Rallenta l’inflazione negli Stati Uniti. Sono tutte buone notizie?

È di pochi giorni fa la notizia del netto rallentamento dell’inflazione americana per il mese di giugno. Invero l’indice dei prezzi al consumo (IPC) è passato dal 4% di maggio al 3% di giugno, superando le aspettative degli analisti che prevedevano, invece 3.1%, e solo un pizzico più alto del 2.9% che è stato il livello medio nei due decenni precedenti la crisi finanziari generata dalla pandemia e proseguita con la guerra in Ucraina.

Siamo dunque ben lontani dal 9.1% dello scorso giugno, che ha rappresentato il picco più alto dal 1981. Un segno evidente che la politica monetaria restrittiva della Federal Reserve sta funzionando. È altresì indubbio che il Chairman della Fed, Jerome Powell, abbia tenuto fede alle sue parole. A giugno scorso la Fed varò un piano di rialzo dei tassi d’interesse che è proseguito, con ben 10 rialzi consecutivi, e che, a suo dire, sarebbe continuato fin tanto che l’inflazione non si fosse stabilizzata. C’è dunque da chiedersi se questo momento sia arrivato. Ci credono poco gli economisti e analisti americani convinti che, nonostante l’inflazione sia molto rallentata, essa sia ancora troppo alta rispetto al target della Fed del 2%. Per tale motivo scommettono in un prossimo rialzo, dello 0.25%, già al prossimo meeting che si terrà la settimana prossima. Ciò porterebbe il tasso d’interesse al 5.25%-5.50%.  Tra le poche voci contrarie, certamente la più ragguardevole, è quella dell’economista Christopher Pissarides, premio Nobel per l’economia del 2010. Egli, in una recente intervista al canale economico CNBC, ha dichiarato che non vede le ragioni di un ulteriore rialzo dei tassi stante “il tasso d’inflazione in diminuzione e il mercato del lavoro meno contratto”. Ritiene, semmai, che in questo momento l’unica cosa da fare sia mantenere la calma e avere pazienza per vedere, a pieno, gli effetti dell’inflazione sull’economia a stelle e strisce. Pissarides ha inoltre affermato che la strada per l’Europa invece, stante il diverso tasse d’inflazione, sia ancora in salita.

Chi certamente ha capitalizzato la notizia è il presidente Biden, le cui prospettive di rielezione dipendono dall’andamento dell’economia americana e che, da Vilnius, dove si svolgeva il vertice Nato, si è immediatamente preso i meriti della riduzione dell’inflazione dichiarando: “Good jobs and lower costs: That’s Bidenomics in action”, ossia “aumento dell’occupazione e costi inferiori: questo è la Bidenomics in azione”. Una rivincita per il presidente democratico che nell’ultimo anno è stato costantemente sotto attacco dei repubblicani, secondo cui la responsabilità di un’inflazione così alta abbia come unico responsabile l’inquilino della Casa Bianca e la sua politica green.

Sebbene siano indubitabili i progressi ottenuti dalla politica monetaria restrittiva adottata dalla Fed, un dato desta qualche preoccupazione, ovvero il prezzo del carrello della spesa in continua crescita. Un’analisi del dipartimento di statistica del ministero del lavoro ha evidenziato, infatti, come il prezzo dei generi alimentati è aumentato del 5,8% rispetto ad un anno fa. Nello specifico ciò ha determinato un rincaro sia dei pasti da asporto (8%) che dei ristoranti (7,7%). Il costante aumento dei beni di prima necessità ha determinato un aumento dell’insicurezza alimentare (food insecurity) che, a giugno, ha toccato il 17%, il picco più elevato da marzo 2022.

Numerosi sono i fattori che concorrono all’aumento dei prezzi dei generi alimentari. Dall’inflazione, la cui frenata può dare un respiro alle famiglie americane, al costo del lavoro, alla catena di approvvigionamento e, infine, alla guerra in Ucraina. La recente notizia del mancato rinnovo degli accordi sul grano da parte della Russia potrebbe vanificare, in parte, sebbene sia troppo presto per valutarlo, i progressi ottenuti da un allentamento della pressione inflazionistica ed innescare una pericolosa contrazione della domanda.

Francesco Rizzo Marullo.

Carta europea dei ricercatori e codice di condotta per la loro assunzione. Le raccomandazioni dell’UE.

Si riporta di seguito il testo integrale della raccomandazione della Commissione Europea dell’11 marzo 2005 riguardante la Carta europea dei ricercatori e un codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori, seguito da un breve commento.

LA COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE

visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l’articolo 165, considerando quanto segue:

(1) Nel gennaio 2000, la Commissione ha ritenuto necessario istituire lo Spazio europeo della ricerca come perno centrale della futura azione comunitaria in questo settore, al fine di consolidare e strutturare la politica europea di ricerca.

 

(2) Il Consiglio europeo di Lisbona ha fissato per la Comunità l’obiettivo di diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo entro il 2010.

 

(3) Nella risoluzione del 10 novembre 2003, il Consiglio ha affrontato alcune problematiche legate alla professione e alla carriera dei ricercatori nello Spazio europeo della ricerca, accogliendo con particolare favore l’intenzione della Commissione di lavorare per l’elaborazione di una Carta europea dei ricercatori e di un codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori.

 

(4) L’individuato rischio di una carenza di ricercatori, soprattutto in alcune discipline fondamentali, mette a repentaglio la forza innovatrice dell’Unione europea, il patrimonio di conoscenze e la crescita della produttività nel futuro prossimo e potrebbe impedire di conseguire gli obiettivi di Lisbona e Barcellona. L’Europa deve pertanto rafforzare significativamente la propria capacità di attrarre i ricercatori e potenziare la partecipazione delle donne ricercatrici, favorendo la creazione delle condizioni necessarie per carriere più sostenibili e interessanti per loro nel settore della R&S.

 

(5) L’esistenza di risorse umane sufficienti e adeguatamente sviluppate nella R&S costituisce l’elemento fondamentale per lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e del progresso tecnologico, il rafforzamento della qualità della vita, la garanzia del benessere dei cittadini europei e il potenziamento della competitività dell’Europa.

 

(6) Si dovrebbero introdurre ed attuare nuovi strumenti per lo sviluppo della carriera dei ricercatori, contribuendo in questo modo al miglioramento delle prospettive di carriera per i ricercatori in Europa.

 

(7) L’esistenza di prospettive di carriera migliori e più visibili contribuisce anche allo sviluppo di un atteggiamento positivo del pubblico nei confronti della professione di ricercatore, spingendo con ciò più giovani ad abbracciare una carriera nel settore della ricerca.

 

(8) L’obiettivo politico finale della presente raccomandazione è contribuire allo sviluppo di un mercato europeo del lavoro attrattivo, aperto e sostenibile per i ricercatori, in cui le condizioni di base consentano di assumere e trattenere ricercatori di elevata qualità in ambienti veramente favorevoli alle prestazioni e alla produttività.

 

(9) Gli Stati membri dovrebbero sforzarsi di offrire ai ricercatori dei sistemi di sviluppo di carriera sostenibili in tutte le fasi della carriera, indipendentemente dalla loro situazione contrattuale e dal percorso professionale scelto nella R&S, e impegnarsi affinché i ricercatori vengano trattati come professionisti e considerati parte integrante delle istituzioni in cui lavorano.

 

(10) Nonostante i considerevoli sforzi degli Stati membri per superare gli ostacoli amministrativi e giuridici che si frappongono alla mobilità geografica ed intersettoriale, molti di questi ostacoli persistono.

 

(11) Dovrebbero essere incoraggiate tutte le forme di mobilità nell’ambito di una politica globale delle risorse umane nel campo della R&S a livello nazionale, regionale e istituzionale.

 

(12) Il valore di tutte le forme di mobilità dev’essere pienamente riconosciuto nei sistemi di valutazione della carriera e di avanzamento professionale dei ricercatori, affinché questo tipo di esperienza possa contribuire positivamente al loro sviluppo professionale.

 

(13) Lo sviluppo di una politica coerente per la carriera e la mobilità dei ricercatori (5) che vengono nell’Unione europea o la lasciano dovrebbe essere considerato tenendo conto della situazione nei paesi in via di sviluppo e nelle regioni dentro e fuori l’Europa, affinché lo sviluppo delle capacità di ricerca dell’Unione europea non avvenga a scapito dei paesi e delle regioni meno sviluppate.

 

(14) I finanziatori o i datori di lavoro dei ricercatori dovrebbero, nel loro ruolo di «reclutatori», assumersi la responsabilità di offrire ai ricercatori procedure di selezione ed assunzione aperte, trasparenti e comparabili a livello internazionale.

 

(15) La società dovrebbe apprezzare più pienamente il senso di responsabilità e la professionalità dimostrati dai ricercatori nello svolgimento del loro lavoro durante le varie fasi della carriera e nel loro ruolo poliedrico di lavoratori del sapere, dirigenti, coordinatori di progetti, manager, supervisori, mentori, consulenti di orientamento professionale o comunicatori scientifici.

 

(16) La presente raccomandazione parte dal principio che i datori di lavoro o i finanziatori dei ricercatori hanno l’obbligo assoluto di garantire il rispetto dei requisiti della normativa nazionale, regionale o settoriale pertinente.

 

(17) La presente raccomandazione fornisce agli Stati membri, ai datori di lavoro, ai finanziatori e ai ricercatori uno strumento prezioso per intraprendere, su base volontaria, nuove azioni per il miglioramento e il consolidamento delle prospettive professionali dei ricercatori nell’Unione europea e per la creazione di un mercato del lavoro per i ricercatori aperto.

 

(18) I principi generali e i requisiti illustrati nella presente raccomandazione sono frutto di un processo di consultazione pubblica al quale membri del gruppo di pilotaggio «Risorse umane e mobilita» sono stati pienamente associati

RACCOMANDA:

1) Gli Stati membri s’impegnino a compiere i passi necessari per assicurare che i datori di lavoro o i finanziatori dei ricercatori sviluppino e mantengano un ambiente di ricerca e una cultura di lavoro favorevoli, in cui gli individui e le équipe di ricerca siano considerati, incoraggiati e sostenuti, e beneficino del sostegno materiale e immateriale necessario per conseguire i loro obiettivi e svolgere i loro compiti. In tale contesto, si dovrebbe accordare particolare priorità all’organizzazione delle condizioni di lavoro e di formazione nella fase iniziale della carriera dei ricercatori, in quanto questa contribuisce alle scelte future e rafforza l’attrattiva delle carriere nel settore della R&S.

 

2) Gli Stati membri si impegnino a compiere, laddove necessario, i passi fondamentali per garantire che i finanziatori e i datori di lavori dei ricercatori perfezionino i metodi di assunzione e i sistemi di valutazione delle carriere al fine di istituire un sistema di assunzione e uno sviluppo professionale più trasparenti, aperti, equi e accettati a livello internazionale, come presupposto per un vero mercato europeo del lavoro per i ricercatori.

 

3) Gli Stati membri — nell’elaborare e adottare le loro strategie e i loro sistemi per lo sviluppo di carriere sostenibili per i ricercatori — tengano adeguatamente conto e s’ispirino ai principi generali e alle prescrizioni contenuti nella Carta europea dei ricercatori e nel codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori di cui in allegato.

 

4) Gli Stati membri s’impegnino a recepire questi principi generali e requisiti rientranti nel loro ambito di competenza, nel quadro normativo e regolamentare nazionale o nei principi e orientamenti settoriali e/o istituzionali (carte e/o codici per i ricercatori). Così facendo, dovrebbero tenere conto della molteplicità di leggi, regolamenti e pratiche che, nei vari paesi e nei vari settori, determinano il percorso, l’organizzazione e le condizioni di lavoro di una carriera nel settore R&S.

