Alte professionalità

Concorsi su misura per le alte professionalità nelle Pubbliche Amministrazioni. Si apre un ingresso speciale per i quadri?

Si appresta un periodo ricco di assunzioni nell’ambito delle pubbliche amministrazioni soprattutto ai livelli più alti di specializzazione e professionalità.

E’ prevista e programmata per la gran parte l’assunzione di personale con specifiche ed elevate professionalità per quella che dovrebbe essere la pubblica amministrazione che darà luogo alla ripresa del nostro paese, cessata la pandemia.

Le nuove regole sono contenute nel DL 44/2021 che in parte innova alle regole concorsuali contenute nel DPR 487/1994.

In pratica le prove scritte sono ridotte ad una cui si accompagnerà una prova scritta.

Viene istituzionalizzato l’uso dei mezzi informatici nell’ambito di tutte le prove.

E’ stabilito che acquistano peso nella selezione preliminare, ma anche nella valutazione finale i titoli legalmente riconosciuti e le esperienze maturate e riconosciute.

E’ prevista infatti che per i profili qualificati dalle amministrazioni, in sede di bando come ad elevata specializzazione tecnica, una fase di valutazione dei titoli legalmente riconosciuti e strettamente correlati alla natura e alle caratteristiche delle posizioni bandite, ai fini dell’ammissione a successive fasi concorsuali.

E’ inoltre previsto che detti titoli e l’eventuale esperienza professionale maturata, inclusi i titoli di servizio, possono concorrere, in misura non superiore ad un terzo, alla formazione del punteggio finale.

La norma sul punto riprende e rafforza quanto già in proposito previsto dalla legge 56/2019 all’articolo 6. (legge concretezza).

La nuova disposizione convertita nella legge 74/2021 tende ad ampliare l’ambito concorsuale oltre le basi nozionistiche della prova scritta per introdurvi una valutazione molto più ampia della professionalità che avvicina in qualche modo il concorso pubblico alla selezione svolta dalle imprese.

In fase di conversione del provvedimento, sono state avanzate numerose critiche al peso conferito in sede di valutazione ai titoli legalmente riconosciuti ed a quelli professionali, in quanto in molti hanno ritenuto che in questo modo, sarebbero stati penalizzati i più giovani che difficilmente possiedono simili referenze.

Quindi in fase di conversione è stato nuovamente introdotto il limite del peso di un terzo per questi requisiti limite già previsto nel DPR 487/1994.

In sostanza è stata introdotta una procedura concorsuale finalizzata all’assunzione delle professionalità più elevate nell’ambito delle Pubbliche Amministrazioni.

Stante la complessità delle procedure concorsuali spesso foriere di defatiganti contenziosi, alcuni punti della normativa andrebbero chiariti.

In primo luogo, si vuol capire se trattasi di una procedura opzionale come appariva nel decreto prima della conversione, oppure di una disposizione cogente.

Propenderei per la prima ipotesi, dal momento che le disposizioni facoltative della legge sono espressamente indicate come tali.

Inoltre se, la valutazione dei titoli in sede preliminare pare riservata alle professionalità specifiche ed elevate indicate nel bando, tale precisazione non è affatto estesa alla valutazione finale di titoli ed esperienze contenuti nella misura di un terzo nell’ambito della valutazione finale.

Il punto maggiormente interessante per chi chiede una valorizzazione della categoria dei quadri nella pubblica amministrazione è dato dalla creazione di specifiche norme per l’assunzione di questi ultimi.

Ci si augura che si apra così la strada ad un riconoscimento della categoria nell’ambito delle pubbliche amministrazioni.

Fabio Petracci.

Il contratto a termine stagionale. Vantaggi ed ammissibilità.

Il DLGS 81/2015 dopo le modifiche apportate dal C.D. decreto dignità DL 87/2018 impone limiti alquanto ristretti alla stipula di contratti a termine.

Interviene infatti l’articolo 19 del DLGS 81/2015 come novellato dal DL 87/2018 il quale impone stringenti limiti di forma e di sostanza per la stipula di contratti a termine della durata superiore a 12 mesi.

La norma conosce una eccezione mediante la previsione di attività stagionali con un rinvio al successivo articolo 21 comma 2  il quale prevede i requisiti di legge necessari per le proroghe e stabilisce contestualmente come i contratti per attività stagionali dette limitazioni non trovino applicazione.

Ciò significa in concreto che il termine massimo di ventiquattro mesi introdotto dal DL n.87/2018 non trova applicazione per i contratti stagionali.

Non interessano i contratti stagionali neppure i limiti percentuali.

Non trovano neppure applicazione le norme in tema di pause tra un contratto e l’altro, né i limiti sulle proroghe a meno che introdotti dalla contrattazione collettiva.

­A questo punto, le parti sociali si sono prodotte nella ricerca dei più ampli spazi dove individuare le attività stagionali.

Sul punto, il DLGS 81/2015 all’articolo 51 delega alla contrattazione collettiva anche aziendale anche l’individuazione dei contratti stagionali oltre che ad un decreto ministeriale. Ad oggi l’unico decreto in materia è dato dal DPR 1525/1963 le cui definizioni appaiono alquanto datate.

Si poneva quindi l’interrogativo se tale datato DPR risalente al 1963 sia l’unico definitore delle attività stagionali o se esso vi concorre assieme alla contrattazione collettiva e ciò anche dopo l’emanazione del nuovo provvedimento definitorio indicato dalla legge.

Sul punto è intervenuta una recente nota protocollo n.1733 del 10 marzo 2021 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro che fornisce interessanti chiarimenti.

Il provvedimento conferma come le deroghe alla disciplina del contratto a termine stabilite per le attività stagionali dagli artt. 19 e ss. del DLGS n. 81/2015 trovano applicazione anche in riferimento alle ipotesi di stagionalità individuate dal CCNL di settore.

Lo stesso provvedimento ammette la possibilità di concludere contratti a tempo indeterminato per le imprese turistiche che abbiano, nell’anno solare, un periodo di inattività non inferiore a settanta giorni continuativi o a centoventi giorni non continuativi ai sensi del D.P.R. n. 1525/1963.

Ritiene l’organo ispettivo del Ministero del Lavoro come il richiamo ai decreti che individuano le attività stagionali vada ad integrarsi con le disposizioni della contrattazione collettiva.

Va ricordato in proposito, come spesso la contrattazione collettiva abbia utilizzato un concetto molto lato di definizione della stagionalità comprendendo anche imprese che operano nel corso dell’intero a’no e che comunque si trovano ad affrontare improvvisi incrementi di produttività ( vedasi in proposito l’avviso comune sulla stagionalità firmato da CGIL, CISL,UIL, nel settore alberghiero).

Fabio Petracci.

Alte professionalità

Il patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale. L’istituzione della categoria dei quadri nella Pubblica Amministrazione, un passaggio necessario.

In data 10 marzo 2021 il Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi assieme al Ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta hanno stipulato con la Confederazione Generale Italiana del lavoro, la Confederazione italiana sindacati dei lavoratori e l’Unione italiana del lavoro un patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale.

Nel dettaglio, il Ministero della Pubblica Amministrazione intenderebbe avviare una nuova stagione di relazioni sindacali che punti sul confronto con le organizzazioni delle lavoratrici e dei lavoratori per centrare obiettivi ambiziosi.

In tale ambito, il rilancio della PA dev’essere costruito investendo sulle risorse umane e sul giusto riconoscimento di chi lavora con merito al servizio dello Stato e della PA.

La costruzione della nuova PA deve inoltre fondarsi innanzitutto sull’ingresso di nuove generazioni di lavoratrici e lavoratori e su un’azione di modernizzazione costante, efficace e continua anche in considerazione di una transizione verso l’innovazione e la sostenibilità di tutte le attività della PA.

Inoltre, la formazione del personale dovrà assumere ruolo centrale e ogni dipendente dovrà essere titolare di un diritto/dovere soggettivo alla formazione.

Di particolare interesse per la categoria dei quadri, appare il prospettato adeguamento della disciplina contrattuale ai fabbisogni di nuove professionalità e competenze in relazione ai cambiamenti organizzativi dell’innovazione digitale.

In particolare è emersa la necessità della rivisitazione dell’ordinamento professionale e della conseguente valorizzazione di specifiche professionalità non dirigenziali dotate di competenze e conoscenze specialistiche ed in grado di assumere specifiche responsabilità organizzative e professionali.

Si tratta, ad avviso di chi scrive, di un passaggio molto delicato per la contrattazione collettiva, che difficilmente rinuncerà al trattamento uniforme ed indifferenziato delle aree non dirigenziali e che ha già visto l’accesa contrarietà del sindacato all’introduzione della vice dirigenza.

E’ probabile che in tale contesto possa inserirsi un supporto legislativo a tale progetto cui CIU Unionquadri potrebbe offrire il suo contributo.

L’articolo 40 comma 2 del DLGS 165/2001 che costituisce il testo unico del Pubblico Impiego prevede nell’ambito della contrattazione collettiva apposita disciplina per le figure professionali che “che in posizione di elevata responsabilità svolgono compiti di direzione” e che, sempre in tale posizione, svolgono compiti che “comportano iscrizione ad albi oppure tecnico-scientifici e di ricerca”. Ad oggi l’articolo 40  comma 2 del DLGS 165/2001 non ha trovato attuazione, in nome di un voluto appiattimento delle posizioni professionali che ha prodotto gli evidenti risultati che abbiamo davanti e cui il Governo si accinge a porre rimedio.

La legge 145 /2002 (Legge Frattini) istituiva mediante l’articolo 17 bis la vice dirigenza la cui attuazione era poi affidata alla contrattazione collettiva di comparto.

Un tanto però non avveniva e dopo alterne vicissitudini giudiziarie che vedevano anche l’intervento della Corte Costituzionale, l’articolo 17 bis era abrogato.

Va ricordato inoltre che nel 2001, il Parlamento Europeo – Ufficio Petizioni, dopo l’audizione del sindacato DIRSTAT a Bruxelles aveva ritenuto il governo e il parlamento italiano inadempienti perché dopo la cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego non aveva istituito un’area quadri per il personale ex direttivo relegandolo nei livelli funzionali

Già con  la legge 124/2015, erano poste le basi per la riforma della dirigenza (legge Madia).

Non seguiva però nei tempi debiti la legge di attuazione e quindi ad oggi, la riforma è ancora in totale attesa di attuazione.

