La sentenza deve essere redatta in forma semplificata ovvero quando al giudice pare evidente l’esito del giudizio.

Il TAR deposita la sentenza entro 30 giorni dall’udienza di discussione, a differenza del termine ordinario di 45 giorni. Le parti possono chiedere la pubblicazione anticipata del dispositivo che avviene entro 2 gironi dall’udienza.

Le stesse regole esposte si applicano anche in appello dinanzi al Consiglio di Stato.

Si ha inefficacia del contratto ex art. 121 C.P.A quando vi è un contratto stipulato nelle more del giudizio amministrativo sul provvedimento di aggiudicazione. Il caso più frequente è il mancato rispetto della clausola stand still. Tuttavia, vi sono delle volte in cui il contratto non viene dichiarato inefficace per esigenze imperative connesse a un interesse generale.

Ex articolo 124 C.P.A, nel ricorso in materia di appalti, il ricorrente, oltre a dover inesorabilmente proporre domanda cautelare, deve sempre inserire nel ricorso l’istanza di conseguire l’aggiudicazione del contratto, altrimenti il giudice potrà non consentirgli di ottenere il risarcimento danni.

 

  1. COME AGIRE NEI CONFRONTI DEL RICORRENTE PRINCIPALE: RICORSO INCIDENTALE PARALIZZANTE O ESCLUDENTE

Il ricorso incidentale paralizzante o escludente è il più comune del ricorso indentale nel processo amministrativo ed è quel ricorso presente soprattutto in materia degli appalti, ma prima di procedere, è opportuno spendere qualche parola per quello “ordinario”.

Con il ricorso incidentale ex articolo 42 C.P.A, il controinteressato chiede al giudice di annullare il provvedimento amministrativo già impugnato dal ricorrente oppure un provvedimento connesso rispetto a quello già impugnato dal ricorrente, però per parti o per motivi diversi rispetto a quelli indicati dal ricorrente. Da aggiungere una premessa ossia il ricorrente notifica il ricorso alle altre parti entro 60 giorni, lo deposita entro i successivi 30 giorni e poi le parti intimate possono costituirsi entro 60 giorni (termine non perentorio).

Le parti intimate giocano in difesa, nel senso che cercheranno di dimostrare nei loro atti processuali che il ricorso non può essere accolto, o per ragioni di rito o per ragioni di merito.

In alcuni casi però, le parti intimate, possono avere interesse a proporre un ricorso incidentale ex articolo 42 C.P.A, il quale si occupa di tutti i casi in cui c’è giurisdizione del giudice amministrativo, sia che si tratti di tutelare un interesse legittimo sia che si tratti di tutelare un diritto soggettivo.

Nella giurisdizione generale di legittimità il ricorso incidentale lo può presentare soltanto il controinteressato e non l’amministrazione resistente, quest’ultima può presentare, se c’è una giurisdizione esclusiva, una domanda riconvenzionale.

In altre parole, il ricorso incidentale può essere chiesto solo dal controinteressato e non dall’amministrazione, perché il controinteressato chiede a sua volta che il provvedimento amministrativo impugnato sia annullato per parti o motivi diversi, l’amministrazione non può, ovviamente, chiedere al giudice di annullare un proprio provvedimento; l’amministrazione se ritiene di aver compiuto degli atti illegittimi li annulla in autotutela, visto che non può fare causa a sé stessa.

Il controinteressato con il ricorso incidentale se lo ritiene, nei 60 giorni dalla notifica del ricorso principale, può proporre domande il cui interesse sorge in dipendenza della domanda proposta in via principale.

Il controinteressato è un soggetto che, dal provvedimento che il ricorrente vuole far annullare, ha tratto vantaggio, ergo egli intende mantenere tale vantaggio; un interesse, dunque, totalmente contrario a quello del ricorrente. Normalmente il controinteressato si costituisce con una memoria con la quale cerca di convincere il giudice a non accogliere il ricorso; in alcuni casi però, il controinteressato può avere interesse a presentare un ricorso incidentale, con il quale chiede al giudice di annullare il provvedimento amministrativo già impugnato dal ricorrente, oppure un provvedimento connesso rispetto a quello già impugnato dal ricorrente però per parti o per motivi diversi rispetto a quelli indicati dal ricorrente.

Con il ricorso incidentale il controinteressato diventa ricorrente a sua volta, in quanto presenta anche lui un ricorso e chiede al giudice di annullare un provvedimento amministrativo. In tal caso, il controinteressato fa valere a sua volta dei vizi del provvedimento impugnato e richiede l’annullamento in parte, al fine di mantenere lo stesso assetto di interessi ovvero al fine di restare comunque in una posizione utile al mantenere il bene della vita che aveva già ottenuto. Il ricorso in generale in genere viene presentato nelle procedure comparative, concorsi appalti.

