Presentata in Senato la nuova rivista Spazio Imprese

Presso la Sala Caduti di Nassirya del Senato della Repubblica, il 10 gennaio 2024 si è tenuta la Conferenza Stampa per la presentazione della nuova rivista Spazio Imprese diretta dal dottor Antonio Grieci.

La Rivista è finalizzata a fornire un utile strumento editoriale per il mondo del lavoro, per tutti gli imprenditori ed in particolare per le imprese ed i lavoratori alla ricerca di orientamenti nel mondo produttivo.

Presente CIU UNIONQUADRI che collabora nella redazione della rivista con il dottor Marco Ancora e l’avvocato Fabio Petracci che nel corso del suo intervento ha ribadito l’importanza di una concreta opera di informazione e di guida insieme alla trattazione dei temi di ampio respiro che oggi interessano il mondo dell’impresa.

La Delegazione CIU Unionquadri ha anche fatto riferimento alle attività che svolge al CNEL ed al CESE a Bruxelles, invitando le parti presenti a sinergie comuni e ad una collaborazione presso queste Istituzioni.

Il video della presentazione da Radio Radicale.

La figura e gli obblighi del preposto

Il sistema prevenzionistico nei luoghi di lavoro è tradizionalmente fondato su diverse figure di garanti che incarnano distinte funzioni e diversi livelli di responsabilità organizzativa e gestionale: si fa riferimento al datore di lavoro, al dirigente ed al preposto.

In realtà complesse può riscontrarsi la presenza di molteplici figure di garanti: tale complessità suggerisce che l’individuazione della responsabilità penale passa non di rado attraverso una accurata analisi delle diverse sfere di competenza funzionale.

L’art. 2 del D.Lgs. 81/08 definisce il preposto come “la persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa”.

Secondo la definizione normativa, per preposto deve intendersi il soggetto preposto alla attività lavorativa cui sovrintende e non genericamente preposto alla sicurezza sul luogo di lavoro.

Dunque il preposto controlla la corretta esecuzione del lavoro, ossia esercita la necessaria vigilanza sul corretto svolgimento del lavoro.

In effetti, la qualifica di preposto deve essere attribuita più che in base a formali qualificazioni giuridiche, con riferimento alle mansioni effettivamente svolte nell’impresa (Cass. 17202/2019) e comunque non necessita di essere dimostrata attraverso prove documentali attestanti la formale investitura ben potendo essere desunta da circostanze di fatto (Cass. 31863/2019).

Gli obblighi di vigilanza, di fornire indicazioni di sicurezza, di informare i lavoratori del pericolo, di segnalare ogni condizione di pericolo e ogni deficienza delle attrezzature di lavoro, di interrompere ogni attività in presenza di condizioni di pericolo rientrano tutti negli obblighi del preposto.

Non va nemmeno dimenticato che per organizzare e attuare la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, la prevenzione funziona bene soltanto con la collaborazione di tutti gli attori, dal datore di lavoro al dirigente, al preposto e ai lavoratori, ciascuno nell’ambito delle proprie attribuzioni e competenze.

L’obbligo di individuare i preposti, stabilito dall’art. 18 del d.lgs. n. 81/2008, ha come scopo il tentativo di rendere più efficace l’organizzazione del lavoro e il suo esercizio in sicurezza.

Da ultimo, non vi è dubbio che il preposto, così come datore di lavoro e dirigente, debba disporre di conoscenze e competenze diverse e ben più approfondite di quelle possedute dalle persone alla cui attività deve sovraintendere, da acquisire mediante formazione specifica.

Alte professionalità

Il Personale quadro e le acquisizioni aziendali

A livello di diritto del lavoro

Le operazioni di cessione, trasferimento, fusione, di aziende o ramo di azienda, per quanto riguarda la posizione dei dipendenti trova il principale punto di riferimento nell’articolo 2112 del codice civile, in base al quale il dipendente transita mantenendo i diritti e le posizioni maturate presso il precedente datore di lavoro.

Qualcuno potrebbe dire che nulla cambia, ma non è proprio così.

Se retribuzione, prestazione e protezione sociale trovano una buona protezione, non dobbiamo dimenticare anche altri contenuti oggetto del rapporto di lavoro.

Ci si riferisce in primo luogo alla professionalità, alle aspettative di carriera ed al benessere lavorativo inteso in senso materiale e psicologico. Difficilmente la norma di legge può tutelare a fondo questi beni e queste aspettative.

Tanto più allorquando il rapporto di lavoro involge aspetti molto sofisticati come accade soprattutto per quadri e dirigenti.

Trattasi di categorie molto sensibili ai cambiamenti organizzativi.

Soprattutto per quanto riguarda le mansioni strategiche e le più importanti spesso la completa applicazione della normativa concernente la tutela delle mansioni e della professionalità non è adempiuta correttamente.

Mutano le strategie aziendali e spesso anche l’organizzazione e non sempre i nuovi ruoli possono coincidere con il contenuto professionale e contrattuale delle precedenti mansioni.

Spesso le procedure traslative delle aziende o dei loro rami produttivi avvengono in coincidenza di crisi aziendali o di grandi ristrutturazione nel cui ambito non è più possibile riproporre vecchi organigrammi e schemi organizzativi.

Si assiste così spesso alla dequalificazione ed all’obsolescenza anche di rilevanti professionalità specie nell’ambito dei quadri.

Spesso però le difficoltà superano questi aspetti tecnico giuridici e si riferiscono alle sensazioni con le quali è accolto il cambiamento.

A livello di organizzazione aziendale

A livello di mera gestione del personale si determinano vere e proprie fratture nella cultura aziendale.

La convergenza di risorse da parte delle due organizzazioni coinvolte, può creare confusione, e disorientamento nei dipendenti. Viene spesso a mancare un riferimento stabile contestualmente alla cultura precedente che regolava la vita lavorativa giornaliera.

Questi problemi sono spesso resi più acuti dalla mancata comprensione da parte dei quadri dei cambiamenti progettati.

