Le assenze del medico di medicina generale

Sulla natura de rapporto di lavoro del medico di medicina generale

Prima di sviluppare l’argomento delle assenze del medico di base e per meglio comprenderlo, merita aprire una parentesi circa la tipologia del suo rapporto di lavoro.

L’ art. 8 del Decreto legislativo n. 502/1992 stabilisce che il rapporto tra il Servizio Sanitario Nazionale e i medici di medicina generale – MMG è disciplinato da convenzioni di durata triennale conformi agli accordi collettivi nazionali, di seguito detti ACN, stipulati ai sensi dell’art. 4, comma 9 della Legge n. 412/1991.

Il rapporto è, pertanto, di natura convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale. Visto il contenuto degli ACN, si può, inoltre, affermare che il rapporto, a livello di fatto, è un ibrido, ponendosi in una via di mezzo tra l’attività libero professionale e il rapporto di lavoro di tipo subordinata.

Gli ACN regolano, infatti, numerosi aspetti riguardanti il rapporto di lavoro dei medici di medicina generale di ruolo, ossia a tempo indeterminato, creando così, delle similarità con il rapporto di natura subordinata.

Dall’ altro lato vi sono, però, caratteristiche tali da avvicinarli alla tipologia del lavoro autonomo proprio dei liberi professionisti dal quale si discostano, comunque, notevolmente.

Il medico di base, per esempio, è libero di stabilire il suo orario di lavoro ma, nel farlo, a differenza del libero professionista, deve rispettare i minimi orari e le fasce orarie di copertura stabiliti dagli ACN. Una volta fissato il proprio orario, dovrà svolgere la sua attività negli orari prestabiliti. Eventuali modifiche agli stessi devono essere obbligatoriamente comunicate all’azienda sanitaria con la quale intercorre il loro rapporto di lavoro.

A differenza del medico-lavoratore subordinato, la struttura (ambulatorio) e le strumentazioni necessarie allo svolgimento dell’attività lavorativa non vengono fornite dall’azienda sanitaria al medico di medicina generale, il quale deve procurarsele in autonomia con oneri e costi a proprio carico.

Il medico di medicina generale, al di fuori degli obblighi e delle funzioni previste dall’accordo nazionale, può svolgere attività libero professionale purché lo svolgimento di tale attività non pregiudichi il corretto e puntuale svolgimento delle funzioni attribuitegli.

Oltre alle modalità di svolgimento dell’attività, gli ACN prevedono anche, per esempio, la misura e la struttura del trattamento economico e la disciplina delle assenze e delle sostituzioni.

Si pensi al fatto che, in caso di loro assenza a qualsiasi titolo, hanno l’obbligo di incaricare sempre un sostituto in modo tale che i pazienti possano sempre trovare a chi rivolgersi e quindi in modo da garantire la continuità assistenziale.

I numerosi vincoli stabiliti dagli ACN si conformano all’obbligo e alla necessità di rispettare i livelli essenziali di assistenza – LEA, stabiliti a livello nazionale.

Sulle assenze del medico di base

Focalizzandoci ora sulle assenze, l’art. 55 dell’ACN del Triennio 2016 – 2018 (ossia l’ultimo sottoscritto e oggi vigente) prevede le assenze per la malattia e per la gravidanza o puerperio. Quanto a quest’ultima, è prevista un’assenza massima di 6 mesi durante i quali la retribuzione viene corrisposta per 14 mensilità.

Per quanto concerne la malattia, ai sensi dell’art. 55 dell’ACN del Triennio 2016 – 2018, il periodo di comporto risulta essere di n. 9 mesi ogni 30 mesi. Per i primi sei mesi il medico riceve il 100% del trattamento economico; il 50% per i successivi tre mesi. I mesi di malattia possono essere svolti continuativamente o in maniera frazionata.

Terminato questo periodo, è prevista la conservazione del posto di lavoro per 15 mesi. Si tratta, per quest’ultima, di una forma di aspettativa durante la quale l’Azienda non retribuisce il medico. Essendo la conservazione motivata dallo stato di malattia del medico, rectius dalla sua inabilità temporanea allo svolgimento dell’attività professionale, sarà necessario che questi ultimo, per vedersi riconosciuta la conservazione, continui a produrre i certificati medici di malattia anche durante il periodo di aspettativa di 15 mesi, in modo da comprovare il suo stato e pertanto il fondamento della sussistenza del requisito per conservare il posto.

Una volta concluso tale periodo, il medico o riprende l’attività lavorativa oppure l’Azienda risolve la convenzione.

Circa la modalità per attivare la conservazione del posto (aspettativa di 15 mesi), dalla lettura della norma non risultano esserci degli oneri o delle formalità in carico al medico. Al contrario, l’attivazione da parte del professionista sembra automatica allo scadere del comporto di malattia (i nove mesi).

Vi è quindi una differenza con la disciplina prevista per i rapporti di lavoro subordinato dei pubblici dipendenti. Per questi ultimi, il D.lgs. 171/2011 prevede la conservazione del posto di lavoro previa istanza dell’interessato o decisione dell’azienda, la quale non è, quindi, obbligata a conservare il posto di lavoro al dipendente nel caso questi non formuli espressa domanda. L’attivazione del periodo di conservazione, per i pubblici dipendenti e quindi non per i medici in convenzione, avviene all’esito del giudizio formulato dalla commissione medica competente, in seguito alla visita a cui si sottopone il dipendente. Se il giudizio risulta essere di assoluta e permanente inabilità a svolgere le mansioni o l’attività lavorativa, l’Azienda può risolvere il rapporto con il dipendente (ciò non vale per il medico in convenzione).

La conservazione del posto per i sanitari dipendenti pubblici viene accordata quando l’inabilità accertata è di tipo temporaneo, in quanto la temporaneità dell’inabilità fa supporre la possibile riacquisizione dell’idoneità lavorativa.

Le considerazioni appena svolte ed inerenti alla conservazione del posto di lavoro dei pubblici dipendenti risultano utili al solo scopo di vagliare la modalità di attivazione della conservazione del posto di lavoro, che avviene su istanza o decisione aziendale nel caso del pubblico dipendente mentre appare automatica per il medico convenzionato di medicina generale, il quale quindi non dovrebbe attivare procedura alcuna per fruire degli ulteriori 15 mesi.

Sul trattamento economico in caso di assenza per malattia

I primi 30 giorni di malattia sono a carico del medico e durante questo periodo viene rimborsato dalla sua assicurazione. Dal 31° giorno di assenza per malattia è, invece, l’ENPAM a corrispondere al medico l’indennità di malattia, chiamata, più nello specifico, indennità per inabilità temporanea allo svolgimento della professione. Un tanto per un periodo massimo di 24 mesi, che vanno ad aggiungersi ai primi 30 giorni, negli ultimi 48 mesi di vigenza del rapporto convenzionale.

Dopo la ripresa dell’attività lavorativa convenzionale l’indennità spetta dopo un nuovo periodo di carenza di trenta giorni, un tanto in maniera conforme alla disposizione per la quale nei primi trenta giorni di malattia non è l’ENPAM bensì altra assicurazione ad erogare al medico un’indennità.

Da quanto sopra, si deduce che il periodo massimo di 24 mesi può essere anche frazionato. In altre parole l’ENPAM corrisponde l’indennità per i periodi di malattia superiori a 30 giorni, fino ad un cumulo massimo di 24 mesi ogni 48 mesi.

Per quanto concerne la misura dell’indennità per inabilità temporanea, questa, ai sensi dell’art. 4 del Regolamento ENPAM a tutela dell’inabilità temporanea, per gli iscritti che versano il contributo con l’aliquota intera, è calcolata su base giornaliera ed è pari ad 1/365 dell’80% del reddito medio annuo imponibile presso la “Quota B” – al netto del reddito già soggetto a contribuzione “Quota A” – nei tre anni precedenti l’insorgenza dello stato di inabilità, per un massimo di 171,14 al giorno. Per gli iscritti che versano con l’aliquota ridotta il sussidio viene rideterminato tenendo conto della percentuale versata.

Altre assenze

L’ACN non prevede altre cause di assenza provviste di copertura economica. Non vi è, quindi, a differenza del lavoro subordinato e analogamente a quello autonomo, la previsione di giorni di ferie retribuiti.

Per il proprio recupero psico-fisico il medico di medicina generale potrà sì assentarsi dall’attività, ma dovrà garantire, come sempre, la continuità assistenziale. Dovrà, pertanto, incaricare un sostituto e remunerarlo a proprie spese.