Per completezza si riportano di seguito gli specifici punti concordati da Governo e confederazioni sindacali:

  1. I rinnovi contrattuali relativi al triennio 2019-2021, salvaguarderanno l’elemento perequativo della retribuzione già previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro relativi al triennio 2016-2018, il quale confluirà nella retribuzione fondamentale cessando di essere corrisposto quale elemento distinto della retribuzione, nonché attueranno la revisione dei sistemi di classificazione di cui al punto 3, attraverso lo stanziamento di risorse aggiuntive nella legge di bilancio 2022 .
    Al fine di sviluppare la contrattazione collettiva integrativa il Governo, previo confronto, individuerà le misure legislative utili a valorizzare il ruolo della contrattazione decentrata e, in particolare, al superamento dei limiti di cui all’art. 23, comma 2, del d.Lgs. 75/2017.
    Il Governo, sulla base di questi impegni, emanerà, in tempi brevi, gli atti di indirizzo di propria competenza per il riavvio della stagione contrattuale sia ai fini della stipulazione del contratto collettivo nazionale quadro sui comparti e aree di contrattazione collettiva, che con riferimento ai singoli comparti e aree, nonché a sollecitare i Comitati di settore per quanto di competenza.
     
  2. Con riferimento alle prestazioni svolte a distanza (lavoro agile), occorrerà porsi nell’ottica del superamento della gestione emergenziale, mediante la definizione, nei futuri contratti collettivi nazionali, di una disciplina che garantisca condizioni di lavoro trasparenti, che favorisca la produttività e l’orientamento ai risultati, concili le esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori con le esigenze organizzative delle Pubbliche Amministrazioni, consentendo, ad un tempo, il miglioramento dei servizi pubblici e dell’equilibrio fra vita professionale e vita privata.
    Nell’ambito dei contratti collettivi nazionali di lavoro del triennio 2019-21, saranno quindi disciplinati, in relazione al lavoro svolto a distanza (lavoro agile), aspetti di tutela dei diritti sindacali, delle relazioni sindacali e del rapporto di lavoro (quali il diritto alla disconnessione, le fasce di contattabilità, il diritto alla formazione specifica, il diritto alla protezione dei dati personali, il regime dei permessi e delle assenze ed ogni altro istituto del rapporto di lavoro e previsione contrattuale).
     
  3. Alla luce dei lavori delle commissioni paritetiche sulla revisione dei sistemi di classificazione professionale costituite in sede Aran, attraverso i contratti collettivi del triennio 2019-21 si procederà alla successiva rivisitazione, ricorrendo a risorse aggiuntive, nell’ambito dei principi costituzionali e delle norme di legge in tema di accesso e di progressione di carriera, degli ordinamenti professionali del personale, adeguando la disciplina contrattuale ai fabbisogni di nuove professionalità e competenze richieste dai cambiamenti organizzativi e dall’innovazione digitale e alle esigenze di valorizzazione delle capacità concretamente dimostrate.
    Corollario della rivisitazione dell’ordinamento professionale è anche la necessità della valorizzazione di specifiche professionalità non dirigenziali dotate di   competenze e conoscenze specialistiche, nonché in grado di assumere specifiche responsabilità organizzative e professionali.
    Le parti stipulanti condividono comunque la necessità di implementare ed estendere il sistema degli incarichi come altre innovazioni del sistema anche per valorizzare e riconoscere competenze acquisite negli anni, anche attraverso specifiche modifiche legislative.
     
  4. La formazione e la riqualificazione del personale deve assumere centralità quale diritto soggettivo del dipendente pubblico e rango di investimento organizzativo necessario e variabile strategica non assimilabile a mera voce di costo nell’ambito delle politiche relative al lavoro pubblico. In particolare va ribadito che le attività di apprendimento e di formazione devono essere considerate a ogni effetto come attività lavorative.
    Si assume, quindi, l’impegno a definire, previo confronto, politiche formative di ampio respiro in grado di rispondere alle mutate esigenze delle Amministrazioni Pubbliche, garantendo percorsi formativi specifici a tutto il personale con particolare riferimento al miglioramento delle competenze informatiche e digitali e di specifiche competenze avanzate di carattere professionale.
     
  5. In applicazione dell’accordo europeo con le parti sociali del 21 dicembre 2015, recante il “Quadro generale sulla informazione e consultazione dei funzionari pubblici dei dipendenti delle amministrazioni dei governi centrali”, nell’ambito dei nuovi contratti collettivi, alla luce degli effetti delle nuove discipline in materia di relazioni sindacali già previste nei contratti del triennio 2016-2018 per tutte le aree e i comparti di contrattazione collettiva, saranno adeguati i sistemi di partecipazione sindacale, favorendo processi di dialogo costante fra le parti, valorizzando strumenti innovativi di partecipazione organizzativa, a partire dagli OPI, che implementino l’attuale sistema di relazioni sindacali sia sul fronte dell’innovazione che su quello della sicurezza sul lavoro.
     
  6. Le parti concordano inoltre sulla necessità di implementare gli istituti di welfare contrattuale, anche con riguardo al sostegno alla genitorialità con misure che integrino e implementino le prestazioni pubbliche, le forme di previdenza complementare e i sistemi di premialità diretti al miglioramento dei servizi, estendendo anche ai comparti del pubblico impiego le agevolazioni fiscali previste per i settori privati a tali fini.

Fabio Petracci

Alberto Tarlao

RELAZIONE ATTIVITA’AD OGGI CENTRO STUDI CORRADO ROSSITTO

Oggetto: Relazione attività del Centro Studi Corrado Rossitto

Con la presente il sottoscritto Presidente relaziona brevemente l’Assemblea in merito alle attività svolta dall’Associazione Centro Studi Corrado Rossitto. Preliminarmente, occorre ricordare come il Centro Studi Corrado Rossitto sia un’associazione culturale non riconosciuta che opera in piena sinergia con CIU – Unionquadri (Confederazione Italiana di Unione delle professioni intellettuali), per affrontare il tema generale delle Alte Professionalità, nell’ottica di una maggiore valorizzazione della categoria dei Quadri, e, con le dovute differenziazioni, dei Ricercatori e dei Professionisti dipendenti.

L’11 marzo 2016 il Centro Studi organizzava, assieme ad AGI – Avvocati Giuslavoristi Italiani Sezione FVG e CIU, un interessante incontro di studio dal titolo “I Decreti attuativi al Jobs Act: l’invisibile confine tra lavoro autonomo e lavoro subordinato. Tutele ai lavoratori autonomi e professionisti – Novità al rapporto di lavoro subordinato – Il lavoro agile”.

Quindi, a seguito delle rilevanti novità pensionistiche che la legge di Bilancio avrebbe introdotto, il Centro Studi procedeva ad organizzare un Master Breve in materia di Diritto Previdenziale e Pensionistico, con importanti relatori da tutta Italia strutturato in due giornate intere di approfondimenti: il 25.11.2016 ed il 02.12.2016. L’evento si svolgeva a San Vito al Tagliamento ed era organizzato con la collaborazione di AGI FVG, CIU e del Patronato ENASC.

            Nel corso del 2017, assieme alla CIU, il Centro Studi ha collaborato alla realizzazione del Forum “Un contratto tipo per i Quadri e le Alte Professionalità, Ricercatori e Professionisti dipendenti”, tenutosi il 31.3.2017 presso il CNEL. In particolare, il Centro Studi ha stretto rapporti di confronto e collaborazione con l’Associazione ADAPT e la Fondazione Edmund Mach di Trento, approfondendo le tematiche relative alle alte professionalità e dei ricercatori.

            Il Centro Studi ha quindi provveduto a redigere un importante contributo di aggiornamento della disciplina legale con riferimento anche alla categoria dei ricercatori delle aziende private, proponendo un Contratto-tipo per i quadri e le alte professionalità intellettuali.

            Quindi, nell’ottobre 2017, il Contratto-tipo era presentato in Milano nel corso dell’incontro “Quadri ed Alte professionalità tra autonomia e subordinazione”, con il Patrocinio della Regione Lombardia.

            Nel 2018, il Centro Studi ha preso contatti e quindi organizzato, assieme a CIU, l’importante evento tenutosi il 9 novembre 2018 a Napoli, su “Quadri e Vicedirigenti nel Pubblico Impiego nelle prospettive di una riforma”, con la partecipazione del Gilda Unams.

            Nel 2019, al fine di potenziare la diffusione dei contributi di commento alla normativa, di segnalazione delle novità giurisprudenziali e gli approfondimenti su tematiche di interesse, il Centro Studi si è dotato di apposito sito internet, www.centrostudirossitto.it

            Sempre nel 2019 il Centro Studi, ha presentato in Roma presso la sede CIU il Manuale “Previdenza sociale e lavoro – il nuovo sistema pensionistico: tutele e contenzioso” in ragione della rilevante riforma pensionistica introdotta dal D.L. n. 4/2019.

            Nel frattempo, il Centro Studi ha iniziato a prestare assistenza nelle trattative sindacali di rinnovo del Contratto Aziendale per i Quadri della società TPER di Bologna.

            Nel 2020, in ragione dell’emergenza epidemiologica derivante dalla diffusione pandemica del COVID-19, il Centro Studi ha predisposto sul proprio Sito internet un’apposita pagina “SOS quadri” per offrire una consulenza telefonica ai quadri del lavoro pubblico o privato che avessero problemi sul posto di lavoro, allo scopo di offrire un contributo concreto per risolvere i problemi delle alte professionalità.

            Lo sportello “SOS quadri” è presente anche su Facebook (https://www.facebook.com/sos.quadri/), ove è stata creata la relativa pagina al fine di garantire adeguata pubblicità e diffusione all’iniziativa.

            Da ultimo, considerato che nel corso dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 si è registrato un massiccio ricorso allo svolgimento delle prestazioni oggetto del contratto di lavoro con la modalità del c.d. lavoro agile “emergenziale”, il Centro Studi Corrado Rossitto sta procedendo a svolgere un sondaggio in merito allo svolgimento delle prestazioni di lavoro agile emergenziale, al fine di far emergere con chiarezza pregi e difetti di tale modalità.

Il Presidente avv. Fabio Petracci

Coronavirus

CORONAVIRUS – COVID 19 e rischi penali del datore di lavoro.

E’ insistente ed attuale la polemica che paventa una responsabilità penale del datore di lavoro, qualora il dipendente contragga sul posto di lavoro il contagio da COVID 19.

Alla base della discussione, troviamo l’articolo 42 comma 2 del DL 18/2020 che introduce questa particolare forma di contagio tra gli infortuni sul lavoro coperti dall’assicurazione INAIL.

La definizione di infortunio sul lavoro che ne dà la legge non rispetta la tradizionale differenza tra infortunio sul lavoro e malattia professionale.

Si ritiene infatti nell’ambito della medicina legale come l’infortunio sul lavoro sia un evento traumatico e repentino che causa un problema di salute al lavoratore, nel mentre la malattia professionale consiste in una patologia connessa alle condizioni di lavoro.

Nel caso di specie, le condizioni di lavoro sono date dal contatto con il virus determinato dalla tipologia del lavoro.