Spesso la fusione acquista un forte impatto di natura psicologica sul personale soprattutto della società acquistata ed in ambito aziendale è acquisita una sensazione pari a quella del vincitore e del vinto.

I rimedi

E’ necessaria quindi soprattutto nei confronti dei quadri una attenta gestione del fattore umano per evitare il ricorrente fenomeno dell’alienazione del personale coinvolto.

Il Management va quindi portato a conoscere ed a capire per tempo le nuove strategie per evitare l’impatto psicologico della fusione.

Problemi concreti e cruciali si verificano con l’imposizione di un nuovo sistema informativo, oppure con la redazione di un nuovo organigramma.

Anche l’abbandono di vecchi progetti o l’introduzione di nuovi può creare frustrazione ed alienazione nel personale che seguiva i primi.

Si tratta quindi di fronteggiare queste situazioni con un grande processo di informazione ed impostando i cambiamenti in maniera graduale, favorendo periodi coesistenza di strutture interinali.

La transizione poi dovrebbe essere affidata a manager estremamente equilibrati e responsabili.

Sarebbe altresì auspicabile una mobilità tra diverse aziende del settore dei quadri che trovano difficoltà nella ricollocazione come pure la sottoposizione a periodi di formazione aziendale ed extra aziendale.

Fabio Petracci

Lvoro precario

Novità quadri dal Friuli Venezia Giulia.

CIU UNIONQUADRI unitamente al Centro Studi Corrado Rossitto si sta occupando anche di alcune realtà aziendali dove operano numerosi quadri anche nel campo della ricerca e dove sono in atto situazioni di crisi che coinvolgono anche la categoria.

E’ la volta dello Stabilimento Wartsila di Trieste già Grandi Motori Trieste

Professionalità del sito produttivo di Trieste, contro la chiusura dello stabilimento Wartsila di Bagnoli della Rosandra già Grandi Motori Trieste.

Alcuni appunti del signor Giorgio Jercog già tecnico dipendente della Motoristica Navale Triestina in merito alla chiusura dello stabilimento Wartsila di Trieste già Grandi Motori Trieste.

Egli manifesta in primo luogo la propria contrarietà a quello che in gergo viene denominato come “spezzatino” consistente nella definitiva spartizione e conseguente sparizione dell’azienda.

E’ invece auspicata l’acquisizione da parte di Cassa Depositi e Prestiti di tutto lo stabilimento Wartsila Italia. In tal modo, ritiene Jercog, potrebbero essere individuati gli acquirenti anche tra i concorrenti di Wartsila.

In tal senso sarebbe opportuno, e preliminare, rileva l’intervistato, procedere alla uscita dallo stabilimento di Trieste dell’azienda finlandese Wartsila, mantenendo intatte le linee e macchinari destinati alla produzione.

Preliminarmente, egli nota, sarebbe utile conoscere quanti siano in totale i dipendenti di Wartsila a Trieste e quanti siano gli esuberi della produzione tra operai e tecnici

Così da valutare la compatibilità del numero di dipendenti rimanenti a Trieste suddivisi tra amministrativi, servizi ( uff. acquisiti e personale )tecnologi : Impiegati e operai

Ma, rileva Jercog, andrebbe quanto prima chiarito  se si vuole la continuità produttiva di motoristica diesel vedi l’esempio della VM di Cento Ferrara e l’Isotta Fraschini di Bari che si stanno focalizzando sulle produzioni di motori industriali, per l’agricoltura, per l’industria marina e gruppi elettrogeni sviluppando progettazione e industrializzazione di motori a gas ed idrogeno.

Si potrebbe così puntare, nota l’intervistato, a creare un polo del diesel Italiano.

Altrettanto utile, capire dopo la vendita dello stabilimento Gmt alla Wartsila e della licenza Sulzer ( poi finita recentemente in mano cinese) che fine abbiano fatto i marchi GMT ex Fiat e VM industriali prodotti nello stabilimento di Bagnoli della Rosandra.

L’intervistato adduce ad esempio l’uscita dalla crisi di VM Motori Cento che ha attuato un’ampia riconversione per la produzione di motori Diesel con un acquistata autonomia nei confronti del Gruppo Stellantis, sviluppando nei prossimi anni cinque linee di produzione: motori industriali, motori per agricoltura, motori per industria marina, ricambi per automotive diesel, reparto test su emissioni e progettazione e industrializzazione di motori a idrogeno, con uno sguardo anche sul settore marino.

Rallenta l’inflazione negli Stati Uniti. Sono tutte buone notizie?

È di pochi giorni fa la notizia del netto rallentamento dell’inflazione americana per il mese di giugno. Invero l’indice dei prezzi al consumo (IPC) è passato dal 4% di maggio al 3% di giugno, superando le aspettative degli analisti che prevedevano, invece 3.1%, e solo un pizzico più alto del 2.9% che è stato il livello medio nei due decenni precedenti la crisi finanziari generata dalla pandemia e proseguita con la guerra in Ucraina.

Siamo dunque ben lontani dal 9.1% dello scorso giugno, che ha rappresentato il picco più alto dal 1981. Un segno evidente che la politica monetaria restrittiva della Federal Reserve sta funzionando. È altresì indubbio che il Chairman della Fed, Jerome Powell, abbia tenuto fede alle sue parole. A giugno scorso la Fed varò un piano di rialzo dei tassi d’interesse che è proseguito, con ben 10 rialzi consecutivi, e che, a suo dire, sarebbe continuato fin tanto che l’inflazione non si fosse stabilizzata. C’è dunque da chiedersi se questo momento sia arrivato. Ci credono poco gli economisti e analisti americani convinti che, nonostante l’inflazione sia molto rallentata, essa sia ancora troppo alta rispetto al target della Fed del 2%. Per tale motivo scommettono in un prossimo rialzo, dello 0.25%, già al prossimo meeting che si terrà la settimana prossima. Ciò porterebbe il tasso d’interesse al 5.25%-5.50%.  Tra le poche voci contrarie, certamente la più ragguardevole, è quella dell’economista Christopher Pissarides, premio Nobel per l’economia del 2010. Egli, in una recente intervista al canale economico CNBC, ha dichiarato che non vede le ragioni di un ulteriore rialzo dei tassi stante “il tasso d’inflazione in diminuzione e il mercato del lavoro meno contratto”. Ritiene, semmai, che in questo momento l’unica cosa da fare sia mantenere la calma e avere pazienza per vedere, a pieno, gli effetti dell’inflazione sull’economia a stelle e strisce. Pissarides ha inoltre affermato che la strada per l’Europa invece, stante il diverso tasse d’inflazione, sia ancora in salita.