Dott.ssa Anna Chiara Monti

E’possibile nominare apposito medico competente per i lavoratori in smart working

La conferma dell’Interpello n.1/2023 del Ministero del Lavoro: è possibile nominare apposito medico competente per i lavoratori in smart working

Con istanza di interpello veniva sollevato il quesito se, considerato l’utilizzo sempre maggiore dello smart working, fosse possibile per il datore di lavoro individuare, con una apposita nomina, medici competenti diversi e ulteriori rispetto a quelli già nominati per la sede di assegnazione originaria dei dipendenti, vicini al luogo ove gli stessi dipendenti ora continuano ad operare in regime di smart working.

L’Interpello conferma che, ai sensi dell’art. 39 del d.lgs. n.81/2008, il datore di lavoro possa nominare più medici competenti, individuando tra essi un medico con funzioni di coordinamento, per particolari esigenze organizzative nei casi di aziende con più unità produttive, nei casi di gruppi di imprese nonché qualora emerga la necessità in relazione alla valutazione dei rischi.

Resta fermo che, qualora trovi applicazione la citata disposizione, ogni medico competente, verrà ad assumere tutti gli obblighi e le responsabilità in materia ai sensi della normativa vigente.

In linea generale, infine, si osserva che dovrà essere cura del datore di lavoro rielaborare il DVR con aggiornamento delle misure di prevenzione effettivamente adottate.

Legge di Bilancio 2023: le novità in materia di lavoro

Da una prima lettura della legge di Bilancio per il 2023 – la legge n. 197/2022 – notiamo i punti che interessano il mondo del lavoro.

È primo luogo ridotto il prelievo fiscale per i lavoratori con un reddito inferiore ai 35 mila euro annui.

Per questa categoria di lavoratori è previsto un abbattimento del cuneo fiscale pari al 2% se la retribuzione imponibile non eccede l’importo mensile di 2.692 euro (35.000 euro annui) e pari al 3% cento se la retribuzione non eccede l’importo mensile di 1.923 euro (25.000 euro annui).

Quindi, la legge di Bilancio riduce poi la tassa sulle mance al 5%. La misura è stata pensata per provare a incentivare i lavoratori del settore del turismo.

Inoltre, la legge di Bilancio stabilisce la riduzione al 5% dell’aliquota sostitutiva dell’imposta applicabile alle somme erogate nel 2023 sotto forma di premi di risultato o di partecipazione agli utili d’impresa.

I dipendenti che versano in condizioni di fragilità accertate secondo i criteri del D.M. 4 febbraio 2022, hanno il diritto a rendere la propria prestazione lavorativa in modalità agile fino al 31 marzo 2023.

In materia di prestazioni occasionali, viene aumentato fino a 10.000 euro il limite massimo di compensi che, nel corso di un anno, possono essere corrisposti da ciascun utilizzatore in riferimento alla totalità dei lavoratori mediante prestazione occasionale.

Con specifico riferimento al settore agricolo, è prevista l’introduzione di una disciplina sperimentale, valida per il biennio 2023-2024, che consente il ricorso alle prestazioni occasionali da parte delle imprese agricole per un massimo di 45 giornate lavorative per ciascun lavoratore al fine di agevolare il reperimento di manodopera per attività stagionali.

La disciplina sperimentale introdotta prevede che le prestazioni di lavoro occasionale possono riguardare solo specifiche categorie di lavoratori (disoccupati, percettori di ammortizzatori sociali o del Reddito di cittadinanza, pensionati, studenti fino a 25 anni, detenuti o internati).

Infine, si segnala l’innalzamento della soglia dei compensi per l’accesso e la permanenza nel c.d. regime forfettario per le persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni portando tale limite da 65.000 a 85.000 euro.

Pubblica Amministrazione. I requisiti per gli incarichi esterni.

Il presente scritto riguarda la materia concernente l’affidamento di incarichi a liberi professionisti da parte di enti pubblici, al di fuori delle fattispecie dell’appalto e del lavoro dipendente.

Sarà quindi dato rilievo alla normativa fondamentale che disciplina il conferimento di incarichi da parte della pubblica amministrazione.

Esamineremo innanzitutto l’articolo 7 del DLGS 165/2001 (Testo Unico Pubblico Impiego) che pone le condizioni di legittimità perché una pubblica amministrazione possa instaurare con un soggetto un rapporto di lavoro autonomo.

Come potremo vedere l’articolo 7 è stato oggetto di numerosi interventi restrittivi per eliminare gli abusi ed i reali pericoli di alimentare il precariato.

Il concetto che in primo luogo se ne ricava anche a fissarne la differenziazione dal lavoro subordinato è che debba trattarsi effettivamente di una prestazione individuale i cui termini di prestazione non debbono essere organizzati dalla pubblica amministrazione.

Deve trattarsi inoltre di un estrema ed ultima risorsa per la pubblica amministrazione che normalmente dovrebbe prevedere la presenza delle risorse umane per ogni necessità.

Se almeno all’apparenza ricorrono questi elementi, sarà opportuno confrontarli con la normativa che segue, per un esame di ammissibilità.

  1. Il testo unico del pubblico impiego

L’articolo 7 del DLGS 165/2001 costituisce la base cui riferirsi allorquando deve trattarsi della disciplina del conferimento di incarichi professionali da parte delle pubbliche amministrazioni.

Normalmente l’attività della pubblica amministrazione è svolta per il tramite di lavoratori dipendenti sottoposti a peculiari forme di assunzione e di trattamento contemplate dal DLGS 165/2001 Testo Unico del Pubblico Impiego e contestualmente per gli enti locali dal DLGS 267/2000 Testo Unico dell’ordinamento degli enti locali.

Per incarichi professionali invece intendiamo delle prestazioni che si pongono al di fuori del lavoro dipendente in un contesto di autonomia che va dalle prestazioni coordinate continuative, al lavoro organizzato dal committente e quindi assimilato in quanto al trattamento giuridico al lavoro dipendente sino alle vere e proprie forme di lavoro autonomo e professionale, anche regolamentato dalle norme ordinistiche.

Nell’ultimo periodo, abbiamo assistito al varo di normative volte a diminuire la spesa pubblica e d’altro canto a ridurre in favore della tipologia della subordinazione le varie forme di lavoro para subordinato spesso al limite della legalità.

Da una parte, interveniva in funzione di razionalizzare la Pubblica Amministrazione e contenerne i costi, il decreto Madia DLGS 75/2017 e dall’altra a ridurre le diverse alternative al lavoro subordinato il  il Jobs Act Dlgs 81/2015.

Ne ha risentito anche la materia degli incarichi professionali, laddove l’articolo 7 imponeva restrizioni alla materia degli incarichi professionali esterni.

Quando i contratti di collaborazione con le pubbiche amministrazioni sono vietati.

Il Testo Unico del Pubblico Impiego, D. Lgs. n. 165/2001, all’art. 7, comma 5-bis, prevede il divieto – a far data dal 1 luglio 2019 – per le amministrazioni pubbliche di stipulare contratti di collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.

Pertanto, da tale data non sono più utilizzabili nelle pubbliche amministrazioni i contratti di collaborazione coordinata e continuativa.

I limitati casi di ammissibilità

Il successivo comma 6 dell’art. 7 prevede tuttavia che per specifiche esigenze cui non possano far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire esclusivamente incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo (artt. 2222 e ss. del codice civile), ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:

“a) l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell’amministrazione conferente;

  1. b) l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
  2. c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;
  3. d) devono essere preventivamente determinati durata, oggetto e compenso della collaborazione; non è ammesso il rinnovo; l’eventuale proroga dell’incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell’incarico, oggetto e compenso della collaborazione.”

E’ possibile prescindere dal requisito della comprovata specializzazione universitaria, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore, nel caso di conferimento di incarichi per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell’arte, dello spettacolo dei mestieri artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro.

Ancora, l’eventuale ricorso ai contratti di lavoro autonomo (c.d. incarichi) per lo svolgimento di funzioni ordinarie dell’Amministrazione e l’eventuale utilizzo dei soggetti incaricati con modalità tali da costituire lavoro subordinato sono cause di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti.

In sostanza, lo scopo dell’attribuzione degli incarichi è quello di reperire all’esterno dell’organizzazione dell’Amministrazione risorse che permettano di soddisfare esigenze dell’Ente connotate da carattere temporaneo e per le quali è necessaria un’elevata professionalità, senza dover ricorrere ad assunzioni di personale di ruolo.

L’opportunità di creare un apposito regolamento

Infine, il comma 6-bis dell’art. 7 D. Lgs. n. 165/2001 prevede che le amministrazioni pubbliche debbano disciplinare e rendere pubbliche, secondo i propri ordinamenti, le procedure comparative per il conferimento degli incarichi.

Il divieto di instaurare CO.CO.CO come e da quando opera

Scatta così il divieto di instaurare nell’ambito del pubblico impiego le prestazioni coordinate e continuative.

