CASSAZIONE: Rapporto di lavoro ed invenzioni: azione di indebito arricchimento da parte di consulente nei confronti della Pubblica Amministrazione.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 7178/2024 interviene sul caso di un medico che aveva maturato negli Stati Uniti adeguata competenza nel campo dell’informatica medica e svolgeva una collaborazione con la ASL n.6 di Palermo.

Contestualmente ed al di fuori dell’oggetto della consulenza, egli aveva realizzato per la ASL medesima un programma denominato Sistema Informativo 2004 – 2005.

Egli peraltro non aveva ricevuto formale incarico alcuno dall’amministrazione che riteneva di non dovergli compenso alcuno non risultando incarico alcuno formalizzato.

Il consulente quindi conveniva in giudizio l’amministrazione ritenendo sussistente un indebito arricchimento della medesima.

La domanda era accolta dal Tribunale di Palermo, ma successivamente, la Corte d’Appello in riforma della sentenza del Tribunale, rigettava la domanda.

Avverso quest’ultima sentenza era interposto ricorso innanzi alla Corte di Cassazione.

La suprema Corte individua il tema della decisione nel fatto che secondo la ASL sarebbe stato pattuito con il consulente un surplus di orario che avrebbe compensato l’opera resa in ambito informatico definibile come un’invenzione aziendale resa da un prestatore autonomo.

Secondo invece il consulente, l’opera sarebbe stata resa a seguito del conferimento di un diverso e complesso incarico professionale.

Premette la Cassazione che i rapporti con la Pubblica Amministrazione richiedono, per la loro instaurazione, la forma scritta che nel caso di specie risulta assente.

Nel caso di specie, l’opera di carattere informatico doveva ritenersi incompatibile con l’attività di medico di guardia a fronte della quale risultava erogato lo straordinario.

La difesa della ASL è inoltre incentrata sul fatto che il consulente avrebbe dovuto agire in forza dell’articolo 64 del DLGS 30/2005 che tutela le invenzioni nell’ambito del rapporto di lavoro.

La Cassazione sul punto dubita che un software possa considerarsi brevettabile.

Ritiene inoltre che altre normative concorrenti a tutela delle opere dell’ingegno non siano applicabili al caso di specie in quanto non trattasi di lavoro dipendente e non è accertato che l’opera fosse brevettabile.

Essa pertanto ritiene come l’unica azione esperibile sia nel caso di specie quella per ingiustificato arricchimento, in quanto l’azione teoricamente esperibile per l’inadempimento contrattuale trovava il proprio limite nella mancanza di forma scritta da parte della pubblica amministrazione.

In tal senso, la Cassazione ha richiamato la sentenza delle Sezioni Unite della medesima Corte del 5 dicembre 2023 la quale ha affermato che “Ai fini della verifica del rispetto della regola di sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c., la domanda di arricchimento è proponibile ove la diversa azione, fondata sul contratto, su legge ovvero su clausole generali, si riveli carente ab origine del titolo giustificativo”.

Viceversa, resta preclusa nel caso in cui il rigetto della domanda alternativa derivi da prescrizione o decadenza del diritto azionato, ovvero nel caso in cui discenda dalla carenza di prova circa l’esistenza del pregiudizio subito, ovvero in caso di nullità del titolo contrattuale, ove la nullità derivi dall’illiceità del contratto per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico.

In tema di invenzioni nell’ambito del rapporto di lavoro si ricordano le disposizioni contenute nel codice civile e nelle leggi speciali.

Il primo accenno va all’articolo 2590 del codice civile laddove è stabilito che Il prestatore di lavoro ha diritto di essere riconosciuto autore dell’invenzione fatta nello svolgimento del rapporto di lavoro I diritti e gli obblighi delle parti relativi all’invenzione sono regolati da leggi speciali, il c.d. Codice della proprietà industriale (DLGS 30/2005).

La legge stabilisce inoltre che tale disposizione si applica a tutti i datori di lavoro sia privati che pubblici (vedasi articoli 64 – 65 del DLGS 30/2005).

Essa in base all’articolo 4 della legge 81/2017 trova applicazione anche al lavoro para – subordinato.

Le invenzioni debbono essere brevettabili.

Si distinguono per quanta riguarda le invenzioni da lavoro le invenzioni di servizio che costituiscono oggetto del contratto e conferiscono al datore di lavoro il diritto ad avvalersi dei benefici dell’invenzione stessa.