Possiamo avere un contatto tipico e specifico, come nel caso del personale sanitario di qualsiasi qualifica e specie e del personale di soccorso e controllo delle disposizioni sanitarie, come pure un’esposizione che potremmo definire generica di chi è costretto a lavorare con il pubblico nell’ambito di una pandemia.

La malattia può avere una durata relativamente breve e comportare la definitiva guarigione, può comportare delle conseguenze talora permanenti o l’esito infausto del decesso.

La particolarità della pandemia.

Le cause e le circostanze materiali che determinano il contagio sono solo parzialmente acclarate, come pure i mezzi ed i dispositivi per prevenire il contagio.

Infortunio o più propriamente malattia contratta nell’ambito della prestazione, all’INAIL compete il relativo trattamento che può essere il pagamento delle giornate di assenza e le relative cure, come pure il risarcimento di danni permanenti o addirittura il danno e l’indennizzo  da decesso.

La responsabilità civile del datore di lavoro.

Accanto all’INAIL sussiste pur sempre la responsabilità del datore di lavoro per il danno differenziale e gli ulteriori pregiudizi alla salute, oltre ai danni di natura non patrimoniale.

Sino a qui anche se abbiamo citato una norma di legge che prima non c’era e legata all’emergenza, la situazione appare normale.

Si pone invece la difficoltà interpretativa e l’originalità della stessa di fronte ad uno scenario scientifico e di prevenzione in piena evoluzione e denso ancora di incertezze.

Quindi se i virologi non sono ancora in grado unanimemente di consigliarci senza ombra di dubbio l’uso della mascherina, al datore di lavoro ed intendiamo qui il datore di lavoro onesto e diligente, è affidato il compito più gravoso di individuare cause e mezzi protettivi, laddove i dubbi non sono ancora chiariti.

In primo luogo, incombe sul datore di lavoro una responsabilità civile come parte contrattuale.

Egli, in base all’articolo 2087 del codice civile è obbligato a garantire ai propri prestatori di lavoro, il massimo possibile della sicurezza.

Essendo il rapporto di lavoro a tutti gli effetti un contratto, egli deve garantire tale adempimento e provare, qualora citato in causa, di aver fatto tutto il possibile per adempiere a tale obbligo.

In caso contrario, non ci sarà sanzione alcuna in senso tecnico, ma esclusivamente il risarcimento di danni anche cospicui.

La responsabilità penale del datore di lavoro.

Scatta comunque anche la responsabilità penale per lesioni o morte sul lavoro.

Quivi normalmente la responsabilità è dovuta a colpa.

La colpa consiste allorquando si accerti la sua negligenza, imprudenza, inosservanza di leggi e regolamenti, ordine e discipline.

In entrambi i casi sia di responsabilità civile che penale è necessario che la fattispecie di danno possa essere fatta risalire alla condotta accertata attraverso il cosiddetto nesso causale che lega l’evento al rapporto di lavoro.

A differenza della responsabilità civile, la responsabilità penale è esclusivamente personale (articolo 29 Costituzione).

Ciò significa che ne risponde soltanto di persona chi incaricato o delegato di assicurare tutte le cautele imposte.

La responsabilità civile, a differenza di quella penale, poggia su di una norma generale data dall’articolo 2097 del codice civile che non impone soltanto il rispetto di tutte le norme vigenti in materia, ma che come norma di chiusura generale impone al datore di lavoro anche la ricerca e la definizione di ogni cautela nominata ed innominata al fine di garantire salute e benessere ai propri dipendenti.

Su tale base una volta affermata la responsabilità civile del datore di lavoro, la responsabilità penale dovrà conseguire esclusivamente al mancato rispetto di norme a ciò delegate.

In una situazione del tutto inusuale ed anomala, dove la scienza non è ancora in grado di dettare i suoi principi al legislatore, l’ipotesi di responsabilità penale, fatto salvo il caso di violazione delle norme vigenti e l’accertamento del contagio in ambito lavorativo, prova che compete al lavoratore, la responsabilità penale appare abbastanza remota.

Il nesso causale, il contagio deve essere stato contratto sul posto di lavoro o in occasione di lavoro.

Altrettanto difficile sarà per il lavoratore dimostrare di aver contratto il virus sul posto di lavoro.

Egli dovrebbe disporre di una tracciabilità dei contatti, oppure dovrebbe ricorrere ad elementi presuntivi atti a dimostrare la contagiosità del posto di lavoro, come ad esempio l’alta percentuale di contagi in una determinata unità produttiva.

Qualche possibile soluzione.

Un’altra via da percorrere per avere da una parte certezza e dall’altra un incentivo a rispettare le regole, potrebbe essere rinvenibile sulla scorta del “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”.

Non va dimenticato che al fine di garantire l’effettivo rispetto della normativa concordata da sindacati e datori di lavoro al punto 13 è prevista l’esistenza di un apposito Comitato Aziendale per applicare e verificare le regole del protocollo con la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e degli RLS.

Per una maggior certezza, si potrebbe affidare a questi organismi un’apposita attività di certificazione che metta al riparo gli imprenditori seri da rischi penali.

Annullare del tutto l’ipotesi penale potrebbe rappresentare un incentivo al mancato rispetto delle regole.

Fabio Petracci.

Alte professionalità

Ricercatori e quadri: lavoratori della conoscenza e alte professionalità

Sempre più frequentemente, in un contesto di lavoro in trasformazione, si riflette sull’allontanamento del paradigma produttivo dall’impianto concettuale giuslavoristico classico, basato sul lavoro manuale e ripetitivo, in favore della crescente rilevanza di professioni basate sulla conoscenza e caratterizzate da un alto valore aggiunto di tipo immateriale.

Il tema dell’emersione del lavoro basato sulla conoscenza, sulle capacità relazionali, organizzative e di coordinamento, è una questione risalente che ha trovato la prima espressione storica e sindacale nel ben noto processo che ha condotto al riconoscimento legale della categoria dei quadri.

Una vicenda analoga nelle premesse, ma che ha avuto sviluppi completamente diversi, è quella del lavoro di ricerca: la professione che, forse più di tutte, si nutre di conoscenza e produce conoscenza,  la più lontana dal lavoro mansionistico a cui è ispirato l’impianto normativo degli anni ’70 del secolo scorso. I ricercatori non hanno mai esercitato un’azione collettiva, paragonabile a quella dei quadri, che potesse culminare nel riconoscimento della professione; eppure, oggi, l’universo dei ricercatori pone, all’interprete e allo studioso di lavoro e di organizzazione, tematiche che sono, almeno in parte, assimilabili a quelle già sollevate dai quadri.

Entrambe le professioni sopra indicate, adottando la prospettiva che proviene dagli studi di organizzazione, possono essere ricondotte alla tipologia dei “lavori della conoscenza” secondo il significato dell’espressione dato da Peter Drucker[1]: lavoratori altamente qualificati, che svolgono un lavoro non manuale, volto alla produzione di output tendenzialmente intangibili.

Questi lavoratori sono stati definiti come «coloro che producono conoscenza nuova a mezzo di conoscenza, accrescendone il valore sociale (offrendo un servizio), il valore economico (creando reddito e patrimonio) e il valore intrinseco e diffusivo (che non è appropriabile e che non è una merce): ossia producono conoscenze a mezzo di conoscenze[2]».

La categoria dei “lavoratori della conoscenza” comprende artisti, scienziati, ricercatori e insegnanti, membri delle professioni ordinistiche, consulenti, persone che svolgono funzioni di governance in istituzioni ed enti pubblici e privati, imprenditori e figure manageriali intermedie; tutti, rispetto al passato, esprimono la propria professionalità non tanto nell’esercizio del ruolo di comando, quanto, piuttosto, nell’attività di immissione di conoscenze ed esperienze nelle strutture operative, di coordinamento e di garanzia del raggiungimento di risultati. Ad eccezione delle professioni ordinistiche, svolte in regime di libera professione, tutte queste occupazioni si esercitano nelle organizzazioni[3].

Nonostante i frequenti riconoscimenti formali circa l’importanza della conoscenza e del sapere per la crescita economica e per la qualità sociale di un Paese, queste professioni condividono, nella propria espressione quotidiana concreta, la necessità di fronteggiare ostacoli e difficoltà di non poco momento.

Tendenzialmente, si tratta di professioni poco definite, difficilmente riconoscibili dall’esterno e scarsamente rappresentate, con i relativi effetti in termini di deficit di tutela.

La natura immateriale dell’output rende l’attività difficilmente comprensibile da parte di chi non faccia parte del settore[4] e questo, a livello gestionale, si traduce nella difficoltà di promuovere e misurare la prestazione; inoltre, sono professioni articolate in processi complessi, che richiedono la sinergia di una pluralità di attori: dunque, il risultato finale è solitamente l’esito di una pluralità di sforzi coordinati.

Gli studiosi[5] ascrivono alle professioni della conoscenza altri due fattori critici e cioè la circostanza che spesso sono svolte da persone insufficientemente formate e che sono caratterizzate da un alto grado di instabilità occupazionale. Rispetto alle professioni oggetto di indagine in questa sede, occorre operare qualche distinguo: il tema dell’insufficiente formazione non sembra porsi rispetto ad alcuna delle due categorie esaminate; quello dell’instabilità occupazionale caratterizza principalmente i ricercatori, mentre, rispetto ai quadri risulta difficile generalizzare.

Inoltre, la scarsa riconoscibilità del lavoro svolto, tendenzialmente, ostacola la formazione dell’identità professionale dei lavoratori. Per quanto riguarda il lavoro di ricerca, la questione si pone in termini peculiari: la professione dei ricercatori è tra le meno conosciute e comprese sul piano della percezione sociale e istituzionale, eppure i lavoratori di questo settore traggono fortemente la propria identità professionale dal senso di appartenenza alla comunità scientifica di riferimento. Il fatto di essere altamente specializzati, in un dominio circoscritto e ben definito del sapere scientifico, distingue nettamente i ricercatori e gli scienziati da tutti gli altri lavoratori della conoscenza e li pone a metà strada tra questi ultimi e i professionisti specialisti.

Infine, la preponderante componente specialistica della professione caratterizza anche la natura dell’attività svolta: generalmente, i lavoratori della conoscenza, e in particolare i quadri, svolgono attività basate sulla comunicazione, sul coordinamento di risorse umane e materiali, sulla capacità di impostare progetti e piani di lavoro, di farli rispettare, di curare l’aspetto relazionale e interpersonale dell’ambiente lavorativo. Questo per i ricercatori, invece, diventa vero soltanto quando essi arrivano a ricoprire posizioni di coordinamento, di strutture e/o di laboratori, e spesso, quando ciò accade, ridimensionano la propria attività di scienziati.