Dopo alcune proroghe, dal 1 luglio 2019, gli enti pubblici non potranno più stipulare collaborazioni coordinate e continuative, l’ultima proroga era stata prevista dall’articolo 1, comma 131 della legge 145/2018.

In realtà, l’articolo 7 del DLGS 165/2001 al comma 5 bis fa divieto alle pubbliche amministrazioni di stipulare collaborazioni coordinate continuative o a progetto, ma qualsiasi forma di collaborazione non genuinamente autonoma e dove intervenga l’organizzazione della stessa da parte dell’ente anche in relazione al tempo ed al luogo di lavoro.

In sostanza l’ente pubblico può ricorrere a liberi professionisti, laddove le risorse interne non permettano di sopperire a talune esigenze istituzionali dell’ente medesimo.

Le sanzioni

Sanzioni sono previste per il mancato rispetto della norma.

In primo luogo, il contratto stipulato in violazione di legge dovrà considerarsi nullo e naturalmente il dipendente non potrà pretendere il riconoscimento della subordinazione e la stabilizzazione del rapporto. Di conseguenza esso verrà meno, il dipendente non sarà tenuto in forza dell’articolo 2126 del codice civile a restituire quanto percepito ed otterrà comunque se il periodo sarà riconosciuto come subordinato il pagamento dei contributi. Nel caso sia invece instaurato un rapporto di lavoro autonomo comunque in violazione dell’articolo 7 del DLGS 165/2001 ad esempio in quanto nell’ambito dell’ente sussistevano le professionalità necessarie, il professionista potrà agire per il risarcimento del danno ex articolo 2043 del codice civile. Le conseguenti spese andranno quindi a carico del dirigente che ha instaurato indebitamente il rapporto.

Altre sanzioni di natura aministrativa contabile e disciplinare attendono inoltre il dirigente che abbia operato in violazione dell’articolo 7 del DLGS 165/2001 .

I casi che legittimano l’instaurazione di contratti di lavoro autonomo – le ipotesi tassative

Ma quando allora le pubbliche amministrazioni possono ricorrere alle collaborazioni esterne, tenuto presente il divieto di instaurare collaborazioni continuative ed organizzate dall’ente datore di lavoro?

Le collaborazioni lecite debbono rispondere ai seguenti requisiti:

  • Il collaboratore esterno deve identificarsi in un esperto di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria e l’incarico deve essere in linea con la specializzazione del soggetto e corrispondere o servire all’oggetto delle competenze istituzionali dell’amministrazione;
  • L’amministrazione deve quindi aver preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare per lo scopo propri dipendenti;
  • La prestazione deve essere di natura temporanea;
  • Devono essere preventivamente determinati la durata l’oggetto ed i compensi.

Si fa presente che si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria per le prestazioni da effettuarsi da professionisti iscritti ad ordini o albi e per soggetti che operino nel campo dell’arte e dello spettacolo, per mestieri artigianali, per l’attività informatica  e per i servizi di orientamento e collocamento.

Ciò in concreto significa che ogni affidamento di incarico professionale nelle amministrazioni pubbliche andrà preceduto da uno delibera che evidenzi il sussistere di tutti i requisiti di liceità dell’affidamento.

Nella successiva lezione, evidenzieremo specificamente il ricorrere di tutte le condizioni di ammissibilità cui ora abbiamo fatto cenno.

  1. Il Codice degli Appalti

 Nel 2016 è entrato in vigore il D. Lgs. n. 50/2016, c.d. Codice degli Appalti o dei contratti pubblici, che disciplina i contratti di appalto e di concessione delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori aventi ad oggetto l’acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere, nonché i concorsi pubblici di progettazione.

Quivi, l’art. 17 precisa a quali appalti e concessioni di servizi non si applicano le disposizioni del Codice agli appalti ed alle concessioni di servizi, ovvero quelli:

“a) aventi ad oggetto l’acquisto o la locazione, quali che siano le relative modalità finanziarie, di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili o riguardanti diritti su tali beni;

  1. b) aventi ad oggetto l’acquisto, lo sviluppo, la produzione o coproduzione di programmi destinati ai servizi di media audiovisivi o radiofonici che sono aggiudicati da fornitori di servizi di media audiovisivi o radiofonici, ovvero gli appalti, anche nei settori speciali, e le concessioni concernenti il tempo di trasmissione o la fornitura di programmi aggiudicati ai fornitori di servizi di media audiovisivi o radiofonici. Ai fini della presente disposizione il termine «materiale associato ai programmi» ha lo stesso significato di «programma»;
  2. c) concernenti i servizi d’arbitrato e di conciliazione;
  3. d) concernenti uno qualsiasi dei seguenti servizi legali:

1) rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato ai sensi dell’articolo 1 della legge 9 febbraio 1982, n. 31, e successive modificazioni:

1.1) in un arbitrato o in una conciliazione tenuti in uno Stato membro dell’Unione europea, un paese terzo o dinanzi a un’istanza arbitrale o conciliativa internazionale;

1.2) in procedimenti giudiziari dinanzi a organi giurisdizionali o autorità pubbliche di uno Stato membro dell’Unione europea o un Paese terzo o dinanzi a organi giurisdizionali o istituzioni internazionali;

2) consulenza legale fornita in preparazione di uno dei procedimenti di cui al punto 1), o qualora vi sia un indizio concreto e una probabilità elevata che la questione su cui verte la consulenza divenga oggetto del procedimento, sempre che la consulenza sia fornita da un avvocato ai sensi dell’articolo 1 della legge 9 febbraio 1982, n. 31, e successive modificazioni;

3) servizi di certificazione e autenticazione di documenti che devono essere prestati da notai;

4) servizi legali prestati da fiduciari o tutori designati o altri servizi legali i cui fornitori sono designati da un organo giurisdizionale dello Stato o sono designati per legge per svolgere specifici compiti sotto la vigilanza di detti organi giurisdizionali;

5) altri servizi legali che sono connessi, anche occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri;

  1. e) concernenti servizi finanziari relativi all’emissione, all’acquisto, alla vendita e al trasferimento di titoli o di altri strumenti finanziari ai sensi del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, servizi forniti da banche centrali e operazioni concluse con il Fondo europeo di stabilità finanziaria e il meccanismo europeo di stabilità;
  2. f) concernenti i prestiti, a prescindere dal fatto che siano correlati all’emissione, alla vendita, all’acquisto o al trasferimento di titoli o di altri strumenti finanziari;
  3. g) concernenti i contratti di lavoro;
  4. h) concernenti servizi di difesa civile, di protezione civile e di prevenzione contro i pericoli forniti da organizzazioni e associazioni senza scopo di lucro identificati con i codici CPV 75250000-3, 75251000-0, 75251100-1, 75251110- 4, 75251120-7, 75252000-7, 75222000-8; 98113100-9 e 85143000-3 ad eccezione dei servizi di trasporto dei pazienti in ambulanza;
  5. i) concernenti i servizi di trasporto pubblico di passeggeri per ferrovia o metropolitana;
  6. l) concernenti servizi connessi a campagne politiche, identificati con i codici CPV 79341400-0, 92111230-3 e 92111240-6, se aggiudicati da un partito politico nel contesto di una campagna elettorale per gli appalti relativi ai settori ordinari e alle concessioni”.

Con specifico riferimento al settore dei servizi legali, sono state approvate dall’ANAC (Autorità Nazionale Anti Corruzione) le Linee Guida n. 12, con delibera n. 907 del 24/10/2018.

Quando l’affidamento di servizi legali deve essere trattato come appalto?

Nelle citate Linee Guida viene precisato che l’affidamento dei servizi legali costituisce appalto qualora la stazione appaltante affidi la gestione del contenzioso in modo continuativo o periodico al fornitore nell’unità di tempo considerata (di regola il triennio); il singolo incarico conferito ad hoc costituisce invece un contratto d’opera professionale, consistendo nella trattazione della singola controversia o questione, ed è sottoposto al regime di cui all’articolo 17 del D. Lgs. n. 50/2016 (contratti esclusi dall’applicazione del Codice degli Appalti).

Con riferimento ai contratti esclusi dall’applicazione delle disposizioni previste dal Codice degli Appalti, l’art. 4 del D. Lgs. n. 50/2016 precisa che l’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture debba in ogni caso avvenire nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità e tutela dell’ambiente ed efficienza energetica.

La differenza tra appalto di servizi e contratto d’opera

Resta intesa, come rilevante la differenziazione tra appalto di servizi e contratto d’opera.

La Corte dei Conti Sezione Regionale di Controllo per la Lombardia con deliberazione n.178 del 15 maggio 2014 in un parere reso ad un Comune della Provincia di Milano, delimita il confine tra la fattispecie dell’appalto di servizi e l’affidamento di un incarico professionale – contratto d’opera.

