Alte professionalità

D.L. 80/2021 CONV. L. 113/2021: Area di elevata qualificazione

Il decreto legge 9 giugno 2021 n. 80 “Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia”, convertito in legge 6 agosto 2021 n. 113, all’art. 3, prevede che i dipendenti pubblici, con esclusione dei dirigenti e del personale docente della scuola, delle accademie, dei conservatori e degli istituti assimilati, siano inquadrati in almeno tre distinte aree funzionali.

Alla contrattazione collettiva è demandata l’individuazione di un’ulteriore area per l’inquadramento del personale di elevata qualificazione.

Dispone altresì che le progressioni all’interno della stessa area avvengano, con modalità stabilite dalla contrattazione collettiva, in funzione delle capacità culturali e professionali e dell’esperienza maturata e secondo principi di selettività, in funzione della qualità dell’attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l’attribuzione di fasce di merito.

Fatta salva una riserva di almeno il cinquanta per cento delle  posizioni  disponibili  destinata  all’accesso dall’esterno, per le progressioni fra le aree e, negli enti locali, anche fra qualifiche diverse, è prevista una procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul  possesso  di  titoli o competenze  professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area dall’esterno, nonché sul numero e sulla tipologia degli incarichi  rivestiti.

Il quadro normativo ed organizzativo delineato dal decreto legge pone una serie di aspetti applicativi che necessitano di un indirizzo per il corretto perseguimento delle finalità di rafforzamento delle pubbliche amministrazioni.

La disposizione relativa al numero delle aree, termine ragionevolmente assimilabile a quello di categorie, produce un ulteriore impatto nei comparti in cui le categorie non dirigenziali sono attualmente quattro (es. regioni ed enti locali), qualora si intendesse ridurle a tre.

I profili che necessitano di un approfondimento e di un indirizzo possono essere così individuati:

  1. declaratoria funzionale dell’area di elevata qualificazione;
  2. primo inquadramento nell’area di elevata qualificazione;
  3. accesso all’area di elevata qualificazione;
  4. rischio di appiattimento del personale ricompreso nelle altre aree, in particolare dei funzionari apicali che non trovassero collocazione nell’area di elevata qualificazione;

Va preliminarmente osservato che il decreto individua le condizioni per il riconoscimento delle professionalità presenti tra il personale non dirigenziale delle pubbliche amministrazioni, sinora “compresso” dall’istituzione della separata area dirigenziale, dalla quale lo separa un divario giuridicamente ed economicamente rilevante.

È quindi necessario porre attenzione alla fase istitutiva della nuova area e all’eventuale conseguente riassetto delle aree esistenti.

La qualifica di quadro, introdotta nel lavoro privato dalla legge n. 190/1985 con una novella dell’art. 2095 del c.c., avrebbe potuto trovare applicazione anche al pubblico impiego qualora le parti contrattuali l’avessero prevista.

La necessità di individuare figure professionali alle quali attribuire la gestione di unità organizzative di livello sub-dirigenziale e la responsabilità esterna degli atti, ha visto la quasi totalità dei comparti di contrattazione optare invece per incarichi a termine, conferiti ai funzionari dell’area apicale.

Sono stati introdotti così incarichi variamente definiti e disciplinati quali le posizioni organizzative, le specifiche responsabilità, i coordinamenti, ecc.

Una consolidata giurisprudenza ha tracciato i profili di tali incarichi stabilendo che il conferimento al personale non dirigente delle pubbliche amministrazioni esula dall’ambito degli atti amministrativi autoritativi e si iscrive nella categoria degli atti negoziali, assunti dall’Amministrazione con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro. Con specifico riferimento alle posizioni organizzative, ma con valenza generale, è assodato che l’incarico non determina un mutamento di profilo professionale, che rimane invariato, né un mutamento di area, ma comporta soltanto un mutamento di funzioni, le quali cessano al cessare dell’incarico.

Si tratta, in definitiva, di una funzione ad tempus la cui definizione – nell’ambito della classificazione del personale di ciascun comparto – è demandata dalla legge alla contrattazione collettiva (ved. Cass. SS.UU. n. 16540/2008, 8836/2010, sez. lav. n. 6367/2015, 20855/2015, 2141/2017).

La giurisdizione è conseguentemente devoluta al giudice ordinario, il quale sottopone a sindacato i poteri esercitati dall’amministrazione nella veste di datrice di lavoro, sotto il profilo dell’osservanza delle regole di correttezza e buona fede, siccome regole applicabili anche all’attività di diritto privato, alla stregua dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost. (ved. Cass. SS.UU. 9332/2002, 18017/2003, 1252/2004, sez. lav. 2836/2014).

È quindi esclusa la tutela amministrativa, non sussistendo una posizione di interesse legittimo, quanto piuttosto di diritto soggettivo o di interesse legittimo privato.

Diverso inquadramento giuridico implicano le progressioni con inquadramento all’area – o categoria – superiore.

Sul punto merita un richiamo la pronuncia del Consiglio di Stato Sez. V, 11 febbraio 2014, n. 647 in materia di progressione verticali riservate al personale interno.

Come è stato chiarito anche dalla più recente giurisprudenza (fra le ultime: Cassazione Civile SS.UU. n. 5699 dell’11 aprile 2012, n. 13796 del 1 agosto 2012), nel lavoro pubblico contrattualizzato, per procedure concorsuali ascritte al diritto pubblico e all’attività autoritativa dell’amministrazione si intendono anche i procedimenti concorsuali “interni” destinati a consentire l’inquadramento di dipendenti in aree funzionali o categorie più elevate, e cioè ad una progressione verticale, profilandosi, in tal caso, una novazione oggettiva dei rapporti di lavoro.

Ciò comporta che rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo le controversie attinenti ai concorsi nella pubblica amministrazione che comportino passaggio in aree funzionali o categorie più elevate.

Le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione di dipendenti della p.a., si riferiscono non solo a quelle strumentali alla costituzione per la prima volta del rapporto di lavoro, ma anche alle prove selettive dirette a permettere l’accesso di personale dipendente a una fascia o ad un’area superiore, essendo il termine “assunzione” correlato alla qualifica che il candidato intende conseguire e non solo all’ingresso iniziale nella pianta organica dell’amministrazione.

Ne consegue una chiara distinzione tra gli incarichi conferiti con i poteri del privato datore di lavoro, che non comportano alcuna mutazione di inquadramento, e le progressioni verticali finalizzate all’inquadramento in una diversa area o categoria, ascrivibili agli atti autoritativi della p.a., assistiti dalle garanzie procedimentali della legge 241/90 e dai principi costituzionali dell’art. 97, ultimo comma.

L’individuazione dell’area di elevata qualificazione non può quindi esaurirsi nella mera stabilizzazione di una varietà di incarichi conferiti e gestiti secondo moduli di diritto privato.

Anche in sede di primo inquadramento, si ritiene imprescindibile la valutazione di requisiti e titoli nell’ambito di una procedura formalizzata in una graduatoria, con eventuale possibilità di scorrimento, individuando senz’altro quali requisiti il possesso della laurea attinente al profilo professionale e l’idoneità alla qualifica direttiva.

In analogia alla disciplina dei concorsi pubblici, poiché pur sempre di mutamento di area e di mansioni che si tratta, ciascun titolo dovrebbe concorrere a determinare l’esito valutativo, assicurando un bilanciamento come previsto dalle linee guida sulle procedure concorsuali (Direttiva n. 3/2018 del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione).

Le linee guida prevedono inoltre che occorra evitare di escludere di fatto categorie di potenziali candidati meritevoli attribuendo un peso eccessivo a titoli che essi non possono avere. Per evitare questo rischio, si può stabilire un punteggio massimo a determinati titoli. Per quanto riguarda i titoli di servizio, essi non devono essere discriminatori, per esempio se si tratta di titoli di cui possono realisticamente essere in possesso soltanto, o quasi soltanto, determinate categorie di dipendenti.

Va infine evitato l’appiattimento con lo svuotamento delle mansioni più qualificanti l’area direttiva, composta da funzionari che fino ad oggi hanno rappresentato il livello più prossimo alla dirigenza.

L’accesso successivo all’area di elevata qualificazione dovrebbe essere disciplinata quale progressione tra aree, assumendo comunque quali requisiti l’idoneità alla qualifica o categoria direttiva (C o D, a seconda dei comparti) e la laurea attinente al profilo professionale da ricoprire.

In tale sede va senz’altro valorizzata quale titolo l’esperienza maturata dal personale apicale. Se è vero, infatti, che l’area di elevata qualificazione viene formalmente individuata solo ora, è altrettanto vero che le attività che richiedono una particolare qualificazione qualcuno fino ad oggi deve averle pur svolte.

Dott. Fulvio Carli

Autorità Portuale di Trieste – Pregiudicata la posizione professionale dei responsabili di area

Si è conclusa nell’ambito dell’Autorità Portuale di Trieste la trattativa per il contratto di secondo livello cui ha partecipato anche la delegazione di CIU UNIONQUADRI composta dall’avvocato Deborah Toscano, dall’ingegner Vanna Gentilli e dal dottor Sergio Nardini che hanno seguito l’intera trattativa.

Su di un punto è emerso un forte contrasto tra la nostra delegazione e l’Autorità Portuale nonché con le altre organizzazioni sindacali. L’Autorità Portuale di Trieste, infatti, nonostante la ferma e motivata opposizione di CIU UNIONQUADRI, ha introdotto per i funzionari di livello apicale l’istituto delle posizioni organizzative che tra l’altro è in fase di superamento nell’ambito delle amministrazioni pubbliche dove di recente è stata introdotta l’area delle Alte professionalità con incarichi similari a quelli dirigenziali.

In tal modo è stata immotivatamente pregiudicata la posizione retributiva e professionale dei responsabili di area.

A suo tempo interpellato, il Centro Studi di CIU UNIONQUADRI aveva fornito il seguente parere:

Sommario parere in merito all’inquadramento proposto nella piattaforma rivendicativa della Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale.