Per quanto riguarda invece le cosiddette invenzioni di azienda (invenzioni avvenute avvalendosi del ruolo e dell’attività aziendale, ma non oggetto di contratto) spetta al lavoratore un equo compenso, ma l’invenzione è acquisita dal datore di lavoro.

Le invenzioni cosiddette occasionali sono quelle realizzate in occasione del rapporto di lavoro, ma senza collegamento alcuno con l’attività lavorativa.

Al datore di lavoro è riconosciuto un diritto di opzione per l’uso esclusivo, con diritto per l’inventore di ottenere i diritti patrimoniali conseguenti allo sfruttamento economico dell’invenzione.

Fabio Petracci

Le assenze del medico di medicina generale

Sulla natura de rapporto di lavoro del medico di medicina generale

Prima di sviluppare l’argomento delle assenze del medico di base e per meglio comprenderlo, merita aprire una parentesi circa la tipologia del suo rapporto di lavoro.

L’ art. 8 del Decreto legislativo n. 502/1992 stabilisce che il rapporto tra il Servizio Sanitario Nazionale e i medici di medicina generale – MMG è disciplinato da convenzioni di durata triennale conformi agli accordi collettivi nazionali, di seguito detti ACN, stipulati ai sensi dell’art. 4, comma 9 della Legge n. 412/1991.

Il rapporto è, pertanto, di natura convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale. Visto il contenuto degli ACN, si può, inoltre, affermare che il rapporto, a livello di fatto, è un ibrido, ponendosi in una via di mezzo tra l’attività libero professionale e il rapporto di lavoro di tipo subordinata.

Gli ACN regolano, infatti, numerosi aspetti riguardanti il rapporto di lavoro dei medici di medicina generale di ruolo, ossia a tempo indeterminato, creando così, delle similarità con il rapporto di natura subordinata.

Dall’ altro lato vi sono, però, caratteristiche tali da avvicinarli alla tipologia del lavoro autonomo proprio dei liberi professionisti dal quale si discostano, comunque, notevolmente.

Il medico di base, per esempio, è libero di stabilire il suo orario di lavoro ma, nel farlo, a differenza del libero professionista, deve rispettare i minimi orari e le fasce orarie di copertura stabiliti dagli ACN. Una volta fissato il proprio orario, dovrà svolgere la sua attività negli orari prestabiliti. Eventuali modifiche agli stessi devono essere obbligatoriamente comunicate all’azienda sanitaria con la quale intercorre il loro rapporto di lavoro.

A differenza del medico-lavoratore subordinato, la struttura (ambulatorio) e le strumentazioni necessarie allo svolgimento dell’attività lavorativa non vengono fornite dall’azienda sanitaria al medico di medicina generale, il quale deve procurarsele in autonomia con oneri e costi a proprio carico.

Il medico di medicina generale, al di fuori degli obblighi e delle funzioni previste dall’accordo nazionale, può svolgere attività libero professionale purché lo svolgimento di tale attività non pregiudichi il corretto e puntuale svolgimento delle funzioni attribuitegli.

Oltre alle modalità di svolgimento dell’attività, gli ACN prevedono anche, per esempio, la misura e la struttura del trattamento economico e la disciplina delle assenze e delle sostituzioni.

Si pensi al fatto che, in caso di loro assenza a qualsiasi titolo, hanno l’obbligo di incaricare sempre un sostituto in modo tale che i pazienti possano sempre trovare a chi rivolgersi e quindi in modo da garantire la continuità assistenziale.

I numerosi vincoli stabiliti dagli ACN si conformano all’obbligo e alla necessità di rispettare i livelli essenziali di assistenza – LEA, stabiliti a livello nazionale.

Sulle assenze del medico di base

Focalizzandoci ora sulle assenze, l’art. 55 dell’ACN del Triennio 2016 – 2018 (ossia l’ultimo sottoscritto e oggi vigente) prevede le assenze per la malattia e per la gravidanza o puerperio. Quanto a quest’ultima, è prevista un’assenza massima di 6 mesi durante i quali la retribuzione viene corrisposta per 14 mensilità.