La Corte dei Conti, richiamando anche la sentenza n.2730/2012 del Consiglio di Stato ritiene che l’elemento qualificante dell’appalto di servizi sia dato dal fatto che l’affidatario di un appalto di servizi necessiti per l’espletamento dello stesso, di apprestare una specifica organizzazione finalizzata a soddisfare i bisogni dell’ente.

Conclude la Corte dei Conti che il codice dei contratti pubblici adotti una nozione più ampia di appalto di servizi, ma solo al fine di individuare l’applicabilità della disciplina di affidamento.

Rimane ferma però, a detta della Corte dei Conti, la nozione di appalto di servizi  così come delineata dal codice civile, che presuppone che la prestazione oggetto dell’obbligazione sia caratterizzata dalla sussistenza di una specifica organizzazione che possa garantire l’adempimento di una prestazione caratterizzata dalla complessità dell’oggetto e dalla predeterminazione della durata”.

In ogni caso, a prescindere da tali differenze la stipula di un contratto d’opera da parte della pubblica amministrazione, va preceduta dai seguenti requisiti:

  • l’affidamento dell’incarico deve essere preceduto da un accertamento reale sull’assenza di servizi o di professionalità, interne all’ente, in grado di adempiere l’incarico;
  • Va espletata una procedura di selezione comparativa, adeguatamente pubblicizzata, finalizzata ad assicurare alla P.A. la migliore offerta da un punto di vista qualitativo e quantitativo;
  • Deve essere acquisito il parere obbligatorio del Collegio dei revisori dell’ente ai sensi dell’art. 1, comma 42 della L. n. 311/2004;
  • Vanno  rispettati gli obblighi di comunicazione e pubblicità: il conferimento dell’incarico va comunicato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica ai sensi dell’articolo 53, comma 14, secondo periodo, del d.lgs. 165/2001 e ne deve essere curata la pubblicazione sul sito web ai sensi dall’art. 15, comma 2 del d.lgs. 33/2013.
  1. Le ultime novità dal punto di vista giurisprudenziale

La Corte dei Conti Sezione Campania, con la sentenza n.88/2018, ha ritenuto che l’Amministrazione, pur seguendo le procedure in materia di appalti, nel caso di specie avesse in realtà conferito un incarico individuale ai sensi dell’art. 7 del D. Lgs. n. 165/2001.

Nello specifico, un tanto era affermato in quanto risultava evidente che nella fattispecie oggetto d’esame fosse prevalente il “carattere personale o intellettuale della prestazione” nella persona del professionista di riferimento, anziché quello imprenditoriale in cui assume rilievo, assieme al requisito della gestione a proprio rischio, la qualità di imprenditore commerciale (art. 2195 cod. civ.), ovvero l’organizzazione dei mezzi necessari.

Ne conseguiva che la dichiarazione ai fini fiscali di aver fornito “servizi di impresa” risultava del tutto irrilevante rispetto alla fattispecie lavorativa prestata e alle sue caratteristiche oggettive che doveva invece essere qualificata come affidamento di incarico di un contratto d’opera intellettuale (artt. 2222 e 2229 c.c.). Invero, anche la necessità di utilizzare, da parte di un professionista, mezzi compresi tra gli ordinari strumenti cognitivi ed operativi a disposizione di qualunque lavoratore del settore, non può essere sufficiente a far ritenere che il contratto debba essere inquadrato nell’appalto di servizi.

Quindi, la Corte dei Conti confermava che la fattispecie in esame rientrasse nell’ipotesi dei c.d. “servizi esclusi” del codice dei contratti pubblici, trovando applicazione in ogni caso i principi dettati dall’art. 4 del D. Lgs. n. 50/2016.

Quanto invece alla distinzione tra incarico legale ed appalto di servizi legali, già la Sentenza del Consiglio di Stato n. 2730/2012 aveva delineato che l’appalto costituisce qualcosa in più rispetto ad un singolo incarico di patrocinio legale: l’appalto è configurabile quando il servizio legale viene prestato per un determinato arco temporale ed in ragione di un predeterminato corrispettivo.

Ciò appare peraltro confermato dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 6 giugno 2019 (C264/2018). La Corte di Giustizia ha infatti ribadito che gli incarichi legali sono esclusi dalla normativa generale sugli appalti in quanto diversi da ogni altro contratto, perché le relative prestazioni possono essere rese solo in ragione di un ambito fiduciario tra l’avvocato ed il cliente, peraltro caratterizzato dalla massima riservatezza.

In ogni caso, ciascuna amministrazione ben può organizzare, se lo ritiene opportuno, una apposita procedura selettiva tesa a comparare tra loro più professionisti per individuare lo specifico professionista da incaricare.

In merito, anche con riferimento ai principi generali del codice dei contratti pubblici, l’ANAC ha suggerito – senza obbligo alcuno di conformazione – alle amministrazioni di predisporre degli “elenchi” di avvocati ai quali eventualmente attingere per affidare eventuali incarichi.

Ancora, la Corte dei Conti, sezione d’Appello, con sentenza n. 155/2019, ha riformato la sentenza di condanna in primo grado per alcuni dirigenti di un Ente per aver dato luogo a rapporti di collaborazione esterna con alcuni professionisti senza aver svolto un effettivo e concreto accertamento sul personale interno da eventualmente utilizzare per rendere il servizio oggetto di incarico esterno.

Le motivazioni degli appellanti sono state accolte in quanto è stato ritenuto che i dirigenti fossero esenti da responsabilità per mancanza della colpa grave, in considerazione non solo delle gravi carenze degli organici, ma soprattutto della tempestiva attivazione di concorsi pubblici per la dotazione delle professionalità richieste per l’Ente.

Da ultimo, risulta opportuno ricordare anche la recente sentenza n. 11410/2019 del TAR Lazio, relativa alla legittimità di un avviso pubblico del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che intendeva ricercare un supporto tecnico ad elevato contenuto specialistico di professionalità altamente qualificate per svolgere consulenze a titolo gratuito.

Il TAR ha valutato che, date le caratteristiche indicate dall’avviso – che riguardava una consulenza eventuale ed occasionale nell’arco temporale di due anni – la consulenza non poteva essere qualificata come contratto di lavoro autonomo, ex art. 7, commi 6 e 6 bis, del D. Lgs n. 165/2001 e che non si trattava neppure di servizio il cui affidamento sarebbe stato sottoposto alla disciplina del Codice degli Appalti, considerata l’assenza della previsione del numero ben definito di incarichi da conferire, dell’individuazione puntuale dell’oggetto e della consistenza di ciascun incarico, nonché di una selezione per l’aggiudicazione.

Per tali ragioni, il carattere gratuito della consulenza è stato ritenuto legittimo, in quanto nel nostro ordinamento non si rinviene alcun divieto in tal senso.

Da ultimo, la legge delega 21.6.2022 n.78 in tema di contratti pubblici , esclude la gratuità degli stessi salvo motivate eccezioni.

Fabio Petracci

Alte professionalità

CONVEGNO: Quadri ed elevate professionalità nel pubblico impiego e nella contrattazione dopo il D.L. 80/2021

Venerdì 20 gennaio 2023  presso l’Hotel Coppe di via Mazzini n.24 a Trieste si terrà il convegno “Quadri ed elevate professionalità nel pubblico impiego e nella contrattazione delle funzioni centrali e degli enti locali dopo il D.L. 80/2021”.

Il convegno segue l’inaugurazione della nuova sede CIU UNUONQUADRI per il Friuli Venezia Giulia sita a Trieste in via Coroneo n.5.

PROGRAMMA DEL CONVEGNO

SALUTI ISTITUZIONALI
Dott.ssa Gabriella ANCORA
Presidente CIU UNIONQUADRI

RELATORI
Prof. Nicola de MARINIS
Consigliere della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione

Dott. Fulvio CARLI
Segretario Regionale Friuli-Venezia Giulia di CIU UNIONQUADRI

Dott. Liano CAPICOTTO
Docente Link Campus

MODERA
Avv. Fabio PETRACCI
Vicepresidente CIU UNIONQUADRI

 

DIBATTITO

Seguirà Cocktail

Inaugurazione della sede regionale FVG di CIU UNIONQUADRI

Venerdì 20 gennaio 2023 alle ore 16.00 verrà inaugurata la nuova sede CIU UNUONQUADRI per il Friuli Venezia Giulia a Trieste, in via Coroneo n.5 all’interno della galleria pedonale.

A breve verrà comunicato l’orario di apertura anche al fine di fornire aiuto e consulenza ai quadri del pubblico e del privato ed ai lavoratori apicali in genere.

Presso l’ufficio avrà pure sede il Centro Studi di Unionquadri – Corrado Rossitto.