Quesito

Mediante la piattaforma rivendicativa contratto di secondo livello è introdotto al punto 12.3 un trattamento economico di posizione organizzativa da assegnarsi previa una ricognizione – analisi di responsabilità e professionalità destinate ai lavoratori – quadri  che svolgono compiti caratterizzati da elevata responsabilità.

E’ affermato nel documento che nell’operare sarà data attuazione all’articolo 4 e seguenti del CCNL che disciplina la classificazione dei quadri.

I dipendenti che mi pongono il quesito sono per la gran parte responsabili d’area ed a tale titolo percepiscono un’indennità mensile pari a euro 400 per 14 mensilità.

Mi viene rivolto il seguente quesito:

Può la contrattazione di secondo livello individuare le nuove posizioni organizzative ed eventualmente con quali limiti?

Soluzione

Partiremo dal CCNL di categoria che all’articolo 4.2 riconosce e disciplina la categoria dei quadri delle Autorità Portuali.

La norma prevede che appartengono alla categoria “quadri” quei lavoratori che, in relazione al modello organizzativo adottato dalle singole Autorità Portuali (organigramma della segreteria tecnico-operativa) sono responsabili di strutture organizzative complesse di line o di staff, comprendenti generalmente più unità organizzative;

Il contratto collettivo quindi, passa a disciplinare la suddivisione della categoria in Quadri A ed in Quadri B.

Esso definisce la figura del Quadro A come lavoratori che, con qualifica di quadro, svolgono funzioni direttive ed adempiono con continuità, in collaborazione con i responsabili ovvero autonomamente, a rilevanti compiti caratterizzati da un elevato livello qualitativo, da alte e consolidate specializzazioni per la risoluzione di problematiche interdisciplinari di notevole complessità;

Nella successiva categoria dei quadri B sono collocati i dipendenti che comunque ricoprono le attribuzioni di quadro.

Vi sono quindi comprese attività che comportano compiti di direzione, coordinamento, promozione e controllo, attività che siano svolte con carattere di continuità, con ampia autonomia decisionale – nell’ambito di indirizzi a carattere generale – e con conseguente assunzione di piena responsabilità per il funzionamento, l’attuazione e lo sviluppo dei programmi della struttura e/o delle funzioni cui sono preposti. Stabilisce la norma come tale il quadro abbia la responsabilità di porzioni strategiche di attività dell’Autorità Portuale. Secondo la normativa lo stesso quadro fornisce contributi originali al Segretario Generale e/o al dirigente dell’A.P. dal quale dipende, anche in termini propositivi, per la definizione degli obiettivi ed in ordine all’attuazione dei fini istituzionali dell’Autorità Portuale. Aggiunge la norma che esso risponde, conseguentemente, del raggiungimento degli obiettivi di piano e del budget delle unità (centro di costo – profitto) ai quali è preposto ed alla cui definizione ha contribuito. Il quadro assume inoltre, poteri di rappresentanza esterna dell’A.P., sia per la trattazione degli affari di competenza, sia attraverso l’esercizio di funzioni delegate, di procure, relative anche ad incarichi diversi, ivi compresi quelli relativi alla sicurezza del lavoro o, comunque, previsti da normative particolari, conferiti dagli organi dell’A.P.

All’interno della categoria, come sopra definita, dei quadri delle Autorità Portuali si individuano come già esposto per le due fasce professionali (A e B) differenti trattamenti retributivi tabellari.

Dunque l’unica differenza tra quadro A e quadro B corrisponde nell’ampiezza di poteri e di responsabilità.

Sempre nell’ambito della contrattazione collettiva di settore, esamineremo l’autonomia concessa alla contrattazione di secondo livello.

La materia è disciplinata in primo luogo da numerosi accordi interconfederali ed in ogni caso, il contratto collettivo (Sezione 6) permette in tema di mansioni la deroga da parte della contrattazione di secondo grado è ammessa solo in casi tassativi.

La deroga quindi è prevista laddove le mansioni pur essendo esigibili non siano esemplificate nella classificazione e non possano essere dedotte in via analogica.

Dall’esame svolto seppure in termini sommari si deduce che:

La differenziazione dei quadri in categoria A e categoria B è prevista dalla contrattazione collettiva ed è basata proprio sull’importanza delle mansioni e sul grado di responsabilità ed autonomia;

La contrattazione collettiva è derogabile da parte di quella di secondo grado solo in casi del tutto tassativi e limitati.

Ne deriva che:

La caratteristica principale della qualifica di quadro A è data dall’importanza delle funzioni rispetto a quelle ordinarie e basiche di quadro. Quindi istituire una posizione organizzative generalizzata a tutti i quadri ed in casi particolari addirittura ai funzionari, significa vanificare la disciplina contrattuale che stabilisce l’esistenza di due livelli di quadri basata proprio sull’importanza delle mansioni.

Suggerimenti operativi

 Si suggeriscono pertanto le seguenti linee di condotta:

 Qualora si ritenga compatibile con gli interessi degli iscritti, che per la gran parte sono inquadrati nella categoria Quadro A e ricoprono le attribuzioni di capo area, insistere perché le posizioni organizzative possano essere istituite separatamente nella categoria Quadro A dove dovrebbero coincidere con la qualifica di responsabile di Area e nell’ambito della categoria B dove comunque dovrebbero avere attribuzioni e compensi inferiori.

Qualora non interessi l’attribuzione di posizioni organizzative, fare presenti le riserve sopra formulate, e quindi avviare un parallelo ragionamento in relazione ai nuovi inquadramenti nell’ambito del pubblico impiego, anche in ragione del fatto che si vorrebbe considerare l’Autorità Portuale di Sistema come un ente pubblico non economico soggetto al DLGS 165/2001 Testo Unico del Pubblico Impiego.

In tale prospettiva il DL 80/2021 (Brunetta) prevede l’istituzione contrattuale di un’area riservata alle Elevate Professionalità, dove non esistono le posizioni organizzative, ma incarichi a tempo da attribuirsi ad ogni lavoratore, come avviene per la dirigenza pubblica.

La nuova legge restringe le posizioni organizzative alla sola categoria inferiore dei funzionari.

Quindi, si potrebbe ipotizzare incarichi a tempo determinato normalmente di responsabile di Area o equiparati per i quadri A, posizioni organizzative per Quadri B e Funzionari.

 Fabio Petracci

Alte professionalità

In vista dell’area delle Elevate Professionalità nelle Pubbliche Amministrazioni

Intervento dell’avv. Fabio Petracci , Centro Studi di CIU Unionquadri, in occasione del Convegno Quadri e Alte Professionalità nel Pubblico Impiego.

Vedrò di sollevare alcuni quesiti per favorire ed avviare la discussione.

Stiamo trattando delle categorie delle alte professionalità nell’ambito del Pubblico Impiego, dove un grosso nucleo di professionalità appaiono  compresse nel cosiddetto inquadramento delle categorie non dirigenziali e dove si è voluto individuare il motore della macchina amministrativa esclusivamente nella dirigenza.

Ciò avviene, nonostante nell’organizzazione del lavoro privato presenti ormai e da tempo nuove forme di organizzazione che vede sempre più protagonisti lavoratori altamente qualificati che svolgono un lavoro non manuale volto alla produzione di output tendenzialmente intangibili.

Da molto tempo, sono emerse e si sono consolidate nuove istanze del ceto medio che dopo la marcia dei 40.000 e la lotta al livellamento retributivo, ora è alle prese con l’accentramento della ricchezza e la scomparsa di molte forme di mobilità sociale.

L’emergere di queste istanze ha trovato trova una seppur parziale risposta nel mondo del lavoro con la legge 190/85 che riconosce la categoria dei quadri intermedi, modificando l’articolo 2095 del codice civile.

Sul piano del lavoro pubblico, nonostante l’epocale riforma degli anni 90 che ha voluto introdurre la disciplina del lavoro privato nelle pubbliche amministrazioni un simile fermento non si è mai verificato.

Allorquando con la legge 421/1992 si delineava il nuovo assetto dell’impiego pubblico, nessun ostacolo normativo si frapponeva alla piena applicazione dell’articolo 2095 del codice civile che vede le categorie dei lavoratori suddivise in operai, impiegati, quadri e dirigenti.

Il tema era toccato sotto l’aspetto dello spazio contrattuale collettivo dall’articolo 40 del DLGS 165/2001 che prevedeva l’esistenza di una specifica e distinta disciplina nell’ambito dei contratti collettivi di comparto per coloro che svolgono compiti di direzione o che comportano iscrizione ad albi.

Con il DLGS 150/2009 l’articolo 40 era semi abrogato, restando la semplice previsione della possibilità per i contratti collettivi di istituire apposite sezioni per specifiche professionalità.

Trattandosi di un mondo del lavoro ormai collocato nell’ambito del diritto civile, ci si chiede il perché di questa differenziazione.

In primis, potremmo ritenere come l’organizzazione del lavoro pubblico, nonostante la riforma, non appaia in grado di fare propria la nuova organizzazione del lavoro della conoscenza nonché le istanze sociali ormai maturate.

Ove un tanto non fosse vero, potremmo azzardarci a ritenere l’esistenza nell’ambito del pubblico impiego di un deficit di pluralismo e libertà sindacale se non addirittura una certa sudditanza delle scelte legislative rispetto ad un ruolo anomalo del sindacato.

Nell’ambito di questa consolidata situazione, si inserisce l’esigenza straordinaria di una Pubblica Amministrazione altamente qualificata imposta dal PNRR.

E’ stata quindi introdotta per legge una ulteriore area professionale dove collocare le Elevate Professionalità.

Il contratto collettivo delle Funzioni Centrali ha recepito questa previsione meglio definendo quest’ambito di inquadramento.

Resta aperta la definizione dei criteri per l’accesso a quest’area di inquadramento.

Di fronte a questo improvviso mutamento di rotta che impone il riconoscimento de Elevate Professionalità serve focalizzare la nostra attenzione sui criteri di selezione degli appartenenti all’area professionale ad evitare trascinamenti ed automatismi, evitando pure che la nuova area automaticamente assorba anomale situazioni individuali e collettive già consolidate.