Una volta individuate le analogie e tracciate le distinzioni, si può proporre qualche spunto di riflessione in tema di emersione e riconoscimento della professione: il passaggio più critico, si ritiene, è il corretto inserimento di queste professionalità nella propria sede naturale di espressione, cioè le organizzazioni.

Il passaggio risulta difficoltoso perché, sebbene le organizzazioni abbiano bisogno di avvalersi delle potenzialità di queste risorse, non sempre riescono a valorizzarle in quanto dispongono principalmente di strumenti organizzativi e giuridici ispirati ad un tipo di lavoro parcellizzabile, misurabile nel risultato e pienamente controllabile dal datore di lavoro, e quindi poco adatto alla gestione del lavoro della conoscenza. Costituiscono un esempio di questa situazione sia i sistemi di inquadramento tradizionali, analitici e tendenzialmente rigidi dei contratti collettivi nazionali più applicati, sia il quasi esclusivo utilizzo del fattore temporale per la determinazione quantitativa della retribuzione, o, ancora, la rigida struttura gerarchica e la descrizione statica delle mansioni.

Da questo punto di vista, per far emergere le alte professionalità, con particolare riferimento alle professioni in analisi, si potrebbe prendere le mosse da una ricostruzione innovativa della categoria dei quadri. Proprio partendo dalla scarsità di informazioni che la legge 190/1985 ci consegna sulle caratteristiche della categoria[6], la si può interpretare in un’accezione più adatta alle nuove esigenze organizzative. Dalla disposizione di legge, infatti, l’interprete desume soltanto che il Quadro è colui che svolge “funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli obiettivi dell’impresa” e che la contrattazione collettiva determina i requisiti di appartenenza alla categoria, “in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare struttura organizzativa dell’impresa”. La legge, inoltre, nulla dice su quali debbano essere le funzioni con rilevante importanza ai fini della realizzazione degli obiettivi aziendali, cioè le funzioni strategiche.

La storia ci tramanda una figura del Quadro ben definita, rispetto ad alcune caratteristiche, dal momento che

l’identità originaria della classe di lavoratori autrice della propulsione da cui è derivato il riconoscimento è stata quella dei “capi intermedi”, nel senso di figure di raccordo e coordinamento tra il vertice dell’organizzazione, cioè i dirigenti, e la base, cioè gli impiegati e gli operai. Questo carattere originario è stato recepito nella quasi totalità dei contratti collettivi ed è ormai connaturato alla percezione sociale della figura del quadro. Tuttavia, non si tratta di una situazione immutabile né, soprattutto, esclusiva; anche alla luce della parziale valorizzazione conseguita negli anni da questi lavoratori, si potrebbe sfruttare la potenzialità delle parti sociali di adattare gli istituti tipici della contrattazione alle trasformazioni che intervengono nelle relazioni lavoristiche, definendo in maniera diversa, e più ampia, l’ambito di appartenenza della categoria dei quadri.

Si potrebbe, allora, esplorare la nozione, in sé polivalente, di “funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli obiettivi dell’impresa”, scindendone il legame, apparentemente indissolubile, con la funzione di coordinamento e direzione di altri dipendenti sotto ordinati gerarchicamente; parallelamente, dovrebbe essere arricchita con contenuti specialistici e con quelle che sono oggi, e forse saranno in futuro, le funzioni strategiche per le attività produttive, sulla base delle specificità di queste ultime. Se si aderisse a questa prospettiva, gran parte dei professionisti della conoscenza, e segnatamente, per quello che ci più interessa, i ricercatori, entrerebbe a far parte a pieno titolo della categoria dei quadri. Infatti, in un contesto come quello attuale, in cui l’innovazione tecnologica e lo sviluppo sperimentale stanno diventando sempre più essenziali per la gestione e per la sopravvivenza del mondo produttivo che conosciamo, quali funzioni possono essere ritenute più strategiche di quelle relative alla ricerca e sviluppo?

Una siffatta lettura della categoria consentirebbe di valorizzare le specificità delle diverse realtà produttive e di gestire le risorse umane in maniera funzionale agli obiettivi che si vogliono conseguire: diverse professioni, a seconda dei contesti e delle priorità aziendali, sarebbero qualificate come strategiche e diversi professionisti verrebbero qualificati come quadri. Questo, senza voler sminuire il valore ancora importante della figura del “quadro direttivo”, consentirebbe anche di rivitalizzare una categoria che probabilmente ha risentito del mancato aggiornamento della propria fisionomia tradizionale, rischiando di diventare obsoleta pur possedendo importanti potenzialità.

Autore

Laura Angeletti

Laurea Magistrale con lode in Giurisprudenza presso l’Università di Pisa, il 12 dicembre 2016, con una tesi in diritto del lavoro (Relatore Prof. Pasqualino Albi)

Diploma di Allievo Ordinario in Scienze Giuridiche, con lode, presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, il 20 febbraio 2017, con una tesi in diritto sindacale (Relatore Prof. A. Niccolai)

Attualmente: corso di dottorato industriale in diritto del lavoro e delle relazioni industriali in collaborazione con ADAPT (Associazione per gli studi internazionali e comparati in materia di lavoro e relazioni industriali) presso l’Università degli studi di Bergamo, con una tesi di sul riconoscimento giuridico e contrattuale del lavoro di ricerca non accademico.

Internship aziendale, nell’ambito del dottorato industriale, presso la Ripartizione Organizzazione e Risorse Umane della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige (attività di ricerca sul campo per la stesura della tesi e supporto legale alle attività della Ripartizione).

Pratica forense presso lo studio legale Albi  di Pisa e lo studio legale Molinari – Fraccaro di Trento.

Esperienze di ricerca svolte presso Università europee (visiting student):

29 Luglio – 16 Agosto 2013 – London School of Economics and Political Sciences (Londra)

Summer School: Introduction to International Human Rights: Theory, Law and Practice

Marzo – Aprile 2014 École Normale Supérieure de Paris (Parigi)

Diritto della Concorrenza dell’Unione Europea

Marzo – Aprile 2015; ottobre – novembre 2016 – Universidad de Castilla La Mancha (Toledo)

Diritto del Lavoro (stesura della tesi di laurea)

Tirocini:

Settembre – Dicembre 2015

Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite (New York City, NY)

Periodo di tirocinio presso l’ufficio della Rappresentanza Permanente d’Italia all’Organizzazione delle Nazioni Unite: collaborazione all’organizzazione della settantesima sessione dell’Assemblea Generale (UNGA70) e alle attività della Terza Commissione (Human Rights).

Pubblicazioni:

L. ANGELETTI, Ricerca ed innovazione responsabile in Italia. Accordo AIRI-CNR per la RRI, in Bollettino ADAPT 15 luglio 2019, n. 27

L. ANGELETTI, Trasferimento tecnologico in Italia: qualcosa si muove, in Bollettino ADAPT, 26 marzo 2018

L. ANGELETTI, Insussistenza del fatto e licenziamento: una rassegna ragionata, in Diritto delle Relazioni Industriali, 3/2018

L. ANGELETTI, R. BERLESE, V. GUGLIOTTA, Introduzione a”Il lavoro 4.0. La Quarta Rivoluzione industriale e le trasformazioni delle attività lavorative“, a cura di A. CIPRIANI, A. GRAMOLATI, G. MARI, Firenze University Press, 2018

L. ANGELETTI, Obbligo formativo nell’esercizio dello ius variandi datoriale. Una nuova nozione di “equivalenza delle mansioni”?  in BollettinoAdapt, 22 gennaio 2018

L. ANGELETTI, Nota a Trib. Roma, sez. Lav., 1 dicembre 2015, Trattamenti economici accessori tra contratti collettivi e giurisprudenza, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 2/2016

L. ANGELETTI, Nota a Cass. Civ., Sez. III, 3 gennaio 2014, n. 41, Responsabilità civile del magistrato: cenni ricostruttivi di un complicato rapporto con l’azione penale, da un lato e con la responsabilità dello Stato, dall’altro in Danno e Responsabilità, 4/2014

L. ANGELETTI, Nota a Cass. Civ., Sez. III, 28 gennaio 2014, n. 1762, ll danno esistenziale a cinque anni dalle Sentenze di San Martino: il dibattito sui nomina juris, in Rivista Italiana di Medicina Legale, 4/2014

L. ANGELETTI, Appunti di comparazione tra la legislazione sull’immigrazione italiana e quella britannica. Trattamento riservato ai richiedenti asilo provenienti da ex-colonie del paese che riceve la domanda: sono previste misure particolari? in F. Biondi dal Monte e M. Melillo (a cura di), Diritto di asilo e protezione internazionale: storie di migranti in Toscana, Pisa University Press, Pisa, 2014

L. ANGELETTI, Nota redazionale a Cassazione Civile, Sez. III, 28 febbraio 2013, n. 22585, in collaborazione con l’Osservatorio sul danno alla persona – Lider Lab – Scuola Superiore Sant’Anna, in Rivista Italiana di Medicina Legale, 1/2014


[1] F. BUTERA, S. DI GUARDO, Il modello di analisi e progettazione del lavoro della conoscenza, Fondazione Irso Working Paper, 1/2009

[2]F. BUTERA, S. BAGNARA, R. CESARIA, S. DI GUARDO, Knowledge Working. Lavoro, lavoratori, società della conoscenza, Milano, Mondadori Università, 2008

[3] F. BUTERA, A. FAILLA, Professionisti in azienda, Milano, ETAS LIBRI, 1992

[4] F. BUTERA, S. DI GUARDO, Il modello di analisi e progettazione del lavoro della conoscenza, Fondazione Irso Working Paper, 1/2009: “se ci sediamo accanto a un ricercatore o ad un manager, spesso non capiamo quello che fa, qual è il suo outpunt, se sta ripetendo una procedura o sta generando nuova conoscenza”, p. 6

[5]

[6] A. GARILLI, Le categorie dei prestatori di lavoro, Jovene, 1988, p. 253

Furbetti del Cartellino, risarcimento del danno all’immagine a favore della Pubblica amministrazione pari ad almeno 6 mensilità. La Corte Costituzionale boccia la norma.

Con la sentenza n.66/2020 pubblicata in data 16 aprile 2020, la Corte Costituzionale ha ritenuto l’incostituzionalità del comma 3 quater dell’articolo 55 quater del DLGS 165/2001 laddove fissa un tetto minimo di sei mensilità per il risarcimento del danno all’immagine subito dalla pubblica amministrazione, allorquando il dipendente manometta o falsifichi le risultanze della sua presenza.

La Corte ha motivato il proprio intervento in quanto la norma che prevede un tanto è contenuta in un decreto legislativo (DLGS 116/2016 che modificava l’articolo 55 quater del DLGS 165/2001)  

cui la legge (Legge 124/2015) non aveva conferito una simile delega.