Presso l’Hotel Coppe di via Mazzini n.24 a Trieste seguirà il convegno dal titoloQuadri ed elevate professionalità nel pubblico impiego e nella contrattazione delle funzioni centrali e degli enti locali dopo il D.L.80/2021″.

Al termine del dibattito seguirà un cocktail di benvenuto.

CASSAZIONE – La decadenza nel caso dell’azione di accertamento del rapporto di lavoro

La sentenza n. 40652/2021 della Suprema Corte di Cassazione ha statuito che nel caso di azione di accertamento di un rapporto di lavoro alle dipendenze di un soggetto diverso dal datore di lavoro formale non è prevista alcuna decadenza fino al momento in cui il lavoratore non riceve un provvedimento scritto che nega la titolarità del rapporto.

Il caso oggetto della pronuncia è quello relativo ad alcuni dipendenti che avevano agito giudizialmente per ottenere l’accertamento di un rapporto di lavoro alle dipendenze di un soggetto diverso da quello che risultava formalmente titolare del contratto.

Le Corti di merito avevano rigettato le domande dei lavoratori, ritenendole presentate oltre i termini previsti a pena di decadenza dall’art. 32, c. 4, lett. d), l.183/2010.

La Corte di Cassazione rileva come in un’ottica di bilanciamento di interessi costituzionalmente rilevanti, tanto nei casi di richiesta di costituzione (in cui è manifesta la volontà dell’istante di ripristino immediato e/o di stabilizzazione), quanto nei casi di richiesta di accertamento (ove l’azione dichiarativa richieda un accertamento “ora per allora”) dei rapporto di lavoro alle dipendenze di un soggetto diverso dal titolare del contratto, è sempre necessario “un atto o un provvedimento datoriale che renda operativo e certo il termine di decorrenza della decadenza”.

Ne consegue che viene evidenziata la necessità, ai fini della operatività della decadenza, di un provvedimento o di un atto da impugnare ovvero di un tipizzato fatto (scadenza del contratto a tempo determinato).

La Suprema Corte di Cassazione ha quindi enucleato il seguente principio di diritto: “La disposizione di cui alla legge. n. 183/ 2010, art. 32, co. 4, lett. d), relativa al regime di decadenza ivi previsto, non si applica alle ipotesi – in tema di richiesta di costituzione o di accertamento di un rapporto di lavoro, ormai risolto, in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto – nelle quali manchi un provvedimento in forma scritta o un atto equipollente che neghi la titolarità del rapporto stesso”.

Legittimo il divieto di cumulo tra pensione e redditi da lavoro dipendente previsto da quota 100

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 234/2022, ha ritenuto costituzionalmente legittimo il divieto di cumulo tra pensione c.d. quota 100 e i redditi da lavoro dipendente previsto dal d.l. n. 4/2019.

In particolare, la questione di legittimità costituzionale era sollevata in ragione del fatto che la norma prevede la non cumulabilità della pensione anticipata maturata per aver raggiunto la cosiddetta “quota 100” con i redditi da lavoro dipendente, qualunque sia il relativo ammontare, mentre consente il cumulo con i redditi da lavoro autonomo occasionale entro il limite di 5.000 euro lordi annui.

La Corte Costituzionale sottolinea come il divieto di cumulo risponde a più ampie esigenze di razionalità del sistema pensionistico, all’interno del quale il regime derogatorio introdotto dal legislatore del 2019 con una misura sperimentale e temporalmente limitata, risulta particolarmente vantaggioso per chi scelga di farvi ricorso.

Ancora, la prevista sospensione del trattamento di quiescenza in caso di violazione del divieto di cumulo è, per l’appunto, rivolta a garantire un’effettiva uscita del pensionato che ha raggiunto la cosiddetta “quota 100” dal mercato del lavoro, anche al fine di creare nuova occupazione e favorire il ricambio generazionale, all’interno di un sistema previdenziale sostenibile.

Peraltro, il lavoro autonomo occasionale costituisce, infatti, un’area residuale del lavoro autonomo, riconducibile alla definizione contenuta nell’art. 2222 del codice civile. L’occasionalità caratterizza una prestazione non abituale, sottratta a qualunque vincolo di subordinazione.

In ogni caso, osserva la Corte, il lavoro autonomo occasionale, per la sua natura residuale, non incide in modo diretto e significativo sulle dinamiche occupazionali, né su quelle previdenziali e si differenzia per questo dal lavoro subordinato, sia pure nella modalità flessibile del lavoro intermittente.

CCNL Enti Locali: il nuovo inquadramento del personale

In data 4 agosto 2022 è stata sottoscritta la pre – intesa del nuovo contratto collettivo nazionale del Comparto Enti Locali.

Importanti sono le novità attinenti all’inquadramento che fanno seguito al decreto legge 9.6.2021 n.80 che introduce alcune importanti modifiche all’articolo 52 del DLGS 165/2001 che riguarda l’inquadramento del personale.

È quivi stabilito come i dipendenti pubblici, ad esclusione dei dirigenti e del personale della scuola, debba essere inquadrato in almeno 3 distinte aree funzionali con l’aggiunta, come vedremo, di una quarta area per le elevate professionalità.

È così abolito il tradizionale schema di inquadramento per categorie e, al posto delle precedenti categorie A, B, C, D, è stato introdotto un inquadramento per aree.

Il nuovo sistema di inquadramento parte dalla categoria degli operatori che svolgono attività di mero supporto sulla base di conoscenze generali.

Immediatamente sopra, troviamo l’area degli Operatori Esperti ex B con maggiori conoscenze professionali, ma operanti sempre in attività non discrezionali.

Nell’area Istruttori, troviamo gli appartenenti all’ex area C che svolgono quella che in precedenza era definita come attività di concetto e quindi dotati di competenze teoriche da applicarsi in attività di media complessità e discrezionalità.

All’apice dell’inquadramento, troviamo la quarta area dei Funzionari e delle Elevate professionalità. Trattasi di personale munito di laurea in grado di svolgere attività complesse per il raggiungimento di obiettivi.

Il passaggio verticale da un’area all’altra avviene per procedura valutativa.

Per i dipendenti della quarta area è prevista la possibilità di assegnazione di specifici incarichi a tempo determinato on corresponsione di una retribuzione di posizione e di risultato.

Come si potrà notare, nell’ambito di questo contratto non viene creata un’apposita quarta area delle Elevate Professionalità.

Nel caso del nuovo contratto collettivo degli enti locali, l’area funzionari comprende anche le elevate professionalità, in quanto questo contratto già prevedeva l’esistenza delle quattro aree così come previsto dal decreto legge 80/2021.

Fabio Petracci

Alte professionalità

Pubblico impiego: la nuova area EP, “elevate professionalità”.

La presente trattazione riguarda la materia dell’inquadramento nell’ambito del pubblico impiego, laddove con il decreto legge 9.6.2021 n.80 si è cercato di rivalutare le professionalità medio-alte, troppo spesso schiacciate tra il ruolo preminente della dirigenza e quello generale delle altre categorie non dirigenziali.

Si è voluto inoltre valorizzare in funzione della professionalità acquisita la dinamica di progressione tra le diverse aree.

Si procederà quindi in sintesi ad un sommario esame della normativa citata (sub.1) e quindi della sua trasposizione nel contratto collettivo di comparto delle funzioni centrali (sub.2) per poi esaminare le prime indicazioni operative fornite dall’ARAN e ricavate dal bollettino periodico emesso dall’agenzia (sub.3).

  1. Sul piano normativo

Il decreto legge 9.6.2021 n.80 introduce alcune importanti modifiche all’articolo 52 del d.lgs. n.165/2001, che riguarda l’inquadramento del personale.

È quivi stabilito come i dipendenti pubblici, ad esclusione dei dirigenti e del personale della scuola, debbano essere inquadrati in almeno 3 distinte aree funzionali con l’aggiunta, come vedremo, di una quarta area per le elevate professionalità.

La novità è data proprio dal fatto che la norma stessa delega la contrattazione collettiva ad individuare un’ulteriore aerea per inquadrarvi il personale ad elevata qualificazione.

Si passa a regolamentare le modalità di progressione all’interno di ciascuna area delegando anche qui la contrattazione collettiva nei limiti imposti dalle capacità culturali e professionali e dall’esperienza maturata, seguendo dei principi di selettività che tengano conto anche dell’attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l’attribuzione di fasce di merito.

La legge passa quindi a disciplinare il passaggio tra aree di inquadramento.

È stabilita in primo luogo una riserva nell’accesso a ciascuna area nella misura del 50% a favore dei candidati esterni.

