Novità per il preposto della sicurezza sul lavoro

Al centro dei cambiamenti introdotti dal D.L. 146/2021 vi è sicuramente la figura del preposto per la sicurezza sul lavoro.

Nel sistema del Decreto Legislativo 81/2008, il preposto per la sicurezza viene definito come il lavoratore che svolge il ruolo di sovrintendente dell’attività lavorativa e si fa garante dell’applicazione delle direttive del datore di lavoro in virtù delle sue competenze professionali e dei suoi poteri gerarchici e funzionali.

Trova inoltre applicazione il principio di effettività descritto all’articolo 299 del Testo Unico 81/2008, di conseguenza può definirsi preposto “di fatto” anche colui che esercita nel concreto la funzione di vigilanza e sovrintendenza senza aver ricevuto una nomina ufficiale o formale dal datore di lavoro.

A seguito della riforma, la nomina del preposto è sancita dall’aggiunta all’art. 18 del d.lgs. 81/2008 della lettera b-bis; tra gli obblighi per la sicurezza attribuiti al datore di lavoro è dunque specificamente aggiunto di: “individuare il preposto o i preposti per l’effettuazione delle attività di vigilanza di cui all’articolo 19. I contratti e gli accordi collettivi di lavoro possono stabilire l’emolumento spettante al preposto per lo svolgimento delle attività di cui al precedente periodo. Il preposto non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività”.

La mancata individuazione del preposto diventa quindi penalmente sanzionabile; rimane l’assoluta necessità di nominare il preposto nei casi di lavori svolti in appalto o subappalto.

L’integrazione all’art. 26 del D.Lgs. 81/2008 introduce peraltro l’obbligo per i datori di lavoro delle aziende appaltatrici e subappaltatrici di indicare al committente i nominativi dei soggetti che svolgono la funzione di preposto.

Pertanto, ogni azienda che lavora in un cantiere deve individuare un lavoratore, opportunamente formato, che ricopra il ruolo di preposto.

Ancora, i contratti e gli accordi collettivi possono stabilire l’emolumento, o il compenso, che compete al preposto in ragione dello svolgimento delle sue mansioni.

Quanto agli obblighi del preposto, lo stesso deve:

  • intervenire per modificare eventuali comportamenti non conformi, somministrando le dovute indicazioni di sicurezza;
  • interrompere l’attività del lavoratore che non attua le disposizioni di sicurezza e segnalarlo ai superiori diretti;
  • interrompere temporaneamente l’attività e segnalare al datore di lavoro eventuali non conformità e a situazioni di pericolo.

Per svolgere detti compiti, l’art. 37 con riguardo alla formazione del preposto prevede che: “le attività formative devono essere svolte interamente con modalità in presenza e devono essere ripetute, con cadenza almeno biennale e comunque ogni qualvolta ciò sia reso necessario in ragione dell’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di nuovi rischi”.

Responsabilità amministrativa 231 in caso di interesse dell’Ente alla violazione di norme di sicurezza

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 39129/2023, si è pronunciata su un caso di condanna per illecito amministrativo relativo all’aver omesso di dotare la porta scorrevole presente all’ingresso del luogo di lavoro di un sistema di sicurezza per impedire la fuoriuscita del cancello dalle guide o comunque di cadere, per colpa consistita in imperizia, negligenza, imprudenza nonché inosservanza delle norme in materia di prevenzione di infortuni sul lavoro, cagionando ad un dipendente lesioni personali gravi, essendo questi rimasto in parte schiacciato dal cancello che cadeva in terra, investendolo.

La difesa della società sosteneva l’insussistenza del requisito dell’interesse o del vantaggio dell’ente alla commissione dell’illecito, in quanto la società in concreto non si sarebbe giovata di alcun risparmio di spesa né di alcun incremento di economico, laddove la spesa per riparare il cancello sarebbe consistita in poche decine di Euro.

In tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante da reati colposi di evento, i criteri di imputazione oggettiva, riferiti all'”interesse” o al “vantaggio”, sono alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il criterio dell’interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post.