In pratica il governo di allora aveva legiferato in assenza di delega legislativa del parlamento. (articolo 76 della Costituzione).

Vedremo di esaminare sommariamente la questione.

L’articolo 55 quater del DLGS 165/2001 in tema di licenziamento disciplinare nell’ambito della pubblica amministrazione, tocca la responsabilità contabile – amministrativa del dipendente pubblico volta ad alterare i rilievi di presenza in servizio.

Esso al comma 3 – quater prevede espressamente che, l’azione disciplinare debba accompagnarsi alla segnalazione obbligatoria del fatto al pubblico ministero per l’esercizio dell’azione penale ed all’analogo organo presso la procura della Corte dei Conti per l’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa e contabile, stabilendo che, ferme le valutazioni del giudice in merito all’entità del danno, esso mai potrà essere inferiore a sei mesi dell’ultimo stipendio in godimento.

La norma così strutturata era stata introdotta mediante il DLGS 20.6.2016 n.116 che, modificava il precedente articolo 55 quater del DLGS 165/2001 introducendo questa fattispecie di danno all’immagine che non aveva bisogno di prova alcuna. ( una sorta di danno minimo ed incontestabile).

Il decreto legislativo 116/2016 era emesso su delega della legge 124/2015 che all’articolo 17, punto s) testualmente prevedeva la delega al governo per l’introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l’esercizio dell’azione disciplinare.

Nulla però era detto dalla legge 124/2015 (legge Madia) in tema di responsabilità contabile – amministrativa.

Fabio Petracci.

I consorzi europei di infrastrutture di ricerca (ERIC) e la mobilità Risorse Umane

Cosa sono gli ERIC

Gli ERIC (European Research Infrastructures Consortium) sono consorzi di diritto europeo costituiti, su iniziativa delle comunità scientifiche, da un gruppo di Paesi e per decisione della Commissione Europea. Gli ERIC costituiscono quindi una rete basata sulla collaborazione e integrazione del tessuto della ricerca in entità uniche, competitive, per qualità e dimensioni, a livello internazionale che permettono di mobilitare grandi risorse con la massima elasticità. Gli ERIC tendono a fare dell’Europa scientifica una nazione integrata collegando università, cliniche e centri di ricerca. Una prova delle capacità di risposta degli ERIC a situazioni estese e complesse come l’epidemia COVID19 si può vedere nell’iniziativa di CERIC-ERIC (Central European Research Infrastructure Consortium – basato nell’Area di Ricerca di Trieste) di aprire una via d’accesso rapida alle infrastrutture consortili per chi necessita di analisi su materiali utili a combattere il virus. A questa iniziativa sono seguite quelle della maggior parte  degli altri ERIC.

Attualmente sono operativi o in fase di costituzione  25 ERIC di cui 6 nell’area biomedica, 8 in quella ambientale, 6 dedicati alle scienze umane e sociali; 3 per la fisica, ingegneria e per lo studio di materiali avanzati[1]

Le sedi legali degli ERIC sono ubicate in 10 paesi e nel prossimo futuro è prevedibile un aumento degli Stati membri e dei paesi associati che ospiteranno un ERIC. Agli ERIC possono aderire paesi extra UE (es. Israele, Norvegia, Svizzera).

Gli ERIC di tutta Europa hanno dato vita al Forum ERIC per rafforzare il coordinamento e la collaborazione all’interno della loro comunità.

L’Italia è protagonista nello sviluppo degli ERIC, è infatti presente nella maggior parte degli ERIC e ospita la sede istituzionale di alcuni di essi.[2]

Le normative sugli ERIC

Gli ERIC sono regolati da due Regolamenti Europei: il n° 723/2009 modificato dal n° 1261/2013. [3]

Gli articoli rilevanti per quanto riguarda le problematiche delle Risorse Umane sono, all’interno del citato Regolamento, l’art. 10 che stabilisce “Lo statuto deve contenere….. la politica in materia di occupazione, comprese le pari opportunità” e l’Art.15 che fissa la gerarchia delle norme che regolano la costituzione e il funzionamento degli ERIC: il diritto comunitario in materia,  la legge dello Stato in cui l’ERIC ha la sua sede legale per le questioni che non sono disciplinate (o lo sono parzialmente) da norme comunitarie; lo statuto dell’ERIC e le relative norme di attuazione.

Caratteristiche giuridiche dell’ERIC 

Ai sensi del regolamento ERIC, un ERIC è un soggetto giuridico dotato di personalità giuridica e piena capacità di agire riconosciuto in tutti gli Stati membri. Esso deve essere costituito da almeno tre Stati: uno Stato membro e altri due paesi, che possono essere Stati membri o paesi associati. Possono farne parte Stati membri, paesi associati, paesi terzi diversi dai paesi associati e organizzazioni intergovernative, che contribuiscono congiuntamente alla realizzazione degli obiettivi dell’ERIC.

Come già accennato, il diritto applicabile è il diritto dell’Unione e il diritto dello Stato della sede legale o della sede operativa per quanto riguarda talune questioni amministrative, tecniche e di sicurezza. Lo statuto e le sue disposizioni di attuazione devono essere conformi al diritto applicabile. 

L’ERIC è considerato un organismo o un’organizzazione internazionale ai sensi delle direttive sull’IVA e sulle accise e può pertanto beneficiare delle relative esenzioni. Essendo inoltre considerato un’organizzazione internazionale ai sensi della direttiva sugli appalti pubblici, l’ERIC può adottare regole proprie in materia di appalti.

Gli ERIC non hanno scopo di lucro, ma posso svolgere alcune limitate attività di carattere economico strettamente connesse alla sua funzione principale 

La struttura di governance dell’ERIC è flessibile e consente di definire nello statuto i rispettivi diritti ed obblighi, gli organi e le relative competenze e altre disposizioni interne.

Il regolamento ERIC è direttamente applicabile negli Stati membri, e gli Stati membri  devono adottare misure amministrative adeguate per ospitare un ERIC o aderirvi, e garantire l’esenzione dall’IVA e dalle accise a norma del regolamento ERIC. Inoltre, essendo un nuovo tipo di soggetto giuridico, l’ERIC deve essere assimilato nei regimi normativi e amministrativi nazionali, questo ha sollevato diverse questioni pratiche che riguardano, ad esempio, un registro europeo e il collegamento con i registri nazionali (come camere di commercio o registri di associazioni) nei quali inserire gli ERIC, con le relative conseguenze per lo status del personale.

I Consorzi sono entità private con un fine “pubblico” in quanto destinate a preservare l’eccellenza scientifica comunitaria; possiedono poi diversi caratteri tipici di enti di diritto internazionale.  Nella realtà pratica, non essendo prevista, nelle legislazioni nazionali, una categoria speciale per gli ERIC in quanto soggetto giuridico, restano interrogativi in merito al loro carattere pubblico o privato; questione che ha ovvi riflessi sulla gestione delle Risorse Umane.

La Carta Europea dei Ricercatori

Prima di proseguire nell’esame degli ERIC sotto il profilo delle Risorse Umane, occorre fare un cenno alla Raccomandazione della Commissione Europea  dell’11 marzo 2005 riguardante la “Carta europea dei ricercatori e un codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori”[4]. Questo documento individua i “ricercatori” secondo la definizione del “Manuale di Frascati” e cioè: «Professionisti impegnati nella concezione o nella creazione di nuove conoscenze, prodotti, processi, metodi e sistemi nuovi e nella gestione dei progetti interessati” La Raccomandazione riguarda chi svolge qualsiasi attività professionale nella R&S, sia nel campo della «ricerca di base», della «ricerca strategica», della «ricerca applicata», dello sviluppo sperimentale e del «trasferimento delle conoscenze». Sono comprese l’innovazione e le attività di consulenza, supervisione e insegnamento, la gestione delle conoscenze e dei diritti di proprietà intellettuale, la valorizzazione dei risultati della ricerca o il giornalismo scientifico.

Particolarmente interessante è il riconoscimento del “Valore della mobilità”: “I datori di lavoro e/o i finanziatori devono riconoscere il valore della mobilità geografica, intersettoriale, inter/trans-disciplinare e virtuale nonché della mobilità tra il settore pubblico e privato, come strumento fondamentale di rafforzamento delle conoscenze scientifiche e di sviluppo professionale in tutte le fasi della carriera di un ricercatore. Dovrebbero pertanto integrare queste opzioni nell’apposita strategia di sviluppo professionale e valutare e riconoscere pienamente tutte le esperienze di mobilità nell’ambito del sistema di valutazione/avanzamento della carriera.”

Le Risorse Umane degli ERIC

Nei prossimi dieci anni si prevede che il numero di ERIC raggiunga le 50 unità. In questa fase iniziale, gli ERIC impiegano direttamente oltre 500 persone (il principale datore di lavoro è l’ESS-ERIC basato in Svezia) ma questo numero potrebbe presto salire ben oltre i 1.000 con i Consorzi in cui lo staff di R & S è previsto essere assunto direttamente. Questo numero può salire a circa 10.000 unità nei prossimi 10 anni se le condizioni di lavoro saranno allettanti in termini di mobilità e salari all’interno dell’area di ricerca dell’UE.

La fase di avviamento della maggior parte degli ERIC è ancora basata su personale di R & S distaccato (principalmente part-time) dai paesi partecipanti attraverso le loro istituzioni di ricerca: il numero di questo personale è stimato essere superiore al migliaio, ma è già visibile la tendenza verso l’occupazione diretta,  funzionale a una maggior efficienza operativa.

Gli Statuti degli ERIC – Politiche sulle Risorse Umane

Dalla lettura degli statuti dei vari ERIC [5]1 emerge che, nella maggioranza dei casi, alla politica per il Personale  è dedicato solo un generico richiamo al principio di “pari opportunità” e qualcuno accenna a criteri di “trasparenza e pubblicità” nelle procedure di selezione del personale. Spesso si rimanda per i dettagli alle regolamentazioni interne.

Troviamo però alcuni esempi di più ampia articolazione delle politiche in materia di occupazione.

Il primo è lo statuto di DARIAH (Digital Research Infrastructure for the Arts and Humanities), che articola ampiamente la politica in materia di occupazione. Nell’Art. 28 oltre al doveroso richiamo alla. “politica di pari opportunità”,  e a una serie di principi per definire le responsabilità e garantire la trasparenza nei processi di selezione e reclutamento, sono fissati due principi interessanti sotto il profilo della mobilità:  la  “non discriminazione fra il personale impiegato direttamente e il personale distaccato” e l’attribuzione dei contratti di lavoro alla normativa nazionale del paese nel cui territorio è impiegato il personale.