Precisato un tanto, stabilisce la norma di legge come le progressioni tra aree per i candidati esterni avvengano tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva del dipendente nell’ultimo triennio di servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli e competenze professionali ovvero di titoli di studio ulteriori rispetto a quelli necessari per l’accesso all’area dall’esterno e sul numero e la tipologia degli incarichi rivestiti.

Quindi, al fine di evitare, come spesso accade, un generale trascinamento verso l’alto, la norma stabilisce come la contrattazione collettiva a venire per il periodo 2020 – 2021 potrà effettuare nuovi inquadramenti per il tramite di tabelle di corrispondenza, ad esclusione dell’area per le elevate professionalità.

  1. Il CCNL 9 maggio 2022 funzioni centrali

Il CCNL 2021/2022 del Comparto Funzioni Centrali accoglie e traduce le disposizioni di legge che abbiamo appena esaminato.

Esso stabilisce in primo luogo l’inquadramento in quattro aree professionali per il personale non dirigente.

La titolazione delle aree è mutata nelle seguenti:

  1. Area degli operatori;
  2. Area degli assistenti;
  3. Area dei funzionari;
  4. Area delle elevate professionalità.

All’interno di ciascuna area sono individuate delle progressioni economiche atte a remunerare economicamente il maggior grado di competenza professionale.

Dette progressioni sono individuate in apposita tabella allegata al CCNL.

Precisa il contratto come l’attribuzione di differenziali stipendiali non comporti l’attribuzione di mansioni superiori e come comunque la stessa debba avvenire mediante procedura selettiva in relazione alle risorse disponibili presso il Fondo Risorse Decentrate.

Sono inoltre stabiliti i requisiti di partecipazione alla procedura selettiva, riservata ai lavoratori che negli ultimi 3 anni non abbiano beneficiato di alcuna progressione economica, termine che in ogni caso può essere ridotto a 2 anni o aumentato a 4 anni.

Ulteriore requisito è dato dall’assenza negli ultimi 2 anni di provvedimenti disciplinari superiori alla multa o al rimprovero scritto per le fattispecie contemplate nel codice disciplinare.

Per quanto riguarda la terza area, quella dei funzionari, le amministrazioni in base ai propri ordinamenti possono conferire a questi ultimi incarichi a termine di natura organizzativa o professionale che pur rientrando nell’ambito di inquadramento, richiedano lo svolgimento di compiti di maggiore responsabilità.

Su tale base è previsto il conferimento di una apposita indennità di posizione organizzativa.

E’ previsto inoltre che gli incarichi saranno conferiti dai dirigenti con atto scritto e motivato per un periodo non superiore ai 3 anni tenendosi conto dei requisiti culturali e delle capacità professionali dei dipendenti e delle caratteristiche dell’incarico affidato.

Per gravi mancanze è pure previsto che gli incarichi possano essere revocati.

Incarichi di natura specificamente rilevante sono invece conferiti ai dipendenti appartenenti all’area EP – Elevate Professionalità.

In questo caso, come avviene già per i dirigenti, gli incarichi debbono essere necessariamente conferiti agli appartenenti a quest’area. Anche in questo caso, l’incarico presuppone una valutazione delle capacità e delle esperienze dei soggetti.

La durata minima di questi incarichi è di un anno, la massima di tre anni. In ogni caso, essi possono essere rinnovati.

Questi incarichi possono essere revocati a seguito di performance negativa, ma anche in caso di necessità organizzative. A fronte dell’incarico è prevista una retribuzione di posizione e di risultato.

Quindi la contrattazione affronta il delicato tema concernente le norme di prima applicazione ed in particolare l’attribuzione delle nuove qualifiche EP.

È così stabilito un periodo dilatorio di 5 mesi dall’entrata in vigore del nuovo contratto anche per definire l’inquadramento del personale secondo le nuove norme.

Nella norma transitoria sono contenute diverse disposizioni anche per quanto attiene la progressione tra aree e la futura definizione delle cosiddette “famiglie professionali” da ricavarsi all’interno di ciascuna area.

  1. I quesiti all’ARAN

Le novità introdotte hanno determinato il sorgere di numerosi quesiti cui l’ARAN ha dato recente risposta e che di seguito si riportano.

Si può lasciare una EP senza incarico?

No, il contratto non prevede tale eventualità. L’incarico è infatti un elemento sostanziale e qualificante dell’appartenenza all’Area EP, analogamente a quanto avviene per la dirigenza. Pur non essendovi un diritto a coprire un incarico specifico (o a mantenere nel tempo, anche oltre la sua scadenza, l’incarico affidato inizialmente), vi è tuttavia il diritto a coprire uno degli incarichi previsti

dall’amministrazione, per le sue esigenze organizzative e di ottimale funzionamento.

L’incarico affidato ad una EP può essere rinnovato alla scadenza?

Non vi è una preclusione del contratto ad attribuire nuovamente lo stesso incarico, una volta che lo stresso sia giunto a scadenza, previa positiva valutazione da parte dell’amministrazione con le procedure previste dal sistema di valutazione.

Progressioni verticali

Durante la prima applicazione del nuovo ordinamento professionale (dal 1° novembre 2022 fino al 31 dicembre 2024), con quale disciplina si effettueranno le progressioni verticali? Con quella di cui all’art. 17 o con quella di cui all’art. 18, commi 6, 7 e 8 del CCNL 9 maggio 2022? Oppure con entrambe?

In base all’art. 18, comma 6, in fase di prima applicazione del nuovo ordinamento professionale e comunque entro il termine del 31 dicembre 2024, la progressione tra le aree, ad esclusione di quella verso l’area EP, ha luogo con le procedure disciplinate dai commi 6, 7 e 8 dell’art. 18. Si ritiene che tale formulazione escluda la possibilità di far coesistere entrambe le procedure (procedura transitoria ex art. 18 e procedura a regime ex art. 17). Resta, in ogni caso, ferma la possibilità di effettuare progressioni verticali verso EP anche durante il periodo di prima applicazione, ma applicando le regole ordinarie (art. 17 CCNL 9 maggio 2022 e art. 52, comma 1-bis, d.lgs. n. 165/2001). Si ricorda, in proposito, che la previsione contrattuale di cui al citato art. 17 è meramente ricognitiva di quanto previsto dalla legge (art. 52, comma 1-bis, come modificato dall’art. 3, comma 1 del d.l. n. 80/2021), vista la preclusione in materia del CCNL.

Quali sono le differenze e gli elementi comuni tra procedura a regime e procedura transitoria per le progressioni verticali?

Differenze

La prima differenza concerne i requisiti: nella procedura transitoria, i requisiti sono quelli della tabella 3 allegata al CCNL (titolo di studio + esperienza), che dà la possibilità di candidarsi anche a coloro che hanno un titolo di studio immediatamente inferiore a quello richiesto per l’accesso dall’esterno, ma sono in possesso di un numero maggiore di anni di esperienza; nella procedura a regime, i requisiti sono quelli previsti dall’art. 52, comma 1-bis, del d.lgs. n. 165/2001.

La seconda differenza riguarda i criteri selettivi: nella procedura transitoria, i criteri sono quelli previsti dall’art. 18, comma 7 del CCNL 9 maggio 2022 (esperienza, titolo di studio e competenze professionali) e ciascuno di tali criteri deve pesare almeno il 25%; nella procedura a regime, i criteri sono quelli previsti dall’art. 17 del CCNL 9 maggio 2022 e dal nuovo art. 52, comma 1-bis del d. lgs.n. 165/2001 (valutazione positiva conseguita negli ultimi tre anni di servizio, titoli o competenze professionali, titoli di studio ulteriori rispetto a quelli richiesti per l’accesso dall’esterno, numero e tipologia degli incarichi rivestiti).

La terza differenza riguarda le relazioni sindacali: nella procedura transitoria, i criteri più specifici che declinano i criteri generali stabiliti dal contratto, nonché i pesi loro attribuiti, sono definiti dalle amministrazioni previo confronto con i sindacati; nella procedura a regime, non è previsto il previo confronto con i sindacati sui criteri.

La quarta differenza riguarda il finanziamento: le progressioni verticali effettuate con la procedura transitoria sono finanziate dalle risorse determinate ai sensi dell’art. 1 comma 612 della legge n. 234 del 30 dicembre 2021 (Legge di bilancio 2022) in misura non superiore allo 0,55% del monte salari dell’anno 2018 oltreché dalle facoltà assunzionali; quelle effettuate con la procedura a regime sono invece finanziate solo dalle facoltà assunzionali. Si ricorda che l’utilizzo delle facoltà assunzionali per le progressioni verticali, sia per le procedure a regime che per le procedure effettuate durante la fase transitoria, è possibile nella misura massima del 50% del fabbisogno. Le risorse di cui dell’art. 1 comma 612 della legge n. 234 del 30 dicembre 2021, in quanto risorse attribuite alla contrattazione collettiva il cui utilizzo è limitato alla sola fase transitoria di prima applicazione del nuovo sistema di classificazione ai sensi dell’art. 52, comma 1-bis, penultimo periodo, del d.lgs. n. 165/2001, possono invece essere destinate integralmente alle progressioni verticali.