Ancora, in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall’interesse o dal vantaggio, ricorrono, rispettivamente, il primo, quando l’autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l’ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, e, il secondo, qualora l’autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l’ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso.

Nel caso oggetto della pronuncia della Cassazione è stato ritenuto sussistente il criterio di imputazione oggettiva rappresentato dall’interesse, evidenziando che l’autore del reato aveva consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di conseguire un’utilità per l’ente, rimarcando anche che il risparmio di spesa avuto di mira, pur modesto, non era certo irrisorio.

Infortuni sul lavoro, responsabilità del RSPP e d.lgs. n. 231/2001

A seguito di un infortunio sul lavoro dovuto all’utilizzo di una macchina da taglio, emergeva la pericolosità della macchina stessa per l’incolumità dei lavoratori in quanto priva di dispositivi meccanici o elettronici che impedissero alle mani dei lavoratori l’accesso alle parti taglienti in movimento dell’apparato.

Ancora, risultava che la dipendente infortunata fosse priva di formazione nell’uso del macchinario.

Con specifico riferimento alle responsabilità, la sentenza n. 34943/2022 della Suprema Corte sezione penale ha ritenuto che il giudizio di colpevolezza espresso dalla Corte d’Appello fosse conseguenza di una errata interpretazione dell’art. 5, comma 1, lett. a, del D.Lgs. 231/2001, in quanto era stata non correttamente operata una sorta di equiparazione tra il potere di compiere scelte decisionali in piena autonomia in materia di sicurezza (riconosciuto al RSPP) ed il riconoscimento di una veste apicale, secondo la previsione dell’art. 5, lett. a, D.Lgs. 231/2001.

In effetti, il sistema normativo della responsabilità dell’ente ex d.lgs. n. 231/2001 è fondato sul principio di legalità, il quale impone una puntale e attenta verifica dei tratti della fattispecie produttiva di responsabilità che emerge nella relazione tra autore del reato ed ente a cui viene imputato il fatto illecito commesso.

Dunque, non può costituire elemento sintomatico della costituzione di una posizione verticistica lo strumento delineato dall’art. 16 d.lgs. n. 81/2008, che attiene al diverso ambito della delega di funzioni nel settore della prevenzione dei rischi in ambito lavorativo e che non determina il trasferimento della funzione datoriale, nella sua accezione gestionale e di indirizzo, nè di regola, la costituzione di una posizione verticistica, ma risulta strutturato per sollevare il datore di lavoro da singoli incombenti in materia di sicurezza nel limitato ambito delle funzioni trasferite.

Di conseguenza, ai fini della individuazione delle persone dotate di funzioni di rappresentanza, di gestione e di direzione dell’ente e di una unità organizzativa provvista di autonomia finanziaria, non può prescindersi dai criteri identificativi fissati dagli istituti dell’ordinamento giuridico generale e non quelli di un particolare settore come quello lavoristico, ivi compresi gli strumenti deputati alla costituzione ovvero al trasferimento di funzioni da soggetti verticistici, quali la procura.

Pertanto, la nomina e l’attribuzione di specifici poteri al del RSPP non esonera automaticamente il datore di lavoro ed i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

Benessere e lavoro

Riporto un breve stralcio di un mio intervento alla manifestazione Gradisca Olistica promossa dal Comune di Gradisca d’Isonzo in data 23.6.2022, dedicato al benessere nel luogo di lavoro.

Il concetto di benessere nel luogo di lavoro e quanto mai vasto, variegato e non sempre esaustivo.

L’osservatore nota una rilevante differenziazione tra situazioni macroscopiche dove è in gioco l’incolumità delle persone ed altre maggiormente sfumate e spesso difficili da definire, ma nel loro insieme degne d’importanza ed esame.

Si parte quindi dal dato base che, come accennato, è individuato nell’incolumità fisica del lavoratore, individuato nel settore dell’antinfortunistica.