E’ necessario quindi creare una reale posizione retributiva e normativa per quanti verranno a far parte dell’area delle elevate professionalità.

Va attentamente verificata l’analoga ed inferiore area dei funzionari che ricalca per certi versi talune caratteristiche della nuova area delle Elevate Professionalità per verificare se vi sia un disegno di una Pubblica Amministrazione nel suo complesso totalmente professionalizzata.

Bisognerà ragionare oltre l’ipotesi prevista per il contratto delle amministrazioni centrali per poter tradurre la riforma nelle diverse amministrazioni, principalmente locali, dove esistono situazioni spesso difformi.

Logo CNEL

CONVEGNO – Quadri e Alte Professionalità nel Pubblico Impiego (meritocrazia e professionalità)

Il convegno, organizzato da CIU UNIONQUADRI, si terrà giovedì 10 marzo 2022 dalle ore 14:30 alle 17:30 a Roma presso il Parlamentino del CNEL, viale David Lubin n.2,  (scarica la locandina). 

Contestualmente, in orario da programmarsi, si terrà pure una riunione del Centro Studi.

Per i soci e consulenti del Centro Studi che provengono da fuori Roma, CIU Unionquadri troverà una sistemazione presso un hotel di propria fiducia e rimborserà le spese del viaggio.

Per fruire dell’agevolazione, sarà necessario comunicare la propria adesione entro la giornata del 4 marzo, telefonando dalle 9.00 alle 16.00 allo 06 320 04 27 oppure al 392 572 04 35, chiedendo della signora Zaira Odicino.

Il Presidente del Centro Studi
Fabio Petracci

Arrivano le elevate professionalità anche nella sanità pubblica.

Anche l’ordinamento professionale che sta per essere introdotto con il nuovo CCNL della Sanità Pubblica risente degli orientamenti volti a rivalutare le elevate professionalità non dirigenziali manifestati con il DL 80/2021 e con il successivo CCNL delle Amministrazioni Centrali.

Nell’ambito sanitario il tema dell’inquadramento e della professionalità è reso più importante anche per il grave ed attuale impegno del personale e dall’esistenza di professioni che si caratterizzano anche a livello autonomo ed ordinistico.

Con il nuovo contratto, il personale non dirigente è ripartito in n.5 aree così suddivise:

  1. Operatori ausiliari (A);
  2. Operatori (B);
  3. Assistenti (C);
  4. Professionista della salute e dei funzionari (D);
  5. Personale di elevata qualificazione (E)

Ogni area contiene dei profili riferibili.

Il sistema di classificazione di cui raggruppa funzionalmente i diversi ruoli come di seguito specificato:

  •  Ruolo sanitario – personale infermieristico e delle altre professioni sanitarie: caratterizzato dallo svolgimento di attività dirette alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva; alla riabilitazione, all’esecuzione di procedure tecniche necessarie alla effettuazione di metodiche diagnostiche su materiali biologici o sulla persona, ovvero attività tecnico-assistenziale; all’attività di prevenzione, verifica e controllo in materia di igiene e sicurezza ambientale nei luoghi di vita e di lavoro, di igiene degli alimenti e delle bevande, di igiene e sanità pubblica e veterinaria;
  • Ruolo socio sanitario: caratterizzato dallo svolgimento di attività dirette prevalentemente ad erogare prestazioni sociosanitarie e azioni di protezione sociale nonché ad intervenire in attività di mantenimento dello stato di salute ed in attività di lotta all’emarginazione, devianza e dipendenza;
  • Ruoli amministrativo, tecnico e professionale: caratterizzati dallo svolgimento di attività proprie delle funzioni finalizzate al miglioramento dell’attività aziendale di loro competenza nell’ottica dell’efficienza, efficacia e semplificazione dell’azione amministrativa, gestionale e tecnico -professionale.

La principale novità come già accennato è data dall’introduzione dell’area del Personale ad Alta Professionalità che in qualche modo pare differenziarsi dalle altre categorie non dirigenziali e richiamare la figura del quadro.

La norma contrattuale prevede che l’accesso all’area possa avvenire dall’esterno o tramite una progressione tra aree.

In patica, stabilisce la norma contrattuale che i profili di quest’area corrispondono a quelli dell’area dei professionisti della salute e dei funzionari alla cui denominazione però è aggiunto il suffisso” ad elevata qualificazione”.

In realtà l’aspetto qualificante per quest’area è dato dal fatto che a ciascun appartenente sarà conferito un incarico a termine come ora avviene per i dirigenti.

Tale incarico naturalmente comporterà una valenza economica.

Il nuovo contratto disciplina inoltre i passaggi di profilo e le progressioni economiche all’interno delle aree.

I passaggi di profilo avverranno previa verifica dei requisiti ed in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni.

E’ prevista inoltre anche una progressione economica all’interno delle aree mediante “differenziali economici di professionalità.”

L’attribuzione di questo istituto non determina attribuzione di mansioni superiori ed avviene mediante procedura selettiva di area, con il requisito di precedenti disciplinari nel triennio che non siano la multa

I “differenziali economici di professionalità” sono attribuiti, fino a concorrenza del numero corrispondente all’importo fissato per ciascuna area, previa graduatoria dei partecipanti alla procedura selettiva, definita in base alla media aritmetica semplice degli ultimi tre punteggi conseguiti e riportati nella valutazione annuale di performance individuale, a partire dalla media più elevata e proseguendo in ordine decrescente

Fabio Petracci

Alte professionalità

Novità per il personale degli enti locali.

La normativa di cui al DL 80/2021 e la sua ricaduta sulla contrattazione degli enti locali.

Il recente DL 80/2021 contiene un insieme di norme destinate a disciplinare carriere ed assunzioni nell’ambito del pubblico impiego.

La normativa ha fornito la base legale per la contrattazione collettiva nell’ambito di tutto il pubblico impiego in primis per Amministrazioni Centrali, ma è destinata ad improntare anche la contrattazione nell’ambito degli enti locali.

L’introduzione dell’Area delle Elevate Professionalità – quarta area nell’ambito delle Amministrazioni Centrali è destinata a ripercuotersi anche sull’inquadramento contrattuale degli enti locali dove dovranno comunque individuarsi nell’ambito della contrattazione le alte professionalità, evitando automatiche trasposizioni da un’area all’altra.

La legge disciplina per la prima volta le progressioni orizzontali improntandole a propri criteri che andranno recepiti anche dalla contrattazione degli enti locali.

Contestualmente favorisce i passaggi di area per il personale interno subordinandolo esclusivamente a criteri selettivi e comparativi che paiono escludere il concorso.

La legge apre ad esperienze di contratti di formazione lavoro/apprendistato con giovani laureati e diplomati.

Espressamente per gli enti locali è prevista la costituzione di apposite liste di idonei / abilitati che possono essere assunti per interpello in caso di necessità.

Norme particolari attengono alle assunzioni di segretari e vice segretari comunali.

Fabio Petracci

Siglata l’intesa precontrattuale nel Pubblico Impiego. Importanti novità per i quadri.

Un passo verso la meritocrazia.

In data 21 dicembre, è stata sottoscritta la preintesa contrattuale tra ARAN ed associazioni sindacali cui a breve farà seguito il nuovo contratto collettivo per le Funzioni Centrali delle Amministrazioni statali.

Il contratto è espressamente definito dalle parti come uno strumento efficace ed innovativo di gestione del personale per incentivarne lo sviluppo professionale.

Professionalità e meritocrazia sono state del resto le mete del Ministro Brunetta anche nelle precedenti riforme che non sempre hanno raggiunto lo scopo anche a causa della complessità dei meccanismi premiali.

Per queste ragioni la parte dedicata all’inquadramento ed alle progressioni di carriera è stata ampliamente modificata.

Le modifiche all’attuale inquadramento professionale.

Il precedente inquadramento limitato a tre aree e concentrato principalmente nell’area B e C ha subito un interessante mutamento.

Sono state eliminate le tre aree contraddistinte da un semplice numero e ne sono state introdotte 4 contraddistinte da un indicazione professionale.

L’area base è quella degli operatori caratterizzata da mansioni semplici e da una scolarità corrispondente alla scuola dell’obbligo.

L’area successiva è invece quella degli assistenti dove è previsto un livello di mansioni di media difficoltà ed una scolarità corrispondente al livello di scuola superiore.

La terza area è quella dei funzionari con compiti direttivi e professionalità superiore per il cui ingresso è prevista almeno la laurea breve.

Va notato che l’accesso in base al titolo di studio può essere sostituito da un periodo prefissato di permanenza nell’area inferiore.

L’ipotesi contrattuale riguarda pure le progressioni orizzontali che saranno impostate con criteri di anzianità uniti a criteri meritocratici. Le progressioni orizzontali rivestiranno esclusivamente valenza economica.

L’area delle Elevate Professionalità.

La vera novità è però data dall’istituzione di una quarta area definita delle elevate professionalità.

In quest’ambito dovrebbe trovare collocazione il fulcro delle professionalità del personale non dirigente.

L’intesa precontrattuale inoltre prevede conformemente a quanto già stabilito dalla legge 80/2021 la possibilità di transito meritocratico tramite procedura valutativa e non concorso per il passaggio all’area superiore.

Notiamo inoltre come le posizioni organizzative siano previste per la sola area dei funzionari, nel mentre nell’ambito della quarta area, sarà prevista l’attribuzione generale di incarichi, come accade per la dirigenza.

Sicuramente si tratta di un passo in più per le alte professionalità nel pubblico impiego e speriamo sia un passo verso la meritocrazia.

E’ previsto un periodo transitorio per l’attuazione del nuovo inquadramento.

All’ipotesi contrattuale è allegata la tabella 2 che stabilisce la corrispondenza tra il vecchio inquadramento ed il nuovo.

Particolare significativo è il fatto che tale corrispondenza non è attuata per quarta area delle elevate professionalità, dove saranno attuati criteri marcatamente meritocratici.