Chi certamente ha capitalizzato la notizia è il presidente Biden, le cui prospettive di rielezione dipendono dall’andamento dell’economia americana e che, da Vilnius, dove si svolgeva il vertice Nato, si è immediatamente preso i meriti della riduzione dell’inflazione dichiarando: “Good jobs and lower costs: That’s Bidenomics in action”, ossia “aumento dell’occupazione e costi inferiori: questo è la Bidenomics in azione”. Una rivincita per il presidente democratico che nell’ultimo anno è stato costantemente sotto attacco dei repubblicani, secondo cui la responsabilità di un’inflazione così alta abbia come unico responsabile l’inquilino della Casa Bianca e la sua politica green.

Sebbene siano indubitabili i progressi ottenuti dalla politica monetaria restrittiva adottata dalla Fed, un dato desta qualche preoccupazione, ovvero il prezzo del carrello della spesa in continua crescita. Un’analisi del dipartimento di statistica del ministero del lavoro ha evidenziato, infatti, come il prezzo dei generi alimentati è aumentato del 5,8% rispetto ad un anno fa. Nello specifico ciò ha determinato un rincaro sia dei pasti da asporto (8%) che dei ristoranti (7,7%). Il costante aumento dei beni di prima necessità ha determinato un aumento dell’insicurezza alimentare (food insecurity) che, a giugno, ha toccato il 17%, il picco più elevato da marzo 2022.

Numerosi sono i fattori che concorrono all’aumento dei prezzi dei generi alimentari. Dall’inflazione, la cui frenata può dare un respiro alle famiglie americane, al costo del lavoro, alla catena di approvvigionamento e, infine, alla guerra in Ucraina. La recente notizia del mancato rinnovo degli accordi sul grano da parte della Russia potrebbe vanificare, in parte, sebbene sia troppo presto per valutarlo, i progressi ottenuti da un allentamento della pressione inflazionistica ed innescare una pericolosa contrazione della domanda.

Francesco Rizzo Marullo.

Welfare Aziendale e Fringe Benefit

Prima di affrontare nello specifico la gestione tecnica di questi strumenti introdotti nel mondo del lavoro è bene soffermarsi sul significato del WELFARE AZIENDALE e del FRINGE BENEFIT.

Negli ultimi anni le aziende vuoi sotto forma di società ma anche in forma individuale, allo scopo di poter intervenire sul potere di acquisto dei lavoratori, si sono sempre più orientate ad attuare politiche retributive finalizzate al riconoscimento di beni e servizi da mettere a disposizione dei singoli lavoratori o della intera forza lavoro presente in azienda.

La concessione di tali beni e servizi, laddove vengono riconosciuti come forma integrativa della retribuzione sono definiti FRINGE BENEFIT e come tale rientrano nella sfera di assoggettamento fiscale/contributivo, diversamente se riconosciuta come forma di integrazione non monetaria della retribuzione sono definiti WELFARE AZIENDALE. COSA SONO I FRINGE BENEFIT Sono elementi aggiuntivi della retribuzione che, in linea generale, concorrono alla formazione del reddito tassato in capo al lavoratore dipendente.

Trattasi di beni e servizi forniti al dipendente diversi dalle somme in denaro, dunque benefici in natura che vanno a migliorare il tenore di vita del lavoratore evitandogli di sostenere determinate spese o garantendogli delle prestazioni che altrimenti non potrebbe permettersi.

La concessione dei Fringe benefit non è soggetta ad alcuna norma legislativa e tanto meno a quella contrattuale e il datore di lavoro può decidere di riconoscerli alla generalità dei lavoratori e/o a qualcuno di essi. Esempi di fringe benefit non sono solo i buoni pasto (formato cartaceo e/o elettronici), ma possono riguardare la concessione del cellulare aziendale, un computer portatile o tablet, l’abitazione in affitto, l’uso promiscuo dell’auto aziendale (lavoro/privato).

Questi compensi sebbene in natura, poiché vengono collocati nel quadro generale delle forme di retribuzione, rientrano conseguentemente nel campo di applicazione dei principi di assoggettamento previdenziale e fiscale delle retribuzioni con delle esenzioni.

IMPONIBILITA’ FISCALE E CONTRIBUTIVA I fringe benefit non vengono tassati e quindi non concorrono a formare il reddito, se si tratta di beni ceduti e di servizi di importo non superiore a € 258,23 nel periodo d’imposta, come previsto dall’art. 51 c. 3 del TUIR. Laddove il limite di € 258,23 viene superato, l’intero valore e NON la differenza concorre a formare il reddito.

Per periodo d’imposta si intente quello che inizia il 1° gennaio 2023 e termina il 12 gennaio 2024 quindi vale il principio di cassa allargata. Eccezionalmente nel corso del 2022 per via del periodo post COVID e delle conseguenze derivanti dall’evento bellico, il limite di esenzione fu innalzato a € 3.000,00.

NOVITA’: Il decreto Legge 48/2023 all’art. 40 c.d. “Decreto Lavoro”, nell’ambito delle misure fiscali, ha innalzato nuovamente limitatamente al 2023 la soglia di non imponibilità dei fringe benefit fino a € 3.000,00 includendo nuovamente il pagamento delle utenze domestiche relative al servizio idrico, energia elettrica e gas, ma tale misura può essere concessa solo ai lavoratori dipendenti che hanno nel proprio nucleo familiari figli a carico.