Si passa poi all’altrettanto importante campo della tutela morale e della dignità del lavoratore dove trovano collocazione recenti aspetti negativi del rapporto di lavoro, quali il mobbing, la dequalificazione, le molestie, le discriminazioni.

La disciplina della sicurezza nel lavoro si è quindi spinta nell’ambito ancor più complesso dello stress lavoro correlato, fenomeno rilevato e studiato a anche a livello comunitario ed ora inserito con non pochi dubbi nella nostra disciplina del lavoro.

In maniera più diretta, ci troviamo spesso dinnanzi ad una cattiva organizzazione del lavoro che impone sforzi inutili o crea situazioni di difficile convivenza nel posto di lavoro.

Queste situazioni per quanto differenti trovano completamento e contemplazione nell’ambito del codice civile, dove l’articolo 2087 impone al datore di lavoro l’applicazione di tutte le tecniche utili e conoscibili a tutela della salute fisica e psichica del lavoratore.

Il tema da affrontare non si esaurisce qui, in quanto il benessere è in un certo modo la nuova frontiera del lavoro, dove il lavoro ordinaria fonte di stress può fornire al lavoratore benessere e soddisfazione. Tutto questo non è né facile, né scontato.

Da osservatore privilegiato allorquando ho operato nel Punto Mobbing del Comune di Trieste ho esaminato diverse se non prevalenti situazioni di malessere anche grave spesso solo marginalmente o per nulla connesse a violazioni di legge del datore di lavoro.

Quindi situazioni da non portare innanzi al Giudice, ma non per questo da sottovalutare, come non rilevanti.

In questi casi, il fattore lavoro riveste quasi sempre un ruolo primario, talvolta in concorso con fattori personali o familiari. Il lavoro però ha un rilievo importante e spesso scatenante.

Rileva spesso l’incomprensione da parte del lavoratore dei propri limiti, talora dell’obsolescenza della propria professionalità, talora vi si accompagna, impreparazione, scarsa attitudine per la tipologia del lavoro, scelte professionali sbagliate, difficoltà di comunicazione.

Non possiamo imputare la gran parte di queste situazioni all’azienda o al datore di lavoro, almeno in termini di inadempienza contrattuale.

Servono pertanto nuovi modi di affrontare il lavoro su tutti i fronti.

Il lavoratore deve imparare a conoscere quando può aver raggiunto i propri limiti professionali, dirigenti e datori di lavoro debbono imparare a gestire i conflitti, anziché dar sfogo a condotte ispirate a manifestazione di potere o di autoritarismo, in quest’ultimo caso soprattutto nell’ambito del pubblico impiego.

La formazione e la consapevolezza dovranno accompagnare questi momenti tenendo presente oltre che gli interessi degli attori anche quelli del lavoro e della produttività termini che non debbono ritenersi caduti in desuetudine.

Chi lavora deve inoltre rendersi conto che in alcuni casi soddisfazioni e benessere possono essere ricercati anche al di fuori del lavoro.

Va poi superato un concetto arcaico ed autoritario di ambiente di lavoro, dove l’azione del datore di lavoro deve spogliarsi di ogni manifestazione di forza fine a sé stessa e tendere all’utilità comune.

Da ultimo, anche perché paradigmatico, ricorderemo il recente caso dell’insegnante trans Cloe Bianco di recente suicidatasi perché sanzionata e privata della docenza, per essersi presentata sul posto di lavoro in abbigliamento sicuramente improprio.

Il caso non è stato chiarito in tutti i suoi contorni, ma sta già alimentando polemiche e partigianerie.

Un punto è certo. Siamo nell’ambito della scuola e quindi della cultura e della conoscenza della vita per chi si apre ad essa.

Ritengo come un atteggiamento maggiormente mediato, spiegato, scevro di atteggiamenti autoritari o prono alle critiche esterne, attento all’evoluzione dei costumi spesso difficilmente accettabile ed attento alla dignità della persona, avrebbe potuto sortire un esito diverso.