Per quanto concerne la malattia, ai sensi dell’art. 55 dell’ACN del Triennio 2016 – 2018, il periodo di comporto risulta essere di n. 9 mesi ogni 30 mesi. Per i primi sei mesi il medico riceve il 100% del trattamento economico; il 50% per i successivi tre mesi. I mesi di malattia possono essere svolti continuativamente o in maniera frazionata.

Terminato questo periodo, è prevista la conservazione del posto di lavoro per 15 mesi. Si tratta, per quest’ultima, di una forma di aspettativa durante la quale l’Azienda non retribuisce il medico. Essendo la conservazione motivata dallo stato di malattia del medico, rectius dalla sua inabilità temporanea allo svolgimento dell’attività professionale, sarà necessario che questi ultimo, per vedersi riconosciuta la conservazione, continui a produrre i certificati medici di malattia anche durante il periodo di aspettativa di 15 mesi, in modo da comprovare il suo stato e pertanto il fondamento della sussistenza del requisito per conservare il posto.

Una volta concluso tale periodo, il medico o riprende l’attività lavorativa oppure l’Azienda risolve la convenzione.

Circa la modalità per attivare la conservazione del posto (aspettativa di 15 mesi), dalla lettura della norma non risultano esserci degli oneri o delle formalità in carico al medico. Al contrario, l’attivazione da parte del professionista sembra automatica allo scadere del comporto di malattia (i nove mesi).

Vi è quindi una differenza con la disciplina prevista per i rapporti di lavoro subordinato dei pubblici dipendenti. Per questi ultimi, il D.lgs. 171/2011 prevede la conservazione del posto di lavoro previa istanza dell’interessato o decisione dell’azienda, la quale non è, quindi, obbligata a conservare il posto di lavoro al dipendente nel caso questi non formuli espressa domanda. L’attivazione del periodo di conservazione, per i pubblici dipendenti e quindi non per i medici in convenzione, avviene all’esito del giudizio formulato dalla commissione medica competente, in seguito alla visita a cui si sottopone il dipendente. Se il giudizio risulta essere di assoluta e permanente inabilità a svolgere le mansioni o l’attività lavorativa, l’Azienda può risolvere il rapporto con il dipendente (ciò non vale per il medico in convenzione).

La conservazione del posto per i sanitari dipendenti pubblici viene accordata quando l’inabilità accertata è di tipo temporaneo, in quanto la temporaneità dell’inabilità fa supporre la possibile riacquisizione dell’idoneità lavorativa.

Le considerazioni appena svolte ed inerenti alla conservazione del posto di lavoro dei pubblici dipendenti risultano utili al solo scopo di vagliare la modalità di attivazione della conservazione del posto di lavoro, che avviene su istanza o decisione aziendale nel caso del pubblico dipendente mentre appare automatica per il medico convenzionato di medicina generale, il quale quindi non dovrebbe attivare procedura alcuna per fruire degli ulteriori 15 mesi.

Sul trattamento economico in caso di assenza per malattia

I primi 30 giorni di malattia sono a carico del medico e durante questo periodo viene rimborsato dalla sua assicurazione. Dal 31° giorno di assenza per malattia è, invece, l’ENPAM a corrispondere al medico l’indennità di malattia, chiamata, più nello specifico, indennità per inabilità temporanea allo svolgimento della professione. Un tanto per un periodo massimo di 24 mesi, che vanno ad aggiungersi ai primi 30 giorni, negli ultimi 48 mesi di vigenza del rapporto convenzionale.

Dopo la ripresa dell’attività lavorativa convenzionale l’indennità spetta dopo un nuovo periodo di carenza di trenta giorni, un tanto in maniera conforme alla disposizione per la quale nei primi trenta giorni di malattia non è l’ENPAM bensì altra assicurazione ad erogare al medico un’indennità.

Da quanto sopra, si deduce che il periodo massimo di 24 mesi può essere anche frazionato. In altre parole l’ENPAM corrisponde l’indennità per i periodi di malattia superiori a 30 giorni, fino ad un cumulo massimo di 24 mesi ogni 48 mesi.

Per quanto concerne la misura dell’indennità per inabilità temporanea, questa, ai sensi dell’art. 4 del Regolamento ENPAM a tutela dell’inabilità temporanea, per gli iscritti che versano il contributo con l’aliquota intera, è calcolata su base giornaliera ed è pari ad 1/365 dell’80% del reddito medio annuo imponibile presso la “Quota B” – al netto del reddito già soggetto a contribuzione “Quota A” – nei tre anni precedenti l’insorgenza dello stato di inabilità, per un massimo di 171,14 al giorno. Per gli iscritti che versano con l’aliquota ridotta il sussidio viene rideterminato tenendo conto della percentuale versata.