I fringe benefit possono essere corrisposti dal datore di lavoro anche ad personam. In esito a questo argomento si resta in attesa delle modalità nonché delle procedure da porre in essere e che presumibilmente resteranno invariate rispetto al DECRETO AIUTI QUATER. RAPPORTO CON IL BONUS CARBURANTE: Il Decreto «Trasparenza prezzi carburante» n. 5/2023 del Governo Meloni ha riproposto l’agevolazione per i lavoratori dipendenti il Bonus Carburante già previsto dal Governo Draghi, per sostenere il reddito dei lavoratori in difficoltà causa innalzamento inflazione. Il datore di lavoro può erogare ad personam senza accordi preventivi buoni carburante per un valore fino ad un massimo di € 200,00 utilizzabili limitatamente al periodo gennaio 2023 / 12 gennaio 2024. Tale benefit NON è imponibile fiscale e va considerato aggiuntivo rispetto a quello dei fringe benefit erogati fino a € 258,23 come previsto dall’art. 51 c. 3 del TUIR. COSA E’ IL WELFARE AZIENDALE: Trattasi di compensi in natura quindi in forma non monetaria. Il welfare aziendale è uno strumento di remunerazione alternativo/complementare alla normale retribuzione. In pratica, attraverso delle iniziative di welfare aziendale, è l’azienda che compra i beni e servizi per il dipendente.

In un secondo momento, poi, li eroga a quest’ultimi senza che, quest’ultimi, utilizzano il proprio stipendio per acquisirli. I vantaggi del welfare aziendale sono riassumibili in, meno costo lavoro, maggiore liquidità e più produttività. Si può quindi definire come l’insieme di iniziative finalizzate ad incrementare il benessere del lavoratore e della sua famiglia, conciliazione vita-lavoro.

DESTINATARI DI WELFARE AZIENDALE: Il WELFARE AZIENDALE deve essere offerto o messo a disposizione della generalità dei dipendenti o categorie omogenee. TIPOLOGIA DI WELFARE AZIENDALE: Esistono due tipi di WELFARE AZIENDALE: * CONTRATTUALE: Previsto direttamente dal contratto collettivo applicato in azienda; * AZIENDALE: sulla base dell’iniziativa unilaterale e volontaria del datore di lavoro senza accordo con le rappresentanze sindacali; WELFARE AZIENDALE E PREMIO DI RISULTATO: L’interesse del datore di lavoro è avere i propri lavoratori più motivati e viceversa interesse del lavoratore guadagnare di più. Esiste la possibilità di raggiungere questi obiettivi con il «PREMIO DI RISULTATO». Il Premio di Risultato detto anche di PRODUTTIVITA’ è la quota aggiuntiva alla retribuzione che viene riconosciuta ai lavoratori al raggiungimento di incrementi di produttività, redditività qualità efficienza e innovazione. Il lavoratore ha 2 opzioni di scelta sulla remunerazione del Premio di Risultato: 1) Riceverlo in busta paga, in tal caso opterà per una tassazione agevolata che solo per il 2023 è pari al 5% purché non ecceda i 3.000,00 € lordi annui e che il reddito del lavoratore dell’anno precedente non superi € 80.000,00. Se soddisfa tali condizioni il premio di risultato NON concorrere alla formazione del REDDITO. Per l’azienda il costo è legato a contributi previdenziali ed oneri di altro tipo, anche se deducibile ai fini IRES. Per usufruire di questa agevolazione vi deve essere un accordo territoriale o di 2° livello con le parti sindacali e che interessi la totalità dei lavoratori. 2) In alternativa all’erogazione in busta paga, il lavoratore, se espressamente indicato all’interno dell’accordo negoziale, ha facoltà di scegliere che il PREMIO venga convertito parzialmente o totalmente, in prestazioni di Welfare come ad esempio spese mediche, assistenza a familiari anziani o non autosufficienti, tasse universitarie, libri di testo, asili nido ecc. In questo caso NON è soggetto ad alcuna tassazione o onere contributivo, né per il lavoratore e tanto meno per il datore di lavoro, purché permangono i limiti di € 3.000,00 e 80.000,00 € Contrariamente al Fringe Benefit la regola base nel WELFARE AZIENDALE è che il datore di lavoro non può erogare direttamente un importo monetario, ma fornisce solo beni e/o servizi, conseguentemente nel cedolino del lavoratore non ci sarà alcun importo che andrà a concorrere alla formazione del netto in busta. Il WELFARE, per sua natura ha quindi una valenza SOCIOASSISTENZIALE e può riguardare anche: a) La previdenza complementare trattasi di contributi versati a fondi pensionistici chiusi (previsti dal ccnl) o aperti (assicurativi/bancari ecc.) con esenzione fiscale annuo fino a € 5.164,57 b) Assistenza sanitaria integrativa versati dal datore di lavoro ad enti o casse aventi fine assistenziale in conformità a disposizioni di contratto o accordo aziendale, con esenzione fino a € 3.615,20 RIFLESSIONE SULLA CONVENIENZA: Ragionando in termini di convenienza questi strumenti apportano alle parti contraenti, benefici che si possono riassumere in: a) Risparmio sul costo del personale decontribuzione e detassazione, quindi aumento della retribuzione senza ripercussioni sul costo del lavoro; b) ottimizzazione della fiscalità per entrambe le parti; c) miglioramento vivibilità in azienda con conseguente soddisfazione dei lavoratori.

Dottor Paolo Grimaldi
Consulente del Lavoro

La partecipazione dei lavoratori all’impresa

L’art. 46 della Costituzione cita testualmente “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.

Ogni forma di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende si fonda sull’idea e sulla valorizzazione dell’interesse comune tra i lavoratori e l’imprenditore alla prosperità dell’impresa stessa.