Il secondo è quello di SHARE  (Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe) il cui statuto non solo richiama le pari opportunità e l’attribuzione dei contratti alle norme nazionali, ma accenna anche a come agevolare la mobilità con queste parole: “Fatti salvi i requisiti della legislazione nazionale, ciascuna Parte contraente deve, all’interno della propria giurisdizione, facilitare la circolazione e la residenza dei cittadini dei paesi della Parte contraente coinvolti nei compiti dell’ERIC-SHARE e dei familiari di tali cittadini”

Qualche indicazione sulle responsabilità in materia di occupazione è contenuta nello statuto di LIFEWATCH-ERIC.

Problematiche nella gestione del personale degli ERIC

Sinteticamente tracciato il quadro normativo di riferimento, è ora il caso di soffermarsi sui profili critici legati alla gestione delle risorse umane, riconducibili, innanzitutto, alla forte mobilità che caratterizza il personale degli ERIC (ricercatori, tecnici e amministrativi).

Problematiche normative

Problematica è, innanzitutto, la mancanza di uniformità tra le regole giuslavoristiche, previdenziali, fiscali dei diversi paesi, senza dimenticare le norme sull’immigrazione. Questa diversità crea una serie di ostacoli a quella mobilità che, come detto, è fortemente richiamata dalla Carta dei Ricercatori ed è fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi di ciascun ERIC.

Gli ostacoli non sono in linea generale differenti da quelli che devono affrontare aziende e lavoratori in mobilità internazionale e che si possono cosi sintetizzare

  • Fisco: Non esiste una norma comune europea che uniformi il trattamento fiscale delle persone in mobilità all’interno dell’Unione, ma ogni paese ha stipulato un accordo del genere con tutti gli altri: il numero degli accordi esistenti è quindi nell’ordine di svariate centinaia. Per fortuna, per la parte che più direttamente ci interessa, la generalità di questi accordi prevede la non imponibilità (o la non acquisizione della “residenza fiscale”) dei redditi di persone che restino in un paese diverso dal proprio per meno di 183 gg. Oltre questo limite temporale, il reddito prodotto nel paese (retribuzioni, bonus ecc..) sarà tassabile secondo le regole interne al Paese stesso. Resta un problema di cumulabilità  di tali redditi con quelli prodotti nel paese di origine. Il cittadino italiano, per esempio, non perde praticamente mai la residenza fiscale in Italia, a meno che non si liberi di ogni fonte di reddito o bene fiscalmente rilevante. Ne deriva che il lavoratore italiano che lavora in un Paese X,  producendo un reddito regolarmente tassato, debba denunciare tale reddito in Italia; questo si cumulerà con le altre fonti (di reddito) e per evitare che il reddito prodotto all’estero sia sottoposto a doppia imposizione dovrà  procurarsi una documentazione che attesti le imposte pagate nel Paese X,
  • Previdenza obbligatoria: è uno dei pochi campi in materia di lavoro dove esistono regolamenti europei (fin dagli anni 70 del ‘900):il n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU L 166 del 30.4.2004, pag. 1), e il N. 000/2009 settembre 2009 (GU L 284 del 30.10.2009, pag. 1) che stabilisce le modalità di applicazione del precedente. 883/2004 [6]. In estrema sintesi la normativa prevede:
    • – un lavoratore distaccato da un paese all’altro dell’Unione rimane soggetto alla legislazione del primo Stato membro a condizione che la durata prevedibile di tale lavoro non superi i ventiquattro mesi e che essa non sia inviata in sostituzione di un’altra persona distaccata. 
    • – Oltre il limite dei ventiquattro mesi il lavoratore sarà sottoposto alle regole previdenziali del paese di distacco.

– al termine dell’attività lavorativa la pensione del lavoratore sarà calcolata con il criterio della “totalizzazione dei periodi” così definita dalla Circolare INPS 88/2010:“I periodi di assicurazione, di attività subordinata, di attività autonoma o di residenza maturati sotto la legislazione di uno Stato membro si aggiungono a quelli maturati sotto la legislazione di qualsiasi altro Stato membro, nella misura necessaria, ai fini dell’applicazione dell’articolo 6, a condizione che tali periodi non si sovrappongano.”

A complicare le cose sono intervenute norme interne italiane (D.Lgs 2 febbraio 2006 n. 42 e la L. 24 dicembre 2007, n. 247 all’Art 1. 76 ) che hanno disposto, nell’interpretazione della già citata circolare INPS 88/2010 che i periodi maturati all’estero in Paesi comunitari e in Paesi legati all’Italia da convenzioni bilaterali di sicurezza sociale devono essere conteggiati, a prescindere dal limite di 3 anni previsto dall’articolo 1, comma 76, lettera a), della legge 24 dicembre 2007 n. 247, rispettando, invece, il periodo minimo necessario per l’applicazione della normativa comunitaria (1 anno) o delle singole convenzioni bilaterali”

Da tutto quanto sopra si evince che la normativa in materia di previdenza obbligatoria non agevola la mobilità dei lavoratori, soprattutto in una realtà come quella degli ERIC dove la mobilità è naturalmente “spinta”.

  • Previdenza Complementare: In questo campo non esiste una regolamentazione che uniformi i sistemi, ma la UE ha previsto l’istituto dello IORP, un tipo di fondo pensione integrativo basato in uno dei paesi dell’Unione e  alimentabile con contributi provenienti da tutti i paesi dell’EEA. Su iniziativa della Commissione Europea è stato creato un Consorzio che ha recentemente fatto nascere il Fondo pensione integrativo RESAVER destinato a tutti i lavoratori della ricerca. RESAVER IORP è operativo in Italia dopo l’approvazione dell’autorità di vigilanza COVIP.
  • Assistenza sanitaria: i regolamenti comunitari di sicurezza sociale n. 883/04 e 987/08  gli assistiti dai diversi servizi sanitari possono usufruire dell’assistenza nei paesi europei (e convenzionati) a condizione di possedere una attestazione rilasciata dal servizio del paese di origine.
  • normative sull’immigrazione da paesi extra-UE: le norme che prevedono un iter agevolato per la concessione di visti ed ingressi ai ricercatori extra-comunitari valgono solo per i ricercatori in senso stretto. Questo potrebbe creare problemi in caso di mobilità di personale tecnico o amministrativo, eventualità possibile data la natura transnazionale degli ERIC

Problematiche economiche: La mobilità dei lavoratori ha un evidente impatto sui loro trattamenti economici, i principali punti critici sono:

  • mobilità tra paesi con grande differenza negli standard e costo della vita e/o nei trattamenti fiscali e previdenziali:  è evidente che le differenze ora enunciate comportano adeguamenti nel trattamento economico del personale in mobilità tenendo conto delle differenze di costo vita e il disagio connesso alla nuova sede.
  • lavoro del coniuge/compagno/a: è chiaro il peso che la rinuncia del compagno/a ad un lavoro retribuito (e magari anche gradito) ha sulla disponibilità del lavoratore in mobilità,che deve trovare un tornaconto economico o di prospettive di carriera 
  • scuole per i figli: la possibilità o meno di garantire ai figli un’istruzione adeguata e in continuità/prospettiva con quella nazionale è ugualmente importante
  • sistemazione logistica: non diversamente da sopra, per quanto riguarda la destinazione in una sede attrattiva o meno per clima, livello di vita, sicurezza, facilità di spostamento.
  • rientro alla sede di origine: èuna fase delicata della mobilità, che va programmata e gestita con la massima attenzione, tenendo conto sia dello sviluppo di carriera che del trattamento economico.

Problematiche contrattuali

Non esiste un Contratto Collettivo di Lavoro specifico per gli ERIC, come non esiste al momento in Italia un Contratto Collettivo destinato al mondo della ricerca “privata” (cioè quella che esula dalla categoria degli Enti Pubblici di Ricerca).  Troviamo così istituzioni che applicano il CCNL Metalmeccanici, altre il CCNL Chimici/Farmaceutici o per il settore Terziario; mentre le due Fondazioni basate in provincia di Trento (Fondazione Bruno Kessler e Fondazione Edmund Mach)  applicano un loro contratto provinciale, altre ancora, come  l’Istituto Italiano di Tecnologia non applicano alcun contratto collettivo, ma si sono date un proprio regolamento e, attenendosi a questo, regolano i rapporti con i dipendenti sulla base di contratti individuali.

Soluzioni gestionali e prospettive

In questo momento, come abbiamo accennato nel punto precedente, non esistono contratti collettivi o linee guida uniformi che regolino la gestione del personale degli ERIC e ciascun consorzio opera indipendentemente dagli altri.

Il rapporto di lavoro con i dipendenti diretti è regolato in Italia da contratti individuali che richiamano i regolamenti interni di ciascun consorzio. Ci sono state iniziative comuni ma  non sono andate oltre alcune indicazioni operative per affrontare le problematiche sopra esaminate. In particolare è stato suggerito,  in assenza di norme coordinate a livello europeo, di utilizzare mobilità brevi, che consentano di mantenere la situazione fiscale e previdenziale del paese di origine  e di non affrontare le problematiche economiche legate a una presenza stabile in un altro paese.

Il crescere del numero degli ERIC, oltre alla difficoltà, comune a tutte le Istituzioni di  di gestire il “lavoro di ricerca” con contratti “industriali”, sta facendo emergere la necessità di un inquadramento comune che regoli le risorse umane che operano in un ambito così particolare e importante sia per la cultura che per l’economia del nostro Paese e qualche segnale di crescente interesse per la redazione di un contratto collettivo per la Ricerca “privata” si sta manifestando.

In realtà i problemi normativi e gestionali che riguardano le risorse umane impiegate negli ERIC necessiterebbero, per essere risolti, di un complesso di principi comuni a livello comunitario che, se è troppo ottimistico immaginare come un “Contratto Collettivo Europeo” (esistono esempi di accordi transnazionali siglati dalla Confederazione Europea dei Sindacati ETUC e dalle sue articolazioni, ma riguardano aziende multinazionali che regolano in modo comune specifiche tematiche come la Formazione o la Sicurezza sul lavoro), potrebbero portare almeno alla emanazione di linee guida comuni a tutti gli ERIC. Ma anche un’eventuale “contratto” comune non sarebbe sufficiente a sviluppare l’enorme potenziale di produzione scientifica degli ERIC nel loro complesso. Il “lavoro di ricerca” per le sue dimensioni, per la specificità degli obiettivi e le caratteristiche umane e culturali delle persone potrebbe essere un ottimo terreno su cui sperimentare da parte dell’Unione regolamentazioni più omogenee, che rendano reale un mercato comune e aperto del lavoro, abbattendo gli ostacoli alla mobilità delle persone, senza suscitare troppe apprensioni e sucettibilità sovraniste nei Paesi membri.

Al momento, l’unico segnale positivo è quello dello IORP nel campo della previdenza integrativa, che per il mondo della ricerca ha dato vita a RESAVER-IORP che, sia pure tra molte difficoltà, sta operando e sviluppando in molti paesi.