 

5) Gli Stati membri considerino questi principi generali e requisiti come parte integrante dei meccanismi istituzionali di garanzia della qualità, vedendoli come un mezzo per fissare criteri di finanziamento per i sistemi di finanziamento nazionali e regionali, e, allo stesso tempo, adottandoli per le procedure di audit, monitoraggio e valutazione degli organismi pubblici.

 

6) Gli Stati membri continuino ad impegnarsi per superare i rimanenti ostacoli giuridici e amministrativi alla mobilità, ivi compresi quelli relativi alla mobilità intersettoriale e alla mobilità tra e nell’ambito di funzioni diverse, tenendo conto dell’allargamento dell’Unione europea.

 

7) Gli Stati membri s’impegnino a garantire che i ricercatori beneficino di un’adeguata copertura sociale in funzione del loro status giuridico. Nell’ambito di tale contesto, occorrerebbe prestare particolare attenzione alla trasferibilità dei diritti pensionistici, di base o integrativi, per i ricercatori che si spostano all’interno dei settori privato e pubblico dello stesso paese e anche per quelli che cambiano paese nell’Unione europea. Tali sistemi dovrebbero garantire che i ricercatori, che nel corso della loro vita cambiano professione o interrompono la carriera, non perdano ingiustamente i loro diritti sociali.

 

8) Gli Stati membri istituiscano le necessarie strutture di controllo per riesaminare periodicamente la presente raccomandazione e per valutare in che misura datori di lavoro, finanziatori e ricercatori hanno applicato la Carta europea dei ricercatori e il codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori.

 

9) I criteri di misurazione dell’applicazione siano stabiliti e concordati con gli Stati membri nell’ambito dei lavori svolti dal gruppo di pilotaggio «Risorse umane e mobilità».

 

10) Gli Stati membri, nelle loro funzioni di rappresentanza presso le organizzazioni internazionali istituite a livello intergovernativo, tengano adeguatamente conto della presente raccomandazione quando propongono strategie e adottano decisioni riguardanti le attività di tali organizzazioni.

 

11) La presente raccomandazione è destinata agli Stati membri, ma è concepita anche come strumento per incoraggiare il dialogo sociale e il dialogo tra ricercatori, referenti interessati e società in senso lato.

 

12) Gli Stati membri sono invitati ad informare la Commissione, nella misura del possibile, entro il 15 dicembre 2005 e in seguito ogni anno, su eventuali misure adottate sulla base della presente raccomandazione e sui primi risultati derivanti dalla sua applicazione, nonché a fornire esempi di buone pratiche.

 

13) La Commissione riesaminerà periodicamente la presente raccomandazione nell’ambito del metodo aperto di coordinamento.

Fatto a Bruxelles, l’11 marzo 2005.

ALLEGATO

SEZIONE 1

La Carta europea dei ricercatori

La Carta europea dei ricercatori è un insieme di principi generali e requisiti che specificano il ruolo, le responsabilità e i diritti dei ricercatori e delle persone che assumono e/o finanziano i ricercatori. Scopo di tale Carta è garantire che la natura dei rapporti tra ricercatori e datori di lavoro o finanziatori favorisca esiti positivi per quanto riguarda la produzione, il trasferimento, la condivisione e la diffusione delle conoscenze e dello sviluppo tecnologico, e sia propizia allo sviluppo professionale dei ricercatori. La Carta riconosce inoltre il valore di tutte le forme di mobilità come strumento per migliorare lo sviluppo professionale dei ricercatori.

In tal senso la Carta costituisce un quadro di riferimento per ricercatori, datori di lavoro e finanziatori che sono invitati ad agire in modo responsabile e in quanto professionisti nel loro ambiente di lavoro, nonché a considerarsi reciprocamente tali.

La Carta è destinata a tutti i ricercatori dell’Unione europea in tutte le fasi della loro carriera e disciplina tutti i campi di ricerca nel settore pubblico e privato, indipendentemente dal tipo di nomina o di occupazione, dalla natura giuridica del datore di lavoro o dal tipo di organizzazione o istituto nei quali viene svolto il lavoro. Essa tiene conto della molteplicità dei ruoli svolti dai ricercatori che sono assunti non solo per svolgere attività di ricerca e/o effettuare attività di sviluppo, ma intervengono anche nella supervisione, nel mentoring, nella gestione o nei compiti amministrativi.

La Carta si basa sul presupposto che i ricercatori e le persone che li impiegano e/o li finanziano hanno l’obbligo assoluto di garantire il rispetto dei requisiti della legislazione nazionale o regionale rispettiva. Qualora i ricercatori beneficino di uno status e di diritti più favorevoli, per alcuni aspetti, di quelli previsti dalla presente Carta, le disposizioni di quest’ultima non debbono essere invocate per modificare in senso sfavorevole lo status e i diritti già acquisiti.

I ricercatori, i datori di lavoro e i finanziatori che aderiscono alla Carta devono inoltre rispettare i diritti fondamentali e osservare i principi riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

PRINCIPI GENERALI E REQUISITI APPLICABILI AI RICERCATORI

Libertà di ricerca

I ricercatori dovrebbero orientare le loro attività di ricerca al bene dell’umanità e all’ampliamento delle frontiere della conoscenza scientifica, pur godendo della libertà di pensiero ed espressione, nonché della libertà di stabilire i metodi per risolvere problemi, secondo le pratiche e i principi etici riconosciuti.

I ricercatori dovrebbero, tuttavia, riconoscere i limiti di tale libertà che potrebbero derivare da circostanze particolari di ricerca (compresi la supervisione, l’orientamento e la gestione) o da vincoli operativi, ad esempio per motivi di bilancio o di infrastruttura o, soprattutto nel settore industriale, per motivi di tutela della proprietà intellettuale. Tali limiti non devono tuttavia contravvenire alle pratiche e ai principi etici riconosciuti cui i ricercatori devono conformarsi.

Principi etici

I ricercatori dovrebbero aderire alle pratiche etiche riconosciute e ai principi etici fondamentali applicabili nella o nelle loro discipline, nonché alle norme etiche stabilite dai vari codici etici nazionali, settoriali o istituzionali.

Responsabilità professionale

I ricercatori dovrebbero impegnarsi a garantire che i loro lavori siano utili per la società e non riproducano ricerche già effettuate altrove.

Dovrebbero evitare il plagio e rispettare il principio della proprietà intellettuale e della proprietà congiunta dei dati, nel caso di ricerche svolte in collaborazione con uno o più supervisori e/o altri ricercatori. L’esigenza di convalidare le nuove osservazioni dimostrando che gli esperimenti sono riproducibili non dovrebbe essere considerato plagio, a condizione che i dati da convalidare siano espressamente menzionati.

I ricercatori dovrebbero garantire che, nel caso di delega di un elemento qualsiasi del loro lavoro, la persona delegata abbia la competenza necessaria.

Comportamento professionale

I ricercatori dovrebbero conoscere gli obiettivi strategici che regolano il loro ambiente di ricerca, nonché i meccanismi di finanziamento e dovrebbero chiedere tutte le autorizzazioni necessarie prima di avviare le loro attività di ricerca o di accedere alle risorse fornite.

Dovrebbero informare i loro datori di lavoro, finanziatori o supervisori del ritardo, modifica o completamento del progetto di ricerca o avvertire se il loro progetto deve terminare prima del previsto o essere sospeso per una ragione qualsiasi.

Obblighi contrattuali e legali

I ricercatori di tutti i livelli devono conoscere i regolamenti nazionali, settoriali o istituzionali che regolano le condizioni di formazione e/o di lavoro, ivi compresi i diritti di proprietà intellettuale, nonché i requisiti e le condizioni di eventuali sponsor o finanziatori, indipendentemente dalla tipologia del loro contratto. I ricercatori dovrebbero rispettare tali regolamenti fornendo i risultati richiesti (ad esempio, tesi, pubblicazioni, brevetti, relazioni, sviluppo di nuovi prodotti, ecc.) come stabilito dai termini del contratto o del documento equivalente.

Responsabilità finanziaria

I ricercatori devono essere consapevoli del fatto che sono responsabili nei confronti dei loro datori di lavoro, finanziatori o altri organismi pubblici o privati collegati e, su un piano più strettamente etico, nei confronti della società nel suo insieme. In particolare, i ricercatori finanziati con fondi pubblici sono responsabili anche dell’utilizzo efficace del denaro dei contribuenti e pertanto dovrebbero aderire ai principi di una gestione finanziaria solida, trasparente ed efficace e cooperare in caso di audit autorizzati sulla loro ricerca, effettuati dai loro datori di lavoro/finanziatori o da comitati etici.

I metodi di rilevazione e di analisi dei dati, i risultati e, se del caso, le informazioni dettagliate concernenti tali dati dovrebbero essere accessibili a esami tanto interni che esterni, qualora necessario e su richiesta delle autorità competenti.

Buona condotta nel settore della ricerca

I ricercatori dovrebbero adottare sempre procedure di lavoro sicure, conformi alla legislazione nazionale, e in particolare prendere le precauzioni necessarie sotto il profilo sanitario e di sicurezza, anche per evitare le conseguenze d’incidenti gravi legati alle tecnologie dell’informazione, ad esempio istituendo strategie di backup adeguate. Dovrebbero inoltre essere al corrente dei vigenti requisiti legali nazionali per quanto riguarda la protezione dei dati e della riservatezza, e adottare le misure necessarie per soddisfarli in qualsiasi momento.

Diffusione e valorizzazione dei risultati

Tutti i ricercatori dovrebbero accertarsi, conformemente alle prescrizioni contrattuali, che i risultati delle loro ricerche siano diffusi e valorizzati, ossia comunicati, trasferiti in altri contesti di ricerca o, se del caso, commercializzati. I ricercatori di comprovata esperienza sono particolarmente tenuti ad accertarsi che le ricerche siano proficue e che i risultati siano valorizzati o resi accessibili al pubblico (o entrambe le cose) laddove possibile.

Impegno verso l’opinione pubblica

I ricercatori dovrebbero assicurare che le loro attività di ricerca siano rese note alla società in senso lato, in modo tale che possano essere comprese dai non specialisti, migliorando in questo modo la comprensione delle questioni scientifiche da parte dei cittadini. Il coinvolgimento diretto dell’opinione pubblica consentirà ai ricercatori di comprendere meglio l’interesse del pubblico nei confronti della scienza e della tecnologia e anche le sue preoccupazioni.

Rapporti con i supervisori

I ricercatori, durante la loro fase di formazione, dovrebbero stabilire rapporti regolari e strutturati con i loro supervisori e rappresentanti di facoltà/dipartimento in modo da trarre il massimo beneficio da tale relazione.

Ciò significa anche conservare traccia dei progressi del lavoro svolto e degli esiti delle ricerche, e ricevere un feedback sotto forma di relazioni e seminari, tenendo conto di tale feedback e lavorando secondo le scadenze, le tappe, le consegne e i risultati della ricerca convenuti.

Doveri di supervisione e gestione

I ricercatori di comprovata esperienza dovrebbero prestare particolare attenzione al loro ruolo poliedrico di supervisori, mentori, consulenti in materia di orientamento professionale, responsabili e coordinatori di progetto, manager e comunicatori scientifici. Dovrebbero svolgere questi compiti secondo i dettami della massima professionalità. Per quanto riguarda il loro ruolo di supervisori o mentori dei ricercatori, i ricercatori di comprovata esperienza dovrebbero stabilire un rapporto costruttivo e positivo con i ricercatori agli inizi di carriera, al fine di creare le condizioni per un efficace trasferimento delle conoscenze e per uno sviluppo continuo e positivo della carriera dei ricercatori.