Altre assenze

L’ACN non prevede altre cause di assenza provviste di copertura economica. Non vi è, quindi, a differenza del lavoro subordinato e analogamente a quello autonomo, la previsione di giorni di ferie retribuiti.

Per il proprio recupero psico-fisico il medico di medicina generale potrà sì assentarsi dall’attività, ma dovrà garantire, come sempre, la continuità assistenziale. Dovrà, pertanto, incaricare un sostituto e remunerarlo a proprie spese.

Dott.ssa Anna Chiara Monti

E’possibile nominare apposito medico competente per i lavoratori in smart working

La conferma dell’Interpello n.1/2023 del Ministero del Lavoro: è possibile nominare apposito medico competente per i lavoratori in smart working

Con istanza di interpello veniva sollevato il quesito se, considerato l’utilizzo sempre maggiore dello smart working, fosse possibile per il datore di lavoro individuare, con una apposita nomina, medici competenti diversi e ulteriori rispetto a quelli già nominati per la sede di assegnazione originaria dei dipendenti, vicini al luogo ove gli stessi dipendenti ora continuano ad operare in regime di smart working.

L’Interpello conferma che, ai sensi dell’art. 39 del d.lgs. n.81/2008, il datore di lavoro possa nominare più medici competenti, individuando tra essi un medico con funzioni di coordinamento, per particolari esigenze organizzative nei casi di aziende con più unità produttive, nei casi di gruppi di imprese nonché qualora emerga la necessità in relazione alla valutazione dei rischi.

Resta fermo che, qualora trovi applicazione la citata disposizione, ogni medico competente, verrà ad assumere tutti gli obblighi e le responsabilità in materia ai sensi della normativa vigente.

In linea generale, infine, si osserva che dovrà essere cura del datore di lavoro rielaborare il DVR con aggiornamento delle misure di prevenzione effettivamente adottate.

Sanità. Il personale può operare in regime di lavoro autonomo che subordinato

Strutture sanitarie convenzionate il personale sanitario può operare tanto in regime di lavoro autonomo che subordinato. Lo afferma una recente sentenza della Corte Costituzionale del 9 maggio 2022.

La Corte Costituzionale stabilisce che le regioni ed il settore pubblico non possono imporre alle aziende sanitarie private l’assunzione di personale per la cura della persona esclusivamente con contratto di lavoro subordinato.

Ciò significa che medici, infermieri ed altro personale addetto alla cura della persona, affinchè la convenzione sia valida, potrà essere tanto lavoratore autonomo che subordinato.

Con la recente sentenza del 9 maggio 2022 n.113, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 9 comma 1 della legge regionale del Lazio 28.12.2018 n.13 laddove stabilisce che il personale sanitario addetto ai servizi alla persona nelle strutture sanitarie private accreditate debba necessariamente intrattenere con la struttura un rapporto di lavoro subordinato.

Ha ritenuto la Corte Costituzionale come una simile norma e quindi non solo quella impugnata venga a violare in maniera eccessiva e non necessaria i principi di libertà economica sanciti dalla Costituzione (articolo 41 Costituzione).

 

Arrivano le elevate professionalità anche nella sanità pubblica.

Anche l’ordinamento professionale che sta per essere introdotto con il nuovo CCNL della Sanità Pubblica risente degli orientamenti volti a rivalutare le elevate professionalità non dirigenziali manifestati con il DL 80/2021 e con il successivo CCNL delle Amministrazioni Centrali.

Nell’ambito sanitario il tema dell’inquadramento e della professionalità è reso più importante anche per il grave ed attuale impegno del personale e dall’esistenza di professioni che si caratterizzano anche a livello autonomo ed ordinistico.

Con il nuovo contratto, il personale non dirigente è ripartito in n.5 aree così suddivise:

  1. Operatori ausiliari (A);
  2. Operatori (B);
  3. Assistenti (C);
  4. Professionista della salute e dei funzionari (D);
  5. Personale di elevata qualificazione (E)

Ogni area contiene dei profili riferibili.