Nel tempo tuttavia vi sono stati forti resistenze alla diffusione delle forme partecipative e pertanto l’art. 46 della Carta Costituzionale deve considerarsi come una norma rimasta sostanzialmente inapplicata.

Ciclicamente, soprattutto nei periodi di crisi economica, si è tornati spesso ad insistere sulla necessità di promuovere la partecipazione dei lavoratori, con la presentazione di diverse iniziative e la costituzione di appositi gruppi di lavoro, senza tuttavia ottenere risultati concreti.

In particolare, deve essere ricordato il tentativo operato dalla c.d. “Riforma Fornero”, legge n. 92/2012, la quale aveva delegato il governo ad adottare uno o più decreti finalizzati a favorire le forme di coinvolgimento dei lavoratori nell’impresa, attivate attraverso la stipulazione di un contratto collettivo aziendale, nel rispetto di principi e criteri direttivi previsti dalla legge (art. 4 c.62 legge n. 92/2012).

Tuttavia, anche tale intervento non ha trovato concreta e capillare attuazione.

Oggi, anche grazie alle nuove sfide della digitalizzazione ed i recenti sviluppi dell’economia, con un passaggio a quella che è stata definita l’era della “condivisione” (sharing economy), potrebbero essere state gettate le basi per la revisione del modello conflittuale su cui, storicamente, si sono rette le relazioni industriali e dunque vi sarebbero concrete possibilità di un recupero dello strumento della partecipazione dei lavoratori all’impresa.

In effetti, con l’avvento della c.d. quarta rivoluzione industriale, uno degli effetti più rilevanti è stato quello di considerare non più la prestazione lavorativa nella sua mera esecuzione materiale, quindi come mera collaborazione passiva, strettamente legata alle mansioni assegnate al lavoratore bensì la necessità di una vera e propria partecipazione attiva da parte dei lavoratori nella generazione dei valori aziendali.

In effetti, il modello storico delle relazioni industriali è principalmente basato sulla forte asimmetria tra potere direttivo e dovere di collaborazione, fondato sulla prerogativa dell’imprenditore di dirigere l’azienda in coerenza al principio di libertà di iniziativa economica privata, considerando i rischi assunti esclusivamente a carico dell’impresa stessa.

Oggi, la possibilità di partecipazione dei lavoratori alle vicende d’impresa potrebbe da un lato attenuare gli effetti del disequilibrio in termini di condizioni di lavoro e, dall’altro, essere ulteriore strumento di possibile modifica dell’esercizio del potere direttivo in una chiave maggiormente collaborativa, tenuto dovuto conto altresì dell’evoluzione ed attenuazione del concetto di subordinazione registratosi negli ultimi anni.

Per chiarezza, si possono individuare almeno quattro differenti tipologie di possibile partecipazione dei lavoratori all’azienda:

  • quella di tipo “organizzativo/gestionale”, da intendersi come presenza di una rappresentanza dei lavoratori all’interno degli organi di controllo e decisionali dell’azienda (es. presenza di un rappresentante indicato o eletto dai lavoratori all’interno del Consiglio di Amministrazione);
  • quella di tipo “informativo/consultivo”, che può essere considerata come il diritto dei lavoratori (o meglio, dei loro rappresentanti) alla conoscenza dei piani aziendali passati, presenti e futuri, anche come condizione vincolante rispetto alle decisioni da assumere, con altresì possibilità di elaborare suggerimenti e controproposte;
  • quella di tipo “economico”, che mira a far partecipare i lavoratori meritevoli dei risultati e del benessere dell’azienda, promuovendo una parziale redistribuzione degli utili aziendali sulla base delle prestazioni effettivamente svolte dagli stessi lavoratori, rendendoli partecipi del successo dell’azienda;
  • quella di tipo “finanziario”, con la possibilità di accedere ad un azionariato diretto dei dipendenti delle aziende per cui lavorano, in modo da indirizzarle anche verso un assetto proprietario più condiviso, con forte responsabilizzazione e creazione di spirito d’appartenenza in capo ai singoli lavoratori.

Rimane allora da registrare che altri paesi europei hanno già adottato modelli partecipativi dei lavoratori all’impresa: ad esempio Francia e Germania che, sin dagli inizi del secolo scorso, hanno realizzato forme di partecipazione economica fondate sui piani aziendali di risparmio e sull’azionariato dei dipendenti (anche attraverso il fenomeno del c.d. workers buy-out, vale a dire l’azione di salvataggio dell’azienda, o di una sua parte, realizzata dai dipendenti che subentrano nella proprietà).

In particolare, il modello tedesco, noto come Mitbestimmung, è una vera e propria parte caratterizzante del sistema di relazioni industriali del paese.

In effetti, il modello tedesco prevede che l’economia e le strutture produttive non costituiscano luogo di scontro di interessi configgenti tra capitale e lavoro ma anche una vera e propria “Gemeinschaft”, una “comunità” avente il fine comune di garantire benessere e prosperità per i suoi componenti.

La partecipazione dei lavoratori in Germania si compone di due livelli:

  • la “betriebliche Mitbestimmung”, partecipazione a livello di unità produttiva, che in Italia si potrebbe tradurre o intendere come “partecipazione o cogestione aziendale”;
  • la “unternehmerische Mitbestimmung”, partecipazione a livello di organi societari d’impresa, che indica la parte gestionale che è adibita all’impiego delle risorse prodotte dalla parte produttiva, traducibile come “partecipazione o cogestione societaria”.

A sottolineare il valore e l’importanza della partecipazione dei lavoratori, lo stesso art. 9 del GrundGesetz, la Carta costituzionale varata nel 1949, dispone l’ordinamento e la pacificazione del mondo del lavoro mettendo sullo stesso piano sia la contrapposizione degli interessi sia la volontà comune di collaborazione.