Sviluppo professionale continuo

In tutte le fasi della loro carriera, i ricercatori dovrebbero cercare di perfezionarsi, aggiornando ed ampliando le loro conoscenze e competenze. A tal fine possono ricorrere a vari mezzi, tra cui la formazione tradizionale, i seminari, i convegni e l’e-learning.

PRINCIPI GENERALI E REQUISITI VALIDI PER I DATORI DI LAVORO E I FINANZIATORI

Riconoscimento della professione

Tutti i ricercatori che hanno abbracciato la carriera di ricercatore devono essere riconosciuti come professionisti ed essere trattati di conseguenza. Si dovrebbe cominciare nella fase iniziale delle carriere, ossia subito dopo la laurea, indipendentemente dalla classificazione a livello nazionale (ad esempio, impiegato, studente post-laurea, dottorando, titolare di dottorato-borsista, funzionario pubblico).

Non discriminazione

I datori di lavoro e/o i finanziatori dei ricercatori non devono discriminare i ricercatori sulla base del genere, dell’età, dell’origine etnica, nazionale o sociale, della religione o delle convinzioni, dell’orientamento sessuale, della lingua, delle disabilità, delle opinioni politiche, e delle condizioni sociali o economiche.

Ambiente di ricerca

I datori di lavoro e/o i finanziatori dei ricercatori dovrebbero garantire un ambiente di ricerca o di formazione alla ricerca il più stimolante possibile e in grado di offrire attrezzature, apparecchi e opportunità adeguati, ivi compresa la collaborazione a distanza nell’ambito di reti di ricerca. Dovrebbero inoltre garantire l’osservanza dei regolamenti nazionali o settoriali in materia di sanità e sicurezza. I finanziatori dovrebbero garantire la fornitura di risorse adeguate a sostegno del programma di lavoro concordato.

Condizioni di lavoro

I datori di lavori e/o i finanziatori dovrebbero garantire che le condizioni di lavoro dei ricercatori, ivi compresi i ricercatori disabili, prevedano, se del caso, la flessibilità ritenuta necessaria per l’adeguato svolgimento delle attività di ricerca, conformemente alla legislazione nazionale vigente e ai contratti collettivi nazionali o settoriali. Dovrebbero offrire condizioni di lavoro che consentano sia alle donne sia agli uomini di conciliare famiglia e lavoro, figli e carriera (4). Si dovrebbe inoltre prestare particolare attenzione agli orari di lavoro flessibili, al lavoro part time, al telelavoro e ai periodi sabbatici, nonché alle disposizioni finanziarie e amministrative necessarie per regolamentare questo ventaglio di possibilità.

Stabilità e continuità dell’impiego

I datori di lavoro e/o i finanziatori dovrebbero garantire che le prestazioni dei ricercatori non risentano dell’instabilità dei contratti di lavoro e dovrebbero pertanto impegnarsi nella misura del possibile a migliorare la stabilità delle condizioni di lavoro dei ricercatori, attuando e rispettando le condizioni stabilite nella direttiva 1999/70/CE del Consiglio.

Finanziamento e salari

I datori di lavoro e/o i finanziatori dovrebbero assicurare ai ricercatori condizioni giuste e attrattive in termini di finanziamento e/o salario, comprese misure di previdenza sociale adeguate e giuste (ivi compresi le indennità di malattia e maternità, i diritti pensionistici e i sussidi di disoccupazione), conformemente alla legislazione nazionale vigente e agli accordi collettivi nazionali o settoriali. Ciò vale per i ricercatori in tutte le fasi della loro carriera, ivi compresi i ricercatori nella fase iniziale di carriera, conformemente al loro status giuridico, alla loro prestazione e al livello di qualifiche e/o responsabilità.

Equilibrio di genere

I datori di lavoro e/o i finanziatori dovrebbero mirare ad un rappresentativo equilibrio di genere a tutti i livelli del personale, ivi compreso quello che esercita funzioni di supervisione e manageriali. Tale obiettivo dovrebbe essere conseguito sulla base di una politica di pari opportunità al momento dell’assunzione e nelle seguenti fasi della carriera, senza tuttavia che questo criterio abbia la precedenza sui criteri di qualità e competenza. Per garantire un trattamento equo, i comitati di selezione e valutazione dovrebbero vantare un adeguato equilibrio di genere.

Sviluppo professionale

I datori di lavoro e/o i finanziatori dovrebbero elaborare, preferibilmente nell’ambito della loro gestione delle risorse umane, un’apposita strategia di sviluppo professionale per i ricercatori in tutte le fasi della loro carriera, indipendentemente dalla situazione contrattuale. Tale strategia dovrebbe prevedere anche la presenza di mentori destinati a fornire sostegno e orientamento per lo sviluppo umano e professionale dei ricercatori, motivandoli e contribuendo a ridurre eventuali insicurezze circa il loro futuro professionale. Tutti i ricercatori dovrebbero essere informati di questi dispositivi e accordi.

Valore della mobilità

I datori di lavoro e/o i finanziatori devono riconoscere il valore della mobilità geografica, intersettoriale, inter- e trans-disciplinare e virtuale nonché della mobilità tra il settore pubblico e privato, come strumento fondamentale di rafforzamento delle conoscenze scientifiche e di sviluppo professionale in tutte le fasi della carriera di un ricercatore. Dovrebbero pertanto integrare queste opzioni nell’apposita strategia di sviluppo professionale e valutare e riconoscere pienamente tutte le esperienze di mobilità nell’ambito del sistema di valutazione/avanzamento della carriera.

E’ pertanto necessario creare gli strumenti amministrativi che consentano la «trasferibilità» dei diritti in materia di previdenza sociale e retribuzioni, conformemente alla legislazione nazionale.

Accesso alla formazione alla ricerca e alla formazione continua

I datori di lavoro e/o i finanziatori dei ricercatori dovrebbero garantire che i ricercatori in tutte le fasi della loro carriera, indipendentemente dalla situazione contrattuale, abbiano la possibilità di progredire professionalmente e migliorare la loro occupabilità, mediante l’accesso a misure per lo sviluppo continuo delle competenze e delle conoscenze.

Tali misure dovrebbero essere periodicamente riesaminate per valutarne l’accessibilità, l’accettabilità e l’efficacia nel perfezionamento delle competenze, delle capacità e dell’occupabilità.

Accesso all’orientamento professionale

I datori di lavoro e/o i finanziatori dovrebbero garantire che in tutte le fasi della loro carriera, indipendentemente dalla loro situazione contrattuale, vengano offerti ai ricercatori servizi di orientamento professionale e di assistenza nella ricerca di un lavoro, sia negli istituti interessati sia mediante la collaborazione con altre strutture.

Diritti di proprietà intellettuale

I datori di lavoro e/o i finanziatori dei ricercatori dovrebbero garantire che i ricercatori, in tutte le fasi della carriera, godano dei benefici (se previsti) della valorizzazione dei loro risultati di R&S, tramite tutela giuridica e, in particolare, tramite un’adeguata tutela dei diritti di proprietà intellettuale, ivi compresi i copyright.

Le politiche e le consuetudini dovrebbero specificare quali sono i diritti dei ricercatori e/o, se del caso, dei loro datori di lavoro o di terzi, ivi compresi gli organismi commerciali o industriali esterni, come stabilito, se possibile, da accordi specifici di collaborazione o ad altri tipi di accordo.

Coautore

Nella valutazione del loro personale, gli enti dovrebbero valutare positivamente l’essere «coautore» quale prova di un approccio costruttivo nello svolgimento dell’attività di ricerca. I datori di lavoro e/o i finanziatori dovrebbero pertanto elaborare strategie, pratiche e procedure per fornire ai ricercatori, ivi compresi quelli all’inizio di carriera, le condizioni di base necessarie perché possano godere del diritto di essere riconosciuti ed elencati e/o citati, nell’ambito delle loro collaborazioni, come coautori di pubblicazioni, brevetti, ecc. e di pubblicare i loro risultati in modo autonomo dai loro supervisori.

Supervisione

I datori di lavoro e/o i finanziatori dei ricercatori dovrebbero assicurare che venga chiaramente identificata una persona cui i ricercatori nella fase iniziale di carriera possano fare riferimento per lo svolgimento dei loro doveri professionali e dovrebbero, di conseguenza, informarne i ricercatori.

In tale ambito, si dovrebbe specificare chiaramente che i supervisori proposti vantano un’adeguata esperienza nella supervisione della ricerca e hanno il tempo, le conoscenze, l’esperienza, le competenze e la disponibilità per offrire al ricercatore in questione il sostegno adeguato. A chi viene formato alla ricerca dovrebbero inoltre essere fornite le adeguate procedure di avanzamento e di esame, nonché i meccanismi di feedback necessari.

Insegnamento

L’insegnamento è un mezzo essenziale per strutturare e diffondere le conoscenze e dovrebbe pertanto essere considerato un’opzione valida nel percorso professionale dei ricercatori. Tuttavia, gli impegni legati all’insegnamento non dovrebbero essere eccessivi e non dovrebbero impedire ai ricercatori, soprattutto nella fase iniziale della loro carriera, di svolgere attività di ricerca.

I datori di lavoro e/o i finanziatori dei ricercatori dovrebbero accertarsi che i compiti d’insegnamento siano adeguatamente remunerati, siano presi in considerazione nei sistemi di valutazione e che il tempo consacrato dai membri più esperti del personale addetto alla formazione dei ricercatori nella fase iniziale di carriera sia considerato come tempo dedicato ad attività di insegnamento. Si dovrebbe offrire una formazione adeguata per le attività di insegnamento e di mentoring nell’ambito dello sviluppo professionale dei ricercatori.

Sistemi di valutazione

I datori di lavoro e/o i finanziatori dei ricercatori dovrebbero adottare per tutti i ricercatori, ivi compresi i ricercatori di comprovata esperienza, dei sistemi di valutazione che consentano ad un comitato indipendente (e, nel caso dei ricercatori di comprovata esperienza, un comitato preferibilmente internazionale) di valutare periodicamente e in modo trasparente le loro prestazioni professionali.

Queste procedure di valutazione dovrebbero tenere in debito conto la creatività complessiva nella ricerca e i risultati ottenuti, ossia le pubblicazioni, i brevetti, la gestione della ricerca, le attività di insegnamento e le conferenze, le attività di supervisione e di mentoring, le collaborazioni nazionali o internazionali, i compiti amministrativi, le attività di sensibilizzazione del pubblico e la mobilità. Tali aspetti dovrebbero essere considerati anche per lo sviluppo della carriera

Reclami e ricorsi

I datori di lavoro e/o i finanziatori dei ricercatori dovrebbero stabilire procedure adeguate, conformemente alle regole e alle disposizioni nazionali, ricorrendo possibilmente ad una persona imparziale (del genere mediatore) per il trattamento dei reclami e dei ricorsi dei ricercatori, nonché dei conflitti tra supervisori e ricercatori agli inizi di carriera. Queste procedure dovrebbero fornire all’insieme del personale di ricerca, nel rispetto della riservatezza, un’assistenza informale per risolvere i conflitti di lavoro, le controversie ed i reclami, al fine di favorire un trattamento giusto ed equo in seno all’istituzione e migliorare la qualità complessiva dell’ambiente di lavoro.