Purtroppo, non sembra che l’Unione abbia compreso appieno la rilevanza strategica delle risorse umane per il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi che si attendono dagli ERIC.

La “Seconda relazione sull’applicazione del regolamento (CE) n. 723/2009 del Consiglio, del 25 giugno 2009, relativo al quadro giuridico comunitario applicabile ad un consorzio per un’infrastruttura europea di ricerca (ERIC)” [7]del 6.7.2018 recita infatti: “Gli ERIC svolgono un ruolo importante nella deframmentazione della ricerca europea, grazie alla creazione, in modo armonizzato e strutturale, di infrastrutture di ricerca europee che sviluppano e offrono servizi nell’intera Unione, promuovendo la trasparenza nella raccolta dei dati, l’accessibilità delle informazioni e degli strumenti, e la conservazione di dati e servizi per gli utenti. Ciò non è solo inteso a migliorare il sostegno alle comunità scientifiche, ma può anche favorire politiche basate su elementi concreti in settori quali sanità, energia, ambiente e politiche di innovazione sociale e culturale.”, ma quando prende in esame le problematiche che devono affrontare gli ERIC per operare in piena efficienza cita principalmente questioni legate al trattamento fiscale dei consorzi o le modalità di registrazione nei diversi paesi citando solo di sfuggita le risorse umane.

Il Forum ERIC ha invece dimostrato di aver presente la rilevanza dei temi legati alle Risorse Umane che ha così sintetizzato, dopo una recente ricerca sui temi più rilevanti per  la comunità degli ERIC , al punto “3 Occupazione, distacco, assunzioni”: “Le sfide nell’area delle risorse umane all’interno degli ERIC vanno da: attrazione e fidelizzazione dei talenti per profili specifici, mobilità, assunzioni e processi di assunzione…”

Sarà compito dunque degli ERIC stessi, nei propri paesi, mantenere attivo lo scambio di informazioni per impostare politiche omogenee e per proporre alle autorità competenti le modifiche alle regole nazionali che ostacolano la mobilità. Il Forum ERIC a livello europeo, oltre a tenere le fila delle informazioni provenienti dai diversi paesi, dovrà sensibilizzare le Direzioni Generali della Commissione Europea interessate (Ricerca; Lavoro) sui punti critici che ostacolano la mobilità e stimolare l’introduzione di nuove regole che rendano effettiva la mobilità del personale della ricerca.

In questo modo gli ERIC potranno affrontare in modo attivo, e innovativo i temi che sono stati esaminati, cominciando dal rafforzare, con adeguati specialisti, la funzione dedicata, dato che al momento, secondo la ricerca sopra citata: “…la maggior parte degli ERIC non ha nel proprio team un membro dello staff dedicato alle risorse umane.”

di Andrea Gino CRIVELLI


[1] per dettagli vedi il sito www.eric-forum.eu

[2] vedi l’articolo del prof. Carlo Rizzuto sul Sole-24ore del 12/4/2020 https://www.ilsole24ore.com/art/la-ricerca-e-efficace-se-lascia-liberi-fare-non-se-guidata-dall-alto-ADRDeGJ

[3] https://eur-lex.europa.eu/

[4] https://cdn4.euraxess.org/sites/default/files/brochures/eur_21620_en-it.pdf

5  reperibili sul sito www.eric-forum.eu

[6] https://eur-lex.europa.eu/

[7] www.eric-forum.eu

Coronavirus

Tutela del consumatore, scrive l’avvocato Laura Aramini del Centro Studi Viaggi annullati per coronavirus: il settore turistico in bilico tra richieste di rimborsi e voucher Avv. Laura Aramini (Konsumer): “Il vettore deve procedere al rimborso o emettere un voucher, ma si tratta di una misura che tutela il venditore, non certo il consumatore”

Tra i primi effetti dell’emergenza da covid-19 sull’economia italiana va indubbiamente segnalata la cancellazione di viaggi e vacanze. L’impossibilità di spostarsi, ma anche la paura di entrare in contatto con estranei e focolai, ha portato migliaia di persone a disdire le prenotazioni nel breve periodo, ma anche quelle effettuate per i mesi estivi.

Molti turisti hanno lamentato la difficoltà di ottenere il rimborso da parte dell’agenzia o del portale presso il quale avevano effettuato l’acquisto, che avevano offerto soltanto di posticipare le date o di emettere un voucher. In effetti, ci troviamo oggi a vivere in una situazione che non si era mai verificata prima e, per questo, genera incertezza in diversi campi.

Con il decreto-legge del 2 marzo 2020, è stato stabilito all’art. 28 il diritto al rimborso in favore di chi abbia acquistato un biglietto o un pacchetto turistico, senza poter effettuare il viaggio o la vacanza per motivazioni connesse all’epidemia derivante da COVID 19. – Ha dichiarato l’Avvocato Laura Aramini, dell’associazione KonsumerIl vettore, dunque, entro quindici giorni dalla comunicazione effettuata dal cliente, dovrà procedere al rimborso del corrispettivo versato o emettere un voucher di pari importo,utilizzabile entro un anno dall’emissione. Questo, dunque, non dovrebbe lasciare spazio ad equivoci, ma la questione dei voucher sembrerebbe, di fatto, tutelare solo il venditore e non certo l’acquirente.”

Secondo Konsumer, questa norma, contenuta in un decreto-legge della cui legittimità secondo diversi costituzionalisti c’è da dubitare, impedisce ai consumatori di poter recuperare il denaro speso, consistente  talvolta in i somme ingenti, obbligandoli a fruire di viaggi in tempi da loro non scelti che, magari, non si sposano con i loro impegni o con il desiderio di restare a casa in un momento così particolare.

Dopo aver attentamente studiato la disposizione,Konsumer ha deciso di mettere le sue sedi a disposizione di tutti i passeggeri e turisti che vogliono ottenere l’immediato rimborso del prezzo pagato, in quanto crede che siano casi in cui  il cliente abbia diritto a ricevere la restituzione di quanto versato, senza dover attendere  un voucher.

Coronavirus

CORONA VIRUS E SICUREZZA SUL LAVORO – SE LAVORO E CONTRAGGO IL VIRUS.

CORONA VIRUS E SICUREZZA SUL LAVORO.

Commento al protocollo condiviso di regolamentazione delle misure 

per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro e brevi osservazioni in tema di sicurezza e responsabilità del datore di lavoro

In data 14 marzo 2020, è stato sottoscritto da Governo, sindacati ed associazioni datoriali un “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, in attuazione della misura, contenuta all’articolo 1, comma primo, numero 9), del DPCM 11 marzo 2020, che – in relazione alle attività professionali e alle attività produttive – raccomanda intese tra organizzazioni datoriali e sindacali. 

Nella premessa del Protocollo viene precisato che il documento contiene le linee guida condivise tra le Parti per agevolare le imprese nell’adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio, considerato che la prosecuzione delle attività produttive può avvenire esclusivamente solo in presenza di condizioni che assicurino ai lavoratori adeguati livelli di protezione.

Il testo del documento si suddivide in n. 13 punti, che analizzeremo partitamente.

Il punto 1) è dedicato all’informazione; ciascuna azienda, attraverso le modalità più idonee ed efficaci, informa tutti i lavoratori e chiunque entri in azienda circa le disposizioni delle Autorità, consegnando e/o affiggendo all’ingresso e nei luoghi maggiormente visibili dei locali aziendali appositi depliantinformativi, con particolare riferimento:

  • All’obbligo di rimanere al proprio domicilio in presenza di febbre (oltre 37.5°) o altri sintomi influenzali e di chiamare il proprio medico di famiglia e l’autorità sanitaria;
  • Alla consapevolezza e all’accettazione del fatto di non poter fare ingresso o di poter permanere in azienda e di doverlo dichiarare tempestivamente laddove, anche successivamente all’ingresso, sussistano le condizioni di pericolo
  • All’impegno a rispettare tutte le disposizioni delle Autorità e del datore di lavoro nel fare accesso in azienda.
  • All’impegno ad informare tempestivamente e responsabilmente il datore di lavoro della presenza di qualsiasi sintomo influenzale durante l’espletamento della prestazione lavorativa, avendo cura di rimanere ad adeguata distanza dalle persone presenti.

Il successivo punto 2) riguardale modalità d’ingresso in azienda. Il personale, prima dell’accesso al luogo di lavoro potrà – seppur nel rispetto della disciplina vigente in materia di trattamento dei dati personali – essere sottoposto al controllo della temperatura corporea. Nel caso di controllo e rilevazione di temperatura corporea superiore ai 37,5°, non sarà consentito l’accesso ai luoghi di lavoro.

Ancora, il datore di lavoro deve informare preventivamente sia il personale sia chi intende fare ingresso in azienda, della preclusione dell’accesso a chi, negli ultimi 14 giorni, abbia avuto contatti con soggetti risultati positivi al COVID-19 o provenga da zone a rischio secondo le indicazioni dell’OMS.

Il punto 3) è relativo alle modalità di accesso in azienda dei fornitori esterni. Per l’accesso di questi ultimi è necessario individuare apposite procedure di ingresso, transito e uscita, mediante modalità, percorsi e tempistiche predefinite, al fine di ridurre le occasioni di contatto con il personale in forza nei reparti/uffici coinvolti.

Ancora, gli autisti dei mezzi di trasporto dovranno preferibilmente rimanere a bordo dei propri mezzi; a costoro non è consentito l’accesso agli uffici aziendali per nessun motivo. Per le necessarie attività di approntamento delle attività di carico e scarico, il trasportatore dovrà in ogni caso attenersi alla rigorosa distanza di un metro.

Per fornitori/trasportatori e/o altro personale esterno l’azienda dovrà individuare/installare servizi igienici dedicati, prevedendo contestualmente il divieto di utilizzo dei servizi igienici a disposizione del personale dipendente oltre a garantire una adeguata pulizia giornaliera dei medesimi.

Va ridotto l’accesso ai visitatori esterni e, qualora l’ingresso fosse necessario (es. ditte di pulizia) questi lavoratori esterni dovranno sottostare a tutte le regole aziendali, ivi comprese quelle per l’accesso ai locali aziendali.

Nel caso sia presente un servizio di trasporto organizzato dall’azienda va garantita e rispettata la sicurezza dei lavoratori lungo ogni spostamento.

Viene altresì specificato che le norme del Protocollo si estendono anche alle aziende in appalto.

Al punto 4) si tratta della pulizia e sanificazione in azienda. In particolare, l’azienda assicura la pulizia giornaliera e la sanificazione periodica dei locali, degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni e di svago. Nel caso di presenza di una persona con COVID-19 all’interno dei locali aziendali, si procede alla pulizia e sanificazione ed alla ventilazione dei locali.