Avv. Alberto Tarlao

La Direttiva UE in materia di retribuzioni minime

È entrata in vigore la Direttiva UE 19 ottobre 2022 n.2041 sulle retribuzioni minime che tocca anche il fenomeno inflazionistico ormai divenuto esplosivo.

La direttiva non riveste carattere cogente e non intende interferire con i rapporti sindacali esistenti in ciascun paese.

In ogni caso, agli Stati membri è lasciato uno spazio temporale pari a due anni per valutarne ed operarne il recepimento.

La direttiva è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 25 ottobre 2022.

La direttiva ora approvata dalla Commissione Europea è identica a quella approvata dal Parlamento UE il 14 settembre 2022.

Nell’attuale momento di inflazione ad alto livello, nonché di bassi salari, una retribuzione minima imposta su base oraria potrebbe portare ad un generale aumento delle retribuzioni anche per le professionalità medio alte, agendo da stimolo per la contrattazione collettiva.

Diverso sarebbe invece e viene qui ribadito, considerare come salario minimo esclusivamente quello inserito nei contratti collettivi stipulati dai sindacati CGIL, CISL, UIL, in quanto una normativa che preveda un tanto rischierebbe di collidere con la normativa costituzionale ed in particolare con l’articolo 39 della Carta Costituzionale stessa.

Va ricordato che l’attuale governo non crede nell’introduzione del salario minimo in qualunque forma, ma ritiene come le politiche di aumento delle retribuzioni possano essere perseguite, abbattendo la tassazione del lavoro (cfr. videomessaggio del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni al Festival del Lavoro di Bologna – giugno 2022).

Fabio Petracci

Legge di Bilancio 2023: le novità in materia di lavoro

Da una prima lettura della legge di Bilancio per il 2023 – la legge n. 197/2022 – notiamo i punti che interessano il mondo del lavoro.

È primo luogo ridotto il prelievo fiscale per i lavoratori con un reddito inferiore ai 35 mila euro annui.

Per questa categoria di lavoratori è previsto un abbattimento del cuneo fiscale pari al 2% se la retribuzione imponibile non eccede l’importo mensile di 2.692 euro (35.000 euro annui) e pari al 3% cento se la retribuzione non eccede l’importo mensile di 1.923 euro (25.000 euro annui).

Quindi, la legge di Bilancio riduce poi la tassa sulle mance al 5%. La misura è stata pensata per provare a incentivare i lavoratori del settore del turismo.

Inoltre, la legge di Bilancio stabilisce la riduzione al 5% dell’aliquota sostitutiva dell’imposta applicabile alle somme erogate nel 2023 sotto forma di premi di risultato o di partecipazione agli utili d’impresa.

I dipendenti che versano in condizioni di fragilità accertate secondo i criteri del D.M. 4 febbraio 2022, hanno il diritto a rendere la propria prestazione lavorativa in modalità agile fino al 31 marzo 2023.

In materia di prestazioni occasionali, viene aumentato fino a 10.000 euro il limite massimo di compensi che, nel corso di un anno, possono essere corrisposti da ciascun utilizzatore in riferimento alla totalità dei lavoratori mediante prestazione occasionale.

Con specifico riferimento al settore agricolo, è prevista l’introduzione di una disciplina sperimentale, valida per il biennio 2023-2024, che consente il ricorso alle prestazioni occasionali da parte delle imprese agricole per un massimo di 45 giornate lavorative per ciascun lavoratore al fine di agevolare il reperimento di manodopera per attività stagionali.

La disciplina sperimentale introdotta prevede che le prestazioni di lavoro occasionale possono riguardare solo specifiche categorie di lavoratori (disoccupati, percettori di ammortizzatori sociali o del Reddito di cittadinanza, pensionati, studenti fino a 25 anni, detenuti o internati).

Infine, si segnala l’innalzamento della soglia dei compensi per l’accesso e la permanenza nel c.d. regime forfettario per le persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni portando tale limite da 65.000 a 85.000 euro.

Lvoro precario

In vigore il nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. n. 83/2022)

1. Premessa; 2. Procedure di insolvenza e PNRR; 3. Struttura del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza mediante l’approfondimento del decreto legislativo n. 83/2022.

  1. PREMESSA

Il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), ovvero il D.lgs. n.14/2019, è entrato in vigore il 15 luglio 2022 mediante il D.Lgs. n. 83/2022, recante “modifiche al codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”.

Il governo italiano, sempre mediante il decreto legislativo sopracitato, ha inserito all’interno del CCII le disposizioni del D.L. 118/2021 in materia di composizione negoziata della crisi e ha dato attuazione alla direttiva (UE) 2019/1023 (Direttiva Insolvency) del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 – riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione – e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza).

La modifica più rilevante riguarda gli “adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili”, i quali acquistano un ruolo più significativo rispetto al passato. Inoltre, la composizione negoziata sostituisce definitivamente l’OCRI (organismi di composizione della crisi d’impresa).  Ancora, tra gli obblighi dei creditori qualificati, viene aggiornata la “transazione fiscale”. Rientra tra le novità più importanti l’accantonamento del sistema di allerta, il quale era previsto nella stesura originaria del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.lgs. n. 14/2019).

  1. PROCEDURE DI INSOLVENZA E PNRR

La crisi dovuta all’emergenza pandemica ha provocato lo slittamento di quasi due anni dalla data originariamente prevista (15 agosto 2020) per l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Dall’altra parte però, tale ritardo ha consentito di allineare il CCII alle modifiche introdotte in sede di attuazione della sopraccitata Direttiva comunitaria del 2019.

Tra gli obiettivi prioritari del PNRR (il piano nazionale di ripresa e resilienza) vi sono gli interventi di modifica al Codice dell’insolvenza di cui al decreto legislativo n. 14 del 2019.