Fabio Petracci

Il preposto. Una nuova figura di responsabile operativo della sicurezza

Con la legge 215/2021 è stato convertito in legge il DL 146/2021 mirato al rafforzamento della disciplina in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Tra le norme rilevanti in materia, l’articolo 13 del decreto legge apporta numerose modifiche al DLGS 81/2008

A modifica dell’articolo 18 di quest’ultima disposizione di legge, è posta a carico dei datori di lavoro la formale individuazione della figura del preposto in ambito aziendale per l’effettuazione della concreta attività di vigilanza, mediante una specifica figura professionale cui la legge riconosce un particolare trattamento economico e normativo demandato ai contratti ed agli accordi collettivi di settore.

Andranno quindi adeguatamente chiariti l’ambito e le modalità di applicazione di tale normativa.

I primi obblighi che balzano all’attenzione sono quello della nomina formale di un preposto cui dovrà far seguito un incremento stipendiale in ragione delle maggiori responsabilità attribuite dalla legge.

Sul punto, andrebbero individuati i casi in cui si rende necessaria ed inderogabile la nomina del preposto. Un tanto potrebbe anche essere chiarito senza ulteriori interventi normativi nel documento di valutazione dei rischi.

Per quanto riguarda l’obbligo di integrazione retributiva, va notato che con la nuova previsione di legge si ampliano le competenze di questa nuova figura professionale cui dovrebbe corrispondere una diversa declaratoria contrattuale. Per quanto riguarda i nuovi compiti attribuiti al preposto, gli è conferito il potere di interrompere l’attività del lavoratore e informare i superiori diretti, in caso di mancata attuazione delle disposizioni o di persistenza dell’inosservanza.

Quindi un potere decisionale autonomo ed immediato destinato ad influire, come già rilevato, sulla declaratoria professionale nel contratto.

Nella sostanza l’intera vigilanza comportamentale è ora attribuita ad una figura ben individuata come quella del preposto.

Rilevante diviene questa previsione nel caso di appalto, laddove l’articolo 36 del Testo Unico sulla Sicurezza è integrato prevedendo un’integrazione che stabilisce la nomina del preposto e la comunicazione al committente anche in caso di affidamento di lavori in appalto.

Fabio Petracci

parlamento europeo

Diritto alla disconnessione sul lavoro. Il parlamento europeo emette una raccomandazione.

Il Parlamento Europeo ha adottato la risoluzione del 21 gennaio 2021 relativa al diritto alla disconnessione recante raccomandazioni alla Commissione per addivenire ad una generale tutela del lavoro dai rischi di una costante connessione con i mezzi informatici dell’azienda, tale da comportare il rischio di un abnorme e pericolosa dilatazione dei tempi di lavoro.

Molteplici sono le ragioni che sostengono questa decisione.

L’invasività del lavoro è resa quanto mai attuale dalla ormai rilevante presenza dei mezzi informatici a scopi lavorativi e quindi la nascita di una cultura della connessione permanente che rende ormai difficile una definizione dell’orario di lavoro e di una giusta e proporzionata retribuzione, compromettendo l’equilibrio tra attività lavorativa e vita privata. Il documento riconosce come l’efficace registrazione dell’orario di lavoro possa contribuire al rispetto del lavoro ed a limitare gli eccessi.

Lo stesso documento ammette pure come una certa flessibilità nell’organizzazione del lavoro e l’utilizzo in maniera sicura ed adeguata di strumenti digitali a scopi lavorativi possano determinare conseguenze positive sulla salute fisica e mentale dei lavoratori.

Quindi, il Parlamento europeo invita la Commissione a valutare ed affrontare i rischi della mancata tutela di un diritto alla disconessione , invitando la Commissione medesima a presentare una proposta di direttiva sull’argomento, ricorrendo anche alla consultazione e collaborazione delle parti sociali.

L’invito del Parlamento europeo tocca anche temi connessi che possono comportare un coinvolgimento temporale ed invasivo del lavoratore come ad esempio le attività di apprendimento e formazione a distanza, auspicando come le stesse siano circoscritte nell’ambito dell’orario di lavoro, salvo adeguato compenso.