Partecipazione agli organismi decisionali

I datori di lavoro e/o i finanziatori dei ricercatori dovrebbero riconoscere che è del tutto legittimo, nonché auspicabile, che i ricercatori siano rappresentati negli organi consultivi, decisionali e d’informazione delle istituzioni per cui lavorano, in modo da proteggere e promuovere i loro interessi individuali e collettivi in quanto professionisti e da contribuire attivamente al funzionamento dell’istituzione.

Assunzione

I datori di lavoro e/o i finanziatori dovrebbero garantire che le norme di accesso e ammissione per i ricercatori, soprattutto per quelli agli inizi della loro carriera, siano rese note. Dovrebbero inoltre agevolare l’accesso ai gruppi svantaggiati o ai ricercatori che riprendono la loro carriera di ricercatore, ivi compresi gli insegnanti (di qualsiasi livello).

I datori di lavoro e/o i finanziatori dei ricercatori, in fase di nomina o assunzione di ricercatori, dovrebbero conformarsi ai principi stabiliti nel codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori.

SEZIONE 2

Codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori

Il codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori consiste in un insieme di principi generali e prescrizioni che dovrebbero esser applicati dai datori di lavoro e/o dai finanziatori quando nominano o assumono dei ricercatori. Questi principi e prescrizioni dovrebbero garantire il rispetto di criteri quali la trasparenza del processo di assunzione e la parità di trattamento dei candidati, soprattutto nella prospettiva della creazione di un mercato del lavoro europeo attrattivo, aperto e sostenibile per i ricercatori, e sono complementari rispetto ai principi e alle prescrizioni contenuti nella Carta europea dei ricercatori. Le istituzioni e i datori di lavoro che sottoscrivono tale codice daranno prova del loro impegno ad agire in modo responsabile e giusto e a offrire condizioni quadro eque ai ricercatori, nel chiaro intento di contribuire allo sviluppo della Spazio europeo della ricerca.

PRINCIPI GENERALI E REQUISITI DEL CODICE DI CONDOTTA

Assunzione

I datori di lavoro e/o i finanziatori dovrebbero istituire procedure di assunzione aperte, efficaci, trasparenti, favorevoli, equiparabili a livello internazionale e adeguate ai posti di lavoro proposti.

Gli annunci dovrebbero contenere un’ampia descrizione delle conoscenze e delle competenze richieste, ma non dovrebbero richiedere competenze così specifiche da scoraggiare i potenziali candidati. I datori di lavoro dovrebbero includere una descrizione delle condizioni di lavoro e dei diritti, ivi comprese le prospettive di carriera. Il periodo di tempo concesso tra la pubblicazione dell’avviso o dell’invito a presentare candidature e la data limite per proporre la propria candidatura dovrebbe essere ragionevole.

Selezione

I comitati di selezione dovrebbero comprendere membri con esperienze e competenze diverse, riflettere un adeguato equilibrio tra uomini e donne e, laddove necessario e possibile, comprendere membri provenienti da vari settori (pubblico e privato) e discipline, nonché da altri paesi e con l’esperienza necessaria per valutare i candidati. Nella misura del possibile, si dovrebbero utilizzare procedure di selezione diverse, come la valutazione di esperti esterni e le interviste face-to-face. I membri dei comitati di selezione dovrebbero essere adeguatamente formati.

Trasparenza

I candidati dovrebbero essere informati, prima della selezione, sulle procedure di assunzione e sui criteri di selezione, sul numero di posti disponibili e sulle prospettive di carriera. Al termine del processo di selezione, dovrebbero inoltre essere informati dei punti deboli e dei punti di forza della loro candidatura.

Valutazione del merito

Nella procedura di selezione si dovrebbe tenere contro dell’insieme delle esperienze maturate dai candidati. Pur concentrandosi sul loro potenziale globale in quanto ricercatori, si dovrebbe tenere conto della loro creatività e del loro grado di indipendenza.

Ciò significa che il merito dovrebbe essere valutato sul piano qualitativo e quantitativo, ponendo l’accento sui risultati eccezionali ottenuti in un percorso personale diversificato e non esclusivamente sul numero di pubblicazioni. Pertanto, l’importanza degli indicatori bibliometrici deve essere adeguatamente ponderata nell’ambito di un’ampia gamma di criteri di valutazione, considerando le attività di insegnamento e supervisione, il lavoro in équipe, il trasferimento delle conoscenze, la gestione della ricerca, l’innovazione e le attività di sensibilizzazione del pubblico. Per i candidati provenienti dal settore industriale occorrerebbe prestare particolare attenzione ad eventuali brevetti, attività di sviluppo o invenzioni.

Variazioni nella cronologia del curriculum vitae

Le interruzioni di carriera o le variazioni nell’ordine cronologico del curriculum vitae non dovrebbero essere penalizzate, ma considerate come un contributo potenzialmente valido allo sviluppo professionale dei ricercatori lungo un percorso professionale multidimensionale. I candidati dovrebbero essere autorizzati a presentare dei curricula vitae basati su prove concrete, che rispecchino un insieme significativo di realizzazioni e qualifiche per il posto di lavoro cui aspirano.

Riconoscimento dell’esperienza di mobilità

Eventuali esperienze di mobilità, ossia un soggiorno in un paese o regione diversi o in un altro istituto di ricerca (pubblico o privato), o un cambiamento di disciplina o settore, sia nell’ambito della formazione iniziale che in una fase ulteriore della carriera, o ancora un’esperienza di mobilità virtuale, dovrebbero essere considerate contributi preziosi allo sviluppo professionale del ricercatore.

Riconoscimento delle qualifiche

I datori di lavoro e/o i finanziatori dovrebbero provvedere all’adeguata valutazione delle qualifiche universitarie e professionali di tutti i ricercatori, ivi comprese le qualifiche non formali, in particolare nel contesto della mobilità internazionale e professionale. Dovrebbero informarsi e acquisire una buona conoscenza delle regole, procedure e norme che disciplinano il riconoscimento di tali qualifiche ed esaminare la normativa nazionale vigente, le convenzioni e le regole specifiche relative al riconoscimento, attraverso tutti i canali disponibili.

Anzianità

I livelli delle qualifiche richieste dovrebbero corrispondere alle esigenze del posto di lavoro e non essere fissati come un ostacolo all’assunzione. Il riconoscimento e la valutazione delle qualifiche dovrebbero incentrarsi sull’esame dei risultati della persona, più che della sua situazione personale o della reputazione dell’istituto in cui ha acquisito tali qualifiche. Visto che le qualifiche professionali possono essere acquisite all’inizio di una lunga carriera, occorre anche riconoscere il modello di sviluppo professionale lungo l’intero arco della vita.

Nomine post-dottorato

Gli istituti che nominano ricercatori titolari di un dottorato dovrebbero fissare regole chiare e orientamenti espliciti per l’assunzione e la nomina di tali ricercatori, specificando, tra l’altro, la durata massima e gli obiettivi di queste nomine. Tali orientamenti dovrebbero tenere conto delle esperienze maturate come ricercatori post-dottorato presso altri istituti e del fatto che lo statuto di post-dottorato dovrebbe essere transitorio, allo scopo precipuo di offrire ulteriori possibilità di sviluppo professionale nell’ambito di prospettive di carriera a lungo termine.

SEZIONE 3

Definizioni

Ricercatori

Nella presente raccomandazione, viene utilizzata la definizione di ricerca tratta dal manuale di Frascati accettata a livello internazionale. Di conseguenza i ricercatori sono descritti come

«Professionisti impegnati nella concezione o nella creazione di nuove conoscenze, prodotti, processi, metodi e sistemi nuovi e nella gestione dei progetti interessati»

Più specificatamente, la presente raccomandazione riguarda le persone che svolgono attività professionali nella R & S, in qualsiasi fase della carriera, e indipendentemente dalla loro classificazione. Ciò comprende qualsiasi attività nel campo della «ricerca di base», della «ricerca strategica», della «ricerca applicata», dello sviluppo sperimentale e del «trasferimento delle conoscenze», ivi comprese l’innovazione e le attività di consulenza, supervisione e insegnamento, la gestione delle conoscenze e dei diritti di proprietà intellettuale, la valorizzazione dei risultati della ricerca o il giornalismo scientifico.

Viene fatta una distinzione tra ricercatori nella fase iniziale di carriera e ricercatori dalla comprovata esperienza:

Il termine «ricercatore nella fase iniziale di carriera» si riferisce ai ricercatori nei primi quattro anni (equivalente a tempo pieno) di attività di ricerca, inclusi i periodi di formazione alla ricerca.

 

I «ricercatori dalla comprovata esperienza» sono quelli che vantano almeno quattro anni di esperienza nel campo della ricerca (equivalente a tempo pieno) a decorrere dal momento in cui hanno ottenuto il diploma che dà accesso diretto agli studi di dottorato, nel paese in cui hanno ottenuto la laurea/il diploma, o che sono già titolari di un diploma di dottorato, indipendentemente dal tempo impiegato per ottenerlo.

Datori di lavoro

Nell’ambito della presente raccomandazione, «datori di lavoro» sono tutti gli enti pubblici o privati che impiegano ricercatori in base a un contratto o che li ospitano nell’ambito di altri tipi di contratti o accordi, ivi compresi quelli che non prevedono rapporti economici diretti. In quest’ultimo caso, si tratta di istituti di insegnamento superiore, dipartimenti di facoltà, laboratori, fondazioni o organismi privati presso cui i ricercatori seguono una formazione alla ricerca o svolgono attività di ricerca, grazie ad un finanziamento proveniente da terzi.

Finanziatori

Il termine «finanziatori» si riferisce a tutti gli enti che erogano un finanziamento (ivi compresi stipendi, premi, sovvenzioni e borse) agli istituti di ricerca pubblici e privati, inclusi gli istituti d’insegnamento superiore. In tale veste possono richiedere come condizione primaria per il finanziamento che gli istituti finanziati debbano elaborare e applicare strategie, condotte e meccanismi efficaci, conformemente ai principi generali e alle prescrizioni illustrate nella presente raccomandazione.

Nomina o impiego

Si riferisce a qualsiasi tipo di contratto, remunerazione, borsa; sovvenzione o premio finanziato da terzi, ivi compresi i finanziamenti nell’ambito dei programmi quadro.

 

La sopra riportata Carta Europea dei Ricercatori, unitamente al Codice di Condotta per la loro assunzione, è rivolta a tutti i ricercatori e le ricercatrici dell’Unione Europea e contiene rilevanti principi generali e raccomandazioni in merito al loro ruolo, responsabilità e diritti.

Nel dettaglio, l’obiettivo della Carta Europea dei Ricercatori è sicuramente quello di incentivare la mobilità all’interno dell’Unione Europea (garantendo che i ricercatori godano degli stessi diritti e doveri in ogni Stato membro) nonché di riflettere al fine di migliorare le condizioni e l’ambiente di lavoro; in tal senso devono essere altresì lette le disposizioni inserite al fine di favorire i processi di riconoscimento e di sviluppo professionale nel settore della ricerca.

Il Codice di Condotta per l’assunzione dei Ricercatori si pone invece come obiettivo quello di tracciare le linee guide per il miglioramento dei processi di reclutamento nonché per rendere più eque e trasparenti le procedure di selezione, proponendo a tal fine anche strumenti e criteri alternativi per la valutazione del merito con particolare riferimento allo specifico settore delle attività di ricerca.

La Direttiva UE in materia di retribuzioni minime

È entrata in vigore la Direttiva UE 19 ottobre 2022 n.2041 sulle retribuzioni minime che tocca anche il fenomeno inflazionistico ormai divenuto esplosivo.