Va ricordato che è la legge 80/2021 a prevedere l’esistenza di un’apposita area delle alte professionalità e che quindi detto sistema di inquadramento dovrà trovare applicazione a tutti i settori del pubblico impiego, ivi compresi sanità ed enti locali, con eccezione della scuola.

La vicenda dei quadri e l’azione di CIU UNIONQUADRI.

A proposito ricordiamo come nell’ambito del pubblico impiego, non ha mai trovato attuazione la categoria dei quadri, né vi è stato riconoscimento alcuno per le alte professionalità non dirigenziali.

Diversi tentativi in sede giudiziale di dare attuazione al riconoscimento dei quadri nel pubblico impiego non hanno avuto buon esito, in quanto la giurisprudenza si è sempre attestata su di un principio di specialità dell’inquadramento incompatibile con la trasposizione nell’ambito del pubblico impiego delle categorie professionali del lavoro privato.

La legge (145/2002 Legge Frattini) che istituiva la vice dirigenza nel pubblico impiego è stata abrogata prima di aver visto la luce, per la forte ostilità manifestata dai sindacati confederali.

Torna ora ineluttabile a farsi sentire anche in ragione delle necessità derivanti dall’attuazione del PNRR, il tema della professionalità e della meritocrazia nell’ambito della cosa pubblica mortificato da un sostanziale appiattimento delle aree non dirigenziali voluto dai sindacati confederali.

Ora, l’assetto contrattuale prospettato appare evolversi secondo le previsioni di cui alla legge 9.6.2021 n.89 (Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia).

La legge, oltre ad aver previsto procedure concorsuali specifiche per reperire professionalità in grado di attuare i progetti connessi al PNRR, all’articolo 3 (misure per la valorizzazione del personale e per il riconoscimento del merito) prevede l’istituzione per il tramite della contrattazione collettiva di una quarta area professionale dove inquadrare il personale ad elevata qualificazione.

Su tale previsione, si era già attivato il sindacato CIU Unionquadri per dare un contenuto alla stessa che consentisse un reale riconoscimento della categoria. CIU Unionquadri aveva quindi ottenuto un incontro di una propria delegazione con il Capo Dipartimento del Ministero della Funzione Pubblica, chiedendo come ai componenti della nuova area dovesse riconoscersi un’adeguata dinamica retributiva e di carriera, e come per la stessa avrebbe dovuto ritenersi superato il sistema delle posizioni organizzative di natura temporanea e discrezionale.

I punti formulati dal sindacato dei quadri – CIU UNIONQUADRI erano i seguenti:

  1. Definizione dell’area come Area Quadri, Professionisti, Alte Professionalità.
  2. Selettività per l’individuazione della figura del quadro nella P.A.
  3. Eliminazione di qualsiasi automatismo retributivo e di carriera, collegamento della retribuzione all’incarico affidato ed ai risultati raggiunti.
  4. Individuazione di criteri normativi che prendano atto delle esigenze specifiche della categoria (assicurazione per responsabilità civile e difesa in giudizio, formazione continua, benefits anche legati a trasferimenti).

In particolare nel documento era auspicato che le posizioni organizzative in tale area fossero superate dal conferimento di incarichi simili a quelli previsti per la dirigenza.

Se, la definizione formale della nuova area come area quadri non risulta al momento attuata, per il resto molti dei contenuti inseriti nella preintesa ci dicono come si vada in ogni caso verso un’area ben precisa e distinta della alte professionalità.

Fabio Petracci

 

Alte professionalità

Dequalificazione, equivalenza di mansioni, fungibilità. Il caso dei quadri bancari.

Il Jobs Act e l’equivalenza delle mansioni.

L’articolo 3 del DLGS 81/2015 (Jobs Act) introduce delle rilevanti modifiche all’articolo 2103 del codice civile.

In primo luogo esso amplia il potere del datore di lavoro di mutare la prestazione del lavoratore, introducendo un concetto di equivalenza esteso a tutte le mansioni appartenenti alla medesima categoria contrattuale o livello di appartenenza del lavoratore.

L’articolo 1 della legge 183/2010 (legge delega che ha dato luogo al DLGS 81/2015) aveva in effetti previsto la revisione della disciplina delle mansioni in caso di processi di riorganizzazione o conversione aziendale, senza peraltro prevedere ulteriori interventi sulla disciplina dell’equivalenza, donde se ne potrebbe trarre argomento per eccepire un eccesso di delega in relazione all’articolo 76 della Costituzione. (Sul Punto Amendola, La disciplina delle mansioni DLGS 81/2015).

Scompare quindi il concetto di equivalenza delle mansioni che sino ad allora aveva costituito il criterio cardine nel valutare la dequalificazione.

L’area delle mansioni esigibili era quindi ampliata al livello di inquadramento ricavabile dalla contrattazione collettiva vigente.

A questo punto la valutazione dell’equivalenza di mansioni non è più affidata al giudice, ma alla contrattazione collettiva.

La ricaduta sull’inquadramento professionale dei quadri degli istituti di credito.

Tenuto conto di un tanto, verificheremo l’applicazione della nuova normativa in tema di mansioni proprio nell’ambito del lavoro bancario dove la contrattazione collettiva aveva già esteso, come vedremo, il concetto di equivalenza non solo tra diverse mansioni, ma pure tra diversi e sovrapposti livelli di inquadramento e dove tra l’altro, la specificità tecnica delle mansioni e dei profili professionali, rischia di creare rilevanti vuoti nella valutazione dell’equivalenza su base contrattuale. (si pensi ad un esperto di comunicazione assunto da una banca con un livello apicale).

Va anche considerato che l’intervento legislativo in esame si sovrappone ad inquadramenti contrattuali determinati dalle parti in considerazione della precedente normativa che considerava l’equivalenza di mansioni.

La tipicità dell’inquadramento nel settore bancario per quanto riguarda il personale con funzioni direttive affonda le proprie radici nel passato con l’emergere della categoria dei funzionari citata nella convenzione bancaria del 1927 che ampliava e ridefiniva i ruoli professionali del personale impiegatizio, affidando ai funzionari le più elevate mansioni di rappresentanza e di posizione gerarchica.

Dal funzionario al quadro del credito.

Questa nuova categoria si interponeva in una posizione intermedia tra la dirigenza e l’area impiegatizia.

La figura del funzionario ebbe a comparire nella contrattazione collettiva di settore sino al 1999, tenendo presente che nel 1974 le qualifiche di dirigente e di funzionario confluirono in un unico contratto collettivo.

Allorquando con la legge 190/85, a modifica dell’articolo 2095 del codice civile, venne istituita la categoria dei quadri, essa non ebbe immediati riflessi nell’ambito bancario dove all’apice del personale impiegatizio rimaneva la categoria dei funzionari.

Un tanto era ribadito nel protocollo d’intesa del 12 dicembre 1985 che stabiliva la convivenza con diversi contratti della categoria dei quadri con quella dei funzionari.

Infatti, il CCNL 30 aprile 1987 inseriva la categoria dei quadri nell’ambito del contratto degli impiegati, dei commessi e degli ausiliari, nel mentre il personale direttivo vero e proprio continuava ad essere inserito nell’ambito della contrattazione dei funzionari e dei dirigenti.

Era così adottata per i quadri la declaratoria che definiva questi ultimi come personale che in posizione superiore agli impiegati con il grado di capo ufficio era incaricato di mansioni di particolare responsabilità sul piano gerarchico o funzionale. La categoria si articolava in quadri e quadri con grado denominati quadri super.

Fu invece negli anni 90, allorquando per gli istituti bancari si profilavano importanti riorganizzazioni che maturò la decisione di riorganizzare l’inquadramento del personale.

Alla fine, il CCNL 11 luglio 1999 eliminava la tradizionale partizione tra contratto del personale direttivo e del personale non direttivo ed adottava un contratto unico per i quadri direttivi e le restanti aree professionali.

Si voleva così realizzare un sostanziale contenimento del costo del lavoro che potesse garantire la competitività degli istituti di credito italiani con quelli europei.

Fu quindi con l’accordo quadro del 28 febbraio 1998 che venne definita la nuova categoria dei quadri direttivi che andava a comprendere e ad assorbire quella dei funzionari.

Si stabiliva così che la nuova categoria dei quadri direttivi sarebbe stata articolata in quattro livelli retributivi.

In sede di prima applicazione, vennero inseriti nel primo e nel secondo livello i lavoratori già collocati nell’area quadri, nel mentre erano inseriti nel livello terzo e quarto i funzionari che non erano contestualmente passati alla categoria dirigenziale.

La situazione attuale appiattimento e fungibilità.

Si arrivò così a quella che può a tutt’oggi definirsi come la situazione d’inquadramento attuale.

Il contratto collettivo definisce quadri direttivi i lavoratori/lavoratrici che, pur non appartenendo alla categoria dei dirigenti, siano stabilmente incaricati dall’impresa di svolgere, in via continuativa e prevalente, mansioni che comportino elevate responsabilità funzionali ed elevata preparazione professionale e/o particolari specializzazioni.

Di seguito, il medesimo contratto indica le singole declaratorie professionali cui va attribuita la qualifica di quadro.

A sua volta, l’area quadri è suddivisa in n.4 aree retributive cui sono ricondotte le seguenti declaratorie professionali:

1° livello retributivo Sono compresi in questo livello retributivo: il personale di elevata professionalità che, adibito a mansioni di consulenza qualificata nel campo finanziario e dello sviluppo, esplica la sua attività con autonomia di decisione, in via continuativa, nell’ambito delle direttivi ricevute; il personale di elevata professionalità che, adibito a mansioni altamente specializzate nel campo del servizio estero-merci, esplica la sua attività con autonomia di decisione, in via continuativa, nell’ambito delle direttive ricevute.

 2° livello retributivo E’ compreso in questo livello retributivo il personale individuato attraverso i profili professionali del 1° livello retributivo preposto ad unità operativa complessa.