In caso di accoglimento del ricorso incidentale, il controinteressato mantiene la situazione di vantaggio già verificata in virtù dei provvedimenti impugnati.

Come introdotto all’inizio, il ricorso incidentale più comune nel processo amministrativo è il ricorso incidentale cd. paralizzante o escludente. Paralizzante nel senso che, se si riesce a dimostrare con il ricorso incidentale la mancanza in capo al ricorrente delle condizioni dell’azione, allora il ricorso viene deciso per primo, in quanto pone delle questioni pregiudiziali ex articolo 276 C.P.C che, appunto, vengono decise per prime.

L’art. 276 C.P.C si applica al processo amministrativo perché vi è un preciso rinvio, infatti esso disciplina la modalità attraverso la quale il giudice deve decidere l’esito del giudizio. “La decisione è deliberata in segreto nella camera di consiglio. Ad essa possono partecipare soltanto i giudici che hanno assistito alla discussione”.

Nel processo amministrativo di solito c’è una sola udienza, più precisazione l’udienza di discussione in cui partecipano i difensori delle parti, il collegio giudicante e il segretario di udienza. Finita la discussione di solito fanno tutte le discussioni chiamate in quella giornata e poi si riuniscono in segreto nella camera di consiglio dove sono presenti solo i giudici e in tale occasione decidono l’esito della causa: “Il collegio, sotto la direzione del presidente, decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio e quindi il merito della causa”.

Il collegio decide gradatamente, ergo prima le questioni pregiudiziale proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio e solo successivamente, se sussistono i presupposti, decide il merito della causa.

I presupposti sono: la giurisdizione, la competenza, le condizioni dell’azione (interesse e legittimazione ad agire), tempestività della notifica e del deposito, e verificare che l’interesse ad agire perduri al momento della decisone.

Col ricorso incidentale paralizzante il controinteressato presenta un ricorso incidentale con cui asserisce che il ricorrente non doveva proprio essere ammesso alla procedura comparativa, ergo l’amministrazione avrebbe dovuto escludere la sua offerta e i provvedimenti dell’amministrazione vengono impugnati per la parte in cui non hanno escluso l’offerta del ricorrente principale.

Se il controinteressato riesce a dimostrare che l’offerta del ricorrente doveva essere proprio esclusa in radice. Se questo ricorso incidentale si rivela fondato il ricorso principale del ricorrente principale sarà inammissibile per difetto di interesse ad agire, in quanto il ricorrente principale se doveva essere escluso del tutto dalla selezione non ha interesse a contestare gli esiti di una selezione di cui non avrebbe dovuto prendere parte.

 

  1. ANALISI DAL PUNTO DI VISTA APPLICATIVO

È intuitivo che nelle gare vi è un soggetto che si aggiudica l’appalto a discapito di tutti gli altri partecipanti. Poniamo il caso che un soggetto, che non abbia vinto, propone ricorso. In tal caso, l’aggiudicatario diventa il controinteressato nel ricorso: il ricorrente (soggetto che ha perso) propone ricorso e solleva una serie di vizi, asserisce che la gara si sia svolta in maniera illegittima per una serie di ragioni o che ad essere illegittimità è l’ammissione dell’offerta dell’aggiudicatario; l’aggiudicatario (controinteressato) si vede notificare il ricorso. Egli ha tutto l’interesse a mantenere il bene della vita, e in molti casi presenta un ricorso incidentale con cui asserisce che l’offerta del ricorrente non doveva essere ammessa, ergo il ricorrente era privo dei requisiti per partecipare alla procedura.

In questi casi, il giudice amministrativo, almeno fino a poco tempo fa, sosteneva che la questione proposta dal controinteressato, che si configurava come ricorrente incidentale, è pregiudiziale ex art. 276 C.P.C perché se dovesse essere accolto il ricorso incidentale, ossia il ricorso principale viene dichiarato inammissibile, viene meno l’interesse ad agire del ricorrente principale ovvero è carente l’interesse. È evidente che in questo modo il ricorso principale non viene preso in considerazione perché non si valuta se è legittima o meno l’aggiudicazione disposta in favore all’aggiudicatario o l’ammissione dell’offerta dell’aggiudicatario. L’aggiudicatario gode, dunque, di un vantaggio, rispetto agli altri partecipanti nel processo amministrativo, solo perché è aggiudicatario.

Potrebbe essere che il ricorso principale sia fondato e quindi, ad essere illegittima non sia solo l’ammissione del ricorrente principale, ma anche l’aggiudicazione in favore dell’aggiudicatario.