La stesso Parlamento sottolinea l’importanza di una adeguata formazione informatica per consentire ai lavoratori uno svolgimento corretto ed efficiente della prestazione.

Quindi la Raccomandazione del Parlamento europeo invoca il diritto alla disconnessione dai mezzi di lavoro da applicarsi a tutti i lavoratori e a tutti i settori, sia pubblici che privati mediante una direttiva che stabilisca condizioni minime per il diritto alla disconnessione.

A seguito della predetta direttiva, è auspicato come gli Stati membri debbano poi garantire l’istituzione di un sistema oggettivo, affidabile ed accessibile che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore, anche attraverso accordi tra le parti sociali.

Articolo 1 Oggetto e ambito d’applicazione.

1. La presente direttiva stabilisce prescrizioni minime che permettano ai lavoratori di utilizzare strumenti digitali, comprese le TIC, a scopi lavorativi e di esercitare il diritto alla disconnessione e che garantiscano il rispetto del diritto dei lavoratori alla disconnessione da parte dei datori di lavoro. Essa si applica a tutti i settori, sia pubblici che privati, e a tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro status e dalle loro modalità di lavoro.

2. La presente direttiva precisa e integra le direttive 89/391/CEE, 2003/88/CE, (UE) 2019/1152 e (UE) 2019/1158 ai fini di cui al paragrafo 1, lasciando impregiudicate le prescrizioni stabilite in tali direttive. Articolo 2 Definizioni

1. Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni: (1) “disconnessione”: il mancato esercizio di attività o comunicazioni lavorative per mezzo di strumenti digitali, direttamente o indirettamente, al di fuori dell’orario di lavoro; (2) “orario di lavoro”: l’orario di lavoro quale definito all’articolo 2, punto 1, della direttiva 2003/88/CE.

Articolo 3 Diritto alla disconnessione

1. Gli Stati membri garantiscono che i datori di lavoro prendano i provvedimenti necessari per fornire ai lavoratori i mezzi per esercitare il diritto alla disconnessione.

Gli Stati membri garantiscono che i datori di lavoro istituiscano un sistema oggettivo, affidabile e accessibile che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore, nel rispetto del diritto dei lavoratori alla vita privata e alla tutela dei dati personali. I lavoratori possono richiedere e ottenere il registro del loro orario di lavoro. Gli Stati membri provvedono affinché i datori di lavoro attuino il diritto alla disconnessione in modo equo, lecito e trasparente.

Articolo 4 Misure di attuazione del diritto alla disconnessione.

1. Gli Stati membri garantiscono che, previa consultazione delle parti sociali al livello adeguato, siano stabilite modalità dettagliate che consentano ai lavoratori di esercitare il diritto alla disconnessione e che i datori di lavoro attuino tale diritto in modo equo e trasparente. A tal fine gli Stati membri garantiscono almeno le seguenti condizioni di lavoro: (a) le modalità pratiche per scollegarsi dagli strumenti digitali a scopi lavorativi, compreso qualsiasi strumento di monitoraggio legato al lavoro; (b) il sistema per la misurazione dell’orario di lavoro; (c) valutazioni della salute e della sicurezza, comprese le valutazioni del rischio psicosociale, in relazione al diritto alla disconnessione; (d) i criteri per la concessione di una deroga ai datori di lavoro dall’obbligo di attuare il diritto dei lavoratori alla disconnessione; (e) in caso di deroga a norma della lettera d), i criteri per stabilire le modalità di calcolo della compensazione per il lavoro svolto al di fuori dell’orario di lavoro conformemente alle direttive 89/391/CEE, 2003/88/CE, (UE) 2019/1152 e (UE) 2019/1158 nonché al diritto e alle prassi nazionali. (f) le misure di sensibilizzazione, compresa la formazione sul luogo di lavoro, che i datori di lavoro sono tenuti ad adottare riguardo alle condizioni di lavoro di cui al presente paragrafo. Le deroghe di cui al primo comma, lettera d), sono previste soltanto in circostanze eccezionali, quali la forza maggiore o altre emergenze, a condizione che il datore di lavoro fornisca per iscritto a ogni lavoratore interessato le motivazioni che dimostrino la necessità di una deroga ogniqualvolta si ricorra a essa.