La direttiva non riveste carattere cogente e non intende interferire con i rapporti sindacali esistenti in ciascun paese.

In ogni caso, agli Stati membri è lasciato uno spazio temporale pari a due anni per valutarne ed operarne il recepimento.

La direttiva è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 25 ottobre 2022.

La direttiva ora approvata dalla Commissione Europea è identica a quella approvata dal Parlamento UE il 14 settembre 2022.

Nell’attuale momento di inflazione ad alto livello, nonché di bassi salari, una retribuzione minima imposta su base oraria potrebbe portare ad un generale aumento delle retribuzioni anche per le professionalità medio alte, agendo da stimolo per la contrattazione collettiva.

Diverso sarebbe invece e viene qui ribadito, considerare come salario minimo esclusivamente quello inserito nei contratti collettivi stipulati dai sindacati CGIL, CISL, UIL, in quanto una normativa che preveda un tanto rischierebbe di collidere con la normativa costituzionale ed in particolare con l’articolo 39 della Carta Costituzionale stessa.

Va ricordato che l’attuale governo non crede nell’introduzione del salario minimo in qualunque forma, ma ritiene come le politiche di aumento delle retribuzioni possano essere perseguite, abbattendo la tassazione del lavoro (cfr. videomessaggio del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni al Festival del Lavoro di Bologna – giugno 2022).

Fabio Petracci

PARERE – Doppia imposizione fiscale tra Belgio e Italia

Egregio dottore,

a seguito di attento esame, con riferimento alle Sue molteplici richieste in merito alla situazione della Sua compagna, possiamo significare quanto segue.

Appare doveroso premettere, trattandosi di tematiche estremamente delicate ed attinenti alla normativa fiscale sia fiscale sia internazionale, che il presente parere viene reso sulla base delle informazioni fornite e si invita il richiedente a rivolgersi ad un commercialista esperto nel settore della fiscalità internazionale al fine di ricevere una consulenza più specifica oltre che per la corretta gestione degli adempimenti previsti dalla normativa applicabile.

Ciò posto, innanzitutto Le confermiamo che è possibile aprire la partita IVA in regime forfettario per i non residenti in Italia, purché risiedano in uno degli Stati membri dell’Unione europea (come il Belgio) e producano in Italia almeno il 75% del reddito complessivamente realizzato.

Procedendo all’esame delle Sue domande, in Italia la dichiarazione dei redditi dei non residenti deve essere presentata ogni qual volta si percepiscano redditi prodotti in Italia, anche se la residenza fiscale del contribuente è all’estero.

Ne consegue che, qualora vengano percepiti redditi sia in Italia sia in Belgio, dovrà essere presentata una dichiarazione dei redditi per ciascuno Stato.

La Convenzione del 1983 tra Italia e Belgio è stata stipulata proprio allo scopo di evitare la doppia imposizione fiscale relativamente alle imposte sui redditi.

Il fine delle convenzioni contro la doppia imposizione è duplice: da una parte esse permettono di evitare che lo stesso reddito venga tassato due volte (doppia imposizione in senso giuridico) e dall’altra provvedono a ripartire tra i due Stati contraenti le entrate tributarie derivanti dai redditi percepiti dal contribuente.

Pertanto, eventuali redditi conseguiti in Italia concorrono al reddito “complessivo”; peraltro, tendenzialmente negli Stati dell’UE lo svolgimento di attività di lavoro autonomo non è compatibile con la percezione dell’indennità di disoccupazione (sul punto, dovrà verificare la normativa belga).

La discriminante per individuare il paese di tassazione è la presenza o meno di una base fissa per l’esercizio delle attività del Professionista nello Stato diverso da quello di residenza, ovvero una sede o comunque un centro di attività di carattere fisso o permanente.

Ai fini dell’assoggettamento ad imposizione in Italia dei redditi da lavoro, l’articolo 3, comma 1, del TUIR (Testo Unico Imposte sui Redditi, D.P.R. n.917/1986), prevede che “l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’articolo 10 e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato”.

Inoltre, ai sensi dell’articolo 23, comma 1, lettera d), del TUIR si considerano prodotti nel territorio dello Stato italiano i redditi di lavoro autonomo derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato.

Tale trattamento fiscale potrebbe tuttavia essere modificato proprio in ragione della Convenzione per evitare le doppie imposizioni vigente tra Belgio e Italia.

Infatti, con particolare riferimento alle professioni indipendenti, l’art. 14 della Convenzione Italia-Belgio prevede che: “1. I redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae dall’esercizio di una libera professione o da altre attività di carattere indipendente sono imponibili soltanto in detto Stato a meno che tale residente non disponga abitualmente nell’altro Stato contraente di una base fissa per l’esercizio delle sue attività. Se egli dispone di tale base fissa, i redditi sono imponibili nell’altro Stato, ma unicamente nella misura in cui sono attribuibili a detta base fissa.

  1. L’espressione “libera professione” comprende in particolare le attività indipendenti di carattere scientifico, letterario, artistico, educativo o pedagogico, nonché le attività indipendenti dei medici, avvocati, ingegneri, architetti, dentisti e contabili”.

La citata disposizione convenzionale sancisce dunque la potestà impositiva esclusiva dello Stato di residenza, sempreché il professionista non disponga abitualmente nell’altro Stato contraente di una base fissa per l’esercizio delle sue attività.

In tale eventualità si applica la tassazione concorrente, che consente anche allo Stato della fonte (oltre allo Stato di residenza) di tassare i redditi attribuibili a tale base fissa.

Considerato quindi che la partita IVA verrebbe aperta in Italia e che l’attività verrebbe svolta esclusivamente verso clienti italiani a Milano, appare di conseguenza ipotizzabile che l’attività professionale, ai sensi della predetta norma convenzionale, sia considerabile come svolta esclusivamente in Italia attraverso una base fissa, con la conseguenza che il reddito derivante da tale attività sarà soggetto a tassazione nel nostro paese.

Sul punto e sullo svolgimento di attività di lavoro autonomo esclusivamente in Italia e nei confronti di clienti italiani, pare inoltre opportuno ribadire in questa sede che: “l’iscrizione del cittadino nell’anagrafe dei residenti all’estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali” (Cass. 16634/2018).

In altri termini, al di là della formale residenza stabilita fuori dal territorio nazionale, il contribuente sarà considerato fiscalmente residente in Italia ove venga provato, in sede amministrativa o giudiziale, che egli abbia mantenuto o stabilito il proprio domicilio civilistico nel nostro paese.

In tal senso, l’iscrizione all’AIRE deve ritenersi un mero dato formale, con ciò assegnando maggior valore al domicilio attribuibile al contribuente, “inteso come la sede principale degli affari e degli interessi economici nonché delle relazioni personali come desumibile da elementi presuntivi ed a prescindere dall’iscrizione del soggetto all’AIRE” (da ultimo, Cass. 21694/2020, 21695/2020, 21696/2020 e 21697/2020).

Quanto alla copertura sanitaria, gli iscritti AIRE non possono usufruire dell’assistenza sanitaria in Italia, beneficiando di quella del paese in cui risultano residenti.

In ogni caso, in quanto cittadina dell’UE, se la Sua compagna si dovesse ammalare nel corso di un soggiorno temporaneo – anche per motivi di lavoro – in Italia, avrà diritto alle cure mediche necessarie ed indispensabili.

L’apertura della partita IVA in Italia è condizione necessaria e sufficiente per poter regolarmente svolgere e fatturare attività di lavoro autonomo: considerata la situazione, Le consigliamo di rivolgersi ad un dottore commercialista esperto di fiscalità internazionale anche per tale adempimento.

Quanto al quesito sulla necessità o meno di coperture assicurative particolari, un tanto dipende dalla natura dell’attività consulenziale che andrà a svolgere la Sua compagna: qualora dovesse svolgere attività riservate agli iscritti ad albi professionali, oltre ad iscriversi all’albo di riferimento, dovrà altresì dotarsi di idonea assicurazione professionale.

***

Rimaniamo a disposizione per eventuali chiarimenti e porgiamo cordiali saluti.

Trieste, 2 marzo 2022

 

Centro Studi Corrado Rossitto

Ricercatori universitari e contratti a termine – la Corte di Giustizia dell’Unione Europea

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito che il sistema italiano di reclutamento dei ricercatori a tempo determinato non è in contrasto con l’accordo quadro concluso il 18 marzo 1999, sul lavoro a tempo determinato, nello specifico la Corte dichiara che: “La clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale in forza della quale è prevista, per quanto riguarda l’assunzione dei ricercatori universitari, la stipulazione di un contratto a tempo determinato per un periodo di tre anni, con una sola possibilità di proroga per un periodo massimo di due anni, subordinando, da un lato, la stipulazione di tali contratti alla condizione che siano disponibili risorse per la programmazione, al fine di svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti, e, dall’altro, la proroga di tali contratti alla positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte, senza che sia necessario che tale normativa stabilisca i criteri oggettivi e trasparenti che consentano di verificare se la stipulazione e il rinnovo di tali contratti rispondano effettivamente a un’esigenza reale, se essi siano idonei a conseguire l’obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine”.

parlamento europeo

Diritto alla disconnessione sul lavoro. Il parlamento europeo emette una raccomandazione.

Il Parlamento Europeo ha adottato la risoluzione del 21 gennaio 2021 relativa al diritto alla disconnessione recante raccomandazioni alla Commissione per addivenire ad una generale tutela del lavoro dai rischi di una costante connessione con i mezzi informatici dell’azienda, tale da comportare il rischio di un abnorme e pericolosa dilatazione dei tempi di lavoro.

Molteplici sono le ragioni che sostengono questa decisione.

L’invasività del lavoro è resa quanto mai attuale dalla ormai rilevante presenza dei mezzi informatici a scopi lavorativi e quindi la nascita di una cultura della connessione permanente che rende ormai difficile una definizione dell’orario di lavoro e di una giusta e proporzionata retribuzione, compromettendo l’equilibrio tra attività lavorativa e vita privata. Il documento riconosce come l’efficace registrazione dell’orario di lavoro possa contribuire al rispetto del lavoro ed a limitare gli eccessi.

Lo stesso documento ammette pure come una certa flessibilità nell’organizzazione del lavoro e l’utilizzo in maniera sicura ed adeguata di strumenti digitali a scopi lavorativi possano determinare conseguenze positive sulla salute fisica e mentale dei lavoratori.

Quindi, il Parlamento europeo invita la Commissione a valutare ed affrontare i rischi della mancata tutela di un diritto alla disconessione , invitando la Commissione medesima a presentare una proposta di direttiva sull’argomento, ricorrendo anche alla consultazione e collaborazione delle parti sociali.

L’invito del Parlamento europeo tocca anche temi connessi che possono comportare un coinvolgimento temporale ed invasivo del lavoratore come ad esempio le attività di apprendimento e formazione a distanza, auspicando come le stesse siano circoscritte nell’ambito dell’orario di lavoro, salvo adeguato compenso.

La stesso Parlamento sottolinea l’importanza di una adeguata formazione informatica per consentire ai lavoratori uno svolgimento corretto ed efficiente della prestazione.

Quindi la Raccomandazione del Parlamento europeo invoca il diritto alla disconnessione dai mezzi di lavoro da applicarsi a tutti i lavoratori e a tutti i settori, sia pubblici che privati mediante una direttiva che stabilisca condizioni minime per il diritto alla disconnessione.

A seguito della predetta direttiva, è auspicato come gli Stati membri debbano poi garantire l’istituzione di un sistema oggettivo, affidabile ed accessibile che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore, anche attraverso accordi tra le parti sociali.