Il sistema di classificazione di cui raggruppa funzionalmente i diversi ruoli come di seguito specificato:

  •  Ruolo sanitario – personale infermieristico e delle altre professioni sanitarie: caratterizzato dallo svolgimento di attività dirette alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva; alla riabilitazione, all’esecuzione di procedure tecniche necessarie alla effettuazione di metodiche diagnostiche su materiali biologici o sulla persona, ovvero attività tecnico-assistenziale; all’attività di prevenzione, verifica e controllo in materia di igiene e sicurezza ambientale nei luoghi di vita e di lavoro, di igiene degli alimenti e delle bevande, di igiene e sanità pubblica e veterinaria;
  • Ruolo socio sanitario: caratterizzato dallo svolgimento di attività dirette prevalentemente ad erogare prestazioni sociosanitarie e azioni di protezione sociale nonché ad intervenire in attività di mantenimento dello stato di salute ed in attività di lotta all’emarginazione, devianza e dipendenza;
  • Ruoli amministrativo, tecnico e professionale: caratterizzati dallo svolgimento di attività proprie delle funzioni finalizzate al miglioramento dell’attività aziendale di loro competenza nell’ottica dell’efficienza, efficacia e semplificazione dell’azione amministrativa, gestionale e tecnico -professionale.

La principale novità come già accennato è data dall’introduzione dell’area del Personale ad Alta Professionalità che in qualche modo pare differenziarsi dalle altre categorie non dirigenziali e richiamare la figura del quadro.

La norma contrattuale prevede che l’accesso all’area possa avvenire dall’esterno o tramite una progressione tra aree.

In patica, stabilisce la norma contrattuale che i profili di quest’area corrispondono a quelli dell’area dei professionisti della salute e dei funzionari alla cui denominazione però è aggiunto il suffisso” ad elevata qualificazione”.

In realtà l’aspetto qualificante per quest’area è dato dal fatto che a ciascun appartenente sarà conferito un incarico a termine come ora avviene per i dirigenti.

Tale incarico naturalmente comporterà una valenza economica.

Il nuovo contratto disciplina inoltre i passaggi di profilo e le progressioni economiche all’interno delle aree.

I passaggi di profilo avverranno previa verifica dei requisiti ed in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni.

E’ prevista inoltre anche una progressione economica all’interno delle aree mediante “differenziali economici di professionalità.”

L’attribuzione di questo istituto non determina attribuzione di mansioni superiori ed avviene mediante procedura selettiva di area, con il requisito di precedenti disciplinari nel triennio che non siano la multa

I “differenziali economici di professionalità” sono attribuiti, fino a concorrenza del numero corrispondente all’importo fissato per ciascuna area, previa graduatoria dei partecipanti alla procedura selettiva, definita in base alla media aritmetica semplice degli ultimi tre punteggi conseguiti e riportati nella valutazione annuale di performance individuale, a partire dalla media più elevata e proseguendo in ordine decrescente

Fabio Petracci

Medici specializzandi, obbligo assicurazione INAIL

I medici specializzandi debbono essere assicurati presso l’INAIL e quindi l’Azienda Ospedaliera è destinataria dell’obbligo assicurativo.

Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n.443 del 13.1.2021.

Il DLGS 368/1999 all’articolo 41 prevede a carico dell’azienda sanitaria presso la quale il medico svolge la propria formazione l’onere della copertura assicurativa per i rischi professionali, per  la responsabilità civile verso terzi e gli infortuni connessi all’attività assistenziale, alle stesse condizioni dell’altro personale.

Il DLGS 368/1999 costituisce l’attuazione della direttiva comunitaria 93/16/CEE che impone uniformità di trattamento per i medici in formazione.

Sosteneva l’azienda sanitaria che la legge aveva previsto un generico obbligo assicurativo, ma non espressamente un obbligo di assicurazione all’INAIL non essendo i medici specializzandi neppure lavoratori subordinati. Sosteneva inoltre l’azienda sanitaria che i medici specializzandi non potevano neppure essere considerati studenti in base all’articolo 4 del DPR n.1124 del 1965.

La Corte di Cassazione ha smentito tale assunto difensivo, ritenendo come il dato testuale della legge di cui al DLGS 368/1999 articolo 4 impone per quanto riguarda la copertura antiinfortunistica l’uniformità di copertura riguardo al restante personale.

Coronavirus

Vaccino Covid 19 – rifiuto dei sanitari – collocazione in ferie – legittimità – Ordinanza n.12/2021 del Tribunale di Belluno – testo integrale – breve commento di Fabio Petracci.

L’ordinanza emessa dal Tribunale di Belluno affronta il quanto mai attuale tema concernente l’obbligo di sottoporsi alla vaccinazione da parte del personale sanitario.

Il caso affrontato dal Tribunale, vede il rifiuto di alcuni dipendenti operatori sanitari di sottoporsi alla vaccinazione anti COVID-19. Il datore di lavoro li colloca pertanto forzosamente in ferie.

I dipendenti in questione si rivolgono al locale Tribunale del Lavoro chiedendo in via d’urgenza (articolo 700 CPC)  di poter continuare a svolgere le ordinarie mansioni.

Il tutto sul presupposto in base al quale i lavoratori in questione svolgevano mansioni ad alto rischio di contagio.

Va considerato come l’articolo 32 della Costituzione disponga che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.

Ma a questo punto, secondo chi scrive va rimosso un equivoco.

Nel caso del vaccino di personale sanitario ad alto rischio di contagio, non si tratta di un obbligo, ma bensì di una condizione di sicurezza per poter lavorare.

L’obbligo cui allude la Costituzione è quello dotato di un’assolutezza totale per cui il soggetto deve in ogni modo, anche costretto con la forza aderire.

Nel caso di specie, si tratta esclusivamente di una condizione o meglio di un onere che incombe su chi voglia esercitare in determinate condizioni una professione sanitaria.

TRIBUNALE DI BELLUNO n. 12/2021 R.G. Il Giudice sciogliendo la riserva assunta con verbale di trattazione scritta in data 16.3.21; ritenuto che risulta difettare il fumus boni iuris, disponendo l’art. 2087 c.c. che “ L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro “; ritenuto che è ormai notoria l’efficacia del vaccino per cui è causa nell’impedire l’evoluzione negativa della patologia causata dal virus SARS -CoV-2, essendo notorio il drastico calo di decessi causati da detto virus, fra le categorie che hanno potuto usufruire del suddetto vaccino, quali il personale sanitario e gli ospiti di RSA, nonché, più in generale, nei Paesi, quali Israele e gli Stati Uniti, in cui il vaccino proposto ai ricorrenti è stato somministrato a milioni di individui; rilevato che è incontestato che i ricorrenti sono impiegati in mansioni a contatto con persone che accedono al loro luogo di lavoro; ritenuto che è, pertanto, evidente il rischio per i ricorrenti di essere contagiati, essendo fra l’altro notorio che non è scientificamente provato che il vaccino per cui è causa prevenga, oltre alla malattia, anche l’infezione; ritenuto che la permanenza dei ricorrenti nel luogo di lavoro comporterebbe per il datore di lavoro la violazione dell’obbligo di cui all’art. 2087 c.c. il quale impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei suoi dipendenti; che è ormai notorio che il vaccino per cui è causa – notoriamente offerto, allo stato, soltanto al personale sanitario e non anche al personale di altre imprese, stante la attuale notoria scarsità per tutta la popolazione – costituisce una misura idonea a tutelare l’integrità fisica degli individui a cui è somministrato, prevenendo l’evoluzione della malattia; ritenuto, quanto al periculum in mora, che l’art. 2109 c.c. dispone che il prestatore di lavoro “ Ha anche diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro “; che nel caso di specie prevale sull’eventuale interesse del prestatore di lavoro ad usufruire di un diverso periodo di ferie, l’esigenza del datore di lavoro di osservare il disposto di cui all’art. 2087 c.c.; ritenuta l’insussistenza del periculum in mora quanto alla sospensione dal lavoro senza retribuzione ed al licenziamento, paventati da parte ricorrente, non essendo stato allegato da parte ricorrente alcun elemento da cui poter desumere l’intenzione del datore di lavoro di procedere alla sospensione dal lavoro senza retribuzione e al licenziamento; ritenuto che, attesa l’assenza di specifici precedenti giurisprudenziali, sussistono le condizioni di cui all’art. 92 co. II c.p.c. per compensare le spese processuali. P.Q.M. visto l’art. 700 c.p.c.; 1. rigetta il ricorso

Vaccinazioni anti COVID 19 e poteri del datore di lavoro.

Le FAQ del Garante sul trattamento dei dati sulla vaccinazione nel contesto lavorativo.

Con la nota del 17 febbraio 2021 il Garante per la Privacy ha fornito mediante delle FAQ delle indicazioni in merito all’applicazione del GDPR (Regolamento Generale Protezione Dati)  all’atto delle vaccinazioni.

Ci troviamo in un ambito di diritto che attiene di sicuro la salute e la vita privata del cittadino lavoratore, ma che involge necessariamente aspetti di protezione pubblica.

Le FAQ, infatti, rispondono ai quesiti che vengono di seguito riportati:

  1. Il Datore di lavoro può chiedere conferma ai propri dipendenti dell’avvenuta vaccinazione?

Ha ritenuto il Garante che al Datore di lavoro non è concesso chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sull’avvenuta vaccinazione, né di consegnare copia dei relativi documenti.  Non è, infatti, ritenuto lecito ai sensi della disciplina in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Tenuto conto inoltre del Considerando n. 43 GDPR, il Garante ha ritenuto che il consenso fornito dai dipendenti non costituisca una valida condizione di liceità del trattamento, stante la situazione di squilibrio nell’ambito del rapporto tra il soggetto titolare e il soggetto interessato nel contesto lavorativo.

Dunque il datore di lavoro non può acquisire dati e informazioni relativi allo stato di vaccinazione dei dipendenti anche in caso di consenso prestato da questi ultimi.

  • Il Datore di lavoro può chiedere al medico competente i nominativi dei dipendenti vaccinati?

Ha ritenuto il Garante che il medico competente non è autorizzato a fornire al Datore di lavoro alcun dato relativo ai nominativi dei dipendenti che abbiano sostenuto il vaccino. L’attività di trattamento di questi dati è esclusivamente concessa allo stesso medico competente nell’ambito delle attività di sorveglianza e in sede di verifica dell’idoneità alla mansione specifica del lavoratore.

E’ invece, consentita al Datore di lavoro l’acquisizione dei giudizi di idoneità alla mansione specifica e le prescrizioni/limitazioni colà indicati.

3) La vaccinazione anti Covid-19 dei dipendenti può essere richiesta come condizione per l’accesso ai luoghi di lavoro e per lo svolgimento di determinate mansioni (ad es. in ambito sanitario)?

Sul punto che appare abbastanza delicato anche in assenza di indicazioni legislative ed anche in relazione a determinate mansioni ove rileva la situazione sanitaria e di immunità del dipendente, il garante si richiama a quanto disposto dall’articolo 279 del DLGS 81/2008.

Stabilisce il predetto articolo che:

 I lavoratori addetti alle attività per le quali la valutazione dei rischi ha evidenziato un rischio per la salute sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria.

2. Il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari per quei lavoratori per i quali, anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di protezione, fra le quali:

a) la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente;

b) l’allontanamento temporaneo del lavoratore secondo le procedure dell’articolo 42.

3. Ove gli accertamenti sanitari abbiano evidenziato, nei lavoratori esposti in modo analogo ad uno stesso agente, l’esistenza di anomalia imputabile a tale esposizione, il medico competente ne informa il datore di lavoro.

4. A seguito dell’informazione di cui al comma 3 il datore di lavoro effettua una nuova valutazione del rischio in conformità all’articolo 271.

5. Il medico competente fornisce ai lavoratori adeguate informazioni sul controllo sanitario cui sono sottoposti e sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell’attività che comporta rischio di esposizione a particolari agenti biologici individuati nell’allegato XLVI nonchè sui vantaggi ed inconvenienti della vaccinazione e della non vaccinazione.

Nonostante l’espressa previsione dei vaccini come strumenti di sicurezza, di fronte a determinate situazioni a rischio, il Garante ha comunque ribadito come spetti comunque al medico competente il trattamento di questi dati, nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie e la decisione in merito all’idoneità alle specifiche mansioni.

Sarà quindi il medico competente a fungere da raccordo tra dette esigenze ed il datore di lavoro ed a richiedere a quest’ultimo la parziale o totale inidoneità del lavoratore dipendente.

In ogni caso, il Garante sul punto auspica un intervento normativo che consente sul punto un adattamento del regolamento alla situazione in atto.

Fabio Petracci.