“In merito, negli allegati al PNRR il Governo prevede di apportare modifiche al c.d. Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza:

  • Attuando la direttiva UE n. 1023/2019, relativa alle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione;
  • Rivedendo gli accordi di risoluzione extragiudiziale al fine di incentivare le parti a farne un maggior uso; potenziando i meccanismi di allerta;
  • Specializzando gli uffici giudiziari e le autorità amministrative competenti per le procedure concorsuali;
  • Implementando la digitalizzazione delle procedure anche attraverso la creazione di una apposita piattaforma online.

Il Piano prevede che la riforma possa essere attuata entro il quarto trimestre 2022”.

  1. STRUTTURA DEL CODICE DELLA CRISI D’IMPRESA E DELL’INSOLVENZA MEDIANTE L’APPROFONDIMENTO DEL DECRETO LEGISLATIVO N. 83/2022

Come ben esplicitato dal dossier di documentazione della Camera dei deputati – Servizi Studi, di cui si riporta qui di seguito, “il decreto legislativo n. 83 del 2022, che è stato emanato dopo aver acquisito i pareri favorevoli delle Commissioni Giustizia di Camera e Senato sullo schema di decreto A.G. 374, si compone di due capi.

Il Capo I (articoli da 1 a 45) provvede ad attuare la Direttiva n. 2019/1023 attraverso modifiche al Codice della crisi e dell’insolvenza, di cui al decreto legislativo n. 14 del 2019.

Alcune modifiche sono di coordinamento, in quanto conseguono a soppressioni, modifiche o introduzione di alcuni istituti del Codice, come la soppressione degli organismi di composizione della crisi di impresa (OCRI) e l’introduzione dei quadri di ristrutturazione preventiva.

Numerose sono le modifiche di carattere sostanziale.

Gli articoli da 1 a 5 del decreto legislativo n. 83 del 2022 apportano alcune modificazioni alle disposizioni generali, di cui al Titolo I del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in particolare:

  • La definizione di quadri di ristrutturazione preventiva, intesi come strumenti finalizzati a permettere la ristrutturazione in una fase precoce, prevenire l’insolvenza ed evitare la liquidazione;
  • La necessità che l’imprenditore predisponga un assetto organizzativo, amministrativo e contabile idoneo a rilevare tempestivamente e ad affrontare lo stato di crisi, con l’indicazione dei segnali d’allarme che vanno considerati indice di una possibile crisi;
  • La procedura di informazione e consultazione dei sindacati nell’ambito di un quadro di ristrutturazione preventiva;
  • La creazione di un’apposita sezione dedicata alla crisi d’impresa sui siti internet dei Ministeri della giustizia e dello sviluppo economico per favorire l’accesso degli utenti, in particolare debitori, rappresentanti dei lavoratori e PMI, alle informazioni su strumenti e procedure per la soluzione delle crisi.

L’articolo 6 sostituisce integralmente il Titolo II, originariamente dedicato alle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, per inserirvi le disposizioni già in vigore a seguito degli interventi d’urgenza operati nel corso del 2021 (i già citati d.l. n. 118/2021 e d.l. n. 152/2021) per la realizzazione degli obiettivi del PNRR.

Il nuovo Titolo II disciplina l’istituto della composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa, il cui obiettivo è superare la situazione di squilibrio dell’impresa prima che si arrivi all’insolvenza. Viene quindi disciplinata una procedura stragiudiziale, da attivare presso la Camera di commercio, che prevede il coinvolgimento di un esperto che affianca l’imprenditore commerciale (o agricolo), a garanzia dei creditori e delle altre parti interessate. L’esperto, nominato da una apposita commissione, è una figura professionale (si tratta prevalentemente di commercialisti, avvocati e consulenti del lavoro) dotata di precedenti esperienze nel campo della soluzione di crisi d’impresa, incaricata di valutare le ipotesi di risanamento, individuare entro 180 giorni una soluzione adeguata e redigere, al termine dell’incarico, una relazione che verrà inserita nella piattaforma unica nazionale e comunicata all’imprenditore. Nel corso della procedura è prevista l’applicazione di agevolazioni fiscali e di misure protettive a favore dell’imprenditore per limitare le possibilità di azione nei suoi confronti da parte dei creditori e precludere il pronunciamento di sentenze di fallimento o di stato di insolvenza.

Una specifica disciplina è inoltre dettata per l’applicazione del nuovo istituto ai gruppi di imprese e alle imprese di minori dimensioni.

Gli articoli da 7 a 13 intervengono sul Titolo III al fine di recepire la direttiva con riferimento al procedimento unitario per l’accesso ai quadri di ristrutturazione preventiva. In particolare, vengono regolati i rapporti tra procedure pendenti nei confronti del medesimo debitore e domande di accesso ai diversi strumenti di composizione della crisi.

Altri interventi di recepimento della direttiva riguardano:

  • La disciplina dell’apertura del concordato preventivo, con particolare riferimento al giudizio di ammissibilità del tribunale, che viene differenziato a seconda che si tratti di concordato liquidatorio o di concordato in continuità aziendale, e ponendo limiti più stringenti nel primo caso;
  • La semplificazione delle procedure di verifica giudiziale che portano alla sentenza di omologazione del concordato e alla sentenza di omologazione degli accordi di ristrutturazione;
  • Gli effetti della revoca dell’omologazione del concordato preventivo in continuità aziendale, prevedendosi che in caso di accoglimento del reclamo proposto avverso la sentenza di omologazione la corte d’appello possa confermare la sentenza di omologazione se l’interesse generale dei creditori e dei lavoratori prevale rispetto al pregiudizio subito dal reclamante;
  • La concessione di misure cautelari e protettive, che possono essere richieste anche nel corso delle trattative e prima del deposito della domanda di omologazione ma dalle quali sono sempre esclusi i diritti di credito dei lavoratori; vengono inoltre dettate norme in ordine alla durata, alla proroga o alla revoca delle misure stesse.