3° livello retributivo Sono compresi in questo livello retributivo: il responsabile della funzione contabile, preposto ad unità operativa complessa all’uopo costituita, che in autonomia e con poteri di firma risponde del sistema, delle scritture e delle risultanze contabili, predispone organicamente gli elementi del bilancio consuntivo a fini civili e fiscali, predispone organicamente gli elementi del bilancio preventivo e controlla l’andamento delle risultanze contabili dei singoli servizi rispetto al bilancio di previsione approvato, provvede agli adempimenti fiscali, provvede alle segnalazioni di Vigilanza, assicura il rispetto di norme, prescrizioni e deliberazioni per tutto quanto concerne l’attività contabile;

 il responsabile della segreteria fidi, preposto ad unità operativa complessa all’uopo costituita, che in autonomia e con poteri di firma risponde della raccolta e della istruttoria delle domande di fido formulando al termine pareri scritti, risponde del perfezionamento della concessione dei fidi e delle relative garanzie, risponde della tenuta del LIBRO FIDI, controlla l’aggiornamento, le scadenze ed i rinnovi degli affidamenti e delle garanzie, rileva organicamente le posizioni a rischio, risponde del sistema delle informazioni alla Centrale dei Rischi, assicura il rispetto di norme, prescrizioni e deliberazioni vigenti sulle materie trattate; il responsabile dell’ispettorato interno, preposto ed unità operativa complessa all’uopo costituita, che in autonomia e con le funzioni previste dalle istruzioni di Vigilanza, controlla, sulla base di regolamento approvato dal consiglio di amministrazione, il corretto andamento di tutti i settori aziendali (organizzazione periferica e servizi centrali), secondo norme, prescrizioni e deliberazioni vigenti per detti settori);

il responsabile della organizzazione, preposto ad unità operativa complessa all’uopo costituita, che in autonomia, sulla base di direttive generali, cura organicamente l’analisi e la soluzione dei problemi organizzativi e funzionali dell’azienda, in termini attuali e di sviluppo; al fine esamina e pianifica, compiutamente, le esigenze di struttura, le dotazioni necessarie (macchine ed impianti), i procedimenti di lavoro, le esigenze di organico, l’impiego e la formazione del personale; assicura il rispetto di norme, prescrizioni e deliberazioni nella soluzione dei problemi trattati; il responsabile di centro di elaborazione dati, preposto ad unità operativa con organizzazione ed apparecchiature complesse, che di fatto provveda, compiutamente, ad analisi, programmazione ed elaborazione dei dati necessari per tutte le esigenze aziendali, in completa autonomia; assicura il rispetto di norme, prescrizioni e delibere di sicurezza; il responsabile della tesoreria, preposto ad unità operativa complessa all’uopo costituita, che in autonomia e con poteri di firma, sulla base di direttive generali, gestisce organicamente le liquidità aziendali, al fine seguendo compiutamente l’andamento dei mercati ed intrattenendo rapporti con operatori monetari e finanziari: fornisce organicamente indirizzi, informazioni e consulenza all’ufficio titoli; assicura il rispetto di norme, prescrizioni e deliberazioni vigenti per l’impiego delle liquidità aziendali; ¾ il responsabile dell’area legale, preposto ad unità operativa complessa all’uopo costituita, che con autonomia e con poteri di firma presta consulenza ed assistenza legale, per gli affari ed i problemi di tutti i settori aziendali, e gestisce il recupero dei crediti e le altre controversie aziendali, direttamente in fase stragiudiziale, tramite professionisti esterni in fase giudiziaria; cura organicamente l’informazione dei settori tecnici ed amministrativi dell’azienda, per quanto riguarda gli aspetti legali delle rispettive attività, assicura il rispetto dell’ordinamento societario. Vanno altresì inquadrati nel 3° livello retributivo i prestatori di lavoro che, presso le Federazioni locali, assumono posizioni di responsabile dell’area legale e/o sindacale o di responsabile dell’area di assistenza tecnica e/o revisione, con preposizione ed unità operativa complessa, al fine forniscono, in autonomia, sulla base di direttive generali, alla Federazione di appartenenza ed alle Casse aderenti, consulenza ed assistenza, su tutti i problemi dell’area presenti nel settore credito, nonché per la revisione effettuano controlli, pianificati e d’urgenza, assicurano completa conoscenza di norme, prescrizioni e delibere d’ordine generale e/o collettivo relative alla propria aerea.

4° livello retributivo E’ compreso in questo livello retributivo: − il personale individuato attraverso i profili professionali del 3° livello retributivo responsabile di strutture ovvero di unità funzionali con un numero di addetti superiore a 12; − il vice direttore di azienda da intendersi non il sostituto del direttore durante le assenze e/o colui che, occasionalmente, è coadiutore dello stesso, ma colui il quale partecipa quotidianamente alla direzione aziendale mediante ripartizione dei compiti direttivi sulla base di apposite deliberazioni del Consiglio di Amministrazione, salva sempre la sovrintendenza su tutto del direttore. Il personale con incarico di vice direzione di azienda inquadrato nel 3° livello retributivo viene collocato nel 4° livello retributivo.

Dunque, ci troviamo di fronte ad un assetto contrattuale ad alta flessibilità sorto sulla base proprio di questa specifica esigenza e rafforzato in tal senso da ulteriori previsioni pattizie.

La contrattazione collettiva infatti, ha introdotto apposite clausole che permettono una certa mobilità tra i diversi livelli dell’area quadri.

L’articolo 83 del CCNL prevede espressamente che:

Di seguito però in ragione di ciò nell’accordo di rinnovo 19 gennaio 2012 fu stabilito che, per il periodo di vigenza del contratto stesso (e cioè fino al 30 giugno 2014, poi prorogato dal contratto del 2015 e, a quanto consta, non riprodotta in quello del 2019), «la piena fungibilità nell’ambito della categoria dei quadri direttivi viene estesa tra il primo ed il quarto livello retributivo». Allo stato, questa disposizione contrattuale non risulterebbe più vigente in quanto le organizzazioni sindacali non hanno voluto sottoscriverne il rinnovo.

Obiettivi per il futuro.

Ci si chiede a questo punto se la flessibilità di mansioni adottata allorquando vigeva il principio limitativo di equivalenza, non comporti oggi un eccessivo margine d’azione per il datore di lavoro nell’ambito di un’area quadri che sino a poco tempo fa condivideva il proprio contratto con quello della dirigenza.

In pratica, le nuove disposizioni di legge riconducibili al DLGS 81/2015 pur avendo superato il concetto di equivalenza, impedirebbero comunque la mobilità tra i diversi livelli di una già ampia area quadri, nel mentre la contrattazione collettiva è idonea addirittura a superare questo tenue limite.

Si rende forse sul punto necessaria un’attenta revisione delle norme contrattuali.

Fabio Petracci

Alte professionalità

Le creazioni intellettuali dei Lavoratori.

Presentiamo su di un tema che interessa sicuramente quadri e professionisti , un articolo di una nostra socia del Centro Studi studentessa universitaria di giurisprudenza.

PROPRIETÀ INTELLETTUALE E DIRITTO DEL LAVORO: LE CREAZIONI INTELLETTUALI DEL LAVORATORE

1. Le creazioni intellettuali nel nostro ordinamento; 2. Il rapporto tra le creazioni intellettuali del lavoratore e la posizione del datore di lavoro; 3. Le tipologie di invenzione del lavoratore; 4. Le questioni applicative delle ipotesi di invenzione del dipendente; 5. Le risoluzioni delle controversie.

  1. LE CREAZIONI INTELLETTUALI NEL NOSTRO ORDINAMENTO

Il nostro ordinamento tutela le creazioni intellettuali che possono essere di due tipi: le opere dell’ingegno, come ad esempio le idee creative nel campo artistico o culturale, e le invenzioni industriali, come ad esempio le idee creative nel campo scientifico o tecnico. Tale distinzione comporta una duplice tutela: 1. il riconoscimento del diritto d’autore per le opere dell’ingegno letterarie e artistiche; 2. il riconoscimento del diritto di brevetto per le invenzioni industriali, i modelli di utilità, i disegni e i modelli del prodotto.

Sotto quest’ottica, il nostro sistema giuridico mira a tutelare l’interesse dell’autore a rivendicare il diritto allo sfruttamento esclusivo della creazione e della collettività a disporre di un’invenzione di particolare utilità funzionale o sociale.

Da questa premessa, si evince che, proprio come i beni materiali, anche i beni immateriali come le creazioni intellettuali possono essere oggetto di proprietà. In sostanza, per proprietà industriale si intende un insieme di istituti che mirano ad attribuire un diritto di esclusiva dei beni immateriali e può interessare qualsiasi ambito, dall’arte alla medicina, coinvolgendo il settore dell’informatica, dell’ingegneria e in genere quello scientifico.

Tale proprietà, infatti, attraverso il sistema delle privative industriali mira a promuovere la concorrenza, garantendo all’impresa che decide di innovarsi, un diritto di esclusiva sulla propria idea o sul proprio processo di innovazione tecnologico.

In altre parole, per privativa industriale si intende un diritto di esclusiva conferito dall’ordinamento giuridico ad un determinato soggetto su un’opera intellettuale.

Tale esclusiva consiste nell’attribuzione di un diritto di opporsi a qualunque uso non autorizzato del segno, dell’opera, del disegno o dell’invenzione da parte di terzi nel mercato e di potersi rivolgere alle autorità giudiziarie competenti per ottenerne l’azione inibitoria ovvero la cessazione di un comportamento illecito o vietato. In sostanza, le privative industriali servono a proteggere gli imprenditori o gli autori di un’opera da rischi di appropriazione o sfruttamento indebito del proprio lavoro.

In sintesi, alle creazioni intellettuali vengono attribuite un diritto di privativa in capo al creatore. Questo diritto è molto simile alla proprietà, ma si differenzia per tre caratteristiche: ha sempre ad oggetto un bene immateriale; ha durata limitata nel tempo; ed è subordinato al rilascio di un brevetto/riconoscimento.