Articolo 1 Oggetto e ambito d’applicazione.

1. La presente direttiva stabilisce prescrizioni minime che permettano ai lavoratori di utilizzare strumenti digitali, comprese le TIC, a scopi lavorativi e di esercitare il diritto alla disconnessione e che garantiscano il rispetto del diritto dei lavoratori alla disconnessione da parte dei datori di lavoro. Essa si applica a tutti i settori, sia pubblici che privati, e a tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro status e dalle loro modalità di lavoro.

2. La presente direttiva precisa e integra le direttive 89/391/CEE, 2003/88/CE, (UE) 2019/1152 e (UE) 2019/1158 ai fini di cui al paragrafo 1, lasciando impregiudicate le prescrizioni stabilite in tali direttive. Articolo 2 Definizioni

1. Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni: (1) “disconnessione”: il mancato esercizio di attività o comunicazioni lavorative per mezzo di strumenti digitali, direttamente o indirettamente, al di fuori dell’orario di lavoro; (2) “orario di lavoro”: l’orario di lavoro quale definito all’articolo 2, punto 1, della direttiva 2003/88/CE.

Articolo 3 Diritto alla disconnessione

1. Gli Stati membri garantiscono che i datori di lavoro prendano i provvedimenti necessari per fornire ai lavoratori i mezzi per esercitare il diritto alla disconnessione.

Gli Stati membri garantiscono che i datori di lavoro istituiscano un sistema oggettivo, affidabile e accessibile che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore, nel rispetto del diritto dei lavoratori alla vita privata e alla tutela dei dati personali. I lavoratori possono richiedere e ottenere il registro del loro orario di lavoro. Gli Stati membri provvedono affinché i datori di lavoro attuino il diritto alla disconnessione in modo equo, lecito e trasparente.

Articolo 4 Misure di attuazione del diritto alla disconnessione.

1. Gli Stati membri garantiscono che, previa consultazione delle parti sociali al livello adeguato, siano stabilite modalità dettagliate che consentano ai lavoratori di esercitare il diritto alla disconnessione e che i datori di lavoro attuino tale diritto in modo equo e trasparente. A tal fine gli Stati membri garantiscono almeno le seguenti condizioni di lavoro: (a) le modalità pratiche per scollegarsi dagli strumenti digitali a scopi lavorativi, compreso qualsiasi strumento di monitoraggio legato al lavoro; (b) il sistema per la misurazione dell’orario di lavoro; (c) valutazioni della salute e della sicurezza, comprese le valutazioni del rischio psicosociale, in relazione al diritto alla disconnessione; (d) i criteri per la concessione di una deroga ai datori di lavoro dall’obbligo di attuare il diritto dei lavoratori alla disconnessione; (e) in caso di deroga a norma della lettera d), i criteri per stabilire le modalità di calcolo della compensazione per il lavoro svolto al di fuori dell’orario di lavoro conformemente alle direttive 89/391/CEE, 2003/88/CE, (UE) 2019/1152 e (UE) 2019/1158 nonché al diritto e alle prassi nazionali. (f) le misure di sensibilizzazione, compresa la formazione sul luogo di lavoro, che i datori di lavoro sono tenuti ad adottare riguardo alle condizioni di lavoro di cui al presente paragrafo. Le deroghe di cui al primo comma, lettera d), sono previste soltanto in circostanze eccezionali, quali la forza maggiore o altre emergenze, a condizione che il datore di lavoro fornisca per iscritto a ogni lavoratore interessato le motivazioni che dimostrino la necessità di una deroga ogniqualvolta si ricorra a essa.

2. Gli Stati membri possono, conformemente al diritto e alle prassi nazionali, affidare alle parti sociali il compito di concludere accordi collettivi a livello nazionale, regionale, settoriale o di datore di lavoro che stabiliscano o integrino le condizioni di lavoro di cui al paragrafo 1.

3. Gli Stati membri provvedono affinché i lavoratori che non sono coperti da un accordo collettivo a norma del paragrafo 2 beneficino di una tutela conformemente alla presente direttiva.

Articolo 5 Tutela contro trattamenti sfavorevoli

1. Gli Stati membri provvedono affinché siano vietati la discriminazione, il trattamento meno favorevole, il licenziamento e altre misure sfavorevoli da parte dei datori di lavoro per il fatto che il lavoratore abbia esercitato o tentato di esercitare il diritto alla disconnessione.

2. Gli Stati membri garantiscono che i datori di lavoro proteggano i lavoratori, compresi i rappresentanti dei lavoratori, da qualsiasi trattamento sfavorevole e da qualsiasi conseguenza sfavorevole derivante da un reclamo presentato al datore di lavoro o da un procedimento promosso al fine di garantire il rispetto dei diritti di cui alla presente direttiva.

3. Gli Stati membri garantiscono che, quando i lavoratori che ritengono di essere stati licenziati o di aver subito un altro trattamento sfavorevole per aver esercitato o tentato di esercitare il diritto alla disconnessione presentano dinanzi a un tribunale o a un’altra autorità competente fatti idonei a far sorgere una presunzione che siano stati licenziati o abbiano subito un altro trattamento sfavorevole per tale motivo, incombe al datore di lavoro dimostrare che il licenziamento o il trattamento sfavorevole è stato basato su motivi diversi.

4. Il paragrafo 3 non osta a che gli Stati membri impongano un regime probatorio più favorevole ai lavoratori.

 5. Gli Stati membri non sono tenuti ad applicare il paragrafo 3 alle procedure nelle quali l’istruzione dei fatti spetta all’organo giurisdizionale o all’organo competente.

 6. Salvo diversa disposizione degli Stati membri, il paragrafo 3 non si applica ai procedimenti penali.

Articolo 6 Diritto di ricorso

1. Gli Stati membri provvedono affinché i lavoratori il cui diritto alla disconnessione è stato violato abbiano accesso a un meccanismo di risoluzione delle controversie rapido, efficace e imparziale e beneficino di un diritto di ricorso in caso di violazioni dei loro diritti derivanti dalla presente direttiva.

2. Gli Stati membri possono stabilire che le organizzazioni sindacali o altri rappresentanti dei lavoratori abbiano la facoltà, per conto o a sostegno dei lavoratori e con la loro approvazione, di avviare procedimenti amministrativi al fine di garantire la conformità con la presente direttiva o la sua applicazione.

Articolo 7 Obbligo di informazione Gli Stati membri provvedono affinché i datori di lavoro forniscano per iscritto a ciascun lavoratore informazioni chiare, sufficienti ed adeguate sul diritto alla disconnessione, compresa una dichiarazione che precisi i termini degli accordi collettivi o di altri accordi applicabili. Tali informazioni comprendono almeno i seguenti elementi: (a) le modalità pratiche per scollegarsi dagli strumenti digitali a scopi lavorativi, compresi eventuali strumenti di monitoraggio legato al lavoro, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera a); (b) il sistema di misurazione dell’orario di lavoro, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera b); (c) le valutazioni del datore di lavoro sulla salute e sulla sicurezza in relazione al diritto alla disconnessione, comprese le valutazioni del rischio psicosociale, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera c); (d) i criteri per la concessione di una deroga ai datori di lavoro dall’obbligo di attuare il diritto alla disconnessione e i criteri per stabilire la compensazione per il lavoro svolto al di fuori dell’orario di lavoro, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettere d) ed e); (e) le misure di sensibilizzazione del datore di lavoro, compresa la formazione sul luogo di lavoro, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera f); (f) le misure di tutela dei lavoratori contro trattamenti sfavorevoli conformemente all’articolo 5; (g) le misure di attuazione del diritto di ricorso dei lavoratori conformemente all’articolo 6.

Articolo 8 Sanzioni

Gli Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in conformità della presente direttiva o delle pertinenti disposizioni già in vigore riguardanti i diritti che rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva, e adottano tutte le misure necessarie per assicurarne l’attuazione. Tali sanzioni sono effettive, proporzionate e dissuasive. Entro … [due anni dalla data di entrata in vigore della presente direttiva], gli Stati membri notificano tali norme e misure alla Commissione e provvedono poi a dare immediata notifica delle eventuali modifiche successive.

Articolo 9 Livello di protezione 1. La presente direttiva non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di protezione riconosciuto ai lavoratori negli Stati membri.

2. La presente direttiva lascia impregiudicata la prerogativa degli Stati membri di applicare o introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori o di promuovere o consentire l’applicazione di contratti collettivi che siano più favorevoli ai lavoratori. 3. La presente direttiva lascia impregiudicato ogni altro diritto conferito ai lavoratori da altri atti giuridici dell’Unione.

Articolo 10 Relazione, valutazione e revisione del diritto alla disconnessione

1. Entro … [cinque anni dopo l’entrata in vigore della presente direttiva] e successivamente ogni due anni, gli Stati membri presentano alla Commissione una relazione contenente tutte le informazioni pertinenti sull’attuazione e l’applicazione pratiche della presente direttiva, così come indicatori di valutazione sulle pratiche di attuazione del diritto alla disconnessione, indicando i rispettivi punti di vista delle parti sociali nazionali.

 2. Sulla base delle informazioni fornite dagli Stati membri a norma del paragrafo 1, la Commissione, entro … [sei anni dopo l’entrata in vigore della presente direttiva] e successivamente ogni due anni, presenta una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’attuazione e sull’applicazione della presente direttiva e valuta la necessità di misure aggiuntive, compresa, se del caso, la modifica della presente direttiva. Articolo 11 Recepimento 1. Entro il … [due anni dopo l’entrata in vigore della presente direttiva], gli Stati membri adottano e pubblicano le misure legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva. Essi ne informano immediatamente la Commissione. Essi applicano tali disposizioni a decorrere dal … [tre anni dopo l’entrata in vigore della presente direttiva]. Le misure adottate dagli Stati membri contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di tale riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono stabilite dagli Stati membri.

2. A decorrere dall’entrata in vigore della presente direttiva, gli Stati membri provvedono a comunicare alla Commissione, in tempo utile perché questa possa presentare le proprie osservazioni, qualsiasi progetto di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative che intendano adottare nel settore disciplinato dalla presente direttiva.

3. Conformemente all’articolo 153, paragrafo 3, TFUE, gli Stati membri possono affidare alle parti sociali l’attuazione della presente direttiva, su loro richiesta congiunta, a condizione che garantiscano il rispetto della presente direttiva.

 Articolo 12 Dati personali I datori di lavoro trattano i dati personali di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettere a) e b) della presente direttiva soltanto ai fini della registrazione dell’orario di lavoro del singolo lavoratore. Essi non trattano tali dati per altri fini. I dati personali sono trattati conformemente al regolamento (CE) n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio1 e alla direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio2 . Articolo 13 1 Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (GU L 119 del 4.5.2016, pag. 1).

2 Direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche) (GU L 201 del 31.7.2002, pag. 37). Entrata in vigore La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. Articolo 14 Destinatari Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva. Fatto a …, Per il Parlamento europeo Per il Consiglio Il presidente Il presidente

MES UN ANALISI DI COSTI E BENEFICI

Mi sono imbattuto in questa interessante analisi sui costi e benefici della linea di credito per l’emergenza sanitaria da Covid-19 offerta dal MES – Meccanismo Europeo di Stabilità.
Ecco il link all’articolo di Amedeo Argentiero, Carlo Andrea Bollino apparso su Economia e Politica del 13/11/2020.