Elementi comuni

In entrambi i casi:

 vi è una procedura che prevede: un bando, una istanza di ammissione alla procedura da parte del dipendente, un’ammissione alla procedura dopo la verifica dei requisiti, una fase istruttoria per l’attribuzione dei punteggi, un ordine di merito finale tra i candidati in base al quale sono individuati coloro che conseguono la progressione verticale;

 la progressione deve essere prevista nel piano dei fabbisogni (oggi confluito nel PIAO), con indicazione della famiglia professionale (e, ove possibile, delle posizioni di lavoro più specifiche nell’ambito della famiglia professionale) per la quale si manifesta il fabbisogno;

 occorre garantire che una percentuale almeno pari al 50% del personale reclutato con le ordinarie facoltà assunzionali sia destinata all’accesso dall’esterno, in base a quanto previsto dall’art. 52 comma 1-bis del d. lgs. n. 165/2001, in coerenza con i principi, anche di rango costituzionale, che regolano l’accesso alla PA.

Durante il periodo transitorio si possono effettuare progressioni verticali da funzionario ad EP?

Si, si possono effettuare, ma solo ricorrendo alla procedura ordinaria di cui all’art. 52 comma 1-bis del d. lgs. n. 165/2001 ed art. 17 del CCNL. Infatti, per le EP, la citata norma di legge non prevede una fase di prima applicazione del nuovo ordinamento professionale. Si ricorda altresì che le progressioni verso EP possono aver luogo solo dal 1° novembre 2022, data a partire dalla quale è applicabile il nuovo sistema di classificazione professionale, ivi compresa la nuova area EP.

 Come si valutano le competenze professionali in caso di progressione verticale effettuata durante il regime transitorio?

Per la valutazione delle competenze professionali in caso di progressione verticale effettuata durante il regime transitorio (dal 1° novembre 2022 al 31/12/2024) può essere preso in considerazione l’utilizzo, anche congiunto, di una delle seguenti tipologie di valutazione:

1) valutazione delle competenze espresse in ambito lavorativo basata sulle risultanze della valutazione di performance (anche su più anni);

2) valutazione effettuata attraverso metodi che facciano emergere le competenze, le capacità e lo stile comportamentale che le persone mettono in atto sul lavoro (ad esempio, tecniche di assessment).

3) valutazione dell’accrescimento delle competenze professionali effettuata al termine di percorsi formativi aperti a tutti i candidati alla progressione verticale;

4) valutazione riferita alle certificazioni di competenze possedute dagli interessati, rilasciate da soggetti esterni abilitati a certificare competenze (come avviene, ad esempio, per competenze informatiche o linguistiche).

Le procedure di progressione verticale sono uniche per area oppure vanno svolte procedure distinte per famiglie professionali o posizioni di lavoro?

Poiché le procedure di progressione verticale sono basate sull’accertamento del possesso delle competenze necessarie a svolgere attività di un’area superiore e poiché le competenze attese variano a seconda dei lavori, si è dell’avviso che la progressione verticale vada svolta almeno a livello di “famiglia professionale”.

Durante la prima applicazione del nuovo ordinamento professionale (dal 1° novembre 2022 fino al 31 dicembre 2024), con quale disciplina si effettueranno le progressioni verticali? Con quella di cui all’art. 17 o con quella di cui all’art. 18, commi 6, 7 e 8 del CCNL 9 maggio 2022? Oppure con entrambe?

In base all’art. 18, comma 6, in fase di prima applicazione del nuovo ordinamento professionale e comunque entro il termine del 31 dicembre 2024, la progressione tra le aree, ad esclusione di quella verso l’area EP, ha luogo con le procedure disciplinate dai commi 6, 7 e 8 dell’art. 18. Si ritiene che tale formulazione escluda la possibilità di far coesistere entrambe le procedure (procedura transitoria ex art. 18 e procedura a regime ex art. 17). Resta, in ogni caso, ferma la possibilità di effettuare progressioni verticali verso EP anche durante il periodo di prima applicazione, ma applicando le regole ordinarie (art. 17 CCNL 9 maggio 2022 e art. 52, comma 1-bis, d.lgs. n. 165/2001). Si ricorda, in proposito, che la previsione contrattuale di cui al citato art. 17 è meramente ricognitiva di quanto previsto dalla legge (art. 52, comma 1-bis, come modificato dall’art. 3, comma 1 del d.l. n. 80/2021), vista la preclusione in materia del CCNL.

Come si calcola il “consumo di facoltà assunzionali” per assumere dall’esterno personale di area EP?

Il consumo di facoltà assunzionali si calcola sulla base del valore retributivo deciso da ciascuna amministrazione all’interno del range di valori medi indicati dal comma 3 dell’art. 53 (50.000-70.000 euro annui lordi).

Il valore medio prescelto dall’amministrazione va indicato all’interno del piano dei fabbisogni (oggi confluito nel PIAO).

Se l’amministrazione decide un valore retributivo medio di 60.000 euro e l’assunzione di 5 EP il consumo di facoltà assunzionali sarà pari a 300.000 euro, cui deve aggiungere gli oneri riflessi a carico dell’amministrazione.

Qual è il consumo di facoltà assunzionali nel caso di progressione verticale dall’area dei Funzionari?

In tal caso, il consumo di facoltà assunzionali è dato dalla differenza tra valore retributivo medio di riferimento dell’EP (più oneri riflessi) deciso dall’amministrazione e retribuzione annua lorda (più oneri riflessi) del funzionario.

Nella retribuzione annua lorda del funzionario vanno incluse le seguenti voci: stipendio tabellare, tredicesima mensilità, eventuali IVC ed assegni ad personam.

Per finanziare l’assunzione di EP si possono utilizzare facoltà assunzionali derivanti dalla cessazione di dirigenti?

Si possono utilizzare facoltà assunzionali derivanti dalla cessazione di tutte le qualifiche e, quindi, anche dalla cessazione di dirigenti. In tal caso, la rimodulazione delle dotazioni organiche,conseguente alla previsione di nuovi posti di EP, potrà essere effettuata anche sopprimendo, in tutto o in parte, i posti dirigenziali che si sono resi vacanti a seguito delle cessazioni.

Una volta che l’amministrazione ha determinato il suo Budget per la retribuzione di posizione e di risultato delle EP (BudgetPOS_RIS(EP)) come si determina in concreto la retribuzione di posizione e di risultato di una EP? C’è un tetto massimo alla sua retribuzione?

Il contratto collettivo nazionale ha stabilito che il Budget sia ripartito in distinte quote:

– la quota destinata alle retribuzioni di posizione;

– la quota destinata alle retribuzioni di risultato;

– la quota destinata agli altri utilizzi consentiti (welfare aziendale e mobilità territoriale).

Come stabilito dall’art. 53 comma 5, la quota destinata alle retribuzioni di risultato deve essere almeno pari al 15% delle risorse complessivamente destinate a retribuzione di posizione e a retribuzione di risultato, cioè del BudgetPOS_RIS(EP). La percentuale in concreto destinata è definita in contrattazione integrativa (art. 7, comma 6, lett. ab), ma non può scendere al di sotto di tale valore minimo. Supponiamo che la contrattazione integrativa abbia deciso un valore del 20%: in tal caso, il restante 80% del BudgetPOS_ è destinato a retribuzione di posizione (e, eventualmente, in quota parte agli altri utilizzi consentiti, p.es. welfare aziendale o incentivi alla mobilità territoriale).

La quota destinata a retribuzione di posizione è attribuita a ciascun incarico (e, conseguentemente, ai singoli che lo coprono) in base alla rilevanza delle responsabilità assunte e di altri fattori di complessità organizzativa e/o professionale relativi all’incarico stesso (art. 16, comma 6), all’interno di un range di valori che va da un minimo di 11.000 euro annui lordi ad un massimo di 29.000 euro annui lordi (tali valori sono comprensivi di tredicesima).

La quota destinata a retribuzione di risultato è invece attribuita ai singoli in funzione del livello di valutazione di performance individuale conseguito nell’espletamento dell’incarico (art. 16, comma 8) – ovviamente, a condizione che tale valutazione sia risultata positiva – sulla base di più specifici criteri definiti in contrattazione integrativa (art. 7, comma 6, lett. ab). La retribuzione di risultato può differenziarsi esclusivamente in base ai livelli di performance conseguiti.

Il contratto non ha fissato un valore massimo di retribuzione complessiva dell’EP, ma ha posto dei vincoli che si pongono come oggettivi limiti indiretti al superamento di determinate soglie retributive.