  • IL RAPPORTO TRA LE CREAZIONI INTELLETTUALI DEL LAVORATORE E LA POSIZIONE DEL DATORE DI LAVORO

Nel mondo imprenditoriale, le conoscenze tecniche dei lavoratori contribuiscono sempre di più allo sviluppo tecnologico e alla capacità concorrenziale delle imprese. Da ciò, ne consegue una duplice valenza giuridica: il profilo del diritto della proprietà intellettuale, che determina le condizioni per l’attribuzione delle privative, e quello giuslavoristico, che invece disciplina le conseguenze derivanti dal rapporto di subordinazione tra datore e lavoratore.

Nell’ambito della proprietà intellettuale, le opere dell’ingegno del lavoratore trovano un riferimento nella regola generale, ex art. 2575 C.C., secondo cui formano oggetto del diritto di autore le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione. Oltre a tale regola, non vi sono previsioni specifiche a riguardo, se non quello di ricorrere alle elaborazioni giurisprudenziali.

Nell’ambito della proprietà industriale invece, le invenzioni del dipendente trovano un riferimento generale nell’articolo 2590 C.C., secondo il quale il prestatore di lavoro ha diritto di essere riconosciuto autore [2589] dell’invenzione fatta nello svolgimento del rapporto di lavoro. I diritti e gli obblighi delle parti relativi all’invenzione sono regolati dalle leggi speciali [2587, 2591]. Inoltre, sono disciplinate espressamente dagli articoli 64 e 65 del Codice della proprietà industriale (d’ora in avanti C.P.I.) di cui al d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30.

Esposto i dati normativi di riferimento, è necessario mettere a confronto gli interessi contrapposti che ne derivano dal rapporto di lavoro: da una parte, l’interesse del lavoratore che gli vengano attribuiti i diritti patrimoniali e morali derivanti dall’invenzione o creazione di un’opera; dall’altra, l’interesse del datore di trarne profitto economico delle creazioni intellettuali del suo dipendente, in attuazione dell’articolo 35 Cost. secondo cui i risultati di un’obbligazione di fare dedotta ad oggetto di un contratto di lavoro appartengono al soggetto in favore del quale è svolta la prestazione, ossia a favore del datore di lavoro. Si pone così una deroga alla regola generale dell’art. 2575 C.C., secondo cui è da attribuire sia i diritti morali che quelli patrimoniali all’inventore, quindi al lavoratore.

La ratio di tale deroga, definito dalla giurisprudenza come principio lavoristico generale, va ricercata nel fatto che l’imprenditore (il datore di lavoro) acquista direttamente i risultati del lavoro del dipendente come effetto naturale del contratto di lavoro subordinato, senza quindi, un ulteriore atto di trasferimento.

Tale principio non è altro che un’espressione della regola ancora più generale di impermeabilità del rapporto di lavoro: l’imprenditore, stipulando un contratto di lavoro nel quale è dedotta un’obbligazione che ha come oggetto lo svolgimento di attività al fine di creare un’invenzione, sopporta il costo e il rischio economico derivante dall’aleatorietà del risultato inventivo e, pertanto, ha diritto di utilizzare economicamente il risultato dell’attività lavoratori del suo dipendente oggetto del contratto di lavoro. In altre parole, l’imprenditore può trarre profitto dall’attività lavorativa del suo dipendente.

C’è da precisare però, che tale interesse dell’imprenditore dev’essere contemplato con l’interesse del lavoratore, ossia quello di essere riconosciuto della propria creazione intellettuale che, grazie al carattere innovativo di quest’ultima, ha portato progresso scientifico e tecnico alla collettività, ex art. 9 Cost.

  • TIPOLOGIE DI INVENZIONE DEL LAVORATORE

Si precisa sin da subito che, dal punto di vista del diritto positivo, non esiste una nozione legale di invenzione, semmai è presente, ex 2585 C.C., un suo elenco che può essere oggetto di brevetto, se pur risulta un po’ datato dal punto di vista industriale. Per una sua maggiore esplicazione, è necessario richiamare il diritto industriale e, anche in questo caso però, ci troviamo dinanzi ad una definizione aperta, suscettibile di accogliere realtà diverse.

Se nella regola generale si hanno pochi riferimenti, il legislatore ha predisposto alcune regole per le invenzioni nel rapporto di lavoro subordinato, mediante l’invio alle leggi speciale per la sua disciplina. La già citata art. 2590 C.C., infatti, dispone che il prestatore di lavoro ha diritto di essere riconosciuto autore [2589] dell’invenzione fatta nello svolgimento del rapporto di lavoro. I diritti e gli obblighi delle parti relativi all’invenzione sono regolati dalle leggi speciali [2587, 2591].

La ratio della disciplina è quella di individuare un equo equilibrio tra gli interessi contrapposti ovvero quelli del datore di lavoro con le sue pretese imprenditoriali e quelli del lavoratore che gli vengano attribuiti i diritti del prestatore-inventore.

Con l’emanazione del Codice della Proprietà industriale (d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30), si prevedono tre tipologie di invenzioni con riferimento al lavoro dipendente, ma estendibile anche al lavoro autonomo, in attuazione dell’art. 4, l. 22 maggio 2017, n. 81, il c.d Statuto del lavoro autonomo e del lavoro agile, il quale dispone che “salvo il caso in cui l’attività inventiva sia prevista come oggetto del contratto di lavoro e a tale scopo compensata, i diritti di utilizzazione economica relativi ad apporti originali e a invenzioni realizzati nell’esecuzione del contratto stesso spettano al lavoratore autonomo, secondo le disposizioni di cui alla legge 22 aprile 1941, n. 633, e al codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30”.

L’art. 64 C.P.I. prevede al primo comma le invenzioni di servizio che si ha quando l’invenzione industriale è fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d’impiego, in cui l’attività inventiva è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale scopo retribuita, i diritti derivanti dall’invenzione stessa appartengono al datore di lavoro, salvo il diritto spettante all’inventore di esserne riconosciuto autore.

Al secondo comma invece, vi sono le invenzioni azienda, secondo cui se non è prevista e stabilita una retribuzione, in compenso dell’attività inventiva, e l’invenzione è fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego, i diritti derivanti dall’invenzione appartengono al datore di lavoro, ma all’inventore, salvo sempre il diritto di essere riconosciuto autore, spetta, qualora il datore di lavoro o suoi aventi causa ottengano il brevetto o utilizzino l’invenzione in regime di segretezza industriale, un equo premio per la determinazione del quale si terrà conto dell’importanza dell’invenzione, delle mansioni svolte e della retribuzione percepita dall’inventore, nonché del contributo che questi ha ricevuto dall’organizzazione del datore di lavoro. Al fine di assicurare la tempestiva conclusione del procedimento di acquisizione del brevetto e la conseguente attribuzione dell’equo premio all’inventore, può essere concesso, su richiesta dell’organizzazione del datore di lavoro interessata, l’esame anticipato della domanda volta al rilascio del brevetto.

E infine, al terzo comma, sono previste le invenzione occasionali e si hanno quando qualora non ricorrano le condizioni previste nei commi 1 e 2 e si tratti di invenzione industriale che rientri nel campo di attività del datore di lavoro, quest’ultimo ha il diritto di opzione per l’uso, esclusivo o non esclusivo dell’invenzione o per l’acquisto del brevetto, nonché per la facoltà di chiedere od acquisire, per la medesima invenzione, brevetti all’estero verso corresponsione del canone o del prezzo, da fissarsi con deduzione di una somma corrispondente agli aiuti che l’inventore abbia comunque ricevuti dal datore di lavoro per pervenire all’invenzione. Il datore di lavoro potrà esercitare il diritto di opzione entro tre mesi dalla data di ricevimento della comunicazione dell’avvenuto deposito della domanda di brevetto. I rapporti costituiti con l’esercizio dell’opzione si risolvono di diritto, ove non venga integralmente pagato alla scadenza il corrispettivo dovuto.

In sintesi, nelle prime due ipotesi i diritti derivanti dalle invenzioni del dipendente si trasferiscono a titolo derivativo in capo al datore di lavoro, diversa nella terza ipotesi che rimangono in capo al lavoratore, fermo restando però, che il datore di lavoro è titolare di un diritto di opzione sulla cessione o utilizzazione a titolo oneroso dell’invenzione (rectius, di norma, del brevetto), per ragioni riconducibili all’obbligo di fedeltà cui il prestatore è tenuto, ex art. 2105 C.C.

In comune a tutte e le tre ipotesi è che l’invenzione debba avvenire nel corso del rapporto del lavoro.

  • LE QUESTIONI APPLICATIVE DELLE IPOTESI DI INVENZIONE DEL DIPENDENTE

Le ipotesi previste dall’articolo 64 C.P.I. producono effetti diversi e in particolare comportano una deroga rilevante alla disciplina generale sulle opere dell’ingegno. Ne consegue che, l’individuazione dei criteri di applicazione risulta assai problematico.

L’elemento comune alle tre ipotesi, come già accennato, è che l’invenzione sia maturata nel corso del rapporto di lavoro, come espressamente disposto all’ultimo comma dell’articolo 64 C.P.I.

Superato questo primo scoglio di inquadramento, ossia una volta accertati che un determinato caso rientri nell’ambito applicativo del citato articolo, è necessario ricondurre la fattispecie alle ipotesi previste.

È tradizionalmente appurato che la distinzione tra le prime due ipotesi, invenzione di servizio e invenzione d’azienda (in cui il diritto patrimoniale sull’invenzione è attribuito di legge direttamente al datore di lavoro) e la terza, invenzione occasionale (in cui al datore di lavoro spetta solamente un diritto di opzione), consiste nell’accertare se l’invenzione sia avvenuta o meno nell’ambito lavorativo.

A riguardo, la dottrina e giurisprudenza non forniscono un’interpretazione univoca della norma, offrendo quindi delle tesi differenti in merito.

Una delle tesi maggioritarie distingue le prime due tipologie dalla terza in base all’oggetto del contratto di lavoro, cioè se il lavoratore è stato assunto per svolgere un’attività con scopo inventiva, mentre la previsione di un’apposita retribuzione differenzia la prima e la seconda ipotesi.