Fabio Petracci

I consorzi europei di infrastrutture di ricerca (ERIC) e la mobilità Risorse Umane

Cosa sono gli ERIC

Gli ERIC (European Research Infrastructures Consortium) sono consorzi di diritto europeo costituiti, su iniziativa delle comunità scientifiche, da un gruppo di Paesi e per decisione della Commissione Europea. Gli ERIC costituiscono quindi una rete basata sulla collaborazione e integrazione del tessuto della ricerca in entità uniche, competitive, per qualità e dimensioni, a livello internazionale che permettono di mobilitare grandi risorse con la massima elasticità. Gli ERIC tendono a fare dell’Europa scientifica una nazione integrata collegando università, cliniche e centri di ricerca. Una prova delle capacità di risposta degli ERIC a situazioni estese e complesse come l’epidemia COVID19 si può vedere nell’iniziativa di CERIC-ERIC (Central European Research Infrastructure Consortium – basato nell’Area di Ricerca di Trieste) di aprire una via d’accesso rapida alle infrastrutture consortili per chi necessita di analisi su materiali utili a combattere il virus. A questa iniziativa sono seguite quelle della maggior parte  degli altri ERIC.

Attualmente sono operativi o in fase di costituzione  25 ERIC di cui 6 nell’area biomedica, 8 in quella ambientale, 6 dedicati alle scienze umane e sociali; 3 per la fisica, ingegneria e per lo studio di materiali avanzati[1]

Le sedi legali degli ERIC sono ubicate in 10 paesi e nel prossimo futuro è prevedibile un aumento degli Stati membri e dei paesi associati che ospiteranno un ERIC. Agli ERIC possono aderire paesi extra UE (es. Israele, Norvegia, Svizzera).

Gli ERIC di tutta Europa hanno dato vita al Forum ERIC per rafforzare il coordinamento e la collaborazione all’interno della loro comunità.

L’Italia è protagonista nello sviluppo degli ERIC, è infatti presente nella maggior parte degli ERIC e ospita la sede istituzionale di alcuni di essi.[2]

Le normative sugli ERIC

Gli ERIC sono regolati da due Regolamenti Europei: il n° 723/2009 modificato dal n° 1261/2013. [3]

Gli articoli rilevanti per quanto riguarda le problematiche delle Risorse Umane sono, all’interno del citato Regolamento, l’art. 10 che stabilisce “Lo statuto deve contenere….. la politica in materia di occupazione, comprese le pari opportunità” e l’Art.15 che fissa la gerarchia delle norme che regolano la costituzione e il funzionamento degli ERIC: il diritto comunitario in materia,  la legge dello Stato in cui l’ERIC ha la sua sede legale per le questioni che non sono disciplinate (o lo sono parzialmente) da norme comunitarie; lo statuto dell’ERIC e le relative norme di attuazione.

Caratteristiche giuridiche dell’ERIC 

Ai sensi del regolamento ERIC, un ERIC è un soggetto giuridico dotato di personalità giuridica e piena capacità di agire riconosciuto in tutti gli Stati membri. Esso deve essere costituito da almeno tre Stati: uno Stato membro e altri due paesi, che possono essere Stati membri o paesi associati. Possono farne parte Stati membri, paesi associati, paesi terzi diversi dai paesi associati e organizzazioni intergovernative, che contribuiscono congiuntamente alla realizzazione degli obiettivi dell’ERIC.

Come già accennato, il diritto applicabile è il diritto dell’Unione e il diritto dello Stato della sede legale o della sede operativa per quanto riguarda talune questioni amministrative, tecniche e di sicurezza. Lo statuto e le sue disposizioni di attuazione devono essere conformi al diritto applicabile. 

L’ERIC è considerato un organismo o un’organizzazione internazionale ai sensi delle direttive sull’IVA e sulle accise e può pertanto beneficiare delle relative esenzioni. Essendo inoltre considerato un’organizzazione internazionale ai sensi della direttiva sugli appalti pubblici, l’ERIC può adottare regole proprie in materia di appalti.

Gli ERIC non hanno scopo di lucro, ma posso svolgere alcune limitate attività di carattere economico strettamente connesse alla sua funzione principale 

La struttura di governance dell’ERIC è flessibile e consente di definire nello statuto i rispettivi diritti ed obblighi, gli organi e le relative competenze e altre disposizioni interne.

Il regolamento ERIC è direttamente applicabile negli Stati membri, e gli Stati membri  devono adottare misure amministrative adeguate per ospitare un ERIC o aderirvi, e garantire l’esenzione dall’IVA e dalle accise a norma del regolamento ERIC. Inoltre, essendo un nuovo tipo di soggetto giuridico, l’ERIC deve essere assimilato nei regimi normativi e amministrativi nazionali, questo ha sollevato diverse questioni pratiche che riguardano, ad esempio, un registro europeo e il collegamento con i registri nazionali (come camere di commercio o registri di associazioni) nei quali inserire gli ERIC, con le relative conseguenze per lo status del personale.

I Consorzi sono entità private con un fine “pubblico” in quanto destinate a preservare l’eccellenza scientifica comunitaria; possiedono poi diversi caratteri tipici di enti di diritto internazionale.  Nella realtà pratica, non essendo prevista, nelle legislazioni nazionali, una categoria speciale per gli ERIC in quanto soggetto giuridico, restano interrogativi in merito al loro carattere pubblico o privato; questione che ha ovvi riflessi sulla gestione delle Risorse Umane.

La Carta Europea dei Ricercatori

Prima di proseguire nell’esame degli ERIC sotto il profilo delle Risorse Umane, occorre fare un cenno alla Raccomandazione della Commissione Europea  dell’11 marzo 2005 riguardante la “Carta europea dei ricercatori e un codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori”[4]. Questo documento individua i “ricercatori” secondo la definizione del “Manuale di Frascati” e cioè: «Professionisti impegnati nella concezione o nella creazione di nuove conoscenze, prodotti, processi, metodi e sistemi nuovi e nella gestione dei progetti interessati” La Raccomandazione riguarda chi svolge qualsiasi attività professionale nella R&S, sia nel campo della «ricerca di base», della «ricerca strategica», della «ricerca applicata», dello sviluppo sperimentale e del «trasferimento delle conoscenze». Sono comprese l’innovazione e le attività di consulenza, supervisione e insegnamento, la gestione delle conoscenze e dei diritti di proprietà intellettuale, la valorizzazione dei risultati della ricerca o il giornalismo scientifico.

Particolarmente interessante è il riconoscimento del “Valore della mobilità”: “I datori di lavoro e/o i finanziatori devono riconoscere il valore della mobilità geografica, intersettoriale, inter/trans-disciplinare e virtuale nonché della mobilità tra il settore pubblico e privato, come strumento fondamentale di rafforzamento delle conoscenze scientifiche e di sviluppo professionale in tutte le fasi della carriera di un ricercatore. Dovrebbero pertanto integrare queste opzioni nell’apposita strategia di sviluppo professionale e valutare e riconoscere pienamente tutte le esperienze di mobilità nell’ambito del sistema di valutazione/avanzamento della carriera.”

Le Risorse Umane degli ERIC

Nei prossimi dieci anni si prevede che il numero di ERIC raggiunga le 50 unità. In questa fase iniziale, gli ERIC impiegano direttamente oltre 500 persone (il principale datore di lavoro è l’ESS-ERIC basato in Svezia) ma questo numero potrebbe presto salire ben oltre i 1.000 con i Consorzi in cui lo staff di R & S è previsto essere assunto direttamente. Questo numero può salire a circa 10.000 unità nei prossimi 10 anni se le condizioni di lavoro saranno allettanti in termini di mobilità e salari all’interno dell’area di ricerca dell’UE.

La fase di avviamento della maggior parte degli ERIC è ancora basata su personale di R & S distaccato (principalmente part-time) dai paesi partecipanti attraverso le loro istituzioni di ricerca: il numero di questo personale è stimato essere superiore al migliaio, ma è già visibile la tendenza verso l’occupazione diretta,  funzionale a una maggior efficienza operativa.

Gli Statuti degli ERIC – Politiche sulle Risorse Umane

Dalla lettura degli statuti dei vari ERIC [5]1 emerge che, nella maggioranza dei casi, alla politica per il Personale  è dedicato solo un generico richiamo al principio di “pari opportunità” e qualcuno accenna a criteri di “trasparenza e pubblicità” nelle procedure di selezione del personale. Spesso si rimanda per i dettagli alle regolamentazioni interne.

Troviamo però alcuni esempi di più ampia articolazione delle politiche in materia di occupazione.

Il primo è lo statuto di DARIAH (Digital Research Infrastructure for the Arts and Humanities), che articola ampiamente la politica in materia di occupazione. Nell’Art. 28 oltre al doveroso richiamo alla. “politica di pari opportunità”,  e a una serie di principi per definire le responsabilità e garantire la trasparenza nei processi di selezione e reclutamento, sono fissati due principi interessanti sotto il profilo della mobilità:  la  “non discriminazione fra il personale impiegato direttamente e il personale distaccato” e l’attribuzione dei contratti di lavoro alla normativa nazionale del paese nel cui territorio è impiegato il personale.

Il secondo è quello di SHARE  (Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe) il cui statuto non solo richiama le pari opportunità e l’attribuzione dei contratti alle norme nazionali, ma accenna anche a come agevolare la mobilità con queste parole: “Fatti salvi i requisiti della legislazione nazionale, ciascuna Parte contraente deve, all’interno della propria giurisdizione, facilitare la circolazione e la residenza dei cittadini dei paesi della Parte contraente coinvolti nei compiti dell’ERIC-SHARE e dei familiari di tali cittadini”

Qualche indicazione sulle responsabilità in materia di occupazione è contenuta nello statuto di LIFEWATCH-ERIC.

Problematiche nella gestione del personale degli ERIC

Sinteticamente tracciato il quadro normativo di riferimento, è ora il caso di soffermarsi sui profili critici legati alla gestione delle risorse umane, riconducibili, innanzitutto, alla forte mobilità che caratterizza il personale degli ERIC (ricercatori, tecnici e amministrativi).

Problematiche normative

Problematica è, innanzitutto, la mancanza di uniformità tra le regole giuslavoristiche, previdenziali, fiscali dei diversi paesi, senza dimenticare le norme sull’immigrazione. Questa diversità crea una serie di ostacoli a quella mobilità che, come detto, è fortemente richiamata dalla Carta dei Ricercatori ed è fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi di ciascun ERIC.

Gli ostacoli non sono in linea generale differenti da quelli che devono affrontare aziende e lavoratori in mobilità internazionale e che si possono cosi sintetizzare

  • Fisco: Non esiste una norma comune europea che uniformi il trattamento fiscale delle persone in mobilità all’interno dell’Unione, ma ogni paese ha stipulato un accordo del genere con tutti gli altri: il numero degli accordi esistenti è quindi nell’ordine di svariate centinaia. Per fortuna, per la parte che più direttamente ci interessa, la generalità di questi accordi prevede la non imponibilità (o la non acquisizione della “residenza fiscale”) dei redditi di persone che restino in un paese diverso dal proprio per meno di 183 gg. Oltre questo limite temporale, il reddito prodotto nel paese (retribuzioni, bonus ecc..) sarà tassabile secondo le regole interne al Paese stesso. Resta un problema di cumulabilità  di tali redditi con quelli prodotti nel paese di origine. Il cittadino italiano, per esempio, non perde praticamente mai la residenza fiscale in Italia, a meno che non si liberi di ogni fonte di reddito o bene fiscalmente rilevante. Ne deriva che il lavoratore italiano che lavora in un Paese X,  producendo un reddito regolarmente tassato, debba denunciare tale reddito in Italia; questo si cumulerà con le altre fonti (di reddito) e per evitare che il reddito prodotto all’estero sia sottoposto a doppia imposizione dovrà  procurarsi una documentazione che attesti le imposte pagate nel Paese X,
  • Previdenza obbligatoria: è uno dei pochi campi in materia di lavoro dove esistono regolamenti europei (fin dagli anni 70 del ‘900):il n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU L 166 del 30.4.2004, pag. 1), e il N. 000/2009 settembre 2009 (GU L 284 del 30.10.2009, pag. 1) che stabilisce le modalità di applicazione del precedente. 883/2004 [6]. In estrema sintesi la normativa prevede:
    • – un lavoratore distaccato da un paese all’altro dell’Unione rimane soggetto alla legislazione del primo Stato membro a condizione che la durata prevedibile di tale lavoro non superi i ventiquattro mesi e che essa non sia inviata in sostituzione di un’altra persona distaccata. 
    • – Oltre il limite dei ventiquattro mesi il lavoratore sarà sottoposto alle regole previdenziali del paese di distacco.