Gli articoli da 19 a 25 del decreto legislativo modificano il Titolo IV del Codice, in materia di strumenti di regolazione della crisi. Le principali disposizioni a carattere innovativo sono volte a:

  • Predisporre un nuovo strumento (piano di ristrutturazione soggetto a omologazione) per il debitore che si trovi in stato di crisi o di insolvenza, prevedendo che lo stesso debitore possa prevedere il soddisfacimento dei creditori, previa suddivisione in classi degli stessi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei;
  • Prevedere sia la possibilità di conversione del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione in concordato preventivo, che l’ipotesi inversa;
  • Adeguare alle disposizioni della Direttiva la disciplina del concordato preventivo, sia in continuità aziendale – attraverso la gestione diretta dell’imprenditore o indiretta, secondo quanto previsto dal piano di ristrutturazione, nell’interesse dei creditori e a tutela dei lavoratori – sia di liquidazione – conformando la relativa procedura ai principi di efficienza, pubblicità, trasparenza e celerità;
  • Sancire il principio generale della facoltatività della suddivisione in classi;
    modificare la disciplina della moratoria dei creditori privilegiati nel concordato in continuità aziendale, al fine di limitare a 6 mesi la possibilità di dilazionare il pagamento dei crediti di lavoro;
  • Prevedere, in caso di concordato in continuità, l’omologazione anche in assenza di adesione dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie;
  • Disciplinare i rapporti esistenti tra i creditori ed il debitore nei contratti pendenti e in corso di esecuzione durante le trattative del concordato in continuità aziendale;
  • Inserire nella disciplina sulla convocazione dei creditori anche il piano di concordato tra i documenti da comunicare ai creditori prima delle operazioni di voto;
  • Introdurre specifiche disposizioni sul concordato in continuità aziendale, con le quali si dispone che quest’ultimo sia approvato se tutte le classi votano a favore;
  • Precisare il contenuto delle verifiche compiute dal tribunale nell’ambito del giudizio di omologazione, nonché le regole dell’omologazione tramite ristrutturazione trasversale e le regole del giudizio di convenienza;
  • Stabilire il termine di dodici mesi dalla presentazione della domanda per la conclusione del giudizio di omologazione;
  • Estendere al commissario giudiziale e al liquidatore giudiziale, analogamente a quanto disposto per il curatore, la possibilità di revoca e sostituzione;
  • Sospendere il diritto di recesso dei soci fino all’attuazione del piano nel caso in cui il piano preveda il compimento di operazioni di trasformazione, fusione e scissione;
  • Introdurre nel Codice una nuova Sezione VI-bis contenente disposizioni specifiche sui quadri di ristrutturazione preventiva da parte delle società, recependo i principi di cui all’articolo 12 della Direttiva, al fine di favorire la continuità delle attività aziendali.

Gli articoli da 26 a 34 apportano limitate modifiche nel Titolo V relativo alla liquidazione giudiziale, riguardanti:

  • La possibilità per ciascun creditore di chiedere la sostituzione del curatore e la liberazione del debitore da qualsivoglia causa di ineleggibilità o decadenza a seguito di esdebitazione;
  • L’efficientamento delle procedure di insolvenza e la riduzione della loro durata;
  • La liquidazione controllata del debitore sovraindebitato solo a fronte di debiti scaduti pari ad almeno 50 mila euro.

Gli articoli 35 e 36 intervengono sulle disposizioni relative ai gruppi di imprese, di cui al Titolo VI, allo scopo di rafforzare la già prevista prevalenza della continuità aziendale sulla liquidazione dell’impresa, purché risulti che in tal modo venga maggiormente soddisfatto l’interesse dei creditori. Quando sia accertata tale circostanza, è infatti prevista la limitazione per i creditori dissenzienti della possibilità di opporsi e si dispone che il piano venga omologa dal tribunale. Acquistano inoltre rilievo nella procedura i vantaggi compensativi che derivano alle singole imprese dalla presentazione di un piano unico per l’intero gruppo di imprese.

Le modifiche recate dagli articoli 37 e 38 al Titolo VII, in materia di liquidazione coatta amministrativa, riguardano in particolare:

  • la figura del commissario liquidatore, che viene maggiormente uniformata a quella del curatore, sia sotto il profilo professionale, sia avendo riguardo al procedimento da osservare per una sua eventuale revoca;
  • l’eliminazione dei creditori pubblici qualificati dai soggetti che devono riferire all’autorità di vigilanza circa l’esistenza di segnali di allarme.

Gli articoli 39 e 40 e gli articoli da 41 a 44 apportano modifiche di coordinamento, rispettivamente, al Titolo IX (disposizioni penali) e al Titolo X (disposizioni di attuazione), motivate dall’esigenza di correggere i riferimenti alle procedure di allerta di cui al Titolo II, che è stato integralmente riscritto dal decreto in esame. In particolare, viene eliminato il reato di falso nelle attestazioni dei componenti dell’OCRI, organismo soppresso a seguito della suddetta riscrittura.

Infine, il Capo II dello schema di decreto legislativo (articoli da 46 a 51) con finalità di coordinamento:

  • abroga alcune disposizioni contenute nei decreti – legge n. 118 e n. 152 del 2021, in conseguenza dell’inserimento nel corpo del Codice delle corrispondenti norme;
  • abroga parzialmente il decreto legislativo n. 147 del 2020, correttivo del Codice, le cui modifiche, che non sono mai entrate in vigore, risultano ora superate dall’attuazione della direttiva e dall’intervento in commento;
  • coordina il contenuto del decreto legislativo n. 270 del 1999, relativo all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, operando un aggiornamento dei richiami normativi interni;
  • prevede l’entrata in vigore del decreto legislativo il giorno dell’entrata in vigore del Codice ossia il 15 luglio 2022;
  • afferma l’invarianza finanziaria del provvedimento, con l’unica eccezione dei costi connessi all’istituzione della piattaforma telematica nazionale per la composizione negoziata della crisi d’impresa, peraltro già coperti in base alla normativa vigente”.

A cura della Sig.na Lili Liu, studentessa di Giurisprudenza presso l’Università di Trieste
Centro Studi Corrado Rossitto di CIU UNIONQUADRI