Tale posizione porta da un lato, a restringere i casi dei primi due commi dell’art. 64 C.P.I., dall’altro amplifica quelli del terzo comma.

Per quanto riguarda la retribuzione nell’invenzione di servizio, secondo la giurisprudenza, deve essere congrua, la quale non deve essere valutata ex post, ovvero in base al valore economico dell’invenzione realizzata, bensì ex ante con riferimento, quindi, al momento dell’assunzione delle mansioni assegnate.

Il problema più critico si ha quando il contratto di lavoro non fa alcuna menzione della retribuzione. In un caso del genere, vi è stata la sentenza della Cass. n. 1285/2006, la quale ha escluso che si potesse configurare come invenzione di servizio, disponendo che la presenza in busta paga di un superminimo individuale non esplicitamente qualificato come corrispettivo dell’attività inventiva non è idonea, di per sé, a provare il requisito sopra indicato.

Si comprende che è tutta una questione interpretativa del testo contrattuale e in merito, la giurisprudenza enfatizza l’indagine sulla volontà delle parti.

In ogni modo, è pacifico che è sul datore di lavoro che grava l’onere probatorio di dimostrare l’esistenza dei presupposti per configurare l’invenzione di servizio, altrimenti l’invenzione viene configurata come d’azienda, con conseguente diritto del dipendente all’equo premio.

Per evitare che si crei una situazione simile, è auspicabile che il datore di lavoro predisponga con cura il testo del contratto di lavoro chiarendo in modo inequivoco l’attribuzione delle mansioni di ricerca inventiva e di una retribuzione corrispondente, richiamando anche espressamente le previsioni di cui all’art. 64, comma 1 e precisando che, in caso venga realizzata un’invenzione brevettabile, non spetterà alcun compenso ulteriore.

Per quanto riguarda l’invenzione occasionale, i diritti patrimoniali spettano all’autore dell’invenzione, ma quest’ultimo è tenuto a informare il datore di lavoro dell’avvenuta invenzione, comunicandogli la domanda di brevetto. A quest’ultimo spetta il diritto di opzione sull’uso e sull’acquisto del trovato che però deve essere esercitato tempestivamente, pena la decadenza da tale posizione di vantaggio.

  • LE RISOLUZIONI DELLE CONTROVERSIE

In caso di controversie in materia di invenzioni, l’art. 134 C.P.I. attribuisce la competenza alle Sezioni Specializzate in materia di Impresa, che in precedenza spettava alle Sezioni lavoro, e riguardano quindi, anche i casi delle invenzioni del dipendente. Attribuzione confermata dall’art. 4, l. 22 maggio 2017, n. 81, il quale riguarda i casi di rapporti autonomi e parasubordinati. 

Il comma quarto dell’art. 64 C.P.I. prevede una procedura arbitrale obbligatoria per a determinazione del quantum relativa all’equo premio nelle invenzioni d’azienda, infatti dispone che ferma la competenza del giudice ordinario relativa all’accertamento della sussistenza del diritto all’equo premio, al canone o al prezzo, se non si raggiunga l’accordo circa l’ammontare degli stessi, anche se l’inventore è un dipendente di amministrazione statale, alla determinazione dell’ammontare provvede un collegio di arbitratori, composto di tre membri, nominati uno da ciascuna delle parti ed il terzo nominato dai primi due, o, in caso di disaccordo, dal Presidente della sezione specializzata del Tribunale competente dove il prestatore d’opera esercita abitualmente le sue mansioni. Si applicano in quanto compatibili le norme degli articoli 806, e seguenti, del codice di procedura civile.

Infine, al quinto comma, sempre del citato art. 64, si prevede che il collegio degli arbitratori può essere adito anche in pendenza del giudizio di accertamento della sussistenza del diritto all’equo premio, al canone o al prezzo, ma, in tal caso, l’esecutività della sua decisione è subordinata a quella della sentenza sull’accertamento del diritto. Il collegio degli arbitratori deve procedere con equo apprezzamento. Se la determinazione è manifestamente iniqua od erronea la determinazione è fatta dal giudice.

In conclusione, in assenza di una normativa consolidata a riguardo e specificamente esaustiva, costituito soprattutto da rinvii alle legislazioni speciali, non mancano problematiche applicative e di coordinamento con le regole generali. Se è vero che sia la dottrina che la giurisprudenza sono intervenuti a formulare delle soluzioni in merito, è auspicabile in ogni modo, una valutazione ponderata da parte degli operatori e degli interpreti.

Lili Liu, studentessa di Giurisprudenza presso l’Università di Trieste.

Alte professionalità

Ricercatori e quadri: lavoratori della conoscenza e alte professionalità

Sempre più frequentemente, in un contesto di lavoro in trasformazione, si riflette sull’allontanamento del paradigma produttivo dall’impianto concettuale giuslavoristico classico, basato sul lavoro manuale e ripetitivo, in favore della crescente rilevanza di professioni basate sulla conoscenza e caratterizzate da un alto valore aggiunto di tipo immateriale.

Il tema dell’emersione del lavoro basato sulla conoscenza, sulle capacità relazionali, organizzative e di coordinamento, è una questione risalente che ha trovato la prima espressione storica e sindacale nel ben noto processo che ha condotto al riconoscimento legale della categoria dei quadri.

Una vicenda analoga nelle premesse, ma che ha avuto sviluppi completamente diversi, è quella del lavoro di ricerca: la professione che, forse più di tutte, si nutre di conoscenza e produce conoscenza,  la più lontana dal lavoro mansionistico a cui è ispirato l’impianto normativo degli anni ’70 del secolo scorso. I ricercatori non hanno mai esercitato un’azione collettiva, paragonabile a quella dei quadri, che potesse culminare nel riconoscimento della professione; eppure, oggi, l’universo dei ricercatori pone, all’interprete e allo studioso di lavoro e di organizzazione, tematiche che sono, almeno in parte, assimilabili a quelle già sollevate dai quadri.

Entrambe le professioni sopra indicate, adottando la prospettiva che proviene dagli studi di organizzazione, possono essere ricondotte alla tipologia dei “lavori della conoscenza” secondo il significato dell’espressione dato da Peter Drucker[1]: lavoratori altamente qualificati, che svolgono un lavoro non manuale, volto alla produzione di output tendenzialmente intangibili.

Questi lavoratori sono stati definiti come «coloro che producono conoscenza nuova a mezzo di conoscenza, accrescendone il valore sociale (offrendo un servizio), il valore economico (creando reddito e patrimonio) e il valore intrinseco e diffusivo (che non è appropriabile e che non è una merce): ossia producono conoscenze a mezzo di conoscenze[2]».

La categoria dei “lavoratori della conoscenza” comprende artisti, scienziati, ricercatori e insegnanti, membri delle professioni ordinistiche, consulenti, persone che svolgono funzioni di governance in istituzioni ed enti pubblici e privati, imprenditori e figure manageriali intermedie; tutti, rispetto al passato, esprimono la propria professionalità non tanto nell’esercizio del ruolo di comando, quanto, piuttosto, nell’attività di immissione di conoscenze ed esperienze nelle strutture operative, di coordinamento e di garanzia del raggiungimento di risultati. Ad eccezione delle professioni ordinistiche, svolte in regime di libera professione, tutte queste occupazioni si esercitano nelle organizzazioni[3].

Nonostante i frequenti riconoscimenti formali circa l’importanza della conoscenza e del sapere per la crescita economica e per la qualità sociale di un Paese, queste professioni condividono, nella propria espressione quotidiana concreta, la necessità di fronteggiare ostacoli e difficoltà di non poco momento.

Tendenzialmente, si tratta di professioni poco definite, difficilmente riconoscibili dall’esterno e scarsamente rappresentate, con i relativi effetti in termini di deficit di tutela.

La natura immateriale dell’output rende l’attività difficilmente comprensibile da parte di chi non faccia parte del settore[4] e questo, a livello gestionale, si traduce nella difficoltà di promuovere e misurare la prestazione; inoltre, sono professioni articolate in processi complessi, che richiedono la sinergia di una pluralità di attori: dunque, il risultato finale è solitamente l’esito di una pluralità di sforzi coordinati.

Gli studiosi[5] ascrivono alle professioni della conoscenza altri due fattori critici e cioè la circostanza che spesso sono svolte da persone insufficientemente formate e che sono caratterizzate da un alto grado di instabilità occupazionale. Rispetto alle professioni oggetto di indagine in questa sede, occorre operare qualche distinguo: il tema dell’insufficiente formazione non sembra porsi rispetto ad alcuna delle due categorie esaminate; quello dell’instabilità occupazionale caratterizza principalmente i ricercatori, mentre, rispetto ai quadri risulta difficile generalizzare.

Inoltre, la scarsa riconoscibilità del lavoro svolto, tendenzialmente, ostacola la formazione dell’identità professionale dei lavoratori. Per quanto riguarda il lavoro di ricerca, la questione si pone in termini peculiari: la professione dei ricercatori è tra le meno conosciute e comprese sul piano della percezione sociale e istituzionale, eppure i lavoratori di questo settore traggono fortemente la propria identità professionale dal senso di appartenenza alla comunità scientifica di riferimento. Il fatto di essere altamente specializzati, in un dominio circoscritto e ben definito del sapere scientifico, distingue nettamente i ricercatori e gli scienziati da tutti gli altri lavoratori della conoscenza e li pone a metà strada tra questi ultimi e i professionisti specialisti.

Infine, la preponderante componente specialistica della professione caratterizza anche la natura dell’attività svolta: generalmente, i lavoratori della conoscenza, e in particolare i quadri, svolgono attività basate sulla comunicazione, sul coordinamento di risorse umane e materiali, sulla capacità di impostare progetti e piani di lavoro, di farli rispettare, di curare l’aspetto relazionale e interpersonale dell’ambiente lavorativo. Questo per i ricercatori, invece, diventa vero soltanto quando essi arrivano a ricoprire posizioni di coordinamento, di strutture e/o di laboratori, e spesso, quando ciò accade, ridimensionano la propria attività di scienziati.