– al termine dell’attività lavorativa la pensione del lavoratore sarà calcolata con il criterio della “totalizzazione dei periodi” così definita dalla Circolare INPS 88/2010:“I periodi di assicurazione, di attività subordinata, di attività autonoma o di residenza maturati sotto la legislazione di uno Stato membro si aggiungono a quelli maturati sotto la legislazione di qualsiasi altro Stato membro, nella misura necessaria, ai fini dell’applicazione dell’articolo 6, a condizione che tali periodi non si sovrappongano.”

A complicare le cose sono intervenute norme interne italiane (D.Lgs 2 febbraio 2006 n. 42 e la L. 24 dicembre 2007, n. 247 all’Art 1. 76 ) che hanno disposto, nell’interpretazione della già citata circolare INPS 88/2010 che i periodi maturati all’estero in Paesi comunitari e in Paesi legati all’Italia da convenzioni bilaterali di sicurezza sociale devono essere conteggiati, a prescindere dal limite di 3 anni previsto dall’articolo 1, comma 76, lettera a), della legge 24 dicembre 2007 n. 247, rispettando, invece, il periodo minimo necessario per l’applicazione della normativa comunitaria (1 anno) o delle singole convenzioni bilaterali”

Da tutto quanto sopra si evince che la normativa in materia di previdenza obbligatoria non agevola la mobilità dei lavoratori, soprattutto in una realtà come quella degli ERIC dove la mobilità è naturalmente “spinta”.

  • Previdenza Complementare: In questo campo non esiste una regolamentazione che uniformi i sistemi, ma la UE ha previsto l’istituto dello IORP, un tipo di fondo pensione integrativo basato in uno dei paesi dell’Unione e  alimentabile con contributi provenienti da tutti i paesi dell’EEA. Su iniziativa della Commissione Europea è stato creato un Consorzio che ha recentemente fatto nascere il Fondo pensione integrativo RESAVER destinato a tutti i lavoratori della ricerca. RESAVER IORP è operativo in Italia dopo l’approvazione dell’autorità di vigilanza COVIP.
  • Assistenza sanitaria: i regolamenti comunitari di sicurezza sociale n. 883/04 e 987/08  gli assistiti dai diversi servizi sanitari possono usufruire dell’assistenza nei paesi europei (e convenzionati) a condizione di possedere una attestazione rilasciata dal servizio del paese di origine.
  • normative sull’immigrazione da paesi extra-UE: le norme che prevedono un iter agevolato per la concessione di visti ed ingressi ai ricercatori extra-comunitari valgono solo per i ricercatori in senso stretto. Questo potrebbe creare problemi in caso di mobilità di personale tecnico o amministrativo, eventualità possibile data la natura transnazionale degli ERIC

Problematiche economiche: La mobilità dei lavoratori ha un evidente impatto sui loro trattamenti economici, i principali punti critici sono:

  • mobilità tra paesi con grande differenza negli standard e costo della vita e/o nei trattamenti fiscali e previdenziali:  è evidente che le differenze ora enunciate comportano adeguamenti nel trattamento economico del personale in mobilità tenendo conto delle differenze di costo vita e il disagio connesso alla nuova sede.
  • lavoro del coniuge/compagno/a: è chiaro il peso che la rinuncia del compagno/a ad un lavoro retribuito (e magari anche gradito) ha sulla disponibilità del lavoratore in mobilità,che deve trovare un tornaconto economico o di prospettive di carriera 
  • scuole per i figli: la possibilità o meno di garantire ai figli un’istruzione adeguata e in continuità/prospettiva con quella nazionale è ugualmente importante
  • sistemazione logistica: non diversamente da sopra, per quanto riguarda la destinazione in una sede attrattiva o meno per clima, livello di vita, sicurezza, facilità di spostamento.
  • rientro alla sede di origine: èuna fase delicata della mobilità, che va programmata e gestita con la massima attenzione, tenendo conto sia dello sviluppo di carriera che del trattamento economico.

Problematiche contrattuali

Non esiste un Contratto Collettivo di Lavoro specifico per gli ERIC, come non esiste al momento in Italia un Contratto Collettivo destinato al mondo della ricerca “privata” (cioè quella che esula dalla categoria degli Enti Pubblici di Ricerca).  Troviamo così istituzioni che applicano il CCNL Metalmeccanici, altre il CCNL Chimici/Farmaceutici o per il settore Terziario; mentre le due Fondazioni basate in provincia di Trento (Fondazione Bruno Kessler e Fondazione Edmund Mach)  applicano un loro contratto provinciale, altre ancora, come  l’Istituto Italiano di Tecnologia non applicano alcun contratto collettivo, ma si sono date un proprio regolamento e, attenendosi a questo, regolano i rapporti con i dipendenti sulla base di contratti individuali.

Soluzioni gestionali e prospettive

In questo momento, come abbiamo accennato nel punto precedente, non esistono contratti collettivi o linee guida uniformi che regolino la gestione del personale degli ERIC e ciascun consorzio opera indipendentemente dagli altri.

Il rapporto di lavoro con i dipendenti diretti è regolato in Italia da contratti individuali che richiamano i regolamenti interni di ciascun consorzio. Ci sono state iniziative comuni ma  non sono andate oltre alcune indicazioni operative per affrontare le problematiche sopra esaminate. In particolare è stato suggerito,  in assenza di norme coordinate a livello europeo, di utilizzare mobilità brevi, che consentano di mantenere la situazione fiscale e previdenziale del paese di origine  e di non affrontare le problematiche economiche legate a una presenza stabile in un altro paese.

Il crescere del numero degli ERIC, oltre alla difficoltà, comune a tutte le Istituzioni di  di gestire il “lavoro di ricerca” con contratti “industriali”, sta facendo emergere la necessità di un inquadramento comune che regoli le risorse umane che operano in un ambito così particolare e importante sia per la cultura che per l’economia del nostro Paese e qualche segnale di crescente interesse per la redazione di un contratto collettivo per la Ricerca “privata” si sta manifestando.

In realtà i problemi normativi e gestionali che riguardano le risorse umane impiegate negli ERIC necessiterebbero, per essere risolti, di un complesso di principi comuni a livello comunitario che, se è troppo ottimistico immaginare come un “Contratto Collettivo Europeo” (esistono esempi di accordi transnazionali siglati dalla Confederazione Europea dei Sindacati ETUC e dalle sue articolazioni, ma riguardano aziende multinazionali che regolano in modo comune specifiche tematiche come la Formazione o la Sicurezza sul lavoro), potrebbero portare almeno alla emanazione di linee guida comuni a tutti gli ERIC. Ma anche un’eventuale “contratto” comune non sarebbe sufficiente a sviluppare l’enorme potenziale di produzione scientifica degli ERIC nel loro complesso. Il “lavoro di ricerca” per le sue dimensioni, per la specificità degli obiettivi e le caratteristiche umane e culturali delle persone potrebbe essere un ottimo terreno su cui sperimentare da parte dell’Unione regolamentazioni più omogenee, che rendano reale un mercato comune e aperto del lavoro, abbattendo gli ostacoli alla mobilità delle persone, senza suscitare troppe apprensioni e sucettibilità sovraniste nei Paesi membri.

Al momento, l’unico segnale positivo è quello dello IORP nel campo della previdenza integrativa, che per il mondo della ricerca ha dato vita a RESAVER-IORP che, sia pure tra molte difficoltà, sta operando e sviluppando in molti paesi.

Purtroppo, non sembra che l’Unione abbia compreso appieno la rilevanza strategica delle risorse umane per il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi che si attendono dagli ERIC.

La “Seconda relazione sull’applicazione del regolamento (CE) n. 723/2009 del Consiglio, del 25 giugno 2009, relativo al quadro giuridico comunitario applicabile ad un consorzio per un’infrastruttura europea di ricerca (ERIC)” [7]del 6.7.2018 recita infatti: “Gli ERIC svolgono un ruolo importante nella deframmentazione della ricerca europea, grazie alla creazione, in modo armonizzato e strutturale, di infrastrutture di ricerca europee che sviluppano e offrono servizi nell’intera Unione, promuovendo la trasparenza nella raccolta dei dati, l’accessibilità delle informazioni e degli strumenti, e la conservazione di dati e servizi per gli utenti. Ciò non è solo inteso a migliorare il sostegno alle comunità scientifiche, ma può anche favorire politiche basate su elementi concreti in settori quali sanità, energia, ambiente e politiche di innovazione sociale e culturale.”, ma quando prende in esame le problematiche che devono affrontare gli ERIC per operare in piena efficienza cita principalmente questioni legate al trattamento fiscale dei consorzi o le modalità di registrazione nei diversi paesi citando solo di sfuggita le risorse umane.

Il Forum ERIC ha invece dimostrato di aver presente la rilevanza dei temi legati alle Risorse Umane che ha così sintetizzato, dopo una recente ricerca sui temi più rilevanti per  la comunità degli ERIC , al punto “3 Occupazione, distacco, assunzioni”: “Le sfide nell’area delle risorse umane all’interno degli ERIC vanno da: attrazione e fidelizzazione dei talenti per profili specifici, mobilità, assunzioni e processi di assunzione…”

Sarà compito dunque degli ERIC stessi, nei propri paesi, mantenere attivo lo scambio di informazioni per impostare politiche omogenee e per proporre alle autorità competenti le modifiche alle regole nazionali che ostacolano la mobilità. Il Forum ERIC a livello europeo, oltre a tenere le fila delle informazioni provenienti dai diversi paesi, dovrà sensibilizzare le Direzioni Generali della Commissione Europea interessate (Ricerca; Lavoro) sui punti critici che ostacolano la mobilità e stimolare l’introduzione di nuove regole che rendano effettiva la mobilità del personale della ricerca.

In questo modo gli ERIC potranno affrontare in modo attivo, e innovativo i temi che sono stati esaminati, cominciando dal rafforzare, con adeguati specialisti, la funzione dedicata, dato che al momento, secondo la ricerca sopra citata: “…la maggior parte degli ERIC non ha nel proprio team un membro dello staff dedicato alle risorse umane.”

di Andrea Gino CRIVELLI


[1] per dettagli vedi il sito www.eric-forum.eu

[2] vedi l’articolo del prof. Carlo Rizzuto sul Sole-24ore del 12/4/2020 https://www.ilsole24ore.com/art/la-ricerca-e-efficace-se-lascia-liberi-fare-non-se-guidata-dall-alto-ADRDeGJ

[3] https://eur-lex.europa.eu/

[4] https://cdn4.euraxess.org/sites/default/files/brochures/eur_21620_en-it.pdf

5  reperibili sul sito www.eric-forum.eu

[6] https://eur-lex.europa.eu/

[7] www.eric-forum.eu