A tale problematica è intervenuta l’Adunanza plenaria 4/2011 (CDS), la quale si distingue per la sua rilevanza perché è una delle prime che fornito delle interpretazioni sia per il C.P.A che per il processo amministrativo vero e proprio. Si è espressa sul rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale. L’Adunanza Plenaria era giunta alla conclusione che si doveva valutare prima il ricorso incidentale se ha natura paralizzante rispetto al ricorso principale.

Rispetto al problema dell’eventuale vantaggio di cui gode il controinteressato aggiudicatario, qui emerge la posizione di difendere la necessità di valutare prima il ricorso incidentale in relazione al principio che il processo amministrativo è un processo di diritto soggettivo e non di diritto oggettivo, ossia si asserisce che il processo è finalizzato a tutelare la situazione giuridica soggettiva del ricorrente che è un interesse legittimo, ma viene detto diritto soggettivo perché è funzionale alla tutela dell’interesse delle parti e non è di diritto oggettivo, in quanto quest’ultimo non è funzionale a tutelare la legittimità dell’attività amministrativa, ergo, se il ricorrente non può ottenere l’aggiudicazione dell’appalto perché doveva essere escluso, si dichiara il ricorso inammissibile senza guardare il merito del ricorso. Anche nel caso in cui il ricorrente principale alleghi l’interesse strumentale alla rinnovazione dell’intera procedura, ad es. i ricorrenti sono soltanto due, ed entrambi sostengono che l’altro concorrente doveva essere escluso, il giudice potrebbe accogliere entrambi i ricorsi e disporre la ripetizione della gara. In tal caso si realizza un interesse strumentale in capo al ricorrente grazie a cui è possibile ripetere la procedura selettiva, ergo, si possa partecipare nuovamente ad essa.

Vi è il dubbio se l’interesse strumentale costituisca un interesse ad agire sufficiente per ottenere dal TAR una sentenza nel merito.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha risposto negativamente, infatti o il ricorrente dimostra che può ottenere subito l’aggiudicazione dell’appalto oppure egli non è legittimato ossia non ha interesse a proporre ricorso che gli dichiara inammissibile.

Su tale posizione però, il TAR Piemonte, sez II, (Ordinanza 208/2012) rimette la questione con un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’UE in quanto pone il quesito del contrasto con l’art. 267 TFUE, il quale prevede che se un giudice nazionale dubita della compatibilità di una disposizione legislativa rispetto a una norma proveniente dall’UE può rimette la questione alla Corte di giustizia. Se i giudici, compreso quello amministrativo, ritengono che una legge sia in contrasto con una disposizione normativa dell’UE devono disapplicare la legge.

La Corte di giustizia dell’UE si è espressa il 4 Luglio 2013, con una prima sentenza riguardante una procedura con solo due offerte da due soggetti, dando ragione al TAR Piemonte e non all’ Adunanza Plenaria, asserendo che se le offerte sono due devono essere valutate entrambe, ergo sia il ricorso principale che quello incidentale, ma solo se i vizi che entrambi sollevano riguardano la stessa fase procedimentale (simmetria escludente).

Nel 2018 è la stessa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che si rivolge nuovamente alla Corte di giustizia, chiedendo come deve comportarsi se vi sono più imprese che vi partecipano e non abbiano solo due offerte ammesse. La Corte di giustizia ha risposto che in materia di appalti, anche se il ricorso incidentale paralizzante o escludente dovesse essere fondato, bisogna comunque valutare la fondatezza o meno del ricorso principale, dando così rilievo all’effettività della disciplina volta ad individuare, nel rispetto della libera concorrenza, la migliore offerta con cui l’amministrazione decide di stipulare un contratto (Sent. 5 settembre 2019).

Da questa evoluzione e sempre più spesso nei processi amministrativi, si è formata un’opzione per le parti di chiedere al Consiglio di Stato di rivolgersi alla Corte di giustizia per ottenere un’interpretazione in via pregiudiziale.

Anche il legislatore ha tentato svariati modi per snellire il contenzioso e uno di questi è stato una modifica all’art. 120 C.P.A, ma tale procedura super accelerata in materia di ammissione delle offerte è stata abrogata con una decreto legge di Aprile, convertito in legge a Giugno del 2019, il c.d decreto SBLOCCA CANTIERI, il quale “contiene una serie di norme per ridurre regolamenti e controlli nella gestione degli appalti pubblici e semplificare l’attività edilizia in generale, a partire dalle costruzioni sismiche, per le quali è necessaria la preventiva autorizzazione della Sovrintendenza dell’Ufficio tecnico regionale, e per finire alle distanze tra edifici (secolare DM 1444/1968)”.

Lili Liu, studentessa di Giurisprudenza presso l’Università di Trieste