Viene richiesto di garantire la pulizia a fine turno e la sanificazione periodica di tastiere, schermi touch, mouse con adeguati detergenti, sia negli uffici, sia nei reparti produttivi 

Ancora, l’azienda, in ottemperanza alle indicazioni del Ministero della Salute e secondo le modalità ritenute più opportune, può organizzare interventi particolari/periodici di pulizia ricorrendo agli ammortizzatori sociali (anche in deroga).

Il punto 5) è dedicato alle precauzioni igieniche personali da adottare. È obbligatorio che le persone presenti in azienda adottino tutte le precauzioni igieniche, in particolare per le mani; in tal senso, è raccomandata la frequente pulizia delle mani con acqua e sapone. In tal senso, l’azienda mette a disposizione idonei mezzi detergenti.

Al punto 6) sono contenute le prescrizioni per i DPI (Dispositivi di Protezione Individuale). L’adozione delle misure di igiene e dei dispositivi di protezione individuale è fondamentale e, vista l’attuale situazione di emergenza, è evidentemente legata alla disponibilità in commercio. Pertanto, le mascherine dovranno essere utilizzate in conformità a quanto previsto dalle indicazioni dell’OMS. In caso di difficoltà di approvvigionamento e alla sola finalità di evitare la diffusione del virus, potranno essere utilizzate mascherine la cui tipologia corrisponda alle indicazioni dall’autorità sanitaria.

Peraltro, qualora il lavoro imponga di lavorare a distanza interpersonale minore di un metro e non siano possibili altre soluzioni organizzative è comunque necessario l’uso delle mascherine e di altri dispositivi di protezione (guanti, occhiali, tute, cuffie, camici, ecc…) conformi alle disposizioni delle autorità scientifiche e sanitarie. 

Considerata la situazione, è favorita la preparazione da parte dell’azienda del liquido detergente secondo le indicazioni dell’OMS. 

Il punto 7) è relativo alla gestione degli spazi comuni in azienda. In tal senso, l’accesso agli spazi comuni, è contingentato, con la previsione di una ventilazione continua dei locali, di un tempo ridotto di sosta all’interno di tali spazi e con il mantenimento della distanza di sicurezza di 1 metro tra le persone che li occupano. 

Inoltre, occorre provvedere alla organizzazione degli spazi e alla sanificazione degli spogliatoi per lasciare nella disponibilità dei lavoratori luoghi per il deposito degli indumenti da lavoro e garantire loro idonee condizioni igieniche sanitarie ed occorre garantire la sanificazione periodica e la pulizia giornaliera, con appositi detergenti dei locali mensa, delle tastiere dei distributori di bevande e snack. 

Il punto 8) è dedicato all’organizzazione aziendale. Per il periodo d’emergenza, le imprese potranno, avendo a riferimento quanto previsto dai CCNL e favorendo così le intese con le rappresentanze sindacali aziendali, disporre la chiusura di tutti i reparti diversi dalla produzione o, comunque, di quelli dei quali è possibile il funzionamento mediante il ricorso allo smart working, o comunque a distanza nonché procedere ad una rimodulazione dei livelli produttivi ed assicurare un piano di turnazione dei dipendenti dedicati alla produzione con l’obiettivo di diminuire al massimo i contatti e di creare gruppi autonomi, distinti e riconoscibili. 

Con riguardo a tutte quelle attività che possono essere svolte presso il domicilio o a distanza viene raccomandato di utilizzare lo smart working. Nel caso vengano utilizzati ammortizzatori sociali, anche in deroga, deve sempre essere valutata la possibilità di assicurare che gli stessi riguardino l’intera compagine aziendale, se del caso anche con opportune rotazioni.

Viene raccomandato di utilizzare in via prioritaria gli ammortizzatori sociali disponibili nel rispetto degli istituti contrattuali (par, rol, banca ore) generalmente finalizzati a consentire l’astensione dal lavoro senza perdita della retribuzione e, nel caso l’utilizzo dei predetti istituti non risulti sufficiente, si utilizzeranno i periodi di ferie arretrati e non ancora fruiti.

Da ultimo, sono sospese e annullate tutte le trasferte/viaggi di lavoro nazionali e internazionali, anche se già concordate o organizzate 

Il punto 9) riguarda la gestione dell’ingresso e uscita dei dipendenti. Sono favoriti orari di ingresso/uscita scaglionati in modo da evitare il più possibile contatti nelle zone comuni e, se possibile, occorre dedicare una porta di entrata e una porta di uscita dalle predette zone comuni e garantire la presenza di detergenti segnalati da apposite indicazioni.

Il punto 10) è relativo alla gestione degli spostamenti interni, riunioni, eventi interni e formazione.

Gli spostamenti all’interno del sito aziendale devono essere limitati al minimo indispensabile e nel rispetto delle indicazioni aziendali e non sono consentite le riunioni in presenza. Laddove le stesse fossero connotate dal carattere della necessità e urgenza, nell’impossibilità di collegamento a distanza, dovrà essere ridotta al minimo la partecipazione necessaria e, comunque, dovranno essere garantiti il distanziamento interpersonale e un’adeguata pulizia/areazione dei locali.

Di conseguenza, sono sospesi e annullati tutti gli eventi interni e ogni attività di formazione in modalità in aula, anche obbligatoria, anche se già organizzati; qualora l’organizzazione aziendale lo permetta, è possibile effettuare la formazione a distanza, anche per i lavoratori in smart working. 

In ogni caso, il mancato completamento dell’aggiornamento della formazione professionale e/o abilitante entro i termini previsti per tutti i ruoli/funzioni aziendali in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, dovuto all’emergenza in corso e quindi per causa di forza maggiore, non comporta l’impossibilità a continuare lo svolgimento dello specifico ruolo/funzione.

Quindi il punto 11) prevede le indicazioni per la gestione di una persona sintomatica in azienda. 

Nel caso in cui una persona presente in azienda sviluppi febbre e sintomi di infezione respiratoria quali la tosse, lo deve dichiarare immediatamente all’ufficio del personale e si dovrà immediatamente procedere al suo isolamento in base alle disposizioni dell’autorità sanitaria. L’azienda procede immediatamente ad avvertire le autorità sanitarie competenti e i numeri di emergenza dedicati.

Ciascuna azienda collabora con le Autorità sanitarie per la definizione degli eventuali “contatti stretti” di una persona presente in azienda che sia stata riscontrata positiva al tampone COVID-19. Ciò al fine di permettere alle autorità di applicare le necessarie e opportune misure di quarantena. Nel periodo dell’indagine, l’azienda potrà chiedere che le persone che siano state in contatto stretto lascino cautelativamente lo stabilimento, secondo le indicazioni dell’Autorità sanitaria.

Il punto 12) prende in considerazione la sorveglianza sanitaria, che deve proseguire rispettando le misure igieniche contenute nelle indicazioni (cd. decalogo) del Ministero della Salute. Vanno privilegiate le visite preventive, le visite a richiesta e le visite da rientro da malattia.

La sorveglianza sanitaria periodica non va interrotta, perché rappresenta un’ulteriore misura di prevenzione di carattere generale sia perché può intercettare possibili casi e sintomi sospetti del contagio, sia per l’informazione e la formazione che il medico competente può fornire ai lavoratori per evitare la diffusione del contagio 

Pertanto, nell’integrare e proporre tutte le misure di regolamentazione legate al COVID-19 il medico competente collabora con il datore di lavoro e le RLS/RLST. 

Ancora, il medico competente segnala all’azienda situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti e l’azienda provvede alla loro tutela nel rispetto della privacy.

L’ultimo punto del protocollo, il punto 13),è relativo all’aggiornamento del protocollo di regolamentazione. A tal fine, è costituito in azienda un Comitato per l’applicazione e la verifica delle regole del protocollo di regolamentazione con la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e del RLS.

Oltre al protocollo in esame, vanno richiamati gli obblighi generali che incombono in tema di sicurezza sul datore di lavoro.

Si parte dall’articolo 2087 del codice civile che impone a quest’ultimo l’adozione di ogni possibile misura atta a garantire non solo la sicurezza ma anche il benessere fisico e psichico del lavoratore.

E’ una norma a portata generale atta a prevenire qualunque tipo di pregiudizio alla salute del lavoratore ed idonea quindi ad adattarsi ad ogni evenienza.

In maggior dettaglio, gli obblighi in capo al datore di lavoro in materia di sicurezza sono identificati dal DLGS 81/2008 (Testo Unici Sulla Salute e la Sicurezza sui Luoghi di Lavoro).

Il punto focale per l’identificazione degli obblighi inerenti gli ambienti di lavoro ed i relativi adempimenti è dato dal documenti di valutazione dei rischi.

L’articolo 28 fa riferimento al precedente articolo 17 che vi include testualmente il termine “valutazione di tutti i rischi” senza altro indicare.

Lo stesso articolo 28 poi meglio specifica:

tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro e i rischi derivanti dal possibile rinvenimento di ordigni bellici inesplosi nei cantieri temporanei o mobili, come definiti dall’articolo 89, comma 1, lettera a), del presente decreto, interessati da attività di scavo.

E’ da ritenere che il rischio COVID non obblighi i datori di lavoro ad aggiornare il documento di valutazione dei rischi (DVR) almeno per ora, a patto che il rischio non diventi endemico.

Esso però potrebbe costituire occasione di lavoro soprattutto nel caso di decesso o di grosse complicanze per il lavoratore o chi per lui richiedesse il riconoscimento dei propri diritti all’INAIL o in caso di responsabilità al datore di lavoro.

Per la realizzazione dell’indennizzo INAIL o della responsabilità del datore di lavoro deve sussistere il requisito della “occasione di lavoro” che si verifica allorquando sussiste un rapporto non occasionale di causa – effetto tra la prestazione resa e l‘evento malattia.

In sostanza la prestazione di lavoro deve essere rispetto all’evento realmente causale e non semplicemente casuale!

Nel caso di specie, l’essere addetto ad un attività ritenuta essenziale come il commercio di alimentari o di altri generi potrebbe configurare tale eventualità, per non dire di medici ed infermieri dove il nesso appare ancora più evidente.

Ciò significa anche che i datori di lavoro costretti a tenere aperte le loro serrande nonchè fabbriche ed uffici qualora costretti a lavorare, sono tenuti non solo a rispettare le direttive che ormai provengono puntualmente, ma anche ad adottare d’iniziativa ogni protezione utile e possibile, potendo in caso contrario sussistere la responsabilità contrattuale del datore di lavoro.

Centro Studi Corrado Rossitto – CIU Unionquadri.

Trieste – Roma 16 marzo 2019

Avvocato Fabio Petracci

Avvocato Alberto Tarlao.