2. Gli Stati membri possono, conformemente al diritto e alle prassi nazionali, affidare alle parti sociali il compito di concludere accordi collettivi a livello nazionale, regionale, settoriale o di datore di lavoro che stabiliscano o integrino le condizioni di lavoro di cui al paragrafo 1.

3. Gli Stati membri provvedono affinché i lavoratori che non sono coperti da un accordo collettivo a norma del paragrafo 2 beneficino di una tutela conformemente alla presente direttiva.

Articolo 5 Tutela contro trattamenti sfavorevoli

1. Gli Stati membri provvedono affinché siano vietati la discriminazione, il trattamento meno favorevole, il licenziamento e altre misure sfavorevoli da parte dei datori di lavoro per il fatto che il lavoratore abbia esercitato o tentato di esercitare il diritto alla disconnessione.

2. Gli Stati membri garantiscono che i datori di lavoro proteggano i lavoratori, compresi i rappresentanti dei lavoratori, da qualsiasi trattamento sfavorevole e da qualsiasi conseguenza sfavorevole derivante da un reclamo presentato al datore di lavoro o da un procedimento promosso al fine di garantire il rispetto dei diritti di cui alla presente direttiva.

3. Gli Stati membri garantiscono che, quando i lavoratori che ritengono di essere stati licenziati o di aver subito un altro trattamento sfavorevole per aver esercitato o tentato di esercitare il diritto alla disconnessione presentano dinanzi a un tribunale o a un’altra autorità competente fatti idonei a far sorgere una presunzione che siano stati licenziati o abbiano subito un altro trattamento sfavorevole per tale motivo, incombe al datore di lavoro dimostrare che il licenziamento o il trattamento sfavorevole è stato basato su motivi diversi.

4. Il paragrafo 3 non osta a che gli Stati membri impongano un regime probatorio più favorevole ai lavoratori.

 5. Gli Stati membri non sono tenuti ad applicare il paragrafo 3 alle procedure nelle quali l’istruzione dei fatti spetta all’organo giurisdizionale o all’organo competente.

 6. Salvo diversa disposizione degli Stati membri, il paragrafo 3 non si applica ai procedimenti penali.

Articolo 6 Diritto di ricorso

1. Gli Stati membri provvedono affinché i lavoratori il cui diritto alla disconnessione è stato violato abbiano accesso a un meccanismo di risoluzione delle controversie rapido, efficace e imparziale e beneficino di un diritto di ricorso in caso di violazioni dei loro diritti derivanti dalla presente direttiva.

2. Gli Stati membri possono stabilire che le organizzazioni sindacali o altri rappresentanti dei lavoratori abbiano la facoltà, per conto o a sostegno dei lavoratori e con la loro approvazione, di avviare procedimenti amministrativi al fine di garantire la conformità con la presente direttiva o la sua applicazione.

Articolo 7 Obbligo di informazione Gli Stati membri provvedono affinché i datori di lavoro forniscano per iscritto a ciascun lavoratore informazioni chiare, sufficienti ed adeguate sul diritto alla disconnessione, compresa una dichiarazione che precisi i termini degli accordi collettivi o di altri accordi applicabili. Tali informazioni comprendono almeno i seguenti elementi: (a) le modalità pratiche per scollegarsi dagli strumenti digitali a scopi lavorativi, compresi eventuali strumenti di monitoraggio legato al lavoro, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera a); (b) il sistema di misurazione dell’orario di lavoro, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera b); (c) le valutazioni del datore di lavoro sulla salute e sulla sicurezza in relazione al diritto alla disconnessione, comprese le valutazioni del rischio psicosociale, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera c); (d) i criteri per la concessione di una deroga ai datori di lavoro dall’obbligo di attuare il diritto alla disconnessione e i criteri per stabilire la compensazione per il lavoro svolto al di fuori dell’orario di lavoro, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettere d) ed e); (e) le misure di sensibilizzazione del datore di lavoro, compresa la formazione sul luogo di lavoro, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera f); (f) le misure di tutela dei lavoratori contro trattamenti sfavorevoli conformemente all’articolo 5; (g) le misure di attuazione del diritto di ricorso dei lavoratori conformemente all’articolo 6.