Una volta individuate le analogie e tracciate le distinzioni, si può proporre qualche spunto di riflessione in tema di emersione e riconoscimento della professione: il passaggio più critico, si ritiene, è il corretto inserimento di queste professionalità nella propria sede naturale di espressione, cioè le organizzazioni.

Il passaggio risulta difficoltoso perché, sebbene le organizzazioni abbiano bisogno di avvalersi delle potenzialità di queste risorse, non sempre riescono a valorizzarle in quanto dispongono principalmente di strumenti organizzativi e giuridici ispirati ad un tipo di lavoro parcellizzabile, misurabile nel risultato e pienamente controllabile dal datore di lavoro, e quindi poco adatto alla gestione del lavoro della conoscenza. Costituiscono un esempio di questa situazione sia i sistemi di inquadramento tradizionali, analitici e tendenzialmente rigidi dei contratti collettivi nazionali più applicati, sia il quasi esclusivo utilizzo del fattore temporale per la determinazione quantitativa della retribuzione, o, ancora, la rigida struttura gerarchica e la descrizione statica delle mansioni.

Da questo punto di vista, per far emergere le alte professionalità, con particolare riferimento alle professioni in analisi, si potrebbe prendere le mosse da una ricostruzione innovativa della categoria dei quadri. Proprio partendo dalla scarsità di informazioni che la legge 190/1985 ci consegna sulle caratteristiche della categoria[6], la si può interpretare in un’accezione più adatta alle nuove esigenze organizzative. Dalla disposizione di legge, infatti, l’interprete desume soltanto che il Quadro è colui che svolge “funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli obiettivi dell’impresa” e che la contrattazione collettiva determina i requisiti di appartenenza alla categoria, “in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare struttura organizzativa dell’impresa”. La legge, inoltre, nulla dice su quali debbano essere le funzioni con rilevante importanza ai fini della realizzazione degli obiettivi aziendali, cioè le funzioni strategiche.

La storia ci tramanda una figura del Quadro ben definita, rispetto ad alcune caratteristiche, dal momento che

l’identità originaria della classe di lavoratori autrice della propulsione da cui è derivato il riconoscimento è stata quella dei “capi intermedi”, nel senso di figure di raccordo e coordinamento tra il vertice dell’organizzazione, cioè i dirigenti, e la base, cioè gli impiegati e gli operai. Questo carattere originario è stato recepito nella quasi totalità dei contratti collettivi ed è ormai connaturato alla percezione sociale della figura del quadro. Tuttavia, non si tratta di una situazione immutabile né, soprattutto, esclusiva; anche alla luce della parziale valorizzazione conseguita negli anni da questi lavoratori, si potrebbe sfruttare la potenzialità delle parti sociali di adattare gli istituti tipici della contrattazione alle trasformazioni che intervengono nelle relazioni lavoristiche, definendo in maniera diversa, e più ampia, l’ambito di appartenenza della categoria dei quadri.

Si potrebbe, allora, esplorare la nozione, in sé polivalente, di “funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli obiettivi dell’impresa”, scindendone il legame, apparentemente indissolubile, con la funzione di coordinamento e direzione di altri dipendenti sotto ordinati gerarchicamente; parallelamente, dovrebbe essere arricchita con contenuti specialistici e con quelle che sono oggi, e forse saranno in futuro, le funzioni strategiche per le attività produttive, sulla base delle specificità di queste ultime. Se si aderisse a questa prospettiva, gran parte dei professionisti della conoscenza, e segnatamente, per quello che ci più interessa, i ricercatori, entrerebbe a far parte a pieno titolo della categoria dei quadri. Infatti, in un contesto come quello attuale, in cui l’innovazione tecnologica e lo sviluppo sperimentale stanno diventando sempre più essenziali per la gestione e per la sopravvivenza del mondo produttivo che conosciamo, quali funzioni possono essere ritenute più strategiche di quelle relative alla ricerca e sviluppo?

Una siffatta lettura della categoria consentirebbe di valorizzare le specificità delle diverse realtà produttive e di gestire le risorse umane in maniera funzionale agli obiettivi che si vogliono conseguire: diverse professioni, a seconda dei contesti e delle priorità aziendali, sarebbero qualificate come strategiche e diversi professionisti verrebbero qualificati come quadri. Questo, senza voler sminuire il valore ancora importante della figura del “quadro direttivo”, consentirebbe anche di rivitalizzare una categoria che probabilmente ha risentito del mancato aggiornamento della propria fisionomia tradizionale, rischiando di diventare obsoleta pur possedendo importanti potenzialità.

Autore

Laura Angeletti

Laurea Magistrale con lode in Giurisprudenza presso l’Università di Pisa, il 12 dicembre 2016, con una tesi in diritto del lavoro (Relatore Prof. Pasqualino Albi)

Diploma di Allievo Ordinario in Scienze Giuridiche, con lode, presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, il 20 febbraio 2017, con una tesi in diritto sindacale (Relatore Prof. A. Niccolai)

Attualmente: corso di dottorato industriale in diritto del lavoro e delle relazioni industriali in collaborazione con ADAPT (Associazione per gli studi internazionali e comparati in materia di lavoro e relazioni industriali) presso l’Università degli studi di Bergamo, con una tesi di sul riconoscimento giuridico e contrattuale del lavoro di ricerca non accademico.

Internship aziendale, nell’ambito del dottorato industriale, presso la Ripartizione Organizzazione e Risorse Umane della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige (attività di ricerca sul campo per la stesura della tesi e supporto legale alle attività della Ripartizione).

Pratica forense presso lo studio legale Albi  di Pisa e lo studio legale Molinari – Fraccaro di Trento.

Esperienze di ricerca svolte presso Università europee (visiting student):

29 Luglio – 16 Agosto 2013 – London School of Economics and Political Sciences (Londra)

Summer School: Introduction to International Human Rights: Theory, Law and Practice

Marzo – Aprile 2014 École Normale Supérieure de Paris (Parigi)

Diritto della Concorrenza dell’Unione Europea

Marzo – Aprile 2015; ottobre – novembre 2016 – Universidad de Castilla La Mancha (Toledo)

Diritto del Lavoro (stesura della tesi di laurea)

Tirocini:

Settembre – Dicembre 2015

Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite (New York City, NY)

Periodo di tirocinio presso l’ufficio della Rappresentanza Permanente d’Italia all’Organizzazione delle Nazioni Unite: collaborazione all’organizzazione della settantesima sessione dell’Assemblea Generale (UNGA70) e alle attività della Terza Commissione (Human Rights).

Pubblicazioni:

L. ANGELETTI, Ricerca ed innovazione responsabile in Italia. Accordo AIRI-CNR per la RRI, in Bollettino ADAPT 15 luglio 2019, n. 27

L. ANGELETTI, Trasferimento tecnologico in Italia: qualcosa si muove, in Bollettino ADAPT, 26 marzo 2018

L. ANGELETTI, Insussistenza del fatto e licenziamento: una rassegna ragionata, in Diritto delle Relazioni Industriali, 3/2018

L. ANGELETTI, R. BERLESE, V. GUGLIOTTA, Introduzione a”Il lavoro 4.0. La Quarta Rivoluzione industriale e le trasformazioni delle attività lavorative“, a cura di A. CIPRIANI, A. GRAMOLATI, G. MARI, Firenze University Press, 2018

L. ANGELETTI, Obbligo formativo nell’esercizio dello ius variandi datoriale. Una nuova nozione di “equivalenza delle mansioni”?  in BollettinoAdapt, 22 gennaio 2018

L. ANGELETTI, Nota a Trib. Roma, sez. Lav., 1 dicembre 2015, Trattamenti economici accessori tra contratti collettivi e giurisprudenza, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 2/2016

L. ANGELETTI, Nota a Cass. Civ., Sez. III, 3 gennaio 2014, n. 41, Responsabilità civile del magistrato: cenni ricostruttivi di un complicato rapporto con l’azione penale, da un lato e con la responsabilità dello Stato, dall’altro in Danno e Responsabilità, 4/2014

L. ANGELETTI, Nota a Cass. Civ., Sez. III, 28 gennaio 2014, n. 1762, ll danno esistenziale a cinque anni dalle Sentenze di San Martino: il dibattito sui nomina juris, in Rivista Italiana di Medicina Legale, 4/2014

L. ANGELETTI, Appunti di comparazione tra la legislazione sull’immigrazione italiana e quella britannica. Trattamento riservato ai richiedenti asilo provenienti da ex-colonie del paese che riceve la domanda: sono previste misure particolari? in F. Biondi dal Monte e M. Melillo (a cura di), Diritto di asilo e protezione internazionale: storie di migranti in Toscana, Pisa University Press, Pisa, 2014

L. ANGELETTI, Nota redazionale a Cassazione Civile, Sez. III, 28 febbraio 2013, n. 22585, in collaborazione con l’Osservatorio sul danno alla persona – Lider Lab – Scuola Superiore Sant’Anna, in Rivista Italiana di Medicina Legale, 1/2014


[1] F. BUTERA, S. DI GUARDO, Il modello di analisi e progettazione del lavoro della conoscenza, Fondazione Irso Working Paper, 1/2009

[2]F. BUTERA, S. BAGNARA, R. CESARIA, S. DI GUARDO, Knowledge Working. Lavoro, lavoratori, società della conoscenza, Milano, Mondadori Università, 2008

[3] F. BUTERA, A. FAILLA, Professionisti in azienda, Milano, ETAS LIBRI, 1992

[4] F. BUTERA, S. DI GUARDO, Il modello di analisi e progettazione del lavoro della conoscenza, Fondazione Irso Working Paper, 1/2009: “se ci sediamo accanto a un ricercatore o ad un manager, spesso non capiamo quello che fa, qual è il suo outpunt, se sta ripetendo una procedura o sta generando nuova conoscenza”, p. 6

[5]

[6] A. GARILLI, Le categorie dei prestatori di lavoro, Jovene, 1988, p. 253