Oltre al valore tabellare di 35.000 euro annui lordi per tredici mensilità, ha stabilito un tetto massimo per la retribuzione di posizione di 29.000 euro. Nel caso in cui sia attribuito il valore massimo di posizione (in presenza di un’oggettiva rilevanza organizzativa dell’incarico assunto) si arriva ad unvalore di 64.000 euro, cui si aggiunge la retribuzione di risultato. I valori di quest’ultima si determinano in funzione della quota complessivamente destinata a retribuzione di risultato (non meno del 15% delle complessive risorse del BudgetPOS_RIS(EP)) e dei livelli di performance individuali conseguiti.

In base a quali criteri o considerazioni viene deciso il valore retributivo medio di riferimentodi una EP?

La decisione del valore medio di riferimento retributivo di una EP è una scelta di politica retributiva dell’amministrazione che va assunta tenendo conto di alcune esigenze:

essere “attrattivi” rispetto al mercato del lavoro;

trovare una soluzione di equilibrio tra vincoli di risorse, dati dalle facoltà assunzionali, e numerosità delle assunzioni programmate (se si sceglie un valore più alto si abbassa il numero delle assunzioni).

Va ricordato che il valore di riferimento retributivo di una EP è un “valore medio”. Nella scelta di tale valore medio l’amministrazione potrebbe anche basarsi su una ragionevole previsione del valore economico di posizione (retribuzione di posizione) che prevede di assegnare alle posizioni di responsabilità che saranno occupate dalle EP. Il valore medio di tali retribuzioni di posizione a cui saranno aggiunti un valore medio di retribuzione di risultato, un valore medio per gli altri eventuali benefici (esempio welfare aziendale) e i 35.000 di stipendio tabellare, potrebbe essere un possibile metodo da utilizzare per definire tale valore retributivo medio di riferimento.

In caso di cessazione di una EP l’amministrazione deve ridurre il suo Budget?

Si, in caso di cessazione l’amministrazione deve ridurre il suo Budget con decorrenza dalla

cessazione. Ciò anche in caso di cessazione per mobilità (indipendentemente dal fatto che la mobilità abbia luogo tra amministrazioni soggette o non soggette a vincoli assunzionali).

I risparmi derivanti dalla cessazione di una EP sono utilizzabili per nuove assunzioni?

In base alle regole generali che disciplinano assunzioni, le cessazioni di personale a tempo indeterminato, ivi comprese quelle delle EP, fanno aumentare le facoltà assunzionali a partiredall’anno successivo alla cessazione. Le nuove facoltà assunzionali possono essere utilizzate, in base ai fabbisogni, per assumere altre EP oppure personale di altre qualifiche.

È importante mantenere distinti i concetti di BudgetPOS_RIS(EP) e di facoltà assunzionali:

il BudgetPOS_) rappresenta il limite di spesa disponibile per erogare la retribuzione di posizione e di risultato del personale EP (e gli altri utilizzi consentiti, welfare aziendale e incentivi alla mobilità territoriale); in caso di cessazione (anche per mobilità) il Budget si riduce subito, con decorrenza dal momento in cui avviene la cessazione; in caso di reclutamento (per assunzione o per mobilità) il BudgetPOS_aumenta subito, con decorrenza dal momento in cui avviene il reclutamento;

le facoltà assunzionali rappresentano invece il limite di spesa per nuove assunzioni: in caso di cessazione di personale a tempo indeterminato le facoltà assunzionali aumentano dall’anno successivo; ma l’aumento di facoltà assunzionali, pur costituendo il presupposto per nuove assunzioni, non fa aumentare il Budget fintantoché la persona non viene effettivamente assunta.

Si consumano facoltà assunzionali in caso di mobilità volontaria di una EP tra amministrazioni entrambe soggette alla regola del turn over?

Il consumo di facoltà assunzionali in caso di mobilità tra amministrazioni nel caso di una EP segue le regole generali stabilite nel caso di turn over (cfr. l’art. 14, co. 7 del D.L. n. 95/2012). Quindi, se entrambe le amministrazioni sono soggette a vincoli assunzionali, la mobilità è neutra e non determina consumo di facoltà assunzionali per l’amministrazione ricevente né risparmi da cessazione per quella cedente. L’amministrazione cedente dovrà però diminuire il suo Budget in base al suo valore retributivo medio di riferimento delle EP, mentre l’amministrazione ricevente dovrà aumentarlo. L’aumento di Budget dell’amministrazione ricevente sarà calcolato in base al proprio valore retributivo medio di riferimento (RetEP): più precisamente, l’aumento sarà pari alla differenza tra il suddetto valore ed il tabellare di EP.

L’amministrazione può variare nel tempo (ad esempio, da un piano dei fabbisogni a quello successivo) il valore di riferimento retributivo dell’EP?

Può variarlo, in aumento o in diminuzione, ma sempre nell’ambito del range fissato dal contratto (compreso tra 50.000 e 70.000 euro annui lordi). In tal caso, l’aumento del Budget a decorrere dal momento in cui l’assunzione programmata si è effettivamente verificata, è effettuato sulla base del nuovo valore medio adottato dall’amministrazione applicato al numero delle assunzioni verificatesi.

L’assunzione di EP (anche mediante progressioni verticali) deve essere decisa nell’ambito del piano dei fabbisogni, ora confluito nel PIAO? Quali sono i fabbisogni che possono spingere un’amministrazione ad assumere delle EP?

L’assunzione delle EP (ivi comprese le progressioni verticali), come avviene per tutte le assunzioni, è decisa nell’ambito del piano dei fabbisogni (ora confluito nel PIAO).

Il fabbisogno di EP discende dalla necessità di coprire, mediante il conferimento di incarichi, posizioni ad elevata responsabilità. Le responsabilità connesse agli incarichi possono avere prevalente contenuto gestionale ovvero, nel caso in cui sia richiesta l’iscrizione ad albi professionali, prevalente contenuto professionale. In ogni caso, esse richiedono elevata autonomia decisionale, con assunzione diretta di decisioni ed atti, anche su delega formale del dirigente. Le posizioni di responsabilità vanno preventivamente individuate dalle amministrazioni, in base alle proprie esigenze organizzative.

Vi è dunque un legame stretto tra fabbisogno di EP e scelte organizzative. Un ottimale inserimento di questa nuova figura richiede che le amministrazioni definiscano preventivamente le posizioni di responsabilità, i processi di lavoro di cui è affidata la responsabilità, gli spazi di autonomia decisionale, le relazioni organizzative interne (con il dirigente e con i collaboratori) e, eventualmente, le relazioni esterne con altri soggetti. Si ritiene che tale quadro organizzativo possa essere definito anche con atti di micro-organizzazione. Naturalmente, è possibile anche ipotizzare revisioni

organizzative di maggiore impatto che incidano sugli assetti organizzativi macro: ad esempio, nei casi in cui le amministrazioni decidano di sopprimere, in tutto o in parte, i posti dirigenziali che si sono resi vacanti a seguito delle cessazioni che hanno finanziato le facoltà assunzionali utilizzate per assumere le EP.

Una volta che il piano triennale nell’ambito del PIAO ha previsto un fabbisogno di personale EP, bisogna anche modificare le dotazioni organiche, se non vi sono posti di EP in organico? Come si effettua, in tal caso, la modifica delle dotazioni organiche?

In base all’art. 6, comma 3 del d. lgs. n. 165/2001, in sede di definizione del piano dei fabbisogni di personale (ora confluito nel PIAO), ciascuna amministrazione indica la consistenza della dotazione organica e la sua eventuale rimodulazione in base ai fabbisogni programmati. Da tale disposizione si evince che la rimodulazione degli organici è effettuata all’interno del piano dei fabbisogni.

La suddetta rimodulazione deve avvenire, però, senza alterare le quantità finanziarie complessive (la disposizione di legge pone, infatti, un vincolo di “neutralità finanziaria”) e con il limite di non poter istituire nuove posizioni dirigenziali. Il che significa che il costo della dotazione organica rimodulata non può essere superiore al costo della dotazione organica ante rimodulazione.

In conclusione, è stata creata una nuova area a cavallo tra quella dei funzionari e la categoria dei dirigenti, che agevolmente potrebbe sostituire questi ultimi.

A livello di incentivazione alla performance, è stato introdotto l’istituto dell’incarico sia per i funzionari (eventuale) che per le elevate professionalità (necessario).

Trova così modifica e regolamentazione legale l’istituto delle posizioni organizzative.

Per le restanti aree l’incentivazione è data dalle progressioni verticali che trovano disciplina legale e contrattuale.

Tutte le progressioni sono disciplinate da procedure meritocratiche.

Fabio Petracci