Articolo 8 Sanzioni

Gli Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in conformità della presente direttiva o delle pertinenti disposizioni già in vigore riguardanti i diritti che rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva, e adottano tutte le misure necessarie per assicurarne l’attuazione. Tali sanzioni sono effettive, proporzionate e dissuasive. Entro … [due anni dalla data di entrata in vigore della presente direttiva], gli Stati membri notificano tali norme e misure alla Commissione e provvedono poi a dare immediata notifica delle eventuali modifiche successive.

Articolo 9 Livello di protezione 1. La presente direttiva non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di protezione riconosciuto ai lavoratori negli Stati membri.

2. La presente direttiva lascia impregiudicata la prerogativa degli Stati membri di applicare o introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori o di promuovere o consentire l’applicazione di contratti collettivi che siano più favorevoli ai lavoratori. 3. La presente direttiva lascia impregiudicato ogni altro diritto conferito ai lavoratori da altri atti giuridici dell’Unione.

Articolo 10 Relazione, valutazione e revisione del diritto alla disconnessione

1. Entro … [cinque anni dopo l’entrata in vigore della presente direttiva] e successivamente ogni due anni, gli Stati membri presentano alla Commissione una relazione contenente tutte le informazioni pertinenti sull’attuazione e l’applicazione pratiche della presente direttiva, così come indicatori di valutazione sulle pratiche di attuazione del diritto alla disconnessione, indicando i rispettivi punti di vista delle parti sociali nazionali.

 2. Sulla base delle informazioni fornite dagli Stati membri a norma del paragrafo 1, la Commissione, entro … [sei anni dopo l’entrata in vigore della presente direttiva] e successivamente ogni due anni, presenta una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’attuazione e sull’applicazione della presente direttiva e valuta la necessità di misure aggiuntive, compresa, se del caso, la modifica della presente direttiva. Articolo 11 Recepimento 1. Entro il … [due anni dopo l’entrata in vigore della presente direttiva], gli Stati membri adottano e pubblicano le misure legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva. Essi ne informano immediatamente la Commissione. Essi applicano tali disposizioni a decorrere dal … [tre anni dopo l’entrata in vigore della presente direttiva]. Le misure adottate dagli Stati membri contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di tale riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono stabilite dagli Stati membri.

2. A decorrere dall’entrata in vigore della presente direttiva, gli Stati membri provvedono a comunicare alla Commissione, in tempo utile perché questa possa presentare le proprie osservazioni, qualsiasi progetto di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative che intendano adottare nel settore disciplinato dalla presente direttiva.

3. Conformemente all’articolo 153, paragrafo 3, TFUE, gli Stati membri possono affidare alle parti sociali l’attuazione della presente direttiva, su loro richiesta congiunta, a condizione che garantiscano il rispetto della presente direttiva.

 Articolo 12 Dati personali I datori di lavoro trattano i dati personali di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettere a) e b) della presente direttiva soltanto ai fini della registrazione dell’orario di lavoro del singolo lavoratore. Essi non trattano tali dati per altri fini. I dati personali sono trattati conformemente al regolamento (CE) n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio1 e alla direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio2 . Articolo 13 1 Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (GU L 119 del 4.5.2016, pag. 1).

2 Direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche) (GU L 201 del 31.7.2002, pag. 37). Entrata in vigore La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. Articolo 14 Destinatari Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva. Fatto a …, Per il Parlamento europeo Per il Consiglio Il presidente Il presidente