Presentata in Senato la nuova rivista Spazio Imprese

Presso la Sala Caduti di Nassirya del Senato della Repubblica, il 10 gennaio 2024 si è tenuta la Conferenza Stampa per la presentazione della nuova rivista Spazio Imprese diretta dal dottor Antonio Grieci.

La Rivista è finalizzata a fornire un utile strumento editoriale per il mondo del lavoro, per tutti gli imprenditori ed in particolare per le imprese ed i lavoratori alla ricerca di orientamenti nel mondo produttivo.

Presente CIU UNIONQUADRI che collabora nella redazione della rivista con il dottor Marco Ancora e l’avvocato Fabio Petracci che nel corso del suo intervento ha ribadito l’importanza di una concreta opera di informazione e di guida insieme alla trattazione dei temi di ampio respiro che oggi interessano il mondo dell’impresa.

La Delegazione CIU Unionquadri ha anche fatto riferimento alle attività che svolge al CNEL ed al CESE a Bruxelles, invitando le parti presenti a sinergie comuni e ad una collaborazione presso queste Istituzioni.

Il video della presentazione da Radio Radicale.

La stampa sull’inaugurazione del Centro di Ascolto sul Benessere lavorativo.

Riportiamo alcuni articoli della stampa dedicati all’inaugurazione del Centro di ascolto per il benesseere lavorativo.

  1. Nuovo centro di ascolto per il benessere lavorativo – Radio Capodistria 23.11.23;
  2. Inaugurato il nuovo Centro di Ascolto per il Benessere Lavorativo atto a favorire una cultura del Ben-Essere nei luoghi di lavoro – Il Friuli Venezia Giulia 23.11.23;
  3. GR Rai Regione FVG – 23.11.23 (nei titoli e al minuto 17)
  4. Non ci si può ammalare di lavoro’. Trieste, inaugurato il primo Centro di Ascolto per il Benessere Lavorativo –  Trieste News 01.12.2023;
  5. Il Piccolo – 24.11.23
  6. Primorski Dnevnik – 24.11.23




Avvocati monocommittenti: una proposta di legge per disciplinare il rapporto

Per “monocommittenza” ci si riferisce ad un fenomeno molto diffuso nel mondo dell’avvocatura, vale a dire la situazione in cui si trova l’avvocato che svolge la propria prestazione professionale esclusivamente in favore di un committente, nella maggior parte dei casi lo studio legale presso il quale collabora e dove ha stabilito il domicilio professionale.

Secondo i dati elaborati dalla Cassa Forense, la monocommittenza riguarda oltre 30 mila professionisti, oltre il 15% degli iscritti alla Cassa di Previdenza.

La situazione di fatto dunque prevede che molti esercenti la professione di avvocato svolgano la propria attività in modo parasubordinato, senza alcuna tutela giuridica. Sovente i collaboratori sono tenuti al rispetto di un orario di lavoro e comunque delle direttive del committente, ottengono una retribuzione mensile forfettaria, ma restano privi delle garanzie che derivano dalla prestazione di lavoro subordinata.

In sostanza, i collaboratori degli studi professionali, grandi o piccoli, vivono una situazione di precarietà, non hanno prospettive di crescita professionale, né una congrua retribuzione o tutela previdenziale.

In merito tuttavia la legge professionale forense (Legge n. 247/2012) stabilisce il divieto di esercizio di lavoro con vincolo di subordinazione per gli esercenti la professione forense. Tale previsione mira a garantire la libertà, l’indipendenza e l’autonomia dell’avvocato.

Il 15 ottobre 2020 è stata presentata una proposta di legge avente ad oggetto la disciplina del rapporto di collaborazione professionale dell’avvocato in regime di monocommittenza. Il testo si rivolge unicamente al mondo forense.

Innanzitutto, viene chiarito che il rapporto di collaborazione avviene senza alcun carattere di subordinazione, rispettando così il disposto della legge professionale forense, che considera il lavoro subordinato incompatibile con il ruolo di avvocato: il contratto deve avere forma scritta, a pena di nullità e indicare specificamente la durata del rapporto.

Il compenso, congruo e proporzionato al lavoro svolto, va corrisposto preferibilmente con cadenza mensile. I parametri minimi del corrispettivo sarebbero fissati con un apposito decreto ministeriale. Gli oneri previdenziali vengono suddivisi nella misura di 1/3 in capo al committente e 2/3 in capo al collaboratore.

Secondo lo schema di legge, il committente e il collaboratore possono liberamente recedere dal contratto, dando congruo preavviso, con termini più ampi per il primo e ridotti per il secondo. La proposta prevede disposizioni specifiche in caso di gravidanza, adozione e infortunio.

Il committente rimarrebbe comunque tutelato dalle disposizioni che precludono al collaboratore di svolgere attività in conflitto di interessi, che gli impongono l’obbligo di riservatezza e che prevedono anche il patto di non concorrenza.

Novità per il preposto della sicurezza sul lavoro

Al centro dei cambiamenti introdotti dal D.L. 146/2021 vi è sicuramente la figura del preposto per la sicurezza sul lavoro.

Nel sistema del Decreto Legislativo 81/2008, il preposto per la sicurezza viene definito come il lavoratore che svolge il ruolo di sovrintendente dell’attività lavorativa e si fa garante dell’applicazione delle direttive del datore di lavoro in virtù delle sue competenze professionali e dei suoi poteri gerarchici e funzionali.

Trova inoltre applicazione il principio di effettività descritto all’articolo 299 del Testo Unico 81/2008, di conseguenza può definirsi preposto “di fatto” anche colui che esercita nel concreto la funzione di vigilanza e sovrintendenza senza aver ricevuto una nomina ufficiale o formale dal datore di lavoro.

A seguito della riforma, la nomina del preposto è sancita dall’aggiunta all’art. 18 del d.lgs. 81/2008 della lettera b-bis; tra gli obblighi per la sicurezza attribuiti al datore di lavoro è dunque specificamente aggiunto di: “individuare il preposto o i preposti per l’effettuazione delle attività di vigilanza di cui all’articolo 19. I contratti e gli accordi collettivi di lavoro possono stabilire l’emolumento spettante al preposto per lo svolgimento delle attività di cui al precedente periodo. Il preposto non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività”.

La mancata individuazione del preposto diventa quindi penalmente sanzionabile; rimane l’assoluta necessità di nominare il preposto nei casi di lavori svolti in appalto o subappalto.

L’integrazione all’art. 26 del D.Lgs. 81/2008 introduce peraltro l’obbligo per i datori di lavoro delle aziende appaltatrici e subappaltatrici di indicare al committente i nominativi dei soggetti che svolgono la funzione di preposto.

Pertanto, ogni azienda che lavora in un cantiere deve individuare un lavoratore, opportunamente formato, che ricopra il ruolo di preposto.

Ancora, i contratti e gli accordi collettivi possono stabilire l’emolumento, o il compenso, che compete al preposto in ragione dello svolgimento delle sue mansioni.

Quanto agli obblighi del preposto, lo stesso deve:

  • intervenire per modificare eventuali comportamenti non conformi, somministrando le dovute indicazioni di sicurezza;
  • interrompere l’attività del lavoratore che non attua le disposizioni di sicurezza e segnalarlo ai superiori diretti;
  • interrompere temporaneamente l’attività e segnalare al datore di lavoro eventuali non conformità e a situazioni di pericolo.

Per svolgere detti compiti, l’art. 37 con riguardo alla formazione del preposto prevede che: “le attività formative devono essere svolte interamente con modalità in presenza e devono essere ripetute, con cadenza almeno biennale e comunque ogni qualvolta ciò sia reso necessario in ragione dell’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di nuovi rischi”.

Le vicende dello sciopero del 17 novembre 2023 e la Commissione di Garanzia dello Sciopero

In data 13 novembre 2023, si è tenuta presso Commissione di Garanzia l’audizione delle Confederazioni sindacali di CGIL CISL e UIL per la proclamazione dello sciopero del 17 novembre 2023.

La Commissione in quella sede ha confermato il provvedimento dell’8 novembre che non ritenendo di carattere generale la natura dello sciopero indetto, applicava al medesimo tutte le regole e limitazioni imposte dalla legge 146/1990.

La decisione ha avuto un notevole impatto mediatico.

Si rende però innanzitutto necessario esaminare il provvedimento sotto l’aspetto tecnico giuridico.

Come noto la legge 146/1990 nell’ambito dei settori riconosciuti come servizi pubblici essenziali impone i seguenti obblighi:

  1. Procedure di raffreddamento;
  2. Preavviso;
  3. Obbligo di prestazioni indispensabili;
  4. Limite di durata massima;
  5. Principio di rarefazione soggettiva – rispetto di un determinato periodo per proclamare da parte del sindacato altri scioperi;
  6. Principio di rarefazione oggettiva – assenza o distanziamento per un determinato periodo di iniziative di sciopero di altri sindacati.

Per quanto riguarda lo sciopero generale, si rileva come le norme vigenti non ne offrano una definizione.

Risulta inoltre come il limite di durata massima giornaliera (4 ore per il trasporto pubblico locale e per il trasporto aereo, 8 ore per il trasporto ferroviario).

Detti limiti risultano però inapplicabili allo sciopero generale come stabilito in diverse pronunce dell’Autorità di Garanzia (delle quali Deliberazione 03/134 seduta del 24.9.2003).

Determinati obblighi quali le procedure di raffreddamento, il divieto di concomitanza di scioperi di altri sindacati (rarefazione oggettiva), durata giornaliera risultano strutturalmente inapplicabili agli scioperi generali.

A questo punto, la Commissione ha però dovuto circoscrivere la definizione di sciopero generale e conseguentemente le eccezioni sopra indicate.

Lo ha fatto con la decisione in esame e richiamandosi a precedenti pronunce.

Essa infatti ha costantemente fatto riferimento all’azione collettiva proclamata da una o più confederazioni sindacali coinvolgente la generalità delle strutture del lavoro pubblico e privato, ritenendosi differentemente si dovrà parlare di semplice sciopero intercategoriale.

Nel caso di specie, la Commissione ha verificato come dalla proclamazione dello sciopero fossero state escluse 16 categorie.

Per questi motivi, la Commissione ha ritenuto applicabili allo sciopero tutte le limitazioni di legge in tema di servizi pubblici essenziali di cui alla legge 146/1990.

 

Fabio Petracci

Le mansioni nel lavoro portuale

Il lavoro nel contesto portuale trova la propria disciplina del CCNL Porti, che definisce anche le declaratorie contrattuali dei vari livelli di inquadramento.

Con specifico riferimento alle mansioni, l’art. 2103 c.c. così stabilisce:“Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.

In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale.

Il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall’assolvimento dell’obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell’atto di assegnazione delle nuove mansioni.

Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi.

Nelle ipotesi di cui al secondo e al quarto comma, il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.

Nelle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.

Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.

Il lavoratore non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

Salvo che ricorrano le condizioni di cui al secondo e al quarto comma e fermo quanto disposto al sesto comma, ogni patto contrario è nullo.”

Non risultano con riferimento al lavoro portuale normative derogatorie connesse al lavoro somministrato ed in particolare alla fornitura di lavoro portuale rispetto alla norma di legge generale.

Pertanto, il dipendente portuale deve essere adibito alle mansioni proprie del livello di inquadramento.

Le incompatibilità nel pubblico impiego

Con riferimento all’incompatibilità ed al cumulo di impieghi nel lavoro pubblico, il DPR n.3/1957, ancora in vigore, all’art. 60 dispone come: “L’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del ministro competente”.

Quindi, l’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001 precisa come: “Resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall’articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall’articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e dall’articolo 1, commi 57 e seguenti della legge 23 dicembre 1996, n. 662”.

Con particolare riferimento alla responsabilità disciplinare, si segnala che l’inosservanza del divieto di cui all’art. 60 del d.P.R. n. 3/1957 comporta l’avvio del procedimento previsto dall’art. 63 del medesimo decreto, il quale stabilisce che: “L’impiegato che contravvenga ai divieti posti dagli articoli 60 e 62 viene diffidato dal ministro o dal direttore generale competente, a cessare dalla situazione di incompatibilità. La circostanza che l’impiegato abbia obbedito alla diffida non preclude l’eventuale azione disciplinare. Decorsi quindici giorni dalla diffida, senza che la incompatibilità sia cessata, l’impiegato decade dallo impiego. La decadenza è dichiarata con decreto del ministro competente, sentito il Consiglio di amministrazione”.

Quanto al tema della configurabilità di un illecito erariale in capo al pubblico dipendente che assume incarichi incompatibili o non autorizzati, il comma 7 dell’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001 prevede che: “I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. Ai fini dell’autorizzazione, l’amministrazione verifica l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell’autorizzazione nei casi previsti dal presente decreto. In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti”.

Le fasce di reperibilità dei dipendenti pubblici

Il TAR del Lazio, con la sentenza del 3 novembre 2023, n. 16305, ha annullato il decreto 17 ottobre 2017, n. 206 del Ministro della Semplificazione e della pubblica amministrazione, nella parte dell’art. 3 in cui si stabiliscono le fasce di reperibilità dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, in caso di assenza per malattia, secondo i seguenti orari: tutti i giorni dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18.

In virtù del principio di armonizzazione, richiamato nella sentenza, e sentito il Dipartimento della Funzione pubblica, l’INPS ha comunicato, con il messaggio 22 dicembre 2023, n. 4640 che le visite mediche di controllo domiciliare nei confronti dei lavoratori pubblici dovranno essere effettuate nei seguenti orari: dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19 di tutti i giorni (compresi domeniche e festivi).

Legge di Bilancio 2024: le misure in materia di lavoro

La legge di Bilancio 2024, n. 213/2023, è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale in data 30.12.2023.

  1. Misure in tema di fiscalità

Per il 2024 viene confermato il taglio del cuneo fiscale e contributivo per i dipendenti sia pubblici sia privati.

L’esonero sulla quota di contributi previdenziali dovuti dai lavoratori viene riconosciuto con le medesime modalità del 2023 nella misura del 6%, per le retribuzioni con imponibile non eccedente i 2.692 € mensili, e nella misura del 7% per retribuzioni non eccedenti l’importo mensile di 1.923 €.

Viene del pari confermata per il 2024 la soglia di esenzione fiscale dei fringe benefit a 2.000 euro per i lavoratori dipendenti con figli fiscalmente a carico e a 1.000 euro per gli altri lavoratori dipendenti. Nel regime di esenzione possono essere ricomprese le somme erogate o rimborsate dal datore di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale e delle spese per il contratto di locazione della prima casa ovvero per gli interessi sul mutuo stipulato per l’acquisto della prima casa.

La Legge di bilancio estende a tutto il 2024 l’ulteriore detassazione sull’imposta sostitutiva dell’IRPEF, e delle relative addizionali regionali e comunali, applicabile alla retribuzione variabile legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, purché misurabili e verificabili, e alle somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa.

Per il triennio 2024-2026, è previsto un esonero del 100% dei contributi previdenziali a carico delle lavoratrici madri di tre o più figli, con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, fino al compimento del diciottesimo anno di età del figlio più piccolo e nel limite massimo annuo di 3.000 euro riparametrato su base mensile.

In via sperimentale, per il solo 2024, tale esonero è riconosciuto anche alle lavoratrici madri di due figli con rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, fino al mese del compimento del 10° anno di età del figlio più piccolo.

  1. Misure in tema di previdenza

Con la manovra vengono modificati gli importi-soglia previsti per la maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia e anticipata dei lavoratori con primo accredito contributivo successivo al 31.12.1995.

Per il trattamento di vecchiaia, il valore minimo, finora pari a 1,5 volte la misura dell’assegno sociale (stabilito annualmente e nel 2023 pari a 507,03 euro), viene stabilito pari a quest’ultimo con coefficiente pari a 1,0, ferma restando l’ipotesi di un valore più elevato in base alle variazioni medie quinquennali del prodotto interno lordo.

Per il trattamento pensionistico anticipato l’importo soglia, finora pari a 2,8 volte la misura dell’assegno sociale, viene rideterminato con i coefficienti moltiplicatori diversificati pari a: 3,0 volte l’assegno sociale per le donne senza figli e per gli uomini; 2,8 volte per le donne con un figlio; 2,6 volte per le donne con almeno due figli, ferma restando l’ipotesi di un valore più elevato in base alle variazioni medie quinquennali del prodotto interno lordo.

Per i soggetti privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 rientranti integralmente nel sistema contributivo, la Legge di bilancio 2024 riconosce la possibilità di riscattare, in tutto o in parte, e nella misura massima di 5 anni anche non continuativi, periodi non coperti da contribuzione antecedenti al 1° gennaio 2024.

La facoltà di riscatto è ammessa per i periodi non coperti da contribuzione presso forme pensionistiche obbligatorie, ivi comprese quelle delle Casse previdenziali dei liberi professionisti.

Con riferimento alla perequazione, per i trattamenti pensionistici superiori a dieci volte il trattamento minimo, ci sarà una decurtazione della percentuale di rivalutazione di 10 punti, passando così dal 32% al 22%.

Per le pensioni relative a valori non superiori a cinque, sei, otto e dieci volte il trattamento minimo restano fermi i valori 85%, 53%, 47% e 37%.

Ancora, il requisito anagrafico dell’APE sociale viene alzato da 63 anni a 63 anni e 5 mesi. Pertanto, i soggetti in possesso dei requisiti possono presentare domanda per il loro riconoscimento dell’APE sociale entro il 31 marzo 2024, ovvero entro il 15 luglio 2024.

Viene altresì eleva il requisito dell’età anagrafica (da 60 a 61 anni) per l’accesso anticipato al trattamento pensionistico “ Opzione Donna “, calcolato secondo le regole del sistema contributivo, alle lavoratrici che abbiano maturato, entro il 31 dicembre 2023, un’età anagrafica di almeno 61 anni (ridotta di un anno per ogni figlio e nel limite massimo di 2 anni) con un un’anzianità contributiva pari almeno a 35 anni, oltre ad essere, alternativamente, in possesso di uno dei seguenti requisiti:

  • assistano da almeno sei mesi il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap grave, ovvero un parente o un affine di secondo grado convivente qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto 70 anni oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti;
  • abbiano una riduzione della capacità lavorativa uguale o superiore al 74%;
  • siano lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale presso la struttura per la crisi d’impresa del MISE.

Per quanto riguarda la c.d. quota 103, anche per il 2024 sono necessari 62 anni di età e 41 anni di contributi.

La pensione, erogata integralmente con il sistema contributivo, non potrà superare 4 volte il trattamento minimo sino al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia, mentre per la decorrenza delle prestazioni gli interessati si dovrà attendere dalla maturazione dei requisiti 8 mesi nel settore privato e 9 mesi nel settore pubblico.

Trova infine conferma anche nel 2024 l’incentivo alla prosecuzione dell’attività lavorativa, per coloro che abbiano raggiunto i requisiti pensionistici, con la facoltà di richiedere al proprio datore di lavoro la corresponsione in proprio favore dell’importo corrispondente alla quota di contribuzione a proprio carico.

  1. Congedi

La Legge di bilancio prevede modifiche al criterio di calcolo dell’indennità per i congedi parentali fruiti fino al 6° anno di vita del bambino.

Per i genitori che fruiscono alternativamente del congedo parentale, in aggiunta all’attuale previsione di una indennità pari dell’80% della retribuzione per un mese, entro il sesto anno di vita del bambino, e il riconoscimento di un’indennità pari al 60% per un mese ulteriore al primo, la quale è ulteriormente elevata all’80% per il solo 2024.

Licenziato per giusta causa il dipendente che importuna le colleghe

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 31790 del 15 novembre 2023 ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa di un dipendente di un istituto bancario che, disattendendo diffide ed avvertimenti dell’azienda, aveva continuato ad importunare due colleghe inviando loro ripetutamente messaggi, approcci ed inviti a sfondo sessuale.

Nel dettaglio, due lavoratrici avevano segnalato all’azienda i ripetuti approcci ed inviti sgradevoli, da parte di un collega, ricevuti attraverso il continuo inoltro di messaggi tramite il sistema di comunicazione aziendale interno e tramite SMS.

I responsabili aziendali pertanto avevano convocato il lavoratore, alla presenza di una sindacalista, per stigmatizzare i suoi comportamenti ed invitarlo con specifica diffida scritta a desistere da continuare a porli in essere.

Successivamente, il dipendente persisteva nell’inoltrare, durante l’orario di lavoro, inviti e richieste di incontro alle medesime colleghe e dichiarava inoltre che non intendeva ottemperare alla diffida, invitando la società a prendere iniziative disciplinari nei suoi confronti contro le quali avrebbe presentato ricorso giudiziario.

La Cassazione ha precisato che “la diffida si è manifestata quale esercizio del potere direttivo, ed è stato l’inadempimento alla stessa, espresso con i comportamenti successivi, ad attivare il procedimento disciplinare per tutti i fatti lesivi della dignità e sicurezza delle colleghe, nonché relativi all’uso improprio dei mezzi di comunicazione aziendali e al decoro e correttezza nelle relazioni tra colleghi nell’ambiente lavorativo”, con la conseguenza che il licenziamento siccome intimato deve considerarsi del tutto legittimo